Questione di Vita o di Morte

[Intro per Nago Yamagata]

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  1. Alastor
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    Questione di Vita o di Morte • capitolo uno
    Il Cammino dell'Uomo Timorato



    «Buongiorno Kayo!» esordì il ragazzo facendo scorrere la porta shouji ed entrando nella stanza.
    Si portò un piccolo laccio nero alla bocca e cominciò a trafficare con la sua lunga chioma rossiccia, muovendo agilmente le dita nel realizzare una treccia con la rapidità e l'esperienza di un ragno tessitore. Il risultato non era mai del tutto impeccabile, anche perché l'operazione non veniva eseguita davanti a uno specchio, ma a lui non importava. Sua sorella era già intenta a sistemare il futon quando, all'ingresso di lui, si voltò a guardarlo con espressione raggiante.
    «Buongiorno Niichan!» rispose con un gran sorriso, andandogli incontro e stampandogli un bacio sulla guancia. Non senza la collaborazione del giovane, si intende, che ancora intento ad addomesticare la criniera rispose al sorriso e chinò il collo per consentire alle labbra della sorellina, ben più bassa di lui, di raggiungerlo.
    «Come ti senti oggi?»
    «A te cosa sembra?» replicò lei, posando le mani sui propri fianchi con aria fiera.
    «Sei ancora un po' sciupata» constatò lui osservandola con attenzione, quasi assorto.
    «Ma che dici?!» protestò lei, incrociando le braccia e gonfiando le guance.
    «Guarda che sto molto meglio, non c'è proprio paragone! Prima non riuscivo neanche ad uscire dal futon, mentre adesso posso stare all'impiedi per la maggior parte del tempo. E faccio cose, aiuto Kaasan, non me ne sto con le mani in mano! E poi—»
    E poi niente. Le sue parole furono interrotte da un gesto improvviso del fratello, che afferratola per un braccio la tirò a sé ridacchiando.
    «Va bene, va bene, ho capito. E' vero che stai meglio. Considerando quello che hai affrontato non avresti potuto fare di meglio, stai recuperando ad una velocità pazzesca. Sei proprio la mia sorellina!» dichiarò con orgoglio, baciandole la fronte.
    «Però non sei ancora del tutto in forze, quindi non devi sforzarti troppo. E soprattutto devi mangiare a dovere, non hai ancora ripreso il tuo peso. Sei sempre stata magra, però dai guarda qua.»
    Con le mani la afferrò sotto le braccia sollevandola da terra, facendo su e giù tre o quattro volte, come fosse un esercizio di sollevamento pesi o qualcosa del genere.
    «Cioè, sei leggerissima!»
    «E finiscila, scemo!» protestò la giovane, dandogli un pugno sul naso.
    «Ahio!»
    Decisamente ottenne ciò che voleva, perché Nago immediatamente lasciò la presa per portarsi le mani al viso.
    «Allora, mi trovi così tanto inferma?» sorrise divertita, sbattendo le palpebre con aria innocente.
    Il ragazzo si limitò a fissarla massaggiandosi il naso, scuotendo appena la testa. Poi le sorrise a sua volta amorevole e le diede un pizzicotto bello robusto sulla guancia, non si sa bene se come gesto di affetto o di vendetta.
    «AHIO!»
    «Ci vediamo più tardi, Kayo» si congedò alla fine da lei.
    Uscì dalla stanza e si avviò verso l'ingresso facendo prima capolino nella cucina.
    «Kaasan, io esco.»
    «Ti sei occupato dell'orto?»
    «Sì, già fatto tutto. A dopo!»
    «Dove vai, Niichan?» chiese la giovane Kayoko, che intanto aveva raggiunto i due.
    «Già, dove vai di bello Nago?» le fece eco sua madre, seppur con un tono tra l'ironico e l'inquisitorio. La donna aveva una strana sensazione da quando si era svegliata.
    «...»

    Il ragazzo dalla rubiconda capigliatura e sua madre si erano del tutto ristabiliti ormai, erano tornati al loro stato di forma migliore. La più giovane della famiglia, invece, aveva ancora qualche settimana davanti, ma stava andando molto bene. Era stata dimessa dall'ospedale da un pezzo ormai, e da quel momento i miglioramenti erano stati costanti e visibili a tutti. Senza ombra di dubbio anche lei avrebbe avuto un totale recupero, c'era solo un altro po' da pazientare. Tutto sommato era stata davvero fortunata, se si considera che non molto tempo prima la sua vita era stata appesa a un filo.
    Vengono i brividi a ripensarci, eppure l'arrivo di Nago e della sua famiglia a Konoha, in circostanze tutt'altro che piacevoli, risaliva ad appena...


    4 mesi fa


    «Tornerò a trovarti, Tousan. Presto.»
    Una figura genuflessa dai lunghi capelli rossi si sporse ulteriormente in avanti finché il suo volto poté toccare la nuda terra. La baciò ed affondò in essa ambo le mani tremanti.
    «Perdonami, Tousan» sussurrò dopo una lunga pausa, e le lacrime gli solcarono il viso ormai smunto andando a bagnare quello stesso terreno dove affondava una tavola di legno rettangolare, che si ergeva impassibile a due metri di distanza di fronte a lui. Una tavola che lui stesso aveva inciso, andando a tracciare con la punta di un coltello i quattro kanji che componevano il nome del defunto padre: Mansuke Yamagata.
    Nago restò lì fermo per almeno quindici minuti, disteso bocconi faccia a terra, la terra che a malapena lo separava dalle spoglie dell'amato genitore. Difficile capire se stesse pregando oppure cercasse, a modo suo, di chiedere consiglio e conforto. Eppure raccolse le energie per fare ciò che doveva.
    Si levò finalmente in piedi e il suo viso era risoluto. Se lo asciugò grossolanamente passandoci sopra la manica del kimono che avvolgeva il suo braccio, poi si incamminò verso casa, proprio lì sulla medesima proprietà, scrollandosi di dosso il freddo terriccio bagnato dalla stagione invernale.
    «Kaasan, sei pronta?»
    «Sì. Ho già salutato tuo padre...» rispose la donna, abbassando lo sguardo e tacendo per qualche secondo.
    «...»
    «...e d'altro canto non c'è granché da preparare visto che non abbiamo nulla da portare con noi. Però...sei sicuro che sia una buona idea?»
    «Che intendi dire? Dobbiamo andarcene da qui, Kaasan. Lo vedi anche tu come sta Kayo.»
    «Lo so bene che ha bisogno di cure, o credi di essere l'unico che si preoccupa per lei?!» ribatté Nahoko aggressiva.
    Il giovane fu un attimo preso di sorpresa da quella reazione, cosa che non mancò di mostrare sgranando gli occhi e aggrottando la fronte.
    «Certo che no, Kaasan. Io—»
    Ma la madre già si era resa conto dell'ingiustizia e dell'acidità della sua replica, e subito si avvicinò al giovane toccandogli una guancia con la mano.
    «Perdonami Nago, non volevo dire una cosa del genere. È che...» esitò, mentre gli occhi si facevano lucidi, e appena lo avvertì si voltò allontanandosi di qualche passo dal figlio.
    Detestava mostrare il suo lato più fragile, ed in particolar modo davanti ai suoi bambini, per i quali riteneva di dover essere un solido punto di riferimento, specialmente ora che loro padre era venuto a mancare. Doveva essere la loro roccia, eppure in quel momento si sentiva sgretolare sotto gli incessanti colpi della burrasca.
    «Ultimamente sono successe così tante cose, sembrano piovute dal cielo come piaghe divine per distruggere questa casa e questi luoghi. Credevo di essere abbastanza forte da poter sopportare qualsiasi cosa, ma adesso Kayo...la mia piccola Kayo» singhiozzò, continuando a dare la schiena all'altro.
    «Non credo che potrei farcela» concluse a fatica in un bisbiglio a malapena udibile.
    Subito la raggiunse l'abbraccio di Nago, il quale la strinse con tutte le sue forze. Non che fossero granché in quel dato momento, ma ciò non conta. Poggiò il mento su una spalla di lei, mentre inclinando la testa la osservava silenzioso pulirsi affannosamente il volto.
    «Scusa, me ne sto qui a piagnucolare come una donnetta qualunque in un momento come questo» riprese, ma dalla sua voce era già evidente che i suoi nervi fossero di nuovo sotto controllo. «Inoltre non sono certo da sola ad aver vissuto queste cose, quindi farei meglio a tenere la bocca chiusa» concluse severa.
    Il ragazzo sciolse l'abbraccio e, poggiatele le mani sulle spalle, la voltò così che fossero faccia a faccia. Con le dita le asciugò del tutto il viso, poi le sorrise benevolo.
    «Kayo è una ragazza forte, proprio come sua madre. Si rimetterà. Starà bene, te lo prometto!»
    Nahoko gli sorrise a sua volta e annuì con decisione.
    «Ma occorre che ci sbrighiamo, quindi mettiamoci subito in viaggio.»
    «Ma sei sicuro di farcela? Guarda che la nostra meta dista centinaia di chilometri da qui, ci impiegheremo qualche giorno ad arrivare» obiettò la donna. «Trasportare tua sorella in spalla sarebbe estenuante anche se tu fossi in perfetta forma, figurarsi nelle nostre condizioni.»
    Su questo non le si poteva dar torto. La carestia e la mancanza di scorte di cibo avevano trasformato quell'inverno in un assassino silenzioso e paziente. Tutti al villaggio avevano patito la fame, e la famiglia Yamagata non faceva eccezione. Chi non era già morto per gli stenti oppure era troppo ostinato o malridotto per lasciare la propria dimora, già aveva abbandonato quelle terre o era in procinto di farlo nell'immediato. Ma solo Nago, assieme ai suoi cari, si accingeva addirittura a valicare il confine del Paese. Questo perché le condizioni di salute della giovane Kayoko si erano parecchio aggravate, e occorreva al più presto che dei medici esperti si occupassero di lei. Alla luce di ciò la destinazione migliore, l'unica realmente da prendere in considerazione se si volevano aumentare al massimo le probabilità di una buona e felice riuscita della spedizione, era una e una soltanto. Ma torniamo a noi.
    Dicevamo che Nago non era propriamente al top della forma. Un tipo normalmente pieno di vitalità e sempre in movimento, ora era costretto a razionare le energie nella maniera più efficiente possibile. Una pratica più che necessaria per chiunque faccia la fame e cerchi di non soccombere ad essa. Diciamo che l'impresa che il ragazzo aveva in mente era abbastanza ambiziosa, considerate le circostanze.
    «Forse sarebbe meglio se tu andassi da solo. Puoi cercare aiuto e poi tornare con i soccorsi.
    Resterò io qui a vegliare su Kayo.
    »

    Il ragazzo scosse vigorosamente la testa.
    «No. Anche muovendomi da solo non potrei andare veloce più di tanto, perché non sono abbastanza in forze.»
    Abbassò lo sguardo serrando la mascella, amareggiato.
    «Ci metterei meno tempo ad arrivare lì, ma poi si dovrebbe anche tornare indietro, quindi alla fine ci vorrebbe troppo.
    E poi, magari arrivo lì e nemmeno mi danno retta. Non sono certo che quelli di cui abbiamo bisogno mi seguirebbero così su due piedi.
    »

    «Nago...»
    «Inoltre, a dirla tutta» proseguì lui guardandola negli occhi «non ho la minima intenzione di lasciarvi qui da sole. Tra non molto questo posto sarà praticamente deserto. Non se ne parla» sentenziò, inflessibile.
    «Non devi preoccuparti per me, Kaasan. Ce la farò, poco ma sicuro!» dichiarò con totale convinzione.
    Nahoko restò a riflettere per qualche istante a braccia conserte, tamburellando le dita, come intenta a valutare il da farsi. Alla fine sospirò sonoramente, inarcando leggermente un sopracciglio mentre fissava suo figlio.
    «Immagino che stiamo per scoprirlo.»
    «Tu piuttosto, riuscirai a fare tutta quella strada e a stare al passo?» chiese Nago, genuinamente preoccupato.
    Il sopracciglio della donna si inarcò ancora di più.
    «Senti un po' ragazzino, ne devi mangiare ancora di ciotole di riso prima che tu possa permetterti di stare in pensiero per tua madre. Pensa per te, piuttosto. Forza, diamoci una mossa.»
    Le condizioni di lei non erano certo migliori di quelle del figlio, al contrario. Ma era anche vero che lei avrebbe avuto il lusso di scarrozzare solo se stessa in giro, e considerando la sua fibra piuttosto ragguardevole non era affatto implausibile che anche lei potesse affrontare quel viaggio.
    Il ragazzo annuì e senza perdere altro tempo si recò nella camera da letto dove riposava sua sorella. La prese in braccio e la portò fuori, dove la mise un attimo a sedere su un gradino.
    «Kaasan, dammi un paio di tasuki. Voglio assicurarla bene a me, così che non possa cadere mentre la porto.»
    La donna, dopo aver frugato lestamente in un cassetto, tornò porgendo al figlio un tasuki e un kaku obi, la cintura che era stata di suo marito. La seconda si prestava ancora meglio allo scopo rispetto alla prima, essendo decisamente più spessa e robusta.
    «Andranno benissimo» osservò Nago prendendole entrambi e usandole assieme per dare ancora più forza all'imbracatura. Le fece passare dietro la schiena e sotto le braccia di Kayoko, poi si accovacciò davanti a lei dandole la schiena, tirando le cinte sopra le sue spalle mentre la ragazza istintivamente si aggrappava a lui, seppur debolmente. Il ragazzo si portò all'impiedi e con un piccolo saltello sistemò meglio la sorellina sulla parte alta della schiena, poi rapidamente incrociò tasuki e obi davanti al busto, li fece passare dietro le ginocchia piegate di lei e infine fece un altro paio di giri in vita per poi completare con un bel nodo. Scongiurata la possibilità che il "carico" potesse cedere facilmente o sbilanciarsi all'indietro e cadere, il giovane dalla rossa treccia giunse le mani dietro la schiena, sotto il sedere della parente, per sostenerne meglio il peso.
    «Comoda?» le chiese sorridendo.
    «Nii...Chan...» riuscì solo a dire, stremata.
    «Ti portavo spesso sulla schiena in questo modo quando eravamo bambini, te lo ricordi?»
    Breve pausa.
    «Be' in realtà tu sei ancora una bambina.»
    «Chiudi il becco» replicò lei flebilmente accennando però un sorriso, prima di poggiare la testa sulla spalla del fratello maggiore e chiudere gli occhi.
    Nago per tutta risposta girò il capo e le diede un bacio sulla guancia.
    «Tranquilla, ci pensa Niichan a te. Kaasan» si rivolse poi a sua madre. «Andiamo.»
    E i tre si misero in cammino.
    «Ci pensa Niichan» ripeté il giovane in un sibilo quasi inudibile.


    qualche giorno dopo


    Il ragazzo inciampò ma riuscì a piantare giù le mani prima di andare faccia a terra.
    Ansimando, il viso imperlato di sudore, con un certo sforzo si riportò in posizione eretta, verificando anche che Kayoko non si fosse fatta niente.
    «Ti sei fatto male?»
    «È questo diavolo di zouri!» esclamò lui stizzito scalciando via dal piede destro il sandalo fatto di paglia di riso e il cui hanao, ovvero la stringa che lo teneva fissato al piede, si era rotto facendolo cadere.
    La madre con grande pazienza andò a raccoglierlo, fiduciosa di poterlo riparare facilmente a tempo debito. Nel frattempo Nago accostò la guancia a quella della sorella, la quale ultimamente sembrava non fare altro che dormire.
    «Kaasan, Kayo scotta» disse lui col fiato corto, decisamente preoccupato.
    Lui stesso era piuttosto accaldato data la fatica a cui si stava sottoponendo, quindi era evidente che...
    «La febbre deve esserle salita ancora» confermò la donna, mettendo una mano sulla fronte della figlia, e coprendo la propria espressione avvilita con l'altra.
    «Sbrighiamoci» tagliò corto lui, riprendendo la marcia.
    «Ormai ci siamo, guarda! Siamo arrivati, Kaasan!» esultò, e quasi gli veniva da piangere per il sollievo.
    Erano fuori dalla fitta vegetazione che ricopriva gran parte del Paese del Fuoco e proprio lì, un centinaio di metri più avanti, si ergeva un enorme portone di legno affiancato da altrettanto imponenti mura: l'ingresso al Villaggio della Foglia.

    I nuovi giunti sicuramente sarebbero stati notati da chi era di sentinella già da una considerevole distanza, mentre si avvicinavano.
    Tutti e tre indossavano dei kimono lunghi di fattura tutt'altro che pregiata, e tutti e tre avevano capelli rossi più o meno lunghi, seppur di sfumature leggermente diverse. E tutti e tre avevano una gran brutta cera, neanche a dirlo. Specialmente la più giovane di tutti, la quattordicenne ancora portata in spalla dal fratello poco più che ventenne. La donna invece, che aiutava il proprio passo col sostegno di un logoro ombrello rosso, unico oggetto che la famiglia aveva portato con sé dalla sua casa, dimostrava meno di quarant'anni malgrado i lineamenti provati dalle recenti privazioni.
    Un passo davanti all'altro l'insolito terzetto si avvicinava.
     
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  2. Asgharel
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    Narrato

    °Pensato°
    «Parlato»
    "Parlato" (altri)
    -Citazioni-


    [Abilità/Potenziamenti/tecniche]


    Cade la Neve 一

    ~Un arrivo Inatteso~


    Una lieve nevicata aveva iniziato a calare in quella giornata. Le strate ancora portavano con se i vari colori naturali, ingrigiti però dal lungo inverno che a poco a poco scorreva. Il freddo, seppur non eccessivo era presente ed ovviamente creava tutti i dovuti problemi, a partire dalle passeggiate gelate lungo le mura ai meccanismi inchiodati dal freddo e che spesso richiedevano l'uso sapiente di fiamme ben dosate per non arrecare danni nello sbloccare il tutto.

    “Sembra che abbia cominciato a nevicare...”

    «Così sembrerebbe Sougo...»

    “Certo che l'inverno è un periodaccio... Non puoi seguire una ragazza che questa subito trova le tue tracce!”

    «Ti rendi conto che stai ammettendo di stalkerare una ragazza?»

    “Ma no! Ma no! Che dici!? Semplicemente facevo notare come la libertà di un cittadino venga limitata dalla dannata candida neve che scende”

    «Farò finta di non aver sentito, Sougo... Piuttosto, dove sono i fascicoli che ti avevo chiesto?»

    “Quelli? Dovrebbe pensarci Yamazaki, non avevo tempo di occuparmene...”

    «Lo vedo... in fondo sei nel mio ufficio solo da due ore...»

    “Infatti!”


    Inutile dire che lo sguardo dell'Uchiha poteva definirsi a dir poco furente, anche se in effetti non si poteva nascondere un filo di curiosità nei suoi occhi. In tutta onestà c'era da chiedersi come facesse l'Okita a creare tanti problemi o a riuscire a trovare un senso al suo assoluto nonsenso in ogni cosa che facesse, ma in fondo quello forse era anche uno dei motivi per cui l'Uchiha portava con se quel biondino scansafatiche ed apparentemente buono a nulla.

    “Ad ogni modo, Atasuke... Come procede il tuo Dojo?”

    «A buon punto, decisamente a buon punto... Dopo l'inaugurazione tutto è sembrato filare liscio... anche se il capodanno è stato parecchio estenuante...»

    “Oh, lo immagino... tutte quelle terme e quel relax... dev'essere stato orribile”


    Atasuke si limitò a fulminare il sottoposto con lo sguardo, prima che una richiesta arrivasse dall'esterno attraverso l'intricato sistema di comunicazioni che Atasuke aveva predisposto per ottimizzare al meglio i meccanismi di allarme, coordinamento e comunicazione.

    “Atasuke-sama! Sono stati avvistati tre individui in avvicinamento, sembrerebbero dei profughi”

    «Profughi?»

    “Esattamente... da quel che si può osservare sembrano vestiti di stracci ed affaticati”

    «Non mi risultano attacchi nei nostri territori, ne eventi significativi nelle vicinanze... Potrebbe essere una trappola»

    “Che intendi fare?”

    «Il mio lavoro, come sempre Sougo...»


    Non si trattenne dal pensare ad alta voce, in parte perché non ve ne era effettiva necessità, in parte perché lo aiutava a pensare meglio potersi esprimere anche a livello verbale e non solo nella sua testa.
    Ad ogni modo, presa una decisione, Atasuke diramò il primo livello di allarme, mettendo in allerta le mura. Certo poteva trattarsi di semplici profughi, ma non era la prima volta che qualcuno cercava di varcare il gate con armi o quant'altro fingendosi martiri, profughi e disadattati in generale, dunque non si sarebbe lasciato cogliere impreparato.

    «A tutti i guardiani. Stato di allerta 2, preparare la squadra per il primo soccorso medico, convergere al gate»


    E senza aggiungere altro, indossò il suo mantello nero, dirigendosi fuori dall'ufficio per vedere con i suoi stessi occhi quanto stava avvenendo al gate.
    In poco tempo il gate sarebbe stato pronto a difendersi o ad accogliere con un dovuto supporto medico i tre viandanti dall'aspetto decisamente malconcio.

    […]


    Al loro arrivo al gate, i tre avrebbero trovato Atasuke, proprio di fronte alle porte, pronto alla prima linea di difesa mentre li attendeva.

    «Io sono Uchiha Atasuke, shinobi di Konoha... Chi siete e cosa cercate?»


    Il tono era freddo e distaccato, mentre il suo sguardo attento sondava i tre fin nei più piccoli dettagli, come alla ricerca di ogni possibile indizio o dettaglio che potesse rivelare ogni possibile minaccia o forma di malessere.
    Sapeva di essere duro, forse anche oltr modo verso chi, di fatto, non aveva fatto nulla di male, tuttavia, il loro arrivo sospetto non poteva essere trattato con maggior cura o almeno non finchè non si fosse accertata la loro condizione di profughi.



    OT - Ok, come richiesto per iniziare ci sarò soltanto io. Per ora giocati l'ingresso che se tutto va bene in tempi brevi chiamiamo anche Shizuka XD - /OT
     
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  3. Alastor
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    Questione di Vita o di Morte • capitolo due
    Le Barriere



    «Nevica!» esclamò Nago quando un piccolo fiocco di neve si posò sulla punta del suo naso arrossato dal freddo.
    Lo disse con il tono estasiato di chi accoglie un fenomeno del tutto inusuale ma incredibilmente gradito. Levò il viso verso l'alto mentre gli occhi si chiudevano e la bocca si spalancava, e la lingua veniva fuori come a voler assaporare quelle candide briciole di cielo. Il semplice fatto che avesse cominciato a nevicare pareva capace di rasserenare un po' l'ormai stremato ragazzo.
    Ma tale irrazionale sentimento durò solo pochi istanti, perché immediatamente il giovane tornò ad aprire gli occhi. O più precisamente li sbarrò come se si fosse di colpo reso conto di un tremendo errore.
    «Oh no, non adesso!» si lamentò, guardandosi intorno sconsolatamente, come in cerca di qualcosa.
    «Solo questa ci mancava» si accodò sua madre, decisamente contrariata.
    Kayoko aveva la febbre alta e se già il dover tollerare il freddo invernale metteva di per sé alla prova la sua cagionevole condizione, il fatto che le nevicasse addosso non poteva che aggravare ulteriormente la situazione.
    «Presto Kaasan, l'ombrello!»
    Quale fortunata coincidenza o benevolo atto della provvidenza! Tra tutte le cose possibili ed immaginabili, l'unica che era stata portata via dalla vecchia casa ormai decine di ri alle spalle, era proprio quella che in una circostanza del genere risultava più utile. Un comune wagasa, un ombrello tradizionale di colore rosso, anche abbastanza logoro a dire il vero, ma un prezioso ricordo e cimelio di Mansuke Yamagata, compianto marito e padre della sventurata famiglia.
    Nago e la donna si scambiarono uno sguardo pregno di significato e intuirono di aver avuto lo stesso pensiero. Sembrava che neanche la morte potesse impedire al caro defunto di continuare a vegliare e a proteggere i suoi cari. Tale pensiero li fece sorridere seppur in maniera malinconica.
    «Lo so» disse prontamente la donna mentre procedeva ad aprire l'ombrello. «Ma non credo di riuscire a reggermi bene sulle gambe senza il suo sostegno. Temo di essere al limite» ammise dolente.
    Nago era altrettanto stremato, soprattutto perché aveva trasportato per tutto il tragitto sua sorella sulle spalle, inoltre aveva entrambe le mani occupate dietro la sua schiena per aiutarsi a reggere il peso. Non poteva offrirsi di tenere l'ombrello, di quello doveva per forza occuparsi sua madre.
    «Reggiti a me» la esortò muovendo leggermente il braccio a lei più vicino, come ad indicarle dove poteva aggrapparsi.
    La donna eseguì senza dire una parola, mettendosi sotto braccio del figlio, mentre con quello libero sollevava il wagasa sopra le teste dei due ragazzi. Il riparo che questo forniva era però tutt'altro che totale. Come detto, l'accessorio aveva visto tempi migliori e la copertura di carta bagnata in olio di lino presentava persino un paio di buchi, sebbene non enormi.
    «Non fa niente se io e te ci bagniamo Kaasan, cerca solo di coprire Kayo meglio che puoi.»
    «Ci sto provando» assicurò lei, rendendosi conto che ormai il solo fatto di tenere un braccio sollevato richiedeva uno sforzo incredibile e, suo malgrado, continuava ad avanzare gravando sul figlio più di quanto avrebbe voluto.
    «Forza, ormai ci siamo» la incoraggiò lui. Ed era vero.
    Passo dopo passo, incerto che fosse, il gate si faceva sempre più prossimo. E come loro lo vedevano, esso già aveva visto loro. A Nago non sfuggì un certo movimento sulla sommità delle mura, dove alcuni individui vestiti più o meno in maniera simile tra loro si affrettavano a destra e a manca lungo la fortificazione per poi arrestarsi in una sorta di schieramento, come in attesa di qualcosa.
    Il giovane aggrottò la fronte e strinse le labbra, c'era qualcosa che non gli quadrava.
    «Kaasan, secondo te ci vogliono le braccia di tutte quelle persone per aprire il portone?» chiese dubbioso, genuinamente ignaro che la principale funzione di quei tipi, armati fino a i denti, fosse tutt'altra.
    «Non saprei...» rispose sua madre, incerta.
    «Non mi aspettavo chissà quale accoglienza, ma questi sembrano quasi avercela con noi! Non ci manderanno via, vero?» fece lui ancora, preoccupato.
    «Insomma, chi sarebbe così meschino?»
    «No, lo escludo» lo rassicurò sua madre.
    «Nei villaggi ninja funziona così, ci sono dei guardiani che sorvegliano i confini e si assicurano che non entrino dei malintenzionati. Quando sapranno il motivo per cui siamo qui sono sicura che ci lasceranno passare.»
    Essì, che diamine! Non poteva essere altrimenti.
    «Tu lascia parlare me» aggiunse in fretta, temendo gli inenarrabili disastri dei quali era capace suo figlio quando veniva lasciato libero di agire. Lui non rispose.
    A quel punto erano ormai giunti davanti all'immenso ingresso della Foglia. Un solo individuo era sceso a terra separandosi dalle altre sentinelle e adesso si parava di fronte a loro.
    Nago lo osservò con curiosità: era la prima volta che incontrava un ninja, almeno che lui ricordasse. Doveva averne sentito parlare almeno un paio di volte ovviamente, anche se non aveva mai prestato particolare attenzione a quel genere di storie. Non ne aveva mai visto uno in carne ed ossa però.
    La prima cosa che lo colpì è che quel tizio pareva essere più o meno suo coetaneo, mentre si sarebbe aspettato qualcuno di più anziano. Aveva tuttavia un'aria distinta e ordinata, era appena più basso di lui e aveva occhi e capelli neri come la notte. La sua figura era avvolta in un manto nero che gli cascava dalle spalle. A dirla tutta aveva quasi un che di lugubre.
    «Io sono Uchiha Atasuke, shinobi di Konoha... Chi siete e cosa cercate?»
    Persino il suo modo di parlare era freddo e impassibile come i suoi lineamenti. Non appariva per nulla turbato dalle condizioni drammatiche in cui versavano i tre che aveva di fronte, e se in realtà lo era lo nascondeva davvero alla perfezione. Nago però non si perse d'animo e fece un passo in avanti, portando con sé anche sua madre, che ovviamente era ancora attaccata a lui per sostenersi.
    Continuò a guardare lo sconosciuto. La fatica e le ultime notti tutt'altro che ristoratrici avevano reso i suoi occhi arrossati, cosa che se possibile faceva spiccare ancora più del solito le sue iridi di un grigio molto chiaro, sebbene al tempo stesso lo sguardo non fosse limpido e vivace come suo solito. La treccia che raccoglieva la chioma rosso vibrante era ormai più sfatta che altro, e ciocche e ciuffi di capelli andavano liberi e disordinati dove gli pareva. Il viso era emaciato, far la fame aveva lasciato il suo segno come anche sul resto del corpo, e questo valeva per tutti e tre gli stranieri.
    Quanto ancora avrebbero retto le stanche membra martoriate da privazione e sforzo?
    «Ciao Atasuke» salutò amichevole il ragazzo d'un tratto, la voce leggermente biascicata ma ormai non è che ci si potesse aspettare miracoli dalla resistenza di questo giovane uomo.
    «Dobbiamo portare con urgenza mia sorella in ospedale, i convenevoli a dopo.»
    In un colpo solo aveva dato dimostrazione, ancora una volta, di non sapere neanche dove fossero di casa le buone maniere e neanche vagamente gli era sovvenuto di dover utilizzare un linguaggio più formale e rispettoso per rivolgersi a quello che, coetaneo o no, doveva presumibilmente essere un tale che ricopriva un certo rango per stare dove stava.
    No macché, figuriamoci. Purtroppo tutti avrebbero imparato fin troppo presto che quello era praticamente il solo modo in cui Nago si rivolgeva alle persone di norma, chiunque esse fossero.
    Ma la cosa ancora più grave era che il ragazzo aveva platealmente contravvenuto al volere di sua madre, che gli aveva espressamente detto di lasciare a lei la parola.
    La ritorsione non si fece attendere.
    «AHIA!»
    Il ragazzo immediatamente sentì un breve quanto acuto dolore alla parte interna del braccio, quello stesso braccio a cui era avvinghiata la madre.
    Un semplice pizzicotto. Ma non di quelli affettuosi o bonari, no. Uno di quelli cattivi. Uno di quegli infamissimi pizzicotti che prendono solo un millimetro di pelle e poi stringono. Con le unghie.
    Be', in fondo se l'era cercata no?
    «La prego di perdonare la sua irruenza, Uchiha-san» si rivolse la donna al guardiano, cercando come meglio poteva di fare un leggero inchino.
    Anche la voce della donna era ormai ridotta ad un affannoso sussurro.
    «Si può sapere perché l'hai fatto?» protestò il figlio, guardandola sconvolto.
    «Sbaglio o si era stabilito che mi sarei occupata io di spiegare la nostra situazione?» ribatté lei a denti stretti, fulminandolo con lo sguardo.
    «Spiegare? Ma non abbiamo tempo per queste cose adesso!» si spazientì lui, incredulo del fatto che ci fosse bisogno di dar voce ad argomentazioni assolutamente scontate dal suo punto di vista.
    «Kayo sta male e continua a peggiorare! Non c'è un minuto da perdere!»
    «Credi che non lo sappia?!» replicò lei esasperata dalle lamentele di suo figlio e da tutta quella situazione, con un guizzo di energia, pur sotto forma di rabbia, che non sospettava di conservare ancora.
    «Ma se non li convinciamo» fece un cenno col capo verso Atasuke, «che non abbiamo cattive intenzioni, non ci lasceranno passare, vuoi capirlo o no?»
    Ormai la guardia ammantata di nero era stata praticamente tagliata fuori da una conversazione che proseguiva come se lui non ci fosse, e non poteva fare altro che assistere alla discussione che si stava consumando davanti a lui.
    «E a chi potremmo mai nuocere? Siamo sfiniti, affamati, ed è un miracolo se ci reggiamo ancora in piedi! Non riusciremmo a far male a una mosca neanche se lo volessimo, figuriamoci riuscire a creare problemi in un luogo pieno zeppo di abili guerrieri!»
    Nago aveva sempre di più il fiatone, si stava innervosendo parecchio.
    Non riusciva a credere che quello spaventapasseri nero se ne stesse lì impalato anziché invitarli subito ad entrare e offrire soccorso. E non riusciva a credere che sua madre non lo stesse appoggiando in quello che diceva.
    «L'unica cosa certa e palese qui è che una ragazza sta lottando per la sua vita mentre noi stiamo qui a perdere tempo! Ma che razza di—»
    «Nii...Chan...»
    Prima che Nago potesse completare la frase, la voce pur flebile e fragile come il cristallo di Kayoko riuscì a sedare in un attimo gli animi. Non che fosse propriamente sveglia, probabilmente stava solo parlando nel suo stato di dormiveglia causato dalla febbre alta e non aveva realmente coscienza di cosa stesse accadendole intorno, cionondimeno tanto bastò a ripristinare una parvenza di calma generale.
    «Scusami se ho alzato la voce, Kayo. È tutto a posto» le sussurrò il fratello maggiore all'orecchio con dolcezza, piuttosto desolato.
    Poi abbassò il capo, espirando profondamente.
    Si rese conto finalmente che gli abitanti del villaggio non avrebbero concesso loro asilo se non si fosse fatto come richiedevano. Era fin troppo evidente a giudicare dall'irremovibile esponente dei guardiani che aveva interagito con loro. Si rese anche conto che, di conseguenza, continuare a sostenere le proprie ragioni non avrebbe portato ad altro che a una ulteriore perdita di tempo, che era proprio ciò che voleva evitare sin dal principio.
    «Va bene, Kaasan. Pensaci tu.
    Ma per carità, cerchiamo di sbrigarci
    »
    implorò.
    La donna non se lo fece ripetere due volte e finalmente poté riportare l'attenzione su colui che li aveva accolti.
    «Ci perdoni ancora, Uchiha-san.
    Il mio nome è Nahoko Shimada e questi sono i miei figli, Nago e Kayoko Yamagata. Siamo in viaggio da giorni, abbiamo fatto molta strada per essere qui.
    Veniamo da un piccolissimo villaggio di campagna di nome Ashigari nella regione meridionale del Paese dei Fiumi. Siamo un'umile famiglia di contadini. Il nostro villaggio è stato colpito dalla carestia, i raccolti sono andati distrutti e con l'arrivo dell'inverno le poche scorte di cibo che eravamo riusciti a mettere da parte si sono esaurite rapidamente. Alcuni sono morti di inedia, così quasi tutti hanno abbandonato le loro case in cerca d'aiuto.
    »

    Nahoko fece una breve pausa per riprendere fiato. Ormai persino parlare stava diventando impegnativo.
    Deglutì, poi riprese.
    «Il motivo per cui noi ci siamo spinti così lontano è mia figlia. Lei...»
    Si voltò a guardarla. Sentì che la sua voce stava per rompersi, così si fermò.
    Se la schiarì, poi riprese.
    «Come può vedere sta molto male, le sue condizioni si sono aggravate. Ha assolutamente bisogno delle cure di dottori capaci, e la fama dei vostri medici ninja ha raggiunto persino un villaggio remoto come il nostro.
    Per cui noi, insomma...
    »

    «Abbiamo bisogno di voi.» intervenne Nago, deciso ad arrivare a una conclusione.
    «Per salvare la vita della mia sorellina.»
    Il suo tono era rispettoso ma assertivo. Quasi grave.
    I suoi occhi argentei, stanchi ma intensi più che mai, fissi in quelli del giovane guardiano.
    «Atasuke, ci puoi aiutare?»





    Legenda:
    «Parlato Nago»
    «Parlato Kayoko»
    «Parlato Nahoko»
    «Parlato altrui»


     
    .
  4. Asgharel
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    Narrato

    °Pensato°
    «Parlato»
    "Parlato" (altri)
    -Citazioni-


    [Abilità/Potenziamenti/tecniche]


    Cade la Neve 二

    ~Profugo dal Fare Pretenzioso~


    Davanti all'Uchiha c'era una scena a dir poco triste. L'apoteosi della sofferenza, una famiglia chiaramente al limite e distrutta fisicamente, tuttavia, per quanto gentile e buono il cuore dell'uchiha potesse essere, non poteva dimenticare per quale motivo egli fosse al gate e quale era il suo compito, giusto o sbagliato che fosse.

    “Ciao Atasuke Dobbiamo portare con urgenza mia sorella in ospedale, i convenevoli a dopo.”

    °I convenevoli a dopo?°


    Nonostante la situazione potesse definirsi critica, quei modi, per quanto amichevoli, per il guardiano erano del tutto fuori luogo e la sua espressione non fece che sottolineare l'inadeguatezza di quei modi. Inadeguatezza che la madre sembrò cogliere, pizzicando il figlio per richiamarlo all'ordine.

    “La prego di perdonare la sua irruenza, Uchiha-san”


    Atasuke non ebbe tempo di rispondere, se non con un breve cenno di assenso con il capo a favore delle parole della donna che ecco i due recuperare in qualche modo le forze, anche se si trattava più di fervore che di reali energie.
    Atasuke non si intromise, limitandosi ad osservare i due che “animosamente” discutevano sul da farsi: la madre, dimostrandosi più saggia ed assennata, comprendeva la situazione e giustamente cercava la migliore soluzione. Il figlio, troppo avventato, stava cercando di farsi ricacciare nel bosco a pedate.
    Quando poi i due sembrarono essersi decisi, alla fine fu la diplomazia della madre a parlare, anche se, in tutto quel frangente, Atasuke aveva delle riserve.

    “Veniamo da un piccolissimo villaggio di campagna di nome Ashigari nella regione meridionale del Paese dei Fiumi.”

    °Il paese dei fiumi... eppure sono venuti fino a Konoha? Perchè non si sono diretti al loro più vicino villaggio?°


    Per quanto Atasuke potesse in qualche modo comprendere, quelle domande necessitavano di una risposta, e per quanto avrebbe voluto aiutare la donna e la bambina, il suo compito gli richiedeva un giusto rigore nel controllo, anche verso chi appariva morente.

    “Come può vedere sta molto male, le sue condizioni si sono aggravate. Ha assolutamente bisogno delle cure di dottori capaci, e la fama dei vostri medici ninja ha raggiunto persino un villaggio remoto come il nostro.
    Per cui noi, insomma...”


    “Abbiamo bisogno di voi. [...] Atasuke, ci puoi aiutare?”


    A quella domanda diretta, che giungeva proprio da quell'improponibile giovane, Atasuke tacque per alcuni istanti, limitandosi ad osservare i due e quello che per poco non era un cadavere sulle spalle del ragazzo.

    «Protocollo di allerta medica. Due Codice due, un Codice TRE»


    Atasuke non si mosse, limitandosi a far vibrare nell'aria quell'ordine, a cui rispose un suo sottoposto che rapidamente scattò via, inoltrandosi nel villaggio, forse a cercare subito la squadra medica o forse per predisporre qualcosa, che i due ospiti non potevano sapere.

    «Portatemi la ragazza»


    Disse quindi ai due, spostandosi verso il gate, dove si sarebbe fermato, componendo rapidamente il seal necessario per creare un clone, al quale fece prendere in braccio la piccola bambina, iniziando a valutare grossolanamente il suo stato di salute, preparandosia a portarla via. [Abilità]

    Sia che nessuno avesse provato ad impedirglielo, sia che fosse stato necessario fermare il ragazzo o la madre, il clone sarebbe quindi scattato, passando rapidamente oltre al gate, prima di fiondarsi rapidamente lungo la via principale del villaggio, dirigendosi direttamente all'ospedale della foglia, dove si sarebbe occupato di consegnare nelle mani del corpo medico la ragazza, conesgnando tutte le informazioni del caso.

    Se Nago avesse tentato in qualsiasi modo di fermare l'Uchiha o il suo clone, Atasuke senza nemmeno provare a dargli il tempo di spiegare lo avrebbe afferrato per il polso, torcendolo senza premure, eccetto quella di non romperlo, per immobilizzarlo a terra, impedendogli altre azioni sconsiderate.

    «Non una parola. O sarò costretto a rispedirti a calci da dove sei venuto. Avete detto di essere qui per tua sorella, dunque lascia che venga portata al sicuro all'ospedale. Lei è in pericolo di vita, voi no. Prima dovrete rispondere alle mie domande. E ringrazia gli dei per averle generosamente permesso di passare il gate senza i dovuto accertamenti»


    Il tono dell'Uchiha era freddo e rigoroso. Non aveva mai accettato che gli si mancasse di rispetto, ma in quell'occasione in particolare, non avrebbe di certo accettato che un ragazzino sbriffone potesse in alcun modo anche solo provare ad interferire con il suo operato alle mura del villaggio.

    In ogni caso, sia che avesse dovuto bloccare il giovane, sia che i due avessero acconsentito al suo personale trasporto in emergenza, Atasuke li avrebbe comunque fermati, impedendo loro di procedere oltre le mura, almeno finchè i due non avessero dato risposta soddisfacente alle sue domande, risolvendo i suoi dubbi.

    «Si occuperanno di lei... voi invece... ditemi: Per quale motivo siete venuti fino a Konoha dal paese dei fiumi anziché andare al vostro villaggio? Se non erro dovrebbe esserci un villaggio ninj anche in quel paese, tra l'altro anche molto più vicino da raggiungere»


    Il suo sguardo affilato si posò sui due, prima di fermarsi definitivamente sul giovane fin troppo agitato.

    «E tu... Davvero sei così sciocco da credere che l'ingresso al villaggio ti sia in qualche modo “dovuto”? Sei forse un Daimyo del paese del fuoco? Uno shinobi di queste terre? NO. Al più potresti essere un possibile infiltrato, ed è questo il motivo per cui l'accesso non è garantito a chiunque si presenti al villaggio, anche se coperto di stracci ed apparentemente denutrito»


    E bene immaginando le eventuali repliche di quest'ultimo, prima che egli potesse in qualsivoglia modo provare a ribattere, Atasuke compose rapidamente l'unico seal necessario, trasformandosi in una perfetta copia del ragazzo, imitandone perfettamente la pronuncia ed il tono vocale. [Abilità]

    “Esattamente per questo... Non lo trovi strabiliante!?”


    Concluse ironico, osservando quindi le reazioni e le risposte dei due che ancora non si erano guadagnati il diritto di accesso.


    OT - Considera che tra due post arriveranno comunque dei gregari alleati qualificati come medici. La sorellina puoi già considerarla all'ospedale :zxc: - /OT
     
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  5. Alastor
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    Questione di Vita o di Morte • capitolo tre
    Separazione



    «Protocollo di allerta medica. Due Codice due, un Codice TRE»
    Quelle poche e improvvise parole proferite dal tenacemente impassibile Atasuke sembrarono, da sole, ridonare la luce della speranza ai volti di madre e figlio. I due non sapevano nulla di codici e protocolli e di cosa nella pratica quell'ordine comportasse, ma non c'erano troppi modi diversi di interpretare le parole "allerta medica", dico bene?
    Sembrava che finalmente il Jounin si fosse convinto a far giungere i soccorsi in favore delle tre anime tormentate. Nago sentì il braccio della donna, stretto intorno al destro di lui per meglio sostenersi, serrarsi appena in un gesto di muto e sommesso sollievo. In fondo avevano fatto la cosa giusta, avevano preso la decisione migliore. Kayoko poteva farcela, non era troppo tardi. Questo probabilmente passava per la testa di Nahoko la quale, guardando negli occhi il suo figlio riuscì a leggervi i medesimi sentimenti.
    Molto debolmente, entrambi riuscirono a sorridersi.
    «Ci siamo Kayo» bisbigliò poi lei all'orecchio della figlia, ancora priva di coscienza, con voce rassicurante seppur debole.
    «Ora i dottori ti rimetteranno in sesto, vedrai. Tieni duro» aggiunse dolcemente, dandole un bacio sulla guancia rossa e bollente per via della febbre.
    Suo malgrado, sentì i propri occhi appannarsi, inumidirsi.
    Non voleva piangere ma aveva entrambe le mani occupate, essendo appunto da una parte aggrappata al giovane e tenendo con l'altra l'ombrello che ancora faceva meglio che poteva il suo lavoro di schermare la ragazzina dalla neve; pertanto per asciugarsi il viso lo affondò e strofinò nella manica del kimono del figlio, il quale per tutta risposta le baciò la fronte.
    «Dai» la esortò in un sussurro.
    Quando la madre tirò via la testa non vi erano lacrime, ma un leggero sorriso e un fermo cenno di assenso verso il giovane. Poi si voltò verso il guardiano, che a quel punto era a meno di due metri di fronte a loro, e proprio non riuscì a trattenersi.
    «Grazie davvero» disse senza fiato, chinando il capo. «Grazie!»
    «Portatemi la ragazza» replicò lui senza fare una piega, per poi allontanarsi da loro facendosi più sotto al vasto portone.
    «Subito!» replicò lestamente Nago, per poi rivolgersi alla madre.
    «Kaasan, chiudi un attimo l'ombrello e usalo per appoggiartici. Devo avere le braccia libere.»
    La donna eseguì immediatamente, lasciando il figlio libero di agire.
    «Vorrei evitare che Kayo si bagni» proseguì lui pensieroso, ma in due secondi aveva già deciso come muoversi.
    La cosa più facile da fare sarebbe stata far sdraiare sua sorella a terra per poi prenderla e porgerla allo shinobi, ma così facendo ella sarebbe inevitabilmente venuta a contatto con l'umida neve, che ormai aveva formato un uniforme e candido tappeto su un terreno appianato da chissà quanti piedi, zoccoli e ruote. Proprio quello che il giovane voleva evitare, e così optò per una soluzione un po' più impegnativa.
    Per cominciare sciolse il nodo in vita che teneva al loro posto il tasuki e l'obi impiegati a mo' di imbracatura per trasportare in sicurezza Kayoko sulla schiena del fratello. Li sfilò via con una mano afferrando con l'altra i polsi di lei, che penzolavano davanti al suo torace, per evitare che cadesse all'indietro, poi con la destra afferrò il braccio sinistro della sorellina e con la sinistra quello destro. Distendendo il proprio braccio destro e continuando a reggerla saldamente con l'altra mano, Nago fece scivolare sulla sua sinistra la piccola inferma, fino a ritrovarsi faccia a faccia con lei.
    I bei lineamenti, delicati e minuti, sciupati dagli stenti e dal malessere. Le guance e la fronte in fiamme, le palpebre chiuse ma inquiete. Nago la osservò per un istante che gli sembrò eterno.
    Vederla in quello stato era una pugnalata al cuore. Ogni singola volta.
    «Anf...anf...anf...»
    Aveva il fiato corto il giovane, se la stava sudando per compiere uno sforzo così irrisorio, cose da non credersi. Ormai anche lui, che poteva vantare la tempra più forte in tutta la famiglia, cominciava a dare evidenti segni di cedimento. Probabilmente non ne aveva ancora per molto prima di collassare.
    Inspirò profondamente, espirò. Lasciò la presa agguantando al volo Kayoko, effettivamente ritrovandosi abbracciato con lei.
    In tutto questo i piedi di lei non toccarono mai terra, data la differenza di statura tra i due. Per finire, liberò il braccio sinistro passandolo dietro le ginocchia e sollevò, così da riuscire, finalmente, a prenderla in braccio.
    Giusto in tempo per vedere una nuvola di fumo bianco dissolversi accanto ad Atasuke per lasciare posto a...un secondo Atasuke.
    No aspetta, fermi tutti. Un secondo Atasuke?!
    «Che accidenti è quello?!» esclamò il ragazzo con un volume di voce, per quanto raschiata e roca, piuttosto alto. Gli occhi sgranati, la bocca aperta.
    Era davvero un bene che lo shock di ciò che aveva visto non gli avesse fatto afflosciare le braccia facendo cadere colei che con tanta fatica vi aveva accolto.
    Fece un paio di passi indietro, lo sguardo saettò su sua madre poi di nuovo sull'inspiegabile sdoppiamento.
    «Sta...sta calmo, Nago» cercò di tranquillizzarlo la donna, sebbene anche lei fosse rimasta a dir poco sorpresa da ciò che aveva davanti agli occhi.
    «È un ninja, ricordi? Loro sono in grado di fare delle cose sovrannaturali. Inspiegabili, a volte.»
    «Ma prima ce n'era uno! E ora sono due! Uguali! Dal nulla!» insisté lui, sconvolto.
    «Lo so, ho visto anch'io sai?» puntualizzò lei.
    «Forza, passagli Kayo.»
    «Ma sarà sicuro?» si preoccupò lui.
    «Certo, è sempre la stessa persona. Solo che adesso sono due» ribatté, raggiungendo il figlio e rimettendosi sotto al suo braccio, per poi riaprire l'ombrello a tutela della figlia.
    «Almeno credo» aggiunse a mezza bocca.
    Il figlio per tutta risposta la guardò con aria sconsolata.
    «Dai su, ti dico che è sicuro! Muoviamoci!»
    I due fecero tre passi, poi Nago si fermò. Tornò a rivolgerle uno sguardo eloquente, stavolta leggermente impaurito.
    «MUOVITI!»
    E fu così che i due coprirono la restante distanza che li separava dai gemelli in cappa nera, dove il giovane porse delicatamente il corpo inerme della sorella al nuovo arrivato, che attendeva a braccia distese in avanti.
    Quando questi l'ebbe presa, sembrò voler ricavare qualche informazione sulle sue condizioni di salute, ma a parte l'evidente deperimento e la febbre alta non vi erano altri sintomi in evidenza, o almeno non per quanto riuscisse a scoprire con le sue conoscenze.
    E fu allora, in quel preciso istante, che madre e figlio si resero conto che avevano tirato un sospiro di sollievo fin troppo frettolosamente.
    Che avevano preso un grosso, memorabile abbaglio.
    Senza dire una parola, senza alcuna spiegazione, in men che non si dica il clone sparì oltre le mura addentrandosi nel villaggio. Portando con sé Kayoko, e lasciando indietro i suoi parenti. Immobili e scossi sotto il freddo sguardo del restante guardiano.
    Che diamine era appena successo?
    «Ehi ma!...» cominciò la donna oltraggiata, completamente senza parole.
    Nago, dal canto suo, era completamente sbigottito. Gli ci volle un po' per registrare quello che era appena accaduto.
    Si sentiva ingannato, tradito. Aveva affidato a quel fenomeno da baraccone la sua adorata sorella e quello se l'era filata senza nemmeno dire "A".
    Ma stiamo scherzando?
    «EHI ASPETTA!» con tutto il fiato che aveva in corpo gridò dietro al doppione, che tuttavia era già sparito dalla sua vista a quel punto. Allo stesso tempo alzò il braccio sinistro, quello libero dalla stretta di Nahoko, come a voler istintivamente rafforzare le sue parole con il gesto che per eccellenza invitava a fermarsi.
    «DOBBIAMO VENIRE ANCHE N—»
    Non credo proprio.
    A quanto pare, il giovane aveva alzato la voce ma soprattutto un braccio di troppo.
    «AHH!»
    Prima di rendersi conto di cosa fosse successo, era già in ginocchio dopo quella che doveva essere stata una rotazione di 180° su se stesso, dato che adesso fronteggiava la direzione opposta a prima. Una mano serrata attorno al suo polso sinistro, il relativo braccio in torsione dietro la sua schiena.
    E altroché se faceva male.
    In tutto ciò la donna, precedentemente aggrappata all'altro braccio del figlio, era stata disarcionata dal brusco e veemente movimento e guardava la scena, ormai anche lei a terra, con un misto tra orrore e sgomento.
    «Che stai facendo?! LASCIALO STARE!»
    Ebbene sì, quando a un figlio vengono messe le mani addosso può anche succedere che una madre dimentichi di dare del lei e di essere gentile e educata. O no?
    «Tu...lasciami andare...» esalò lo Yamagata gutturale, digrignando i denti per il dolore o forse per minaccia, difficile dirlo.
    Ma l'altro non lasciò, né allentò la presa. Al che Nago fece la cosa che molti avrebbero fatto al suo posto in un momento di simile stress, qualcosa di davvero poco oculato ahiloro.
    Cercò di divincolarsi dalla morsa strattonando a sé il proprio braccio. Il fatto che ormai fosse completamente spompato fu in realtà una fortuna, poiché questo gli impedì di mettere molta forza nel gesto e di conseguenza di infortunarsi seriamente. Ma la forza che ci mise bastò a peggiorare la sua situazioneDistorsione al polso sinistro e a rendere quella stretta talmente dolorosa da essere quasi insostenibile.
    «AAAAAAAAAH!»
    Faceva talmente male che gli lacrimavano gli occhi e non riuscì a sentire praticamente nulla di quello che disse Atasuke subito dopo.
    «Adesso basta! LASCIALO HO DETTO!»
    A quel punto il Jounin dovette pensare che era abbastanza ed il messaggio era arrivato, perché effettivamente lasciò andare lo straniero. Questi subito si allontanò da lui strisciando nella neve e reggendosi il polso offeso con la destrorsa, ansimando sonoramente.
    Raggiunse il punto in cui si trovava sua madre, ora erano tutti e due a terra.
    «Stai bene? Fammi vedere!» intimò Nahoko con una nota d'apprensione.
    «Sto bene, non è niente di che» sminuì il figlio.
    «Non è niente di che, dice lui. Ma se urlavi come un agnello al macello!»
    «Non è vero!» protestò lui.
    «Altroché.»
    «Senti, piuttosto» glissò lui, «tu ti sei fatta male? Prima, quando sei caduta.»
    «Non preoccuparti per me. Sono caduta sul morbido» rispose girandosi a guardarsi il fondoschiena ancora adagiato sulla neve fresca.
    «Mah, dubito che sia ancora molto morbido. Ormai ti sei ridotta pelle e ossa anche tu» osservò l'altro, con una serietà che stonava con le sue parole.
    «Tu pensa al tuo didietro che io penso al mio, intesi? Per la miseria, ti sembra il luogo e il momento di fare discorsi così assurdi?» disse la donna allibita.
    «Hai ragione, Kaasan.
    Io non ci sto capendo niente, prima portano via Kayo, poi questo...ma cos'è che vogliono?
    »
    concluse esasperato.
    «Non lo so» ammise Nahoko preoccupata.
    «Ma dobbiamo al più presto trovare Kayo, ovunque l'abbiano portata. Dobbiamo far capire loro che siamo chi diciamo di essere, è la nostra unica possibilità.»
    «È una parola...»
    In effetti...

    Il guardiano era tutt'altro che soddisfatto delle spiegazioni fornitegli fino a quel momento dalla sconosciuta, quindi chiese ulteriori lumi sulla ragione che li aveva indotti a spingersi così lontano.
    «Pensavo di aver chiarito questo punto, ma evidentemente sono stata superficiale» prese subito la parola Nahoko, ancora seduta sulla neve accanto a suo figlio.
    Il suo tono, minato dalla stanchezza, era però colmo di una sicurezza e una compostezza inattaccabili.
    «Ha ragione, abbiamo il Villaggio della Valle nel nostro Paese, ma tenga presente che questo è situato nell'area nordoccidentale. Noi invece veniamo da una minuscola località nella regione sudorientale, non distante dalla costa a sud e dal confine col Paese del Fuoco a est.
    La sorprenderà ma la differenza di distanza tra la Valle e la Foglia rispetto a casa nostra non è così esagerata. Saranno appena 25 ri100 km circa in più per arrivare qui, in pratica un pomeriggio intero di cammino, se si procede di buon passo. Inoltre il vostro territorio è prevalentemente pianeggiante e le strade sono migliori, essendo un Paese più grande e sviluppato del nostro.
    »

    Si fermò un attimo per prendere fiato, poi tornò a guardare il suo interlocutore con sguardo molto serio.
    «Tutto ciò però è secondario.
    Scegliere di raggiungere Konoha ci è costato ben più di un pomeriggio di cammino aggiuntivo, date le nostre condizioni di salute e le poche energie che abbiamo racimolato con sforzo. Ma lo abbiamo fatto ugualmente, per mia figlia.
    Prima ha potuto vedere da vicino in che condizioni versa lei stesso, Uchiha-san. La situazione è grave.
    »

    Si passò una mano tremante sul viso.
    «Non voglio sminuire i ninja della mia nazione, ma in campo medico quelli di questo villaggio sono notoriamente i più abili. L'ospedale della Foglia rappresenta, con unanime consenso che io sappia, l'eccellenza assoluta nell'intero continente.
    E io desideravo affidare la vita di mia figlia nelle mani migliori possibili. Cosa vuole che ci importi faticare un po' di più in cambio della salvezza della mia bambina?
    Di certo anche lei non farebbe nulla di meno per un suo familiare.
    »


    A quel punto, le attenzioni di Atasuke furono rivolte al ragazzo.
    «E tu... Davvero sei così sciocco da credere che l'ingresso al villaggio ti sia in qualche modo “dovuto”? Sei forse un Daimyo del paese del fuoco? Uno shinobi di queste terre? NO. Al più potresti essere un possibile infiltrato, ed è questo il motivo per cui l'accesso non è garantito a chiunque si presenti al villaggio, anche se coperto di stracci ed apparentemente denutrito»
    Ma prima che l'altro potesse replicare alcunché, questi assistette al secondo evento prodigioso nell'arco di pochi minuti, se possibile ancor più sconcertante del precedente e che lo ammutolì del tutto.
    Il Jounin fece uno strano gesto con le mani e in un battito di ciglia e in uno sbuffo di vapore, al suo posto comparve un altro Nago. Uguale identico a quello che, in quel preciso momento, lo fissava attonito.
    «Esattamente per questo... Non lo trovi strabiliante!?»
    Persino la voce era uguale all'originale, sebbene il tono ironico svendeva immediatamente la natura fasulla del replicante.
    Il vero Nago si alzò lentamente in piedi, e sempre lentamente cominciò a muovere la mano destra, quella sana, di qua e di là. Come a voler verificare che non imitasse le sue movenze come avrebbe fatto un riflesso in uno specchio d'acqua, e infatti ciò non avvenne.
    Fu in quel momento che Nahoko, la quale evidentemente reagiva più sportivamente a quel genere di shock, prese nuovamente la parola rivolgendosi all'ex Atasuke.
    «Noi siamo contadini, non ninja, sono certa di averle detto anche questo. Non abbiamo alcuna conoscenza nelle vostre arti, non sapremmo neanche da dove cominciare per realizzare una diavoleria del genere» dichiarò osservando quella inquietante copia di suo figlio.
    «Mi rendo conto che non abbiamo altro che la nostra parola da esibire, ma mi pare che le sue congetture e insinuazioni nei nostri riguardi siano ugualmente impalpabili» sottolineò con calma. Dopo una breve pausa, ricominciò.
    «Ascolti Uchiha-san, io posso immaginare quanto sia impegnativo il suo lavoro. Avere la responsabilità della sicurezza di tante persone deve essere un compito a dir poco gravoso, ed è proprio per questo che stiamo facendo del nostro meglio per collaborare, considerando le nostre circostanze.»
    Già. Le loro stramaledette circostanze, avete presente?
    «Però» proseguì lei, con tono sempre più grave, «voglio che sappia una cosa.
    Se mio figlio è stato uno sciocco a pensare di poter essere accolto nel villaggio senza troppi problemi, allora lo sono stata anch'io. Perché da dove veniamo noi si assiste chi è in difficoltà, anche se non lo si conosce, e l'aiuto arriva a chi ne ha bisogno prima di qualsiasi altra cosa. Quindi sì, siamo stati effettivamente degli sciocchi a pensare che un ragazzo e due donne stremate, affamate, infreddolite e, in un caso, quasi in fin di vita, non avrebbero incontrato una tale resistenza.
    »

    Il suo tono purtroppo non era sarcastico, ma dannatamente serio.
    «Le sole cose che ha voluto offrirci finora sono state diffidenza e pregiudizi, oltre ad un trattamento di solito riservato a chi è sospettato di un crimine. Ha denigrato e messo le mani addosso a mio figlio senza ricevere alcuna provocazione. E come se non bastasse, cosa più grave di tutte, il suo doppio ha preso Kayo e l'ha portata via.
    Senza il minimo riguardo.
    »

    A questo punto la voce di Nahoko iniziava a vacillare. Era talmente stanca.
    Stanca. Fisicamente e psicologicamente, da giorni e giorni. Era arrivata, come si suol dire. E ormai faceva una fatica tremenda a trattenere la rabbia e la frustrazione accumulate e a onor del vero solo esacerbate da quanto stava accadendo presso le mura.
    Eppure ancora ci riusciva. La forza di questa donna ce l'aveva un limite?
    «Lei ha avuto il coraggio di separare una madre da una figlia ridotta in quelle condizioni» scandì, parola per parola.
    «Certo, lei afferma che è stato per il suo bene, che è stata condotta in ospedale dove si prenderanno cura di lei. Ma arrivati a questo punto mi perdoni se non prendo tutto ciò che dice come oro colato, Uchiha-san. D'altronde se dovessi essere malfidata come lo è lei dovrei già temere il peggio per la mia bambina.»
    Abbassò lo sguardo, ma subito lo riportò sul trasformista con rinnovata determinazione.
    «Ma non lo sono.
    Sono giunta fin qui in buona fede e riponendo quella stessa fede in coloro che avrebbero avuto i mezzi per salvare la mia Kayo. L'ho conservata finora e continuerò a farlo, a dispetto di tutto.
    Un'ultima cosa
    »
    aggiunse infine, con tono pacato.
    «Non si azzardi mai più a toccare il mio ragazzo.»
    Seguì un lungo attimo di silenzio, interrotto infine proprio da Nago, il quale, in piedi accanto a sua madre, le disse piano tendendole la mano destra.
    «Alzati Kaasan.»
    «...»
    «Alzati, ho detto» ripeté, deciso ma affettuoso.
    La donna afferrò il braccio del figlio e insieme tirarono, così fu in piedi. Nuovamente sostenuta da lui, al suo braccio ma le dita delle mani incrociate le une nelle altre.
    «Io penso che dentro di te tu voglia fidarti di noi, Atasuke» disse all'improvviso Nago, con voce sempre più affaticata ma sempre singolarmente limpida.
    Ormai lo stupore di avere davanti una copia esatta di sé era scemato. Cominciarono i due ad avanzare, lentamente e con cautela.
    «Altrimenti non avresti fatto entrare Kayo nel villaggio. Non un tipo intransigente come te.
    Però, come mi ha rammentato mia madre, tu hai un compito, che è quello di proteggere le persone che vivono oltre queste mura. E tutti coloro che hanno qualcosa da proteggere inevitabilmente hanno paura. Paura di una scelta sbagliata e delle sue conseguenze. Paura di fallire.
    »

    Il tono dello Yamagata era tutt'altro che saccente, anzi sembrava più che altro che stesse cercando di elaborare a parole, anche con un po' di mestizia, qualcosa che gli era ben noto.
    Abbassò lo sguardo.
    «Di sicuro io ne ho molta. Anzi, sono terrorizzato.
    Non sono un guerriero né un ninja, e tantomeno un daimyou.
    Tuttavia
    »
    e tornò a levarlo, «sono un fratello maggiore e un figlio, e il mio compito è proteggere la mia famiglia. E che i kami possano dannare la mia anima fino alla fine dei tempi se permetterò alla paura di ostacolarmi, o che la mia sorellina mi sia portata via.»
    I due si fermarono a un tre metri dal guardiano.
    «Posso sopportare molte cose» proseguì il giovane. Non vi era rabbia o risentimento nei suoi occhi grigi, ma una fiamma passionale bruciava dietro la spessa patina di prostrazione.
    «La fame, la fatica, il freddo. Il dolore.
    Posso anche tollerare di essere attaccato, fisicamente o verbalmente, e di essere accusato ingiustamente, ma ciò che non posso, anzi
    »
    si corresse, «possiamo tollerare è di essere separati dalla nostra Kayo. Non in un momento come questo, in cui sta lottando contro la morte.
    Noi non siamo capaci di salvarla, e per questo abbiamo cercato il vostro aiuto. Ma ciò non significa che...
    »

    Nago si strinse la mano sul petto, cercando di esprimere un concetto talmente complicato che probabilmente le parole non ne erano capaci.
    «Noi abbiamo bisogno di starle vicino, di vegliare su di lei» concluse quindi come meglio poteva, gli occhi pieni di speranza.
    «E lei, per quanto sia forte, ha bisogno di noi. Di sentire che siamo insieme a lei, che il nostro spirito è vicino al suo.
    Capisci cosa voglio dire?
    »
    chiese infine aggrottando la fronte, la voce che tremava.
    «Nago...»
    «Lasciaci andare da lei.»



    Off Game

    Per le distanze e i tempi, ricalcolati in base al contesto meglio che ho potuto, mi sono rifatto alla mappa interattiva dell'App. Spero di non aver fatto casini.


     
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  6. Asgharel
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    Narrato

    °Pensato°
    «Parlato»
    "Parlato" (altri)
    -Citazioni-


    [Abilità/Potenziamenti/tecniche]


    Cade la Neve 三

    ~La Fiamma~


    Seppure con non pochi tentennamenti, i due alla fine consegnarono la ragazzina nelle mani dell'Uchiha che senza perdere tempo la consegnò al suo clone che partì rapido verso l'ospedale, che avrebbe raggiunto in pochi istanti, contro gli svariati minuti che sarebbero probabilmente serviti al fratello ed alla madre, viste le condizioni e la differente velocità di corsa.
    Nonostante tutto, però, Nago sembrò voler interferire con le azioni dell'Uchiha, costringendo Atasuke ad immobilizzarlo con rapidità e fermezza. Fermezza che sembrò scatenare la furia del ragazzo, che arrivò a provocarsi una distorsione, pur di cercare di divincolarsi.
    Il duo iniziò ad urlare, intimandogli di lasciare il ragazzo, ma Atasuke non diede peso né risposte alle loro richieste, limitandosi a tenere fermo il ragazzo abbastanza a lungo da far passare il messaggio, ma soprattutto per permettere al suo clone di raggiungere l'ospedale.
    Quando decise di lasciare la presa, non fu per le ripetute richieste, ma perché la bambina doveva ormai essere giunta all'ospedale e probabilmente era già stata disposta su qualche barella ed era alle cure di qualche infermiera.

    […]


    Ritrovata la dovuta calma, fu la donna ad iniziare la sua esposizione dei fatti, rispondendo di fatto alle domande di Atasuke, che rimase in silenzio, ascoltando con attenzione le parole dei due ed analizzando ciò che riteneva vero e ciò che poteva ritenere in qualche modo “falso”.
    Ottenute le sue “risposte”, si concentrò dunque sul ragazzo, ancora visibilmente dolorante, dimostrandogli il perché delle sue affermazioni e della sua scarsa inclinazione a garantirgli un accesso diretto.

    “Voglio che sappia una cosa.
    Se mio figlio è stato uno sciocco a pensare di poter essere accolto nel villaggio senza troppi problemi, allora lo sono stata anch'io. Perché da dove veniamo noi si assiste chi è in difficoltà, anche se non lo si conosce, e l'aiuto arriva a chi ne ha bisogno prima di qualsiasi altra cosa. Quindi sì, siamo stati effettivamente degli sciocchi a pensare che un ragazzo e due donne stremate, affamate, infreddolite e, in un caso, quasi in fin di vita, non avrebbero incontrato una tale resistenza. ”


    Atasuke aveva ascoltato con attenzione ogni parola, anche se il suo sguardo e la sua concentrazione, fino a quel momento erano rivolte a Nago, ma la donna avrebbe chiaramente notato come le iridi nere dell'uchiha erano scattate dal ragazzo direttamente su di lei.
    Nonostante le accuse rivoltegli, però, nei suoi profondi occhi corvini non vi era astio, ne aggressività. Solo la precisa e seria presenza del senso del dovere che permeava l'uomo del clan del ventaglio.

    “Le sole cose che ha voluto offrirci finora sono state diffidenza e pregiudizi, oltre ad un trattamento di solito riservato a chi è sospettato di un crimine. Ha denigrato e messo le mani addosso a mio figlio senza ricevere alcuna provocazione. E come se non bastasse, cosa più grave di tutte, il suo doppio ha preso Kayo e l'ha portata via.
    Senza il minimo riguardo.”


    «Non parlate di cose che non sapete, ve ne prego... Inoltre voglio ricordarvi una cosa. Questo è l'ingresso di un villaggio di shinobi. Non di un centro di accoglienza, né di un campo profughi. Non è questo il luogo in cui cercare soccorso immediato senza che vengano poste domande o alcuna forma di “resistenza”. Come dicevo, il soccorso è un mio dovere. Garantire l'accesso non lo è mai stato. Altrimenti mi chiedo: Perché mai creare delle mura ed un controllo all'ingresso?»


    Il tono di Atasuke era calmo, quasi etereo rispetto a quanto stava accadendo attorno a lui, eppure, le sue parole, per quanto decorate con una leggera vena sarcastica, erano serie e dirette.
    Atasuke non volle dare peso al successivo delirio della donna, chiaramente stremata, considerandole frutto di un pensiero non pienamente conscio di ciò che stava accadendo a causa della fatica, della fame, del freddo e della serie di eventi decisamente oltre alla loro portata.
    A sorpresa questa volta fu il ragazzo a prendere in mano la situazione, ripresosi dallo shock delle mirabolanti abilità dell'Uchiha ed ancora più a sorpresa, sembrò essere maggiormente determinato e composto, molto più di quanto Atasuke non si aspettasse da lui in quel momento.

    “Altrimenti non avresti fatto entrare Kayo nel villaggio. Non un tipo intransigente come te.
    Però, come mi ha rammentato mia madre, tu hai un compito, che è quello di proteggere le persone che vivono oltre queste mura. E tutti coloro che hanno qualcosa da proteggere inevitabilmente hanno paura. Paura di una scelta sbagliata e delle sue conseguenze. Paura di fallire.”


    «Paura?»


    Domandò quasi ironico lui, lasciando cadere la trasformazione e riacquistando a quel punto il proprio aspetto, senza aspettarsi una risposta, che di fatto non arrivò, dato che questi aveva il suo discorso da completare.
    Mentre questi proseguiva, chiaramente spinto da una fiamma che sembrava ardere sempre di più, Atasuke si avvicinò a lui lentamente, un passo alla volta, fino ad arrivare di fronte al ragazzo, piantando i suoi occhi neri in quelli di lui con fare serio e deciso, quasi come a volerlo sfidare, anche se di fatto lo stava valutando.

    “Lasciaci andare da lei.”


    A quelle parole, Atasuke non rispose. Rimase fermo, impassibile, continuando a scrutare negli occhi del ragazzo per alcuni istanti.

    «Ripetilo se hai il coraggio. Ripeti ciò che hai detto.»


    Egli aveva ormai già deciso che cosa fare, tuttavia, decise di sfidare il ragazzo, di mettere alla prova il suo coraggio, non la sua paura. Di mettere alla prova la sua fiamma, che seppur fioca e debole aveva iniziato ad ardere nel suo animo ed Atasuke aveva scorto il suo flebile bagliore nel profondo dei suoi occhi ed ora voleva vedere fin dove poteva ardere.

    […]


    Quando Atasuke ebbe la sua risposta, quale che questa fosse, avrebbe comunque porto la sua mano al ragazzo in un gesto di amicizia, anche se ciò che sarebbe seguito era tutto fuorché propriamente amichevole.

    «Dammi il polso»


    Quando il ragazzo ebbe fatto, Atasuke afferrò il polso tra le dita, tastandolo e smuovendolo leggermente, ben conscio del fatto di provocare del dolore, probabilmente neppure poco, al ragazzo, per poi massaggiare leggermente la zona, cercando di alleviare almeno in parte il continuo dolore e verificare che non vi fossero delle rotture, ma solo una distorsione, confermata la quale, con una mano estrasse da sotto al mantello una parte del kit medico che portava con se, procedendo con la fasciatura dello stesso con una benda elastica adatta ad immobilizzare l'arto abbastanza da evitare movimenti bruschi o involontari fino al recupero totale del danno.

    «Tu hai parlato di paura... Ma non è di paura che dovremmo parlare. Io non ho paura di fallire, ne di voi o di chissà che altro. Il motivo della mia “poca accoglienza” è semplicemente senso del dovere. Non confondere questo con la paura. Chi teme non concede possibilità alcuna. Se avessi avuto paura, vi avrei ricacciati subito e di certo non avrei preso la ragazza in consegna e men che meno l'avrei portata personalmente all'ospedale e di certo non avrei richiesto supporto medico per voi due»


    Ebbe appena il tempo di finire la sua frase che una squadra di guardiani arrivò sul posto, bardati di tutto punto con quelli che sembravano essere vari kit medici. Certo non erano nulla in confronto alla squadra medica ed alle squadre che Shizuka aveva disposizione all'ospedale, ma servivano allo scopo con le loro conoscenze basilari di primo soccorso, almeno per evitare di sobbarcare l'ospedale di ogni singola cavolata che poteva accadere alle mura. Certo non si sarebbero sostituiti all'operato ospedaliero, ma quantomeno potevano predisporli per ridurre al minimo la richiesta di cure nell'edificio medicalizzato.

    “Uchiha-sama, siamo a disposizione”

    «I due sono feriti e denutriti, nulla di esageratamente grave, o almeno ad una prima analisi. Cercate di metterli in sesto, poi ci penseranno quelli della squadra medica»

    “Ricevuto”


    Ed i tre si misero all'opera nel curare quantomeno le ferite superficiali dei due, accumulate durante il viaggio e fornendo loro delle coperte con cui scaldarsi in quella rigida giornata invernale.

    «Forse non sono così malfidato come sembra»


    Lanciò la sua leggera frecciata alla donna, aggiungendo un sorrisetto gentile, mentre questa veniva rimessa in sesto da due dei suoi sottoposti.

    […]


    E quando i due furono in grado di riprendere il cammino dopo aver ingerito qualche tonico leggero, il clone di Atasuke fece ritorno alle mura facendo rapporto sulle condizioni della ragazza che era rimasta all'ospedale di konoha.

    «La ragazza è all'ospedale, attualmente le infermiere si stanno occupando di lei»

    «Shizuka non c'è?»

    «Si, ma era occupata con degli altri pazienti, mi sono premurato di fare in modo che le venisse assegnata quanto prima»

    «Ottimo... ora però dobbiamo portare anche loro... Venite, saliteci in spalla»


    Concluse l'originale, facendo cenno ai due di avvicinarsi per salirgli in spalla, dato che in quel momento lui era la via più rapida per raggiungere l'ospedale.

    «Reggetevi»


    Disse, stringendo bene la presa sotto le gambe di chi aveva in spalla, esattamente come stava facendo il clone, per poi scambiare con questo un gesto di intesa e scattare rapidi oltre il gate, per poi raggiungere con un balzo il tetto dell'edificio più vicino. [Movimento]
    Non si preoccupò minimamente dell'eventuale spavento dei due, che di certo non erano abituati a simili velocità di corsa, preoccupandosi solo di correre veloce come sapeva fare balzando da un tetto all'altro, percorrendo di fatto la strada più breve e veloce fino all'ospedale di Konoha, dove si sarebbero arrestati ed i due Uchiha avrebbero delicatamente poggiato a terra di due ospiti prima di condurli alla reception dell'ospedale...

    [...]


    ~All'ospedale, poco prima~


    Al suo arrivo, il clone di Atasuke venne accolto, come sempre molto garbatamente dal corpo infermiere dellospedale del villaggio.

    “A-Atasuke-sama!”

    «Buongiorno Naoko, ho bisogno di aiuto, questa ragazzina è messa male, c'è Shizuka?»

    “Kobayashi-sama? No, o meglio, si... ma adesso è occupata con il suo giro, non so quando sarà a disposizione”

    «Capisco... ad ogni modo questa ragazzina ha bisogno di cure immediate. È infreddolita e debole, temo non mangi da giorni»

    “Oh, povera!”


    Inutile dire che la ragazza dietro al bancone sembrò quasi rimanere shockata dalla situazione, arrivando addirittura a coprirsi la bocca con le mani nell'esclamazione preoccupata per poi occuparsi immediatamente di far portare una barella su cui Atasuke poggiò la ragazzina delicatamente, lasciandola alle cure delle altre infermiere accorse che erano a disposizione in quel momento.

    “Cos'è successo a questa piccola!?”

    «Malnutrizione principalmente... Al momento il fratello e la madre sono fermi al gate e me ne sto occupando direttamente. Probabilmente a breve sarò di ritorno con loro»

    “Cercheremo di fare in modo che si riprenda, non si preoccupi, Atasuke-sama”


    «Lo so e ve ne sono grato... tuttavia, vi chiedo un'ultima cosa, se possibile... fate in modo che se ne occupi Shizuka quanto prima»


    A quella richiesta le tre si fermarono un istante, guardandosi a vicenda con aria quasi spaventata e deglutendo in sincrono quasi come gli fosse stato detto di entrare nella gabbia con il leone affamato armati di un tagliacarte.
    “Certamente, vedremo di fare in modo che se ne occupi la primaria”
    Sembrava che le tre non avessero in quell'istante nemmeno il coraggio di nominare Shizuka ed Atasuke ne intuì il motivo, ricordando come Shizuka non amasse essere interrotta o peggio ancora ricevere richieste che provenissero direttamente da lui. Tuttavia credeva e sperava allo stesso modo che ella prendesse quantomeno a cuore la piccola che stava lottando per sopravvivere.

    «Perfetto, conto su di voi»


    E con il suo solito sorriso gentile, il clone salutò le tre, correndo nuovamente fuori dall'edificio, dirigendosi rapido nuovamente alle mura dove l'originale lo aspettava assieme ai parenti della bambina.
     
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  7. Alastor
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    Questione di Vita o di Morte • capitolo quattro
    Attraverso le Mura



    Le parole di Nago avevano forse indisposto od offeso il guardiano?
    Neanche lui lo capiva bene. In realtà capiva ben poco di quell'uomo che, con l'usuale pacatezza che lo contraddistingueva, gli si era fatto sotto durante il suo discorso per poi rivolgergli poche parole. Gli occhi d'ossidiana di lui non riflettevano altro che la figura del forestiero, ma nessuna emozione perforava la loro scura superficie palesandosi a chi la osservava. Così come il tono della sua voce, piano e privo di inflessioni che potessero rivelare il suo reale stato d'animo.
    Non che lo Yamagata fosse tipo da mettersi a fare un'analisi razionale di tutti questi aspetti, beninteso. Egli per natura era portato ad un approccio meno razionale, più basato sulle percezioni e sull'istinto. E l'unico concetto che gli era stato subito chiaro e fin troppo era che il suo interlocutore era un individuo completamente diverso da lui, e questo per molti versi rendeva complicato intuire dove i suoi comportamenti volevano andare a parare.
    «Ripetilo se hai il coraggio. Ripeti ciò che hai detto.»
    Quando questi gli era arrivato a pochi palmi dal naso con fare altero, il giovane derelitto era stato quasi tentato di indietreggiare.
    Il dolore fisico infertogli ancora fresco nella memoria e nella carne lo invitava ad essere prudente, non voleva certo dargli altri pretesti per mettergli le mani addosso. Non poteva permettersi il lusso di farsi malmenare in un momento in cui doveva assolutamente ricongiungersi alla sorellina. A qualsiasi costo.
    Pertanto, anche se per un istante il suo sguardo vacillò, distogliendosi da quello dell'Uchiha, rapido e fulmineo tornò a posarsi negli occhi di chi lo fronteggiava. Il giovane li scrutò attentamente, ma non tanto col piglio inquisitorio di chi cerca di svelare un segreto sepolto il profondità quanto piuttosto con quella curiosità quasi giocosa di chi osserva una cosa mai vista e vorrebbe saperne di più. Poi alzò un poco il mento e socchiuse gli occhi, mettendosi ad...annusare?
    La donna al suo fianco, a quel punto troppo stanca e provata per tornare ad interferire nello scambio tra i due, per tutta reazione poggiò una mano a coprirsi fronte e occhi. Evidentemente non era la prima volta che vedeva suo figlio fare qualcosa del genere.
    Oh sì, diede un bel paio di sniffate, non si capiva se stesse fiutando l'aria o Atasuke, ma subito dopo parve soddisfatto e smise.
    Ma che diamine gli era preso tutto d'un tratto?
    «Lasciaci raggiungere Kayo» disse quindi, tornando a spalancare gli occhi e a guardare di fronte a sé, ovvero il guardiano.
    La voce, sebbene affaticata, era ferma e le iridi cenerine non convogliavano l'aggressività di chi pretende qualcosa bensì la ferma volontà di chi non può accettare un no come risposta.
    La risolutezza di chi avrebbe preferito farsi squartare vivo piuttosto che tradire il suo proposito.
    «Non c'è altro posto dove dovremmo essere in questo momento se non accanto a lei.»
    Un attimo di silenzio.
    Un piccolo fiocco di neve gli cadde sotto l'occhio sinistro, sciogliendosi al contatto neanche avesse toccato un corpo rovente e rigandogli la guancia smunta.
    «È la mia sorellina» concluse secco, lasciando che quella breve frase pur superficialmente così semplice affondasse con tutto il suo peso nell'animo del Chuunin.
    Quest'ultimo stavolta parve non dover riflettere troppo su cosa dire o fare, in quanto subito porse la mano allo straniero.
    Questi la guardò come imbambolato per un po', apparentemente colto di sorpresa dal gesto. Si sporse persino col capo per osservarla più da vicino, come se vi fossero scritti sopra dei caratteri molto piccoli che non riusciva a leggere. Chiedeva forse una stretta di mano?
    «Dammi il polso» chiarì la sentinella.
    Ah ecco. Voleva evidentemente il polso infortunato, quello che nel frattempo era stato interessato anche da un lieve gonfiore.
    Il giovane percepì gli occhi della madre scrutarlo, un muto avvertimento che lo invitava a stare attento a ciò che faceva. Non si poteva certo biasimare la preoccupazione di lei considerando ciò che si era verificato una manciata di minuti prima, ma d'altro canto, come certamente si è già spiegato, Nago era una creatura istintiva.
    Forse aveva a che fare con la più grossa carogna al mondo o forse con il più pio e illuminato degli uomini, lui come faceva a saperlo? Non c'era modo, inutile girarci intorno. Ma il suo istinto in quel preciso momento, e specificamente in quel frangente, gli diceva: fìdati!
    E lui si fidò, stendendo il braccio sinistro davanti all'Uchiha.
    Questi manipolò appena il relativo polso tra le dita provocando qualche gemito di dolore nel paziente, ma niente di lontanamente paragonabile a quello che aveva provato nella circostanza in cui si era fatto male.
    La donna, tranquillizzata da quello che era un evidente tentativo di appurare l'entità del danno, osservò la scena in silenzio.
    Quando Atasuke ebbe accertato ciò che doveva, tirò fuori della garza e l'avvolse saldamente intorno alla zona interessata.
    Il solo fatto di aver immobilizzato e compresso strettamente l'articolazione offesa già diede allo Yamagata un notevole sollievo. Sorrise guardando prima la sua nuova fasciatura e poi il suo assalitore-benefattore.
    La madre fu più concreta.
    «La ringrazio» disse sollevata, chinando il capo.
    Al che l'Uchiha ci tenne a precisare, riprendendo le parole che gli erano state rivolte dal giovane visitatore, che il modo in cui aveva agito non era dettato dalla paura, bensì semplicemente da un ferreo senso del dovere.
    Nago aprì la bocca, intenzionato a esprimere la propria opinione in proposito, ma finì inevitabilmente per distrarsi e lasciar cadere il discorso all'arrivo di un gruppetto composto da tre individui, equipaggiati con sacche, astucci e contenitori vari che contenevano, sarebbe stato svelato di lì a poco, un assortimento di materiali e attrezzature di primo soccorso.
    Dopo aver scambiato poche parole con il Chuunin e aver ottenuto le informazioni basilari che occorrevano loro, gli sconosciuti si avviarono verso i due logori viandanti, prendendone uno in consegna a testa, mentre il terzo elemento esitò un attimo, cercando di capire quale tra quei pazienti potesse aver maggior bisogno di una ulteriore assistenza semplicemente scrutandoli.
    A Nago questo non sfuggì e quando i loro sguardi si incrociarono fece un cenno netto con il capo, indicandogli la madre che tra i due era effettivamente quella messa peggio.
    Il soccorritore parve accogliere quel suggerimento, o forse si rese conto coi suoi stessi occhi della situazione, andando ad aiutare il collega che stava visitando la donna. Lo sguardo dello Yamagata si attardò per un poco sulle loro figure, come a voler sincerarsi che tutto procedesse per il meglio.
    «Forse non sono così malfidato come sembra» stuzzicò il guardiano, accompagnando però l'osservazione con un sorriso benevolo.
    «Così sembrerebbe» replicò lei, alzando appena un sopracciglio ma sorridendo a sua volta sinceramente, senza aggiungere altro.
    Il giovanotto stava decisamente riacquistando punti, bisogna essere onesti.
    Intanto il figlio era alle prese con il ninja che doveva badare a lui, salutandolo con un gesto della mano destra.
    «Che hai fatto qui?» domandò il tizio, indicando il braccio fasciato.
    «Mi sono fatto male al polso poco fa, ma già ci ha pensato Atasuke a medicarmi» rispose, come a non voler dare peso a quanto accaduto.
    Il soccorritore si sincerò lui stesso della gravità dell'infortunio tastando la zona e quando si accertò che il bendaggio era consono e ben eseguito, passò oltre.
    C'erano alcuni piccoli taglietti ormai già cicatrizzati e qualche escoriazione, che furono prontamente disinfettate e, laddove appropriato, coperte con garza. Ma si trattava davvero di sciocchezze di infima importanza, cose che sarebbero guarite tranquillamente anche per conto loro.
    La verità è che non c'era molto da fare in quel momento essendo la denutrizione e l'affaticamento la fonte di ogni disagio dei due familiari, e di quelle cose non ci si poteva certo liberare con un farmaco o una pomata. Sarebbe stato necessario del tempo per riprendersi.
    Oddio in realtà un farmaco sembrava esserci, non dico per far riprendere i due ma quantomeno per donare un pizzico di sollievo alle loro stanche e provate membra.
    «Che cos'è? Una medicina?» si informò Nago reggendo una pallina scura più piccola di una biglia tra i polpastrelli di pollice e indice, annusandola.
    «Diciamo di sì, però migliore. È un tonico, li produciamo noi ninja. Forza ingeriscilo, ti sentirai meglio.»
    Il giovane obbedì, e l'effetto fu quasi istantaneo.
    «È vero!» esclamò dunque, stupito.
    «Mi sento il corpo un po' più leggero e anche meno stanco!» aggiunse alzando le ginocchia e ruotando il busto come a voler testare l'efficienza della sua nuova condizione.
    Sì ma piano con l'entusiasmo.
    «Ouch!»
    Ecco appunto.
    Subito sentì la muscolatura sfibrata tendersi dolorosamente e si fermò.
    «Ehi, devi andarci piano!
    Per le tue condizioni dovresti subito infilarti in un futon e riposare. Il tuo fisico è al limite del collasso e debilitato a livello sistemico. Potrai sicuramente godere di un completo recupero se ti prenderai cura di te, ma ci vorrà un po'.
    Il tonico che ti ho dato è solo un leggerissimo palliativo, se continui a fare sforzi ti ritroverai nuovamente al punto di prima se non peggio.
    »

    «Ho capito, vedrò di farmelo bastare» dichiarò l'altro annuendo.
    «Sì ma...l'hai capito che devi metterti subito a riposo?» ribadì il ninja, tutt'altro che ottimista al riguardo.
    «Magari più tardi» rispose sincero lo Yamagata.
    «Ora ho qualcosa di più importante a cui badare.»
    E poggiando una mano sulla spalla di colui che l'aveva assistito gli passò oltre tagliando lì il dialogo.
    Anche sua madre aveva finito e sicuramente le era stato dato lo stesso tonico, corredato dalle immancabili raccomandazioni, perché adesso riusciva a reggersi in piedi e a camminare da sola, anche se con non molto brio ovviamente.
    In quel preciso istante arrivò Atasuke. Cioè, l'altro Atasuke, quello che aveva portato via Kayoko.
    Questi si avvicinò al suo sosia e i due cominciarono a parlare tra loro in una scena abbastanza surreale per degli occhi non avvezzi a quel genere di prodigi.
    Ma a Nago non fregava un tubo di simili dettagli, e subito rizzò il collo e le orecchie. In un momento del genere l'unica cosa che assorbiva totalmente la sua attenzione era cercare di capire dove fosse la sorella e come stesse, quindi ascoltò in silenzio e diligentemente.
    A quanto sembrava era arrivata sana e salva in ospedale e per il momento delle infermiere si stavano occupando di lei. Fu anche nominata una certa Shizuka, che magari era un dottore dell'ospedale noto all'Uchiha, ma non potendo sapere chi fosse il ragazzo non badò troppo a quel nome.
    A quel punto Atasuke, uno dei due insomma, invitò il giovane e sua madre a montare loro in spalla e avviarsi dunque al nosocomio.
    Se volevano scarrozzarli di peso fino a destinazione, come evidentemente era stato fatto con la ragazzina, Nago ci stava eccome! Considerando la velocità pazzesca di quell'uomo, sarebbe stato sicuramente il mezzo più rapido per raggiungere l'amata congiunta. Madre e figlio si scambiarono un'occhiata complice e annuirono per poi rispondere all'unisono.
    «Eccoci!» «Eccoci!»
    La donna si diresse verso l'originale e il figlio verso il doppio, i quali davano loro la schiena pronti a ricevere il carico.
    Salirono dunque in spalla, cingendo le braccia sull'addome e tirando su le gambe affinché gli Atasuke potessero afferrarle e reggere il peso come si deve. Quando i quattro, trasportatori e trasportati, furono pronti e in posizione, finalmente partirono varcando le mura e addentrandosi nel famigerato Villaggio della Foglia.
    Balzando di tetto in tetto a una velocità vertiginosa, ai due parenti sembrò quasi di volare. E le rispettive reazioni a quelle montagne russe alla buona non avrebbero potuto essere più asimmetriche.
    La donna, con le lacrime agli occhi, di quando in quando lanciava uno strillo lancinante, come se un atterraggio sì e uno no vedesse davanti agli occhi la sua figura sfracellata al suolo.
    A quanto pare di voce in gola ne aveva ancora, dopotutto.
    Il figlio invece, anche lui con le lacrime agli occhi per via del vento che gli schiaffeggiava forte il viso, era tutto esaltato da quel volteggiare e scorrazzare a svariati metri da terra e aveva la bocca spalancata in un gran sorriso.
    Lui stesso amava arrampicarsi, correre, saltare, e lo faceva da sempre, lassù nella foresta del monte Ashigari, ai cui piedi sorgeva l'omonimo villaggio d'origine. Ma era ovvio che se lo sognava di compiere dei balzi del genere, ed era così tremendamente eccitante!
    Si sarebbe messo a ridere di gran gusto ingoiando ettolitri d'aria, se solo le circostanze fossero state diverse e non fosse stato così in pensiero per la sorella.
    In un tempo che sembrò fin troppo breve, il gruppo si fermò davanti all'ingresso di un edificio piuttosto grande. A quanto pare erano arrivati.
    Il Chuunin e rispettivo clone fecero smontare i parenti.
    Nago ancora piuttosto elettrizzato cambiò bruscamente espressione quando vide sua madre barcollare in cerca di appoggio e portarsi una mano alla bocca, come in procinto di rimettere.
    Subito la raggiunse sostenendola.
    «Tutto bene, Kaasan?»
    «Non esattamente» farfugliò lei, bianca come un cencio.
    Restò qualche momento ferma, come in attesa.
    «Ma a quanto pare avere lo stomaco vuoto può avere anche dei vantaggi, chi l'avrebbe detto?» commentò beffarda ma grata di aver almeno risparmiato a se stessa e ai presenti l'imbarazzo di vomitare l'anima.
    Quando videro che riprendeva colore, i quattro si avviarono all'interno del fabbricato dove in bella vista, e su indicazione del guardiano, c'era la zona riservata al ricevimento dei visitatori.
    «Uchiha-san» si rivolse improvvisamente Nahoko all'Atasuke originale, quello che l'aveva portata in spalla.
    «Le cose che ho detto prima...»
    Sembrò combattuta o in lieve imbarazzo, mentre cercava le parole che reputava più giuste.
    «Ecco, forse sono stata troppo dura nei suoi confronti. Voglio solo che sappia che le siamo grati per quello che sta facendo per noi» concluse, facendo un inchino sentito.
    «Kaasan, ti pare il momento?» sbuffò il figlio passando loro di fianco e superandoli.
    «E poi un po' se l'era cercata, dai» aggiunse con un sorriso giocoso e sincero.
    Che possiamo dire, la spontaneità era sicuramente la sua più grande virtù.
    Più o meno.
    «Na...Nago!» lo ammonì lei con sguardo a dir poco letale, ma ormai egli aveva superato tutti arrivando fino al bancone della reception, sul quale appoggiò i palmi di entrambe le mani per poi sporgersi in avanti oltre lo stesso a scrutare la ragazza seduta lì dietro.
    Le iridi argentee che facevano a pugni con le sclere arrossate, gli occhi sgranati di chi aveva visto chissà cosa.
    Santi numi, questo tipo a volte fa proprio impressione.
    «Dove sta mia sorella?» domandò stravolto.
    Come aspettandosi che senza un minimo di contesto o informazioni quella dovesse capire al volo di chi stava parlando.
    «Accidenti a lui!» fece la donna, scusandosi con Atasuke e raggiungendo il luogo del misfatto più in fretta che poteva.
    «Siamo i parenti di una paziente: Kayoko Yamagata» spiegò lei.
    «L'ha portata qui lui poco fa» proseguì il giovane indicando con il pollice alle proprie spalle, in direzione dei due Uchiha.
    «Loro...cioè, uno di—»
    «L'ha portata Uchiha-san» tagliò corto Nahoko.
    «Appunto!» confermò Nago annuendo con decisione e staccando una mano dal banco per stenderla piatta a palmo sotto, parallela al pavimento e a una certa altezza da esso.
    «È alta così, capelli rossi, fisicamente prostrata.
    Dov'è?
    »
    incalzò ancora, impaziente.

     
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    EMERGENCY

    A man's mind will very gradually refuse to make itself up until it is driven and compelled by emergency.



    Faceva tutto schifo.
    Tutto.

    «Sensei…per l’amor degli Dei…»

    Era tutto sbagliato.

    «…non di nuovo. Quando siete depressa, lo sapete, l’Ospedale non funziona.»

    Come si era ridotta così?
    Aveva solo 21 anni e già non funzionava niente nella sua vita.

    «Vi prego, Sensei…Shizuka sensei…un po’ di contegno.»

    Non tornava a casa da tre giorni. Come al solito.
    Si lavava nei bagni dell’Ospedale, mangiava cibo precotto in ciotole di porcellana sbeccate, lavorava in media dalle 10 alle 12 ore al giorno e spesso (cioè sempre) persino di notte. Non vedeva casa sua da una settimana. Nel tempo libero poi, quando cioè gli impegni alla “luce del sole” non le succhiavano via l’anima, lavorava come iper-mega-uber-strafico braccio destro dell’Hokage per quelle faccende che la luce del sole, invece, non dovevano vederla mai.

    «Shizuka sensei!»

    Una magra consolazione, per la verità: nessuno sapeva niente delle sue abilità, perché nessuno doveva sapere niente. In sostanza conduceva la vita anonima di un’Anbu (ma non aveva la maschera fica), con il drammatico risvolto di dover per giunta essere Primario, senza contare i suoi impegni come Principessa (come poteva una Sovrana avere i nodi nei capelli e le mani insudiciate?!)…e a causa di tutto questo non aveva più manco il tempo per dedicarsi alla sua vita privata.

    «Va bene. Non credete di star esagerando, ora?»

    jpg


    Insomma: 21 anni, zitella, a dieta, e come se non bastasse divorata dal lavoro.
    Prospettive per il futuro: zero.
    Conclusione: la sua vita faceva schifo.

    «Voglio morire, Junko.» Gemette la Primario, tirando su con il naso.
    «Lo avete detto almeno otto volte negli ultimi dieci minuti.» Sospirò la Hyuuga dai voluttuosi capelli corvini, portandosi una mano alla fronte per poi sospirare. «Sensei, vi prego…perché non ci alziamo da terra, tanto per cominciare?»
    «Portami un cappio.»
    Ordinò per tutta risposta l'altra. «E che la corda sia nuova, che sennò mi si irrita la pelle.»
    «E chissenefrega se ti si irrita la pelle, Shizuka? Se t’ammazzi mica di quello devi preoccuparti.»
    Tuonò improvvisamente una voce maschile prima che sull’uscio dell’Ufficio della donna comparisse un uomo sui trenta, dai capelli biondi e gli occhi azzurri. Ghignò, sardonico. «Deficiente.»
    «Atsushi…»
    Gemette la Kobayashi dopo un istante di silenzio. Con un gesto pregno di sacrificio fece scivolare una mano sul pavimento in direzione del nuovo giunto. «A-Atsushi…»
    «…S-Shizuka….»
    Mormorò immediatamente l’altro con voce rotta, corrugando la faccia in un’espressione addolorata mentre le sue mani si stringevano a pugno e lui, chiudendo gli occhi, reclinava disperatamente la testa verso il basso.
    Junko Hyuuga, socchiudendo gli occhi in due fessure, sospirò ancora una volta. Per qualche preoccupante ragione sembrava abituata a quelle scene.
    «…A-Atsushi…» Ripeté la Primario, a terra e con la testa reclinata sulle mattonelle. Deglutì faticosamente. «…p-per te…» Sussurrò, alzando una mano chiusa verso l’uomo.
    «…p-per me…?» Patì l’altro, mentre i suoi profondi occhi azzurri si riempivano di lacrime straziate. Cercò di protendere una mano verso quella offerta lui.
    «…per te io sono…» La kunoichi tirò indietro il braccio. «…“Sensei-sama” E lo mosse in avanti. «E non osare mai più darmi della deficiente, altrimenti ti faccio a pezzi.»
    Fu appena mezzo secondo, talmente veloce che il povero medico fu appena in grado di trarsi all’indietro: un ferma carte a forma di orsacchiotto si conficcò roteando nello stipite della porta, creando un buco profondo il doppio del suo volume prima di fermare il suo movimento e, lentamente, rotolare a terra.

    Silenzio.

    «Shizuka…emh, sensei-sama.» Gemette immediatamente Atsushi Kagure, impallidendo nel lanciare sguardi intermittenti allo stipite della porta e alla donna che da terra si stava rialzando, barcollante e simile ad un demone dell’inferno. Ancora non riusciva a capacitarsi della forza di quella nanerottola. «Prima che tu commetta un grave errore che so per certo non vorresti fare…» Sussurrò con voce strozzata. «…sappi che ti ho sempre stimata un sacchissimo, ma proprio tant–…»

    «EMERGENZA! SENSEI!»


    Quando un’infermiera arrivò sull’uscio della porta, trafelata e arrossata in volto, per mezza frazione di secondo cadde il silenzio. Esitando con gli occhi sulla scena in cui una furente Shizuka Kobayashi stava strangolando quel coglione di Atsushi Kagure, la ragazza sospirò: un istante dopo stava riprendendo a parlare come se non avesse visto niente di strano.
    «Una ragazzina, circa quattordici anni: è arrivata un minuto fa con Atasuke Uchiha, dalle mura di Konoha.» Spiegò rapidamente l’infermiera mentre la Primario, alzando lo sguardo su di lei, lasciava il collo della sua preda per avvicinarsi a rapidi passi. «Forte denutrizione, febbre altissima…le cure di base non sortiscono effetto.» Anticipò l’addetta del pronto soccorso, buttandosi di corsa nel corridoio prima ancora che la Kobayashi le chiedesse di farle strada. «Di questo passo non reggerà fino alla sera.»

    Ed era vero.
    Quando il gruppo arrivò nell’atrio dell’ospedale, la prima cosa che vide fu una bambina che giaceva esanime tra le braccia di Atasuke Uchiha sotto lo sguardo atterrito di quattro infermiere e due medici, mentre fuori dalle porte di vetro scorrevoli dell’Ospedale un giovane uomo dai lunghissimi capelli rossi e una donna dall’aria provata, stavano parlando con un medico dello staff ospedaliero, il quale, con le braccia protese in avanti, cercava di calmare chissà quale loro richiesta. Bastò un’occhiata all’aspetto della bimba e poi nuovamente ai due stranieri per capire il legame che li univa.
    «…Atasuke, cosa succede?» Chiese rapidamente la Principessa del Fuoco, guardando l’Uchiha. Aveva lo sguardo stanco ed era completamente struccata. I suoi profondi occhi verdi tradirono preoccupazione quando si spostarono sulla piccola: le fu sufficiente un’occhiata per capire che la situazione era più grave di quella figurata dall’infermiera. Suo malgrado, al pari del corpo medici che la attorniava, esitò…ma nel suo caso, fu solo un istante.

    «ALLORA, MUOVIAMOCI! LA MOCCIOSA NON SI RIPRENDERA’ PERCHE’ LA GUARDIAMO TUTTI CON APPRENSIONE!»

    Il ruggito fu terribile, non tanto per il volume, anzi per la verità piuttosto moderato, quanto piuttosto per il tono furioso che, in un solo attimo, riportò tutti all’attenzione.
    «Junko!» Chiamò la Primario, indicando Atasuke. «Atsushi!» Ordinò, puntando l’indice fuori, in direzione delle altre due persone.
    Nel mentre dietro di lei due delle infermiere di poc’anzi arrivavano di corsa con una barella, e Shizuka, ponendo le braccia sotto a quelle del Guardiano, attrasse a sé la ragazzina, che strinse dolcemente al seno prima di riporla sul lettino.
    «Non fare quella faccia, da qui in poi ci penso io, stai tranquillo.» Disse la Shinobi, facendo l’occhiolino all’Uchiha. «Spiega a Junko quello che è successo e seguite le indicazioni di Atsushi per gli altri due. Lui fa schifo in queste cose, perciò mi affido a te: tranquillizzali, perché va tutto bene.» Fece presente, mentre le infermiere giravano la barella verso il corridoio del Pronto Soccorso. «Un bacino di incoraggiamento, Acchan Aggiunse, chiudendo gli occhi e protendendo il viso. Con ogni probabilità scherzava, giacché si sarebbe girata non appena la barella fosse scomparsa dietro il primo angolo, seguendola allegramente e salutando con la mano sia lui che i due probabili parenti.

    Solo a quel punto smise di sorridere.

    «La priorità del caso è di livello Uno. Da questo momento rispondete solo a me.» Ordinò al medico e le due infermiere cui concesse di assisterla. Non aveva alcuna inflessione nella voce. «Voglio tre flebo per via endovenosa.» Disse, iniziando ad elencare la composizione delle sacche nel portare le mani sopra il corpo della ragazzina: in un attimo un bagliore blu elettrico guizzò attorno alle sue dita.
    La concentrazione della donna divenne a quel punto totale. Muoveva le mani sul corpo della piccola, premendo di tanto in tanto in concomitanza di torace, addome e arti, senza compiere un solo gesto superfluo. Effettuò un prelievo del sangue, analizzò con due strumenti medici gli organi principali della paziente. Eppure, per quanto si impegnava, si rese ben presto conto che qualcosa le stava sfuggendo. Quella consapevolezza non riuscì ad impedirle dal corrugare la fronte in un'espressione lapidaria.
    png
    «Non riesco a capire…» Mormorò tra sé e sé. «…la febbre è alta, ma il sistema immunitario non funziona. Come può essere?» Esitò, stringendo le labbra: non aveva mai visto niente di simile, e sì che poteva dire di aver curato ogni genere di disfunzione da quando aveva ottenuto il titolo di Primario.
    …Veleno? No. Infezione? No. Tumore, cancro? No, non poteva essere, ovviamente.
    Esitò, socchiudendo gli occhi, mentre alle sue spalle le infermiere inserivano le canule alla paziente, sistemando il dosaggio.
    Qualsiasi cosa era stava distruggendo il sistema immunitario di quella mocciosa, e se le sue supposizioni erano corrette entro qualche ora la febbre sarebbe scesa. E insieme a quella ogni possibilità di riprenderla viva. Suo malgrado accolse con orrore l sua bocca farsi secca come sabbia.
    «Iniziamo una terapia ad ampio spettro.» Disse improvvisamente la dottoressa, girandosi verso i suoi assistenti. «Voi da questo momento uscite da qui, proseguirò da sola. Isolate questa sezione del pronto soccorso e avviate le procedure di quarantena. Una volta fuori, effettuate su di voi le dovute accortezze del caso prima di rimettervi in pubblico.» Di fronte allo sguardo sconvolto dei suoi colleghi, alzò una mano. «Non ho idea di cosa sia, non penso sia qualcosa di infettivo altrimenti quei due che l’hanno portata qui sarebbero nelle sue stesse condizioni, ma non voglio escludere la possibilità che l’incubazione sia diversa a seconda della resistenza del corpo.» E non ci voleva un genio per capire che una mingherlina di quel calibro era meno resistente del giovane uomo che era arrivato con lei. «Sistemate gli altri due nella sezione Est dell’Ospedale, rifocillateli, curateli, interrogateli.» Disse, mentre prendeva delle siringhe da uno dei cassetti dei mobili della stanza e, chiuso il braccio con un laccio emostatico, si iniettava chissà quale diavoleria. La pessima abitudine di sperimentare su se stessa, anche in quel caso sembrava non essere svanita. «Fuori di qui, ora.» Ordinò, secca. «Niente allarmismo, ma esigo che…» E iniziò a stilare una lista dettagliata di ordini e accortezze.

    Intanto, fuori da lì, Atasuke Uchiha era stato preso da parte da Junko Hyuuga. La diciottenne, apprendista di Shizuka, era bella ed aggraziata come una magnolia, ma troppo, troppo seria...come si sarebbe reso conto il Capo dei Guardiani, placcato sotto ad una serie di domande serrate che lasciavano poco spazio persino al respiro: "cos'è successo?", "avete notato sintomi nei pazienti?", "è stato stilato un report sull'accaduto?", "avete somministrato qualcosa ai pazienti?" ...e almeno altre centinaia di altre domande.

    Se la Hyuuga era l’esempio più evidente della disciplina, Atsushi Kagure era, al contrario, poco incline a quel genere di professionalità, come dimostrò prendendo per la testa il medico che stava gentilmente cercando di rispondere alle domande dei due stranieri. Dopo averlo scosso come un campanaccio. si limitò a spingerlo di lato con poca cura.
    «Salve, sono Kagure Atsushi, del team medico della Primario di questo Ospedale.» Disse l’uomo, con fare indolente, grattandosi la gola nel sostituirsi al precedente poveraccio che, con sguardo rassegnato, sospirò sonoramente. «Sono qui a darvi le informazioni che chiedete. La ragazzina di poco prima…tua figlia, giusto?» Chiese girandosi a guardare il ragazzo dai lunghi capelli rossi negli occhi. “Cazzo –pensò allora il medico, a riprova della sua grande professionalità– sto qua c’avrà sì e no ventidue o ventitrè anni…e si bomba le milf”. Il mondo non era mai stato così ingiusto. «Beh, non sta benissimo, ma la donna a capo di questo posto pare sia un bel pezzo grosso nel mondo medico.» Affermò, portandosi una mano dietro la nuca e grattandosi la testa. «Quindi insomma, la bambina è in buone mani. Signora, non si preoccupi.» Aggiunse, voltandosi alla donna e storcendo la bocca in quello che forse in un mondo lontano avrebbe potuto definirsi sorriso.
    In effetti Atsushi Kagure era, con ogni probabilità, uno degli uomini più indisponenti di Konoha, e se non fosse stato per puro caso anche il miglior esperto in terapie cliniche, era certo che non se la sarebbe passata così bene. Nonostante tutto sapeva quando darci un taglio, e lo dimostrò quando una delle infermiere arrivò trafelata a sussurrare lui qualcosa all’orecchio.
    Senza fare una piega l’uomo annuì poi, semplicemente scrollando le spalle, sospirò.

    «La bambina sta bene, signori genitori.» Disse, guardando i due stranieri. «La Primario se ne sta occupando personalmente, immagino comunque che ci vorrà fino a domani per poter dare una prognosi definitiva. Visto che qui fa un freddo porco e io inizio ad essere stanco, ho deciso che aspetteremo nell’Ala Est. Starò con voi, ovviamente, così potrò raccogliere informazioni su questa faccenda, analizzare la vostra storia clinica e tanta altra roba utile ad aiutare vostra figlia.» Affermò con un abbozzo di cortesia. «Spero che abbiate voglia di parlare, perché parleremo, parleremo…parleremo tutta la notte.» Annunciò con cadaverica gioia.

    E non mentiva.
    Atasuke Uchiha, i due stranieri, Atsushi e Junko, assieme alle infermiere e il medico dell’atrio, si diressero infatti presso l’Ala Est, dove di fronte ad un lieto e molto abbondante pasto caldo, i nuovi arrivati ricevettero cure mediche, abiti nuovi e puliti, comode poltrone imbottite su cui riposare…e tante, troppe domande.

     
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  9. Asgharel
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    Cade la Neve

    ~Gestione dell'Emergenza~





    Inutile dire che l'Uchiha rimase stupito nel vedere il ragazzo che si sniffava l'aria, come in cerca di un qualche odore specifico, quasi a voler fiutare le sue intenzioni. Ad ogni modo, quale che fosse la follia che muoveva il ragazzo, rimase fermo, impassibile, in attesa di una risposta, convincendosi che forse il ragazzo non era poi molto differente dagli Inuzuka, i quali di tanto in tanto si dimenticavano di essere esseri umani, lasciandosi andare alla loro natura animalesca.
    Alla fine di quella breve spiegazione, Atasuke non disse nulla. Non annuì, non fece cenni di dissenso. Non fece nulla. Si limitò solo a porgere la mano e con ciò dare il via alla procedura di ingresso dei due...

    [...]


    Intanto, all'ospedale, il clone dell'uchiha non ebbe il tempo materiale di andarsene che ecco arrivare Shizuka, evidentemente non poi così impegnata come si temeva essere. “…Atasuke, cosa succede?” «Tre viandanti, parecchio denutriti sono arrivati al villaggio in cerca di soccorso medico. Lei è la figlia più piccola e come vedi è messa male, molto male» Rispose lui, quasi come fosse un automatismo fare un rapido rapporto sulla situazione, voltando il capo verso Shizuka ed aspettando che giungesse per cederle il corpicino che letteralmente lottava per restare in vita.
    “Non fare quella faccia, da qui in poi ci penso io, stai tranquillo.”
    «Quale faccia? Lo so bene che nessuno meglio di te potrebbe salvarla»
    Rispose con il suo consueto sorriso, anche se forse ad un occhio inesperto ed esterno poteva apparire quasi beffardo e del tutto fuori luogo. “Spiega a Junko quello che è successo e seguite le indicazioni di Atsushi per gli altri due. Lui fa schifo in queste cose, perciò mi affido a te: tranquillizzali, perché va tutto bene.” «Capisco... Non ti preoccupare, farò come dici nonappena avrò portato qui anche i suoi due parenti» “Un bacino di incoraggiamento, Acchan?” Ed ecco che, forse per ironia, forse per reale convinzione, Shizuka si protese leggermente verso l'Uchiha, quasi a volersi realmente approfittare della situazione per ottenere un bacio da parte sua, bacio, che sfortunatamente non giunse, venendo sostituito dalle due dita dell'uchiha che poggiarono delicatamente sulla fronte della primario, quasi a volerla picchiettare delicatamente «La prossima volta, Shicchan... Ora hai qualcosa di molto importante da fare... quando avrai finito avrai i famosi mochi della vecchia Sayaka che ti piacevano tanto... prendi questo come incoraggiamento» Sorrise, osservando poi Shizuka che si allontanava "allegramente" dietro la barella, scomparendo dietro l'angolo. “La priorità del caso è di livello Uno. Da questo momento rispondete solo a me.” °Dunque è più grave di quanto sembrasse...° Si ritrovò a pensare tra se, dopo che il suo orecchio decisamente fino [Abilità] aveva udito quelle parole che risuonavano nel corridoio, prima che la sua percezione venisse sporcata da un suono decisamente più insistente da una fonte decisamente più vicina e "piena di curiosità".
    Junko approfittò del momento per iniziare ad imbambolare il clone di domande, riversando su di lui un fiume di quesiti che fu ben rapido ad interrompere per passare oltre.
    «Junko-chan, Atasuke, l'originale, si trova ancora al gate assieme ai genitori della ragazza. Ora andrò a prenderli e quando faremo ritorno sarà lui personalmente a dirti quanto vorrai sapere» E senza aggiungere altro, ma soprattutto senza dare tempo alla donna di ribattere, il clone scattò via, uscendo rapidamente dalla porta dell'ospedale per ritornare al gate dove Atasuke lo stava aspettando. [Velocità]

    [...]


    Dopo il rapido viaggio, la donna sembrò non aver propriamente gradito il modo in cui era stata sballottata sulla schiena dell'Uchiha e con relativa grazia, tentò di buttare sul ridere il suo malessere, ringraziando quello che sembrava essere l'unico vantaggio nell'avere lo stomaco completamente vuoto o quasi. «Sicura che sia tutto a posto?» Domandò lui con gentilezza, avendo notato le condizioni della donna che era riuscita a divenire ancora più pallida di quanto già non fosse. “Uchiha-san Le cose che ho detto prima...” «Non si preoccupi, posso immaginare» la interruppe lui, con delicatezza, senza però riuscire a fermare il fiume di parole che la donna sembrava voler tirare fuori. “Ecco, forse sono stata troppo dura nei suoi confronti. Voglio solo che sappia che le siamo grati per quello che sta facendo per noi” Atasuke le fece un cenno di assenso con il capo, adornato dal suo solito sorriso che raramente abbandonava quel volto. «Come le dicevo, non deve preoccuparsi».
    Poche, seppur gentili parole, che vollero, quasi per ulteriore protezione che per scherno, coprire quelle decisamente più indisponenti del figlio, il quale evidentemente non aveva avuto, in passato, molte occasioni in cui apprendere come si stava al mondo. Dimostrando che forse la sincerità non è sempre la risposta migliore a tutto. Specialmente quando così fuori controllo come in un bambino.
    E mentre questi si dirigeva alla reception subbissando di domande la giovane infermiera, Atasuke proseguì oltre verso colui che sapeva attenderlo dal suo precedente e rapido arrivo. «Come promesso eccomi... Se non ho mal inteso è a voi che devo dare le informazioni per shizuka, giusto Junko-chan?» Domandò con gentilezza, volendosi in parte appartare per evitare di allarmare inutilmente i due familiari ancora intenti con l'infermiera e con il collega della Hyuga inviata da Shizuka. «Il mio... “doppio” mi ha riferito che avete parecchie domande... Sfortunatamente le risposte non saranno soddisfacenti, temo. Molto semplicemente si è trattato di un normale controllo all'ingresso, nulla di più. Semplicemente viste le condizioni è stata data l'allerta medica 1 al gate, dunque è stata mossa la mia unità di primo soccorso semplice. Per la ragazzina ho proveduto a portarla immediatamente qui. Non c'era tempo ne personale abbastanza formato per fare nulla. Per loro abbiamo proceduto con semplici tonici e cure standard per quanto riguardava ferite superficiali e per rinfrancarli un poco...» Si dilungò poi nel rispondere quanto più completamente poteva sui successivi mille quesiti, anche se, di fatto, non si poteva dire che l'uchiha potesse poi sapere granchè sull'argomento. Conosceva i rudimenti base utili per un primo soccorso, ma non era un medico...

    [...]


    Non passò molto che l'intero gruppo venne “stranamente” portato all'ala est senza troppe domande e decisamente quasi senza alcuna motivazione particolare. Certo Atasuke trovò apprezzabile il pasto caldo, tuttavia, non gli piacque sentirsi come trascinato a sua volta all'interno dell'ospedale nell'altra ala. In fondo aveva comunque un corpo di guardia da dover gestire e quello strano raggruppamento gli puzzava e non si trattava del solito “odore da ospedale”. No, era qualcosa di diverso, qualcosa di meno tangibile... Era come una puzza di quarantena.
    Si voltò dunque verso Junko, la giovane allieva che lo aveva assiduamente interrogato quasi come a volerle rendere la pariglia. «Junko... Vorrei chiederti due cose... Nulla di importante, si tratta solo di una curiosità... posso vero?» Una domanda retorica, era palese. Con passo leggero si mise in moto, avvicinandosi alla donna ed allontanandosi dal trio, intento a mangiare il lauto pasto. L'unico nell'arco degli ultimi giorni da quel che si era capito, ed il suo sguardo si assottigliava, man mano che si avvicinava alla donna. Arrivando quasi a socchiudere gli occhi quando si arrestò, a pochi centimetri da lei con la voce flebile, quasi impercettibile, ma certamente oltre ai limiti dei sensi stremati e deboli dei due visitatori. «Che cosa ha scoperto Shizuka? Perchè ci vuole in quarantena?»
    Una domanda semplice che tuttavia richiedeva, nella semplicità della risposta, la dovuta cautela e precauzione per evitare che i due “ospiti” si agitassero più del dovuto. Motivo per cui Atasuke aveva preferito ottenere sufficente attenzione da poter esigere una risposta, ma una altrettanto sufficiente discrezione per poter ottenere la risposta diretta senza allertare i presenti.
    Per quanto potesse essere giustificato una lunga permanenza dei parenti prossimi, altrettanto non era infatti per il guardiano che si era giustamente insospettito dopo aver ricevuto le informazioni del suo doppio, lasciato svanire al loro arrivo al gate.


    Allora, visto che Arashi si è dimenticata che Atasuke al suo secondo arrivo porta solo i parenti della ragazzina mi sono un pelo adattato anticipando la parte della consegna della ragazza. Non che di fatto la cosa vada ad influenzare il resto del game :ghu:
    Godiamoci il resto della menata XD

     
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  10. Alastor
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    Questione di Vita o di Morte • capitolo cinque
    Quarantena



    Nago afferrò con la mano destra la coperta offertagli al gate dalla squadra di primo soccorso e se la sfilò dalle spalle, schiaffandola senza troppe cerimonie sul bancone della reception, dietro al quale l'impiegata esitava a rispondere a quell'energumeno decisamente malconcio. La inquietava non poco, e non la si poteva biasimare in fin dei conti.
    Tuttavia la sua professionalità non poteva essere minata tanto facilmente e la descrizione che le era stata presentata era abbastanza specifica da permetterle di capire senza troppi problemi chi era la persona a cui gli stranieri erano interessati.
    «S-Sì, dunque...la paziente è arrivata qui pochi minuti fa ma gli accertamenti sono già in corso» spiegò, riprendendo il polso della situazione.
    «Il caso è stato portato all'attenzione del primario.»
    «Si è già appurato qualcosa sulle sue condizioni?» indagò con apprensione Nahoko.
    «Veramente...»
    ...non lo sapremo mai.
    «E voi dovete essere quelli là» intervenne una voce maschile, col tono casuale di chi aveva avuto un'intuizione fenomenale ma non voleva farlo pesare poi troppo.
    In fondo un certo tipo d'acume è prerogativa solo di pochi eletti, nevvero? Le sue mani afferrarono il capo dell'addetta alle informazioni scuotendolo come aspettandosi forse che tintinnasse come un salvadanaio mezzo pieno, dopodiché la ragazza fu spinta via e fatta uscire di scena.
    Madre e figlio scrutarono entrambi il biondo, la prima aprendo leggermente la bocca in una espressione interdetta, il secondo senza fare una piega, ma piuttosto curioso di sapere chi fosse lo sconosciuto.
    «Salve, sono Kagure Atsushi, del team medico della Primario di questo Ospedale.»
    «Piacere, io sono Nahoko Shimada» si presentò la donna, riprendendosi più rapidamente di quanto fosse lecito aspettarsi dallo stupore iniziale generato dai modi dell'interlocutore.
    Ma in fondo nessuno poteva sapere, ancora, che con il figlio che si ritrovava costei doveva essere ormai cintura nera nell'arte del gestire e tollerare le stramberie comportamentali.
    «Questo è—»
    «Nago» completò laconico il diretto interessato, tagliando corto i convenevoli.
    L'unica cosa che gli premeva in quel momento era avere notizie fresche sulle condizioni di salute di Kayoko, e possibilmente vederla.
    Quindi bando alle chiacchiere.
    «Sono qui a darvi le informazioni che chiedete. La ragazzina di poco prima…tua figlia, giusto?»
    No, la domanda non era rivolta alla rossa, bensì al ragazzo.
    Ora, va bene tutto per carità. Possiamo anche riconoscere che il giovane straniero era tutt'altro che il ritratto della salute. Era deperito, smunto, insomma aveva una cera orrenda. Ci stava benissimo che dimostrasse, nelle sue attuali condizioni, qualche anno in più di quelli effettivi. Però fino a un certo punto.
    Insomma, si vedeva che non poteva avere chissà quale età ma il dottore sembrava convinto di trovarsi al cospetto nientedimeno che dell'uomo più precoce nel continente, colui il quale aveva ingravidato una donna solo qualche anno dopo aver smesso di indossare il pannolino.
    A meno che, ovviamente, non si stesse rivolgendo a lui come ipotetico patrigno della ragazzina, e in tal caso non si trattava più tanto di un torto nei confronti di Nago quanto piuttosto di un complimento verso la madre, che a quanto pare era stata capace di accaparrarsi un partner chiaramente più giovane di lei. Peccato che lei fosse, per l'appunto, sua madre.
    Ma andiamo avanti, che mi sta venendo la pelle d'oca.
    «No, è sua sorella» si intromise inaspettatamente la donna, senza neanche sforzarsi di nascondere una faccia basita.
    «E io sono sua madre» aggiunse, ormai poco fiduciosa delle doti deduttive dell'uomo.
    «Sono suo fratello» confermò l'altro annuendo tranquillamente, non sembrando affatto turbato da quello che ai suoi occhi era stato un chiaro e comprensibilissimo malinteso.
    La madre li guardò male entrambi.
    «Allora, dicci come sta!» proseguì lui, cercando di andare al sodo.
    «Beh, non sta benissimo, ma la donna a capo di questo posto pare sia un bel pezzo grosso nel mondo medico.
    Quindi insomma, la bambina è in buone mani. Signora, non si preoccupi.
    »

    "Pare"? Come sarebbe a dire "pare"?
    Quello dove si trovavano era il luogo decantato come la suprema dimora dei più grandi luminari della medicina di tutto il continente, e si aspettavano che colei che si trovava al vertice di tale struttura poco ci mancava che avesse doti taumaturgiche, chiunque ella fosse.
    Malgrado le parole del medico dagli occhi azzurri, che volevano essere pur maldestramente di rassicurazione, i due familiari restavano ancora parecchio preoccupati. Anche perché quel tipo non è che ispirasse molta fiducia.
    Quando si scambiarono uno sguardo si capì subito che stavolta erano sulla stessa lunghezza d'onda, ed erano pronti a chiedere ulteriori chiarimenti sulla situazione effettiva, quando l'arrivo di un'infermiera catturò inevitabilmente la loro attenzione, avidi com'erano di informazioni.
    Costei bisbigliò qualcosa all'orecchio di Atsushi per poi ritirarsi celermente.
    Al che l'uomo tornò a rivolgersi ai due visitatori ribadendo che la ragazza era stabile e sotto le cure del primario in persona, ma che probabilmente ci sarebbero volute ancora diverse ore per trarre elementi certi e chiari dalle indagini cliniche.
    E fu proprio in vista di tale attesa che si recarono tutti, compresi medici, infermiere e persino il povero Atasuke, che ormai aveva portato a termine il proprio compito e in teoria non aveva altro a che spartire con quella vicenda, presso l'ala est dell'edificio.
    La stanza in cui entrarono era piuttosto grande. Vi erano soffici poltrone, un paio di tavolini e anche quattro letti, vuoti, da poter essere occupati all'abbisogna.
    Nago non fu affatto ammaliato da quel posto. Oddio, lo stesso si poteva dire per l'intero ospedale a dirla tutta.
    Quell'odore, o piuttosto insieme di odori, forti, appartenenti a chissà quali sostanze ignote gli riempivano le narici, facendogli quasi girare la testa. Quelle mattonelle lisce e chiare, le pareti dipinte senza macchia. L'arredamento lucido, scarno, così ostentatamente artificiale e anonimo.
    Il ragazzo si soffermò a scrutare per diversi istanti i tubi al neon attaccati al soffitto, vagamente turbato. Ebbene sì, non ne aveva mai visti prima, ma bisogna tenere presente che nel piccolo villaggio da cui veniva le candele erano il massimo della tecnologia.
    Ma neanche quei bastoni luminosi gli lasciarono una bella sensazione, messi lì a proiettare quella luce così fredda e spettrale. Sembrava quasi di essere in un altro mondo, tipo sulla Luna. Però in una versione deforme, da incubo dell'incantevole astro.
    Chissà come mai quel luogo, edificato appositamente per accogliere i più deboli e bisognosi, sembrava essere così privo di calore e cordialità. E al di là dei malati, che bene o male non avevano troppa scelta, il ragazzo proprio non invidiava lo staff sanitario che ci trascorreva una buona fetta delle sue giornate.
    Lui sarebbe uscito fuori di testa dopo qualche giorno a stare tappato lì dentro.
    Mentre Atasuke e uno dei dottori incrociati nell'atrio si intrattenevano più o meno privi di scopo, i due parenti venivano condotti ciascuno presso uno dei letti a disposizione. Un piuttosto svogliato Atsushi e un'infermiera si occuparono del ragazzo, mentre Junko e la restante infermiera della donna. Un paravento venne predisposto affinché quest'ultima potesse spogliarsi ed essere visitata in totale riservatezza.
    Però ce n'era uno solo nella stanza, così il terzo medico, forse nel tentativo di rendersi utile, si offrì di andare a procurarsene un secondo per l'altro paziente.
    «A cosa serve?» chiese Nago non capendone bene l'utilità.
    «Be' sai, la privacy...» spiegò l'altro, una vera ovvietà a parer suo.
    «Lascia perdere» disse stancamente, scalciando via il solo zouri rimastogli al piede e slacciando l'obi, per poi farlo cadere a terra assieme al kimono che aveva cinto.
    Il giovane restò quindi nudo, fatta eccezione per il fundoshi e ovviamente la fasciatura che gli copriva il polso sinistro praticatagli dal guardiano.
    Non mostrava neanche una lontana ombra di imbarazzo o disagio. Già che c'era, dato che ormai la treccia che si era fatto quel mattino non reggeva quasi più ed era più sfatta che altro, tirò anche via il laccio che aveva ai capelli facendoli cadere disordinati, andando a coprire per intero la schiena.
    Dopo che medici e infermiera si furono scambiati un'occhiata interrogativa, procedettero coi loro compiti.
    Il corpo dello Yamagata era stato visibilmente logorato dagli stenti. Il colorito non era dei più sani e vi era qualche escoriazione ed ecchimosi, la pelle era leggermente ruvida e tirata, e al di sotto di essa le ossa, specialmente del torace e delle anche, sporgevano un po' più del dovuto. Le guance erano scavate e gli occhi piuttosto arrossati.
    Chi stava visitando la donna avrebbe scoperto che si trovava più o meno nelle stesse condizioni, sebbene conservasse molto meno forze rispetto al figlio.
    Dopo un'attenta analisi delle loro condizioni, i due furono trattati al meglio con farmaci integratori, pomate per le lesioni, tonici e delle gocce di quello che sembrava collirio per far sfiammare i bulbi oculari di lui. Nulla che potesse cambiare la loro attuale stato di salute da così a così, ovviamente, ma anche quelle piccole misure che si potevano prendere furono adottate con maestria.
    Gli abiti che avevano indossato i viaggiatori furono portati via e in cambio vennero offerti dei kimono di cotone bianco freschi di bucato. Nago indossò il suo senza dire nulla e quando anche Nahoko ebbe fatto lo stesso, fece finalmente capolino da dietro il paravento assieme alle altre due donne, ricongiungendosi così al resto dei presenti.
    E poi accadde l'inverosimile. O meglio, non c'era nulla di inverosimile in ciò che accadde, ma per i due poveri derelitti certamente come tale fu percepito.
    Entrarono degli inservienti che reggevano alcuni vassoi. Rapidi ed efficienti apparecchiarono le tavole per poi congedarsi dopo aver augurato buon appetito. I medici esortarono gli ospiti a farsi sotto senza fare complimenti.
    Il giovane si avviò con passo guardingo come quasi si aspettasse che le spettacolo che gli si parava davanti sparisse come un miraggio al suo appropinquarsi. Ma ciò non accadde.
    Sembrava proprio, anzi era cibo. Cibo vero, intendo.
    Riso, pesce, carne...ci siamo capiti, no?
    Afferrò un pezzetto di pollo, giusto per esserne sicuro al cento per cento, e lo avvicinò alle narici. Aveva la consistenza di cibo, l'odore di cibo, addirittura le sembianze di cibo propriamente detto.
    Nulla a che vedere con ghiande, erbacce e corteccia di pino macinata e bollita. Nulla a che vedere con vermi e lombrichi. Nulla a che vedere con ciò che erano stati disposti ad ingoiare nella assurda speranza di non morire come dei cani affamati.
    Da quand'era che non facevano un pasto come si deve, caldo e sostanzioso?
    Giorni? Abbondantemente.
    Settimane? Altroché, e più di due o tre, questo era certo.
    Il ragazzo si voltò a guardare sua madre quasi desolato quando percepì gli occhi preoccupati e severi al tempo stesso trafiggergli la nuca.
    «Vieni» disse lei risoluta, afferrandogli un braccio e trascinandolo a sedere accanto a lei a quella splendida tavola imbandita.
    «Itadakimasu» sussurrò poi con voce rotta giungendo le mani e chinando il capo, a stento trattenendo le lacrime mentre divideva gli hashi di legno.
    Il comportamento del rossiccio era effettivamente alquanto anomalo.
    In una situazione del genere, infatti, un personaggio di tal risma si sarebbe avventato senza indugi sulle pietanze come nulla di meno di un assatanato. E invece si stava dimostrando fin troppo misurato ed esitante.
    Oppure, più verosimilmente, era semplicemente stato colpito da un pensiero pesante come un macigno: che cosa stava facendo là?
    Curato, vestito, nutrito. Accudito e coccolato.
    Ma, dove si trovava sua sorella? La sua adorata Kayo come stava?
    Faceva progressi o forse peggiorava? Chi c'era a prendersi cura di lei e, soprattutto, perché lui non poteva essere lì a vegliare su di lei e a darle forza?
    Sembra assurdo ma a pensare a ciò che stava succedendo da qualche parte in quello stesso edificio, o peggio, che sarebbe potuto succedere, l'appetito che non gli era mai mancato in vita sua e a maggior ragione nell'ultimo periodo, svaniva completamente.
    Nago si rese conto di essere rimasto imbambolato a fissare la ciotola del riso per un tempo indeterminato solo quando sentì sua madre tossire forte alla sua sinistra. Forse le era andato qualcosa di traverso.
    Il giovane quasi con un gesto automatico le diede qualche pacca dietro la schiena mentre le versava dell'acqua con l'altra mano.
    Lei rapidamente impugnò il bicchiere e mandò giù il boccone. Era il minimo che ci si potesse aspettare da qualcuno che non mangiava a dovere da tempo avere qualche problemino a deglutire e ingerire cibo solido in fin dei conti.
    «Forza Nago, devi mangiare!» si rivolse allora lei al figlio.
    «Che ti prende?»
    Lui non rispose, chiudendo gli occhi e scrollando appena le spalle.
    La madre lo scrutò intensamente, con attenzione, come solo una madre sa fare.
    «Anch'io sono in pena per Kayo» gli sussurrò affinché solo lui potesse sentire, o almeno era questa l'intenzione.
    Gli prese il mento con la mano e lo girò verso di sé.
    Lui riaprì gli occhi, guardandola a sua volta.
    «Ma sarebbe sciocco e vergognoso rifiutare questo cibo, soprattutto perché ne abbiamo davvero bisogno.»
    Gli sorrise dolcemente.
    «Io ho intenzione di reggermi bene in piedi quando Kayo si riprenderà, e voglio avere la forza di abbracciarla.
    Penso che ne sarebbe felice, tu no?
    »

    Lo Yamagata restò a fissarla per alcuni indescrivibili momenti, quella donna che malgrado tutto quello che stava passando continuava pure ad incoraggiare e confortare il suo ragazzo, e con una certa efficacia tra l'altro.
    Nago fece dunque un unico cenno secco di assenso col capo, le labbra serrate. Tornando a fronteggiare le vivande sul tavolo, si fece finalmente forza.
    Sì, doveva essere forte per sua sorella e anche per sua madre.
    Affondò la mano destra nella ciotola del riso riempiendosene il pugno, che poi si portò alla bocca, masticando lentamente ma inesorabilmente.
    Solo al terzo boccone si rese conto che le lacrime gli rigavano il viso tuffandosi nella scodella ormai quasi vuota.
    «Aspettami, sto arrivando da te.»


     
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  11. Asgharel
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    Cade la Neve

    ~Domande Inopportune~





    Le risposte dell'Uchiha, ovviamente, non furono soddisfacenti o, quantomeno, non abbastanza per i due sottoposti di Shizuka, i quali volevano molte altre informazioni, forse anche troppe, ma certamente più di quante Atasuke avrebbe anche solo lontanamente potuto fornire loro.
    Motivo per cui, i tre vennero ufficialmente condotti nell'ala est, dove vennero rifocillati e rimessi quanto più in sesto, anche se qualche dubbio sembrò sorgere nella mente del ragazzo.
    "Se vi vuole in quarantena ha evidentemente buoni motivi per creder-" «Meno scuse e più dati. Conosco Shizuka abbastanza da sapere che se fa qualcosa lo fa per un motivo e non solo per semplice precauzione.» "Non siamo autor-" «Autorizzazione o no mi dirai il motivo. Non costringermi ad usare i miei occhi per saperlo» Junko titubò alla richiesta dell'uchiha, sbuffando alcune volte prima di optare per la soluzione pacifica. "Dalle analisi risulta che la ragazza sia anche affetta da qualche virus potenzialmente mortale. Ritiene che potrebbe essere infettivo e vuole assicurarsi che i due non abbiano contratto la malattia e che non abbiano infettato anche voi"
    Atasuke non rispose, limitandosi a guardare nel vuoto, anche se il suo sguardo, rivolto verso la donna, si fece cupo, palesemente cupo. Finchè con un sibilo la sua voce non ricominciò a risuonare nell'aria, sempre attenta a non farsi udire dai due "ospiti". «Un virus potenzialmente letale... E stavi pure pensando di provare a non dirmelo... Cos'è? Avete pensato che la notizia potesse distruggermi al punto di farmi fare pazzie!?» "Ritengo che-" «Ritieni male! Ho una squadra per le emergenze giù al gate e loro sono anche entrati in contatto con i due... Se aspettavate ancora 5 minuti a dirmelo avrebbero addirittura terminato il turno rientrando a casa dalle loro famiglie! La prossima volta che avete un informazione di questo tipo, fatemelo sapere all'istante, mi sono spiegato?» "Voi non siete un mio superiore, non siete nemmeno un dipendente di questa struttura e non potete darmi ordini" «Mi sono spiegato?» Calcò maggiormente il tono, mentre il suo sguardo decisamente poco pacifico si piantò in quello della donna senza lasciarle scampo o possibilità di fraintendimenti.
    Atasuke non era uomo solito ad imporsi sugli altri con la forza o la paura, tuttavia, c'era sa ammettere che sapeva avere il polso fermo e nei rari casi in cui voleva imporsi, non lasciava scampo alcuno.
    «Infermiera!» Chiamò a se una delle infermiere presenti per darle un compito importante «Prenda questa e faccia in modo che venga recapitata immediatamente alle mura» "S-si, Atasuke-sama"
    E così ella corse via, fuori dalla stanza dirigendosi alla reception dove probabilmente avrebbe consegnato la carta con il comando in codice per il gate, nella speranza che facessero in tempo per evitare potenziali contagi.

    [...]


    Intanto, al tavolo, i due familiari avevano iniziato a gustare il pasto. In verità più la madre che il ragazzo. "Il pasto è di vostro gradimento?" Chiese, con un inquietante sorriso sul volto che non sembrava voler presagire nulla di buono. "Mentre mangiate, inizierei a farvi qualche domanda che potrebbe tornare utile per la terapia" Si accomodò a cavalcioni di una sedia, appoggiandosi con i gomiti sullo schienale della stessa, rivolto verso il tavolo e quindi verso i due. "La ragazzina è per caso gravida o vi risulta possa essere in stato interessante?" La domanda era certo a sproposito, o forse, dato che in effetti la sua età le poteva già potenzialmente permettere di figliare, aveva uno scopo ben preciso per delineare una possibile linea da seguire. Ma certo era che non poteva che essere tra i più indisponenti quesiti a disposizione per aprire la serie di domande.
    "Vi risulta che abbia mai subito incidenti di qualche tipo o violenze... eventualmente anche sessuali?" Fece quasi una pausa, per poi ripartire alla carica con le peggiori domande che avesse a disposizione: "Ah, dimenticavo... nella vostra famiglia c'è l'usanza di unirsi a parenti prossimi? O eventualmente sono capitati rapporti tra fratelli e sorelle?" La serie di domande sembrava non avere fine, una peggiore dell'altra e con un apparente filo conduttore che sembrava voler accusare i due di ogni possibile mal costume. Ma per loro fortuna, L'Uchiha era arrivato a fermare l'uomo e la sua serie di sconsiderate domande.
    «Atsushi-san... La vostra abilità come medico è innegabile, ma credo che ora stiate esagerando nei modi... Cercate di essere più delicato» E con quelle parole, la delicata presa dell'Uchiha sulla spalla dell'uomo si fece più serrata e pesante, ulteriore rimarco dell'importanza delle sue parole.
    "D'accordo, Atasuke-san..." Rispose lui con un sorriso decisamente poco sincero, prima di rivolgersi nuovamente ai due. "Tornando a noi... Avete incontrato qualche particolare viandante rassomigliante ad un cinghiale? Avete dormito in qualche latrina o simili? Avete bevuto dallo scolo fognario di qualche catapecchia? Vi siete prestati a sesso occasionale con sconosciuti o vi siete dati alla protituzio-haaaAAAAAAHHH" Atasuke a quelle parole strinse maggiormente la presa, provocando l'urlo del medico in quella tenaglia ben studiata per provocare sufficente dolore all'uomo per impedirgli di proseguire oltre... °E pensare che Shizuka si lamenta tanto dei modi di Sougo...°


    Domando scusa a priori essendo coscente del fatto che non sono Arashi e non conosco perfettamente i suoi PNG da poter rendere la debita giustizia. Ad ogni modo cercherò di mandare avanti la role anche in sua assenza in modo da non stallarti troppo :zxc:

     
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  12. Alastor
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    Questione di Vita o di Morte • capitolo sei
    l'Esorcista



    L'iniziale riluttanza di Nago nel darci sotto con le cibarie era stata rapidamente abbandonata.
    Una volta cominciato, le operazioni di rifocillamento procedevano ormai spedite. Si dice che la fame vien mangiando, e probabilmente questo antico adagio possiede più che un fondo di verità, tuttavia ciò che stava spingendo il giovane ad ingollare il suo pasto con tanto ardore era solo in minima parte la fame.
    Capiamoci bene, lo Yamagata per le condizioni in cui era avrebbe di norma divorato vivo un bue e pure il bovaro, ma la preoccupazione per la sorte della sorellina gli aveva completamente chiuso lo stomaco. Non riusciva proprio a pensare al cibo in un momento come quello, mentre la vita di Kayoko era appesa a un filo. Tantomeno poteva trarre piacere dal consumare un pur pregevolissimo pasto.
    Eppure il suo corpo e le parole della madre lo avevano messo di fronte ad una inconfutabile verità: ne aveva bisogno.
    Aveva bisogno di energie. Aveva bisogno di essere reattivo e pronto a tutto, pronto a vegliare sulla sorella e ad essere d'aiuto in qualsiasi modo. Aveva bisogno di esserci per la sua famiglia.
    Ovviamente per come era ridotto non esistevano scorciatoie o metodi istantanei per rimettersi in forma, ma questo lui forse non lo sapeva o scelse deliberatamente di ignorarlo. Dal suo punto di vista più mangiava e più avrebbe recuperato le forze, e recuperando le forze avrebbe potuto lottare al fianco di colei alla quale teneva più di chiunque al mondo.
    Un ragionamento fin troppo semplicistico, magari anche puerile. Ciò non toglie che avesse preso a rimpinzarsi più che poteva, e persino Nahoko, inizialmente sollevata dal ritrovato appetito del figlio, non poté fare a meno di preoccuparsi per il repentino cambio di atteggiamento.
    «Il pasto è di vostro gradimento?»
    Nago nemmeno alzò lo sguardo dal piatto. Continuando a masticare quanta più roba fosse riuscito ad infilarsi in bocca, si limitò ad annuire.
    Fu la donna che, più educatamente, diede una risposta degna di questo nome.
    «Assolutamente, è più di quanto potessimo chiedere. Grazie, davvero» chinò il capo in segno di gratitudine.
    «Da parte di entrambi» aggiunse, scoccando un'occhiataccia al figlio il cui galateo era sempre ed incorreggibilmente inesistente.
    Ma Atsushi non parve curarsene troppo e, sedutosi in maniera altrettanto informale su una sedia, dichiarò di voler cominciare a porre qualche domanda ai due stranieri. Sembrava dunque pronto a mantenere ciò che aveva promesso, ovvero cimentarsi in un lungo ed estenuante interrogatorio atto ad estrapolare più informazioni possibile che potessero tornare utili al caso della giovane paziente.
    Questo sì che riuscì ad attirare l'attenzione del giovane!
    Si immobilizzò di colpo. Smise di far lavorare la mandibola e deglutì sonoramente, buttando così giù il cospicuo boccone tutto d'un botto.
    Alzò finalmente gli occhi puntandoli sul medico, attenti ed intensi.
    «Siamo pronti» annunciò serioso.
    «Chieda pure, cercheremo di rispondere al meglio delle nostre possibilità» gli fece eco Nahoko, poggiando le mani sul ripiano del tavolo.
    I due erano pronti finalmente ad aiutare.
    Oh sì, non potevano salvare la ragazza con le loro mani o le loro capacità, ma potevano senz'altro contribuire in quella maniera, dando preziose e importanti informazioni che—
    «La ragazzina è per caso gravida o vi risulta possa essere in stato interessante?»
    «...»
    «...»
    «Eeeeeeeeeh?!» fece lui con un'espressione tra il basito e il disgustato.
    Ormai è chiaro che lo Yamagata non era tipo da scandalizzarsi facilmente, ma bisogna ammettere che le parole gravidanza e Kayoko giacevano talmente agli antipodi l'una dall'altra nel suo cervello che metterle nella stessa frase richiedeva uno sforzo che andava ben al di là di ciò che il povero disgraziato poteva affrontare.
    «N-no, certo che no» intervenne la madre, appena ripresasi dalla domanda a dir poco inaspettata.
    Cercò tuttavia di mantenere un tono affabile.
    «L'ha vista, no? Ha solo quattordici anni, è poco più di una bambina...»
    «Vi risulta che abbia mai subito incidenti di qualche tipo o violenze... eventualmente anche sessuali?»
    «No» rispose asciutto Nago, con un tono di voce talmente netto e definitivo da risultare quasi inquietante.
    Non si fece troppi problemi a sporgere il collo e ad aguzzare gli occhi nello scrutare Atsushi, come a volergli guardare dentro e scoprire dove voleva andare a parare.
    Va bene, va bene, siamo tutti amici e stiamo tutti dalla stessa parte. Però, siamo sicuri che stiamo concludendo qualcosa qui o si dà solo fiato alla bocca tanto per?
    «Abbiamo passato tutti dei momenti molto difficili negli ultimi mesi.
    Però no, non le è successo nulla di quello che può avere in mente, Kagure-san
    »
    elaborò lei, pungente suo malgrado.
    Di primo acchitto quelle domande sembravano le curiosità morbose di uno psicolabile, ma chi può dirlo, magari seguivano in realtà un loro filo logico e il tizio aveva delle ottime ragioni scientifiche per porle, per quanto fastidiose potessero suonare.
    In fondo lui si supponeva fosse uno dei capoccioni della situazione mentre loro due i poveri campagnoli ignoranti, quindi meglio fare buon viso a cattivo gioco, dico bene?
    «Ah, dimenticavo... nella vostra famiglia c'è l'usanza di unirsi a parenti prossimi? O eventualmente sono capitati rapporti tra fratelli e sorelle?»
    Ma neanche per il cacchio!
    Quel che è troppo è troppo, nello spazio di un minuto quel babbeo era riuscito a far innervosire Nahoko al punto di farle dimenticare ogni sentimento di riconoscenza o positiva disposizione nei suoi confronti.
    «Ma che diavolo dice?!» sbottò dunque adirata.
    «Non so con chi accidenti crede di avere a che fare, ma è completamente fuori strada. Si vuole decidere a—»
    «Certamente.»
    «Certamente cosa?» chiese spiegazioni lei, rivolgendo adesso al figlio la sua esasperazione.
    «È come dice lui.»
    «...»
    Chissà perché, ma la donna se lo sentiva.
    «Nella nostra famiglia siamo sempre stati tutti molto uniti» spiegò il ragazzo.
    «E il rapporto tra me e Kayo è strettissimo, incredibilmente forte» puntualizzò imperterrito, annuendo serio con assoluta convinzione.
    Appunto.
    La donna se lo sentiva che il giovane non aveva capito una mazza e avrebbe detto una cazzata delle sue.
    «Nago» cominciò lei, reprimendo l'istinto di tirargli uno scapaccione di quelli memorabili, «il signore non è di amore fraterno che parlava.»
    «Ah no?» si stupì lui, aggrottando la fronte.
    «No!»
    «E allora di cosa?» chiese genuinamente ignaro, apparentemente incapace di elaborare autonomamente un pensiero così perverso.
    «Non ha importanza» ribatté lei, tornando a rivolgersi al medico, «dato che è solo un mucchio di—»
    Non dovrebbe essere troppo complicato immaginare come si chiudeva la frase, fatto sta che in quel momento si intromise Atasuke il quale, poggiando una mano sulla spalla di Atsushi, lo esortò a darsi una regolata nel modo in cui conduceva la sua indagine.
    Nel frattempo Nago si era rimesso a mangiare.
    Ebbene sì, proprio in un momento del genere stava riprendendo ad ingozzarsi, il capo chino sulla tavola. Lo sguardo spento.
    In qualche modo, sembrava essersi reso conto che quell'uomo non li stava aiutando affatto e aveva dunque perso completamente interesse per le sue parole. Delle domande che seguirono, infatti, non udì altro che parole sconnesse, e anche quel poco che riuscì ad afferrare non gli fece certo cambiare avviso.
    A un certo punto si accorse che un piatto veniva sollevato dal tavolo. La donna al suo fianco lo reggeva minacciosamente, sembrava sul punto di lanciarlo in faccia all'incauto dottore.
    Nago si girò ad osservare il viso della madre, che era contratto in un'espressione di ira, disprezzo. Delusione.
    Il ragazzo le afferrò il polso per poi sottrarle la stoviglia. La portò alla bocca, spalancata, inclinandola così che, a mo' di scivolo, il pregevole tenpura che conteneva gli finì giù per il gargarozzo. La madre lo guardò ad occhi spalancati, ma senza dire una parola.
    Nel mentre, si sentì il Kagure urlare dal dolore, ma a dirla tutta nessuno, tranne il diretto interessato, se ne preoccupò troppo.
    Quando Nago poggiò il piatto ormai vuoto sul tavolo afferrò con entrambe le mani quella più vicina della donna, baciandone con tenerezza il dorso. Poi, senza alcun preambolo, si alzò, attraversò il tavolo camminandoci sopra, facendo attenzione a non calpestare le cibarie, e si fermò proprio davanti al medico, ancora sofferente per via della ferrea presa del guardiano. Si piegò sulle ginocchia ponendovi poi sopra le mani, usando dunque le braccia come sostegno, e si sporse in avanti. Il tutto per poter stare con il volto alla stessa altezza rispetto a quello di Atsushi, il quale era seduto, e poterlo guardare bene in faccia a una distanza non superiore ai due palmi.
    Non sembrava irato e tantomeno incline a qualche gesto di violenza, tuttavia i suoi stanchi occhi, scrutando in quelli di colui che gli stava talmente vicino da potercisi specchiare dentro, si illuminarono in maniera sinistra, quasi ferale.
    Il suo tono quello di chi non aveva più la minima voglia di scherzare. Si erano gingillati a sufficienza.
    «Ascolta bene, Atsushi.
    A me sembra che tu stia parecchio sottovalutando la gravità della situazione. Mia sorella è da qualche parte nell'edificio
    »
    indicò la porta della stanza.
    «E sta lottando. Ha l'aiuto dei vostri medici, ma sta comunque lottando da sola. Mentre io, invece di starle accanto per darle forza, sono bloccato qui ad ascoltare le tue domande demenziali.
    Sinceramente avrò capito metà di quello che hai detto, ma sono abbastanza sicuro che tu ci stia solo facendo perdere tempo.
    »

    Fece una pausa, inspirò ed espirò forte dalle narici.
    «Voglio che mi porti da Kayo adesso» proclamò con fermezza.
    «Voglio essere d'aiuto in ogni maniera possibile, e di certo qui non stiamo concludendo niente.
    Se ci saranno altre domande a cui rispondere sono a disposizione, a patto che siano formulate da qualcuno che prende con la dovuta serietà il proprio lavoro.
    »

    Batté due volte le mani davanti al grugno dell'interlocutore, come a volergli dare la sveglia.
    «Forza, diamoci una mo—»
    Uno spasmo improvviso, sgranò gli occhi.
    Scosse appena la testa, cercando di non darci peso.
    «Diamoci una mmM!—» tentò ancora, ma era sempre peggio.
    L'apocalisse fulminante in zona addominale.
    «BLEAAAARGH!»
    Un idrante. Come un dannato idrante rigettò fuori quasi tutto quello che aveva messo nello stomaco, colpendo in piena faccia lo sfortunato dottore.
    Eh sì, le sue possibilità di evitare di essere beccato erano quasi inesistenti, considerando che egli era seduto, che si trovava praticamente a distanza bruciapelo dal ragazzo dalla chioma rossiccia e ovviamente che si trovava ancora immobilizzato dalla morsa dell'Uchiha. Quest'ultimo, al contrario, sicuramente non avrebbe avuto problemi a ritrarre la mano prima che potesse essere raggiunta anche solo da qualche schizzo, essendo comunque solo perifericamente in traiettoria.
    Ad ogni modo il Kagure sarebbe finito ricoperto da una poltiglia disomogenea e maleodorante, poco ma sicuro. E altrettanto sicuramente, ci sarebbe stato un lungo attimo di muto sconcerto tra gli astanti.
    Nago si portò una mano sulla pancia, poi riportandosi in posizione eretta diede qualche forte colpo di tosse.
    L'aveva fatta grossa.
    Si passò un avambraccio sul muso per pulirsi la bocca. Si portò entrambe le mani sulla sommità del capo, la sua espressione inorridita.
    «Oh, no. No! Cosa ho fatto?!» si disperò il giovane.
    «N-Nago, ti senti bene?» intervenne a fatica Nahoko con un fil di voce, spiazzata ma soprattutto in ansia.
    «Come ho potuto? COME?»
    Lo Yamagata sembrava inconsolabile.
    In effetti, per quanto Atsushi potesse comportarsi come un insopportabile mentecatto non bisogna dimenticare che faceva parte del team personale del primario, e dunque doveva trattarsi decisamente di un pezzo grosso della struttura. E il gesto dell'ospite, per quanto del tutto involontario, era stato qualcosa di terribile.
    Il giovanotto faceva bene a preoccuparsi per quanto appena accaduto, e avrebbe fatto anche meglio a scusarsi subito come si deve.
    «Il cibo!» si avvilì.
    «Tutto quel cibo andato sprecato! Le mie preziose energie, COME FARÒ ADESSO?!» continuò a lagnarsi, fiondandosi sulla tavola cercando di racimolare quel poco di pietanze che erano sopravvissute al pasto e ficcandosele in gola a mani nude.
    Cioè, 'sto qui non solo non si era scusato, ma non aveva minimamente calcolato l'imbarazzante incidente appena occorso, se non per il fatto che tutta la roba che aveva faticosamente ingurgitato era andata a quel paese.
    Che dire, da qualche parte i kami dovevano stare a sorridere osservando quell'umano riportare equilibrio e giustizia in quella stanza, seppur nella maniera più grottesca e schifosa possibile.
    «Allora, andiamo?» ebbe infine la sfacciataggine di chiedere.
    O qualcosa del genere, insomma. Non è che si capisse alla perfezione, avendo lui parlato con la bocca piena.


    A scanso di equivoci, Nago ha vomitato perché è passato dal digiunare all'ingozzarsi come un maiale, non perché sia stato infettato da un'ipotetica malattia. Ovviamente i presenti sono liberi di interpretare la cosa anche diversamente :D
     
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  13. Asgharel
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    Cade la Neve

    ~Trattamento Notturno~





    Le domande di Atsushi erano il massimo quando si parlava di indisponenza. Eppure, nella loso apparente assurdità avevano un motivo ed una precisa spiegazione. Spiegazione, che in un modo o nell'altro non avrebbe dato ai due parenti e nemmeno ad Atasuke. Il motivo? Probabilmente nessuno lo avrebbe scoperto, ma di certo il "saluto finale" del ragazzo, direttamente in faccia al medico, probabilmente non aiutava la causa.
    Lo stupore, o meglio, l'offesa era ben visibile negli occhi della madre, mentre in quelli del fratello sembrava disegnarsi più un disinteresse, seguito poi da una furia non indifferente ad ogni domanda. Tuttavia, le brevi risposte, confermavano che non vi erano probabili problemi genetici, quindi escludeva a priori ogni forma di strasmissione per uan deformazione congenita, limitando (per così dire) il raggio a quelle che potevano essere infezioni di vario genere e natura, a partire da virus fino a scendere ai batteri o a qualche forma fungina particolare, se non una combinazione di infezioni.
    "Complimenti per l'apparato digerente" Questa fu l'unica frase emessa da Atsushi dopo il "fattaccio" mentre con un fazzoletto preso da una tasca del camice si ripuliva quantomeno la faccia, cercando di rendersi quasi presentabile.
    Atasuke, invece, forte della sua posizione avvantaggiata e dei suoi riflessi, si era già ben portato fuori dalla traiettoria del colpo, evitando attentamente ogni forma di schizzo, lasciando al medico tutto il piacere di quello spruzzo maleodorante di cibo semidigerito.
    La reazione del ragazzo, però, per quanto ad un occhio inesperto potesse in qualche modo apparire legato ad una forma di malattia, davanti all'occhio clinico del medico e dei presenti, si rivelò essere una normale reazione, già osservata in passato in soggetti in condizioni simili. Era infatti noto che strafogarsi, dopo un lungo periodo di "dieta ferrea", spesso poteva provocare una sovrastimolazione dell'apparato digerente, il quale, non avendo più "l'allenamento" necessario a gestire un tale carico di cibo, procedeva con un naturale rigurgito. Ma questo ad Atsushi non importava.
    «Sembra che tu abbia esagerato con il cibo, dovresti andarci più con cal-» "Evidentemente è infetto" La voce di Atsushi interruppe l'Uchiha con tono lapidario. "Certo potrebbe essere normale questa reazione, eppure io sono convinto che questo ragazzo necessiti di qualche trattamento particolare" Un sorriso sadico ed un particolare brillio negli occhi fecero intuire che qualcosa non sarebbe andato come previsto. "Infermiera... il ragazzo tiene molto a raggiungere la sorella. Mettetelo su una barella e portatelo nell'ala Nord. Terapia 4" La ragazza rimase ferma, quasi shockata da quella richiesta tanto particolare. "Davvero la terapia 4? Ma non mi sembra il" [color=green]"Terapia 4 ho detto. Sono o non sono l'esperto in materia?" "S-si, Atsushi-san"
    Senza perdere altro tempo la ragazza prese una barella, facendo accomodare il ragazzo ed accompagnandolo via, verso la fine delle sue possibilità di fuga. Oltre che ad un controllo completo e dettagliato dell'intero impianto digerente a partire dall'uscita.
    Peccato per lui, nessuno dei presenti, ad eccezione del medico e delle infermiere sapeva che la terapia 4 prevedesse tra le fasi più eclatanti una gastroscopia ed una rettoscopia, non necessariamente in quel medesimo ordine, ma ahimè il ragazzo dalla bocca troppo larga lo avrebbe solo scoperto in seguito quando i medici lo avrebbero preparato per l'operazione che si sarebbe svolta la sera stessa.

    [...]


    Quella che seguì, ovviamente, fu una lunga notte di attesa e di timori. La madre, infatti, era oramai rimasta sola, assieme all'Uchiha ed un paio di infermiere, le quali per tutto il tempo cercarono di tranquillizzarla in merito alle sorti dei due figli, mentre Atasuke dal canto suo cercava di dare loro manforte, concentrandosi però anche sui propri allenamenti, giusto per non sprecare l'intera giornata dietro al nulla.

    [...]


    Fu però al mattino che i due vennero allertati da un'infermiera che gentilmente si sarebbe fatta avanti nella stanza svegliando la donna nel caso in cui fosse stato necessario.
    "Signora? Volevo solo dirle che tutto sembra andato per il meglio ed entrambi i suoi figli si stanno riprendendo. Probabilmente si sveglieranno a breve. Sua figlia si trova nel reparto pediatrico nella stanza 101, suo figlio nel reparto di gastroenterologia nella stanza 107"
    Stava dunque alla donna decidere da quale dei due figli presentarsi dato che i due reparti erano diametralmente opposti.

    In entrambi i casi avrebbe trovato i suoi figli a letto, ancora addormentati o storditi dalle medicine mentre un paio di misteriose flebo ne alimentavano i corpi stanchi.
    In particolare, il figlio lo avrebbe trovato solo nella sua stanza ed avrebbe notato senza particolari problemi che era stranamente sdraiato sul fianco con una discreta dose di cuscini ad impedirgli di rotolare sulla schiena, evitando così di smuovere le alquanto dolenti natiche...


    Com promesso accellero gli avvenimenti dato che non sono un QM e non mi piace muovere troppo i PNG altrui che non conosco. Se ti va bene, massimo tre post e chiuderei :zxc:

     
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12 replies since 20/5/2016, 22:24   148 views
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