Destino Incerto

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  1. Historia
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    Funerali
    Post I ~ Cordoglio



    Il Kinryu aveva ricevuto il permesso di tornare a casa solo il giorno precedente. L'ospedale l'aveva tenuto sotto stretta osservazione anche dopo che le sue ferite erano state sanate, per precauzione avevano detto i medici. D'altro canto non capitava spesso di precipitare dal cielo a causa di uno sconosciuto jutsu dimensionale e a conti fatti doveva anche reputarsi fortunato ad essersela cavata con solo tutte le ossa rotte. A differenza di personalità più eminenti, durante la lunga convalescenza non aveva ricevuto visite, se non quella di Kairi. Era stata l'unica a strapparlo per qualche minuto ai pensieri cupi che popolavano la sua mente mentre era bloccato a letto. Simile ad un attizzatoio, aveva rovistato tra le ceneri in cui era ridotto il suo animo, ravvivando la sua voglia di vivere e reagire che andava spegnendosi a poco a poco. Sebbene a fatica, si era rimesso in piedi, allontanandosi un passettino alla volta dal bordo del baratro in cui rischiava di cadere. Con estrema lentezza, facendo attenzione a non sforzare il suo corpo ancora fragile, il giovane si infilò la camicia nera, abbottonando un bottone dopo l'altro. Si aspettava che piovesse quel giorno, pioveva sempre ai funerali, quasi come se il cielo venisse invaso dalla tristezza di chi soffriva per la perdita e si unisse al suo pianto. Invece fuori brillava un sole caldo, quasi da inizio estate. Eppure lo spirito della Foglia era rivolto alla malinconia dell'autunno e al gelo dell'inverno. Il ragazzo prese la giacca dalla gruccia, con sguardo assente. La casa era completamente immersa nel silenzio. La sua famiglia era al sicuro, in qualche angolo remoto del Paese del Fuoco, noto solamente a lui e alle kitsune che vegliavano su di loro. Aveva affidato ad una volpe un breve messaggio, informando i genitori dell'attacco subito dal Villaggio e rassicurandoli sulle sue condizioni, omettendo i dettagli più preoccupanti. Quando la creatura era scomparsa in uno sbuffo di fumo, si era accasciato sulla poltrona, sentendosi in colpa per quel senso di sollievo che l'aveva pervaso nel saperli al sicuro. Guardandosi allo specchio, lo shinobi vide un'ombra scura, e non solo per la tonalità degli abiti. A passi stanchi si diresse verso il cimitero, mentre la porta di casa si richiudeva con uno scricchiolio sinistro dietro di lui.

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    Per l'evento si era riunita la folla delle grandi occasioni. Con un'attenzione non scontata, la prima fila era stata riservata alle famiglie delle più innocenti tra le vittime, i bambini. La mano sinistra di Shin si contrasse, così forte da fargli male. Poteva esserci sua sorella tra di loro, se non avesse avuto l'accortezza di farli partire prima che la situazione precipitasse. Era talmente esausto, sia fisicamente che psicologicamente, che tutto ciò che riusciva a provare era una rabbia sorda, indefinita, in fondo all'animo. Difficile dire poi contro chi dovesse essere indirizzata. Gli autori materiali dell'efferato attacco, senza dubbio, ma davvero non c'erano altri responsabili? Strinse il pugno fino a piantarsi le unghie nella carne, iniziando a perdere alcune gocce di sangue. Se stesso, ad esempio. Essere debole, questa era la sua colpa. Una voce risuonò nella sua testa, facendogli alzare il capo verso il palco dove erano allineate le lucide bare. A parlare era il capo del Villaggio, il decimo Hokage. L'uomo, il più forte shinobi di Konoha, la loro guida, aveva fallito, al pari di lui, e ne stava prendendo atto davanti a tutti. L'ondata dei suoi sentimenti travolse i presenti, violandone la volontà, costringendoli a piegarsi ancora una volta al dolore. Il Kinryu si strinse il petto all'altezza del cuore con la mano libera, sentendosi soffocare, mentre il braccio mancino disteso lungo il fianco fremeva. Da solo, in disparte, il genin ascoltò con freddezza il discorso dell'uomo. Non che non riconoscesse la verità delle sue affermazioni; il motivo era piuttosto un altro. Ogni commemorazione funebre, secondo il giovane, andava consumata in un'intimità raccolta, scevra da parole superflue, e quella cerimonia in particolare. Non appena ebbe finito vi fu spazio alle espressioni di cordoglio dell'intera comunità lì riunita. Il ragazzo si mise in fila quietamente, aspettando il suo turno per rendere un omaggio silenzioso ai defunti. Giunto davanti ai feretri si prese un momento per formulare una preghiera, augurando alle loro anime di trovare la pace. Cercò anche di chiedere loro scusa, ma la sua mente smise di funzionare, attraversata da un rumore bianco. Non c'erano parole adatte, o se c'erano si nascondevano in abissi remoti e celati ai mortali. Con gli occhi umidi, ma lo sguardo fermo, si inchinò profondamente davanti a ciascuna delle vittime di quella notte maledetta, lasciandosi poi trascinare via dalla folla addolorata che premeva alle sue spalle.
     
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