Il primo Rifornimento.

Free tra Kato e Harumi

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    Le armi di una kunoichi

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    Harumi era riuscita ad uscire viva dall'amministrazione di Oto, in qualche modo. Espirando vistosamente, si domandò se avesse fatto la scelta giusta. Quando aveva visto Kairi e Ayuuki all'opera le era sembrato che quello fosse stato da sempre il suo sogno, ma il contatto con la realtà l'aveva in parte disillusa. Rimaneva comunque convinta che, diventando una kunoichi, avrebbe potuto finalmente decidere della sua vita, per la prima volta da quando era nata. Si fece quindi coraggio e alzò le spalle per darsi un tono. Non era più una ragazzina di campagna, era un'aspirante ninja del Suono ora.

    Controllò per l'ennesima volta il foglietto che stringeva in mano. Hebiko, la segretaria dai modi serpentini, le aveva scritto in fretta e furia l'indirizzo a cui doveva recarsi per ottenere il suo equipaggiamento per aver obbedito ai suoi ordini senza discutere. La grafia della Vipera, probabilmente per la poca voglia, era pessima, e più la ragazza cercava di decifrarla, più si metteva in confusione. Tentò anche di chiedere ad alcuni passanti, selezionando quelli dall'aria più cortese. Già quella si rivelò un'impresa, nel centro del Villaggio del Suono. Era stata messa in guardia sui pericoli di girare da sola per la città, ma solo ora che si guardava intorno se ne rendeva conto. Accattoni, barboni che cercavano riparo dalle intemperie in precarie costruzioni di cartone, ubriachi e prostitute che esponevano i propri corpi come quarti di manzo in un reparto macelleria. Harumi accelerò il passo, cercando scampo da tali miserie umane. Quando incrociò due operai che stavano scaricando delle casse dall'aria pesante da un carretto pensò di chiedere a loro, ma lo sguardo laido che le rivolsero, soffermandosi in particolare sulle sue gambe nude, la spaventò, e così riprese la sua corsa, inseguita dalle loro risate. Si appoggiò infine, esausta, ad un pilone che sorreggeva i fili dell'elettricità. Qui fu avvicinata da un bambino, di massimo sei anni, che tendeva verso di lei una mano sporca. Quando lei si scusò di non avere moneta, la verità per altro, quello se ne andò come se la giovane avesse smesso di esistere. Quella era Oto, la sua nuova casa.

    Dopo un estenuante girovagare giunse finalmente davanti l'armeria. Con un po' di fantasia, l'indirizzo corrispondeva in effetti. Ed era praticamente a trecento metri dal punto di partenza. Sarebbe bastato un pizzico in più di buona volontà da parte di Vipera, ma non poteva aspettarsi altro che mera sopportazione dalla donna, immaginarsi aiuto. Sospirando nuovamente, varcò la soglia. C'era un discreto via vai di gente e si trattava, da quello che poteva vedere, per la quasi totalità di ninja del villaggio. Si mise in fila, cercando di non farsi sorpassare dagli ultimi arrivati, anche se con scarsi risultati. Doveva aver scritto novellina sul viso, perché furono numerosi gli sgarbi a cui fu sottoposta. Harumi, muta, mandava giù, cercando di assumere la sua espressione più impassibile, ma dentro di sé voleva urlare. Possibile che anche quegli shinobi, che avrebbero dovuto rappresentare l'elité del villaggio, non si elevassero oltre le loro cieche meschinità? A sottrarla da quei cupi pensieri fu la voce di un uomo, che la invitava a farsi avanti. Guardandosi intorno, intuì che il proprietario doveva essere il ragazzo dietro al bancone. Facendosi coraggio, gli si avvicinò, con ancora la sua lista in mano. Cercò di non iniziare a balbettare come suo solito, ma l'emozione la tradì e ci mise qualche parola prima di prendere fluidità. I-io... Sì ecco.. Dovrei acquistare l'equipaggiamento base... Quello per iniziare, non so se mi spiego... Insomma, io ho appena presentato le carte per diventare una kunoichi e... Alzò gli occhi, fino a quel momento fissi sul ripiano davanti a sé, incrociando lo sguardo del giovane. Senza un motivò logico si interruppe, imbarazzata. Stava sicuramente facendo la figura della sciocca. Si morse la lingua, poi ricominciò da capo. Desidererei acquistare l'equipaggiamento base per una kunoichi, mi manda la segretaria dell'amministratore, Hebiko. Nella sua ingenua inesperienza, sperava che, tirando fuori quel nome, avrebbe ottenuto ciò che le serviva senza ulteriori indugi. Quella era stata una lunga giornata, e non vedeva l'ora di andare a stendersi su un letto, lontana da tutto e da tutti.


     
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