L'Arte di sorreggere i muri[Fudoh&Meika]

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  1. -Meika
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    L'arte di sorreggere i muri


    I - Trovare la Vittima

    La tremenda situazione conseguente all'epidemia si era risolta. L'ultimo dei malati era tornato a casa, guarito dalla cura che ero riuscita a sintetizzare dai miei stessi anticorpi ed ora quel morbo che io stessa avevo portato a Kiri e che per prima mi aveva colpito era stato finalmente, ufficilamente sconfitto.
    Sola, davanti la porta del reparto di isolamento del nuovo fiammante ospedale di Kiri, i pensieri un po' dolci si mischiavano alla preoccupazione per il futuro. Ero sola. A Kiri nessun altro medico era alla mia altezza e quella constatazione aveva ben poco di vanto, visto che non ero ancora a livelli particolarmente eccelsi. La fatica che avevo fatto per trattare Kensei magari qualcun altro non l'avrebbe provata.
    Sarebbe stato tutto più semplice se fossi stata migliore. Ma io potevo migliorare, col duro lavoro, con lo studio e con la perseveranza. Questo non cambiava che rimanevo l'unico membro della squadra medica.

    Alla sera uscii, pensierosa e stanca. Non era semplice portare avanti l'ospedale. Pensai di piombare a casa di Akira solo per dargli fastidio, ma un orologio in un angolo della strada mi segnalò che erano quasi le undici di sera.
    Evidentemente la burocrazia non lasciava tempo di compilare le cartelle come dovevo ed il compito mangiava ciò che rimaneva del mio tempo libero.
    Così, mi diressi a casa. Mio padre si era addormentato sulla poltrona. La gamba di legno era poggiata contro la poltrona. Un piatto era sul tavolo della cucina, coperto da un altro piatto, nella speranza che servisse a non far raffreddare il cibo al suo interno.
    Quella quiete mi fece bene. La tensione si alleviò ed io mi avvicinai a mio padre, posandogli una mano sulla spalla, scuotendolo gentilmente.
    Papà, sveglia lo chiamai. L'uomo brontolò qualcosa di incomprensibile nel sonno e poi aprì gli occhi scuri.
    Meika? Mi sono addormentato qui. Che ore sono?
    Le undici passate risposi. Va a letto dai.
    La cena è sul tavolo, oppure ai mangiato fuori? c'era una vaga nota di sospetto e malizia nella sua voce.
    Magari, ma sono solo rimasta in ospedale.
    Grazie per la cena
    gli baciai la fronte e lo aiutai a rialzarsi. L'uomo però, con l'agilità tipica dello shinobi consumato, si tenne in equilibrio ed andò a letto.
    Io, da sola col piatto freddo di pesce preparato da mio padre, pensai a cosa fare.



    Dopo una settimana un avviso comparve sulla porta dell'Ospedale, nelle bacheche in Amministrazione e persino sull'interno delle porte del Villaggio. Il primario di Kiri aveva bisogno di un assistente, anche se non ancora Genin, che avesse volontà e voglia di imparare le arti mediche.
    Nonché una buona pazienza.
    Ma quello non lo scrissi.
    I volenterosi potevano venire nell'ufficio del primario in ospedale.

    Laddove la volontà da sola non arrivava, un po' di pubblicità poteva.
     
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