Destino Incerto

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    Magistra Vitae

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    Funerali
    Post I ~ Cordoglio



    Il Kinryu aveva ricevuto il permesso di tornare a casa solo il giorno precedente. L'ospedale l'aveva tenuto sotto stretta osservazione anche dopo che le sue ferite erano state sanate, per precauzione avevano detto i medici. D'altro canto non capitava spesso di precipitare dal cielo a causa di uno sconosciuto jutsu dimensionale e a conti fatti doveva anche reputarsi fortunato ad essersela cavata con solo tutte le ossa rotte. A differenza di personalità più eminenti, durante la lunga convalescenza non aveva ricevuto visite, se non quella di Kairi. Era stata l'unica a strapparlo per qualche minuto ai pensieri cupi che popolavano la sua mente mentre era bloccato a letto. Simile ad un attizzatoio, aveva rovistato tra le ceneri in cui era ridotto il suo animo, ravvivando la sua voglia di vivere e reagire che andava spegnendosi a poco a poco. Sebbene a fatica, si era rimesso in piedi, allontanandosi un passettino alla volta dal bordo del baratro in cui rischiava di cadere. Con estrema lentezza, facendo attenzione a non sforzare il suo corpo ancora fragile, il giovane si infilò la camicia nera, abbottonando un bottone dopo l'altro. Si aspettava che piovesse quel giorno, pioveva sempre ai funerali, quasi come se il cielo venisse invaso dalla tristezza di chi soffriva per la perdita e si unisse al suo pianto. Invece fuori brillava un sole caldo, quasi da inizio estate. Eppure lo spirito della Foglia era rivolto alla malinconia dell'autunno e al gelo dell'inverno. Il ragazzo prese la giacca dalla gruccia, con sguardo assente. La casa era completamente immersa nel silenzio. La sua famiglia era al sicuro, in qualche angolo remoto del Paese del Fuoco, noto solamente a lui e alle kitsune che vegliavano su di loro. Aveva affidato ad una volpe un breve messaggio, informando i genitori dell'attacco subito dal Villaggio e rassicurandoli sulle sue condizioni, omettendo i dettagli più preoccupanti. Quando la creatura era scomparsa in uno sbuffo di fumo, si era accasciato sulla poltrona, sentendosi in colpa per quel senso di sollievo che l'aveva pervaso nel saperli al sicuro. Guardandosi allo specchio, lo shinobi vide un'ombra scura, e non solo per la tonalità degli abiti. A passi stanchi si diresse verso il cimitero, mentre la porta di casa si richiudeva con uno scricchiolio sinistro dietro di lui.

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    Per l'evento si era riunita la folla delle grandi occasioni. Con un'attenzione non scontata, la prima fila era stata riservata alle famiglie delle più innocenti tra le vittime, i bambini. La mano sinistra di Shin si contrasse, così forte da fargli male. Poteva esserci sua sorella tra di loro, se non avesse avuto l'accortezza di farli partire prima che la situazione precipitasse. Era talmente esausto, sia fisicamente che psicologicamente, che tutto ciò che riusciva a provare era una rabbia sorda, indefinita, in fondo all'animo. Difficile dire poi contro chi dovesse essere indirizzata. Gli autori materiali dell'efferato attacco, senza dubbio, ma davvero non c'erano altri responsabili? Strinse il pugno fino a piantarsi le unghie nella carne, iniziando a perdere alcune gocce di sangue. Se stesso, ad esempio. Essere debole, questa era la sua colpa. Una voce risuonò nella sua testa, facendogli alzare il capo verso il palco dove erano allineate le lucide bare. A parlare era il capo del Villaggio, il decimo Hokage. L'uomo, il più forte shinobi di Konoha, la loro guida, aveva fallito, al pari di lui, e ne stava prendendo atto davanti a tutti. L'ondata dei suoi sentimenti travolse i presenti, violandone la volontà, costringendoli a piegarsi ancora una volta al dolore. Il Kinryu si strinse il petto all'altezza del cuore con la mano libera, sentendosi soffocare, mentre il braccio mancino disteso lungo il fianco fremeva. Da solo, in disparte, il genin ascoltò con freddezza il discorso dell'uomo. Non che non riconoscesse la verità delle sue affermazioni; il motivo era piuttosto un altro. Ogni commemorazione funebre, secondo il giovane, andava consumata in un'intimità raccolta, scevra da parole superflue, e quella cerimonia in particolare. Non appena ebbe finito vi fu spazio alle espressioni di cordoglio dell'intera comunità lì riunita. Il ragazzo si mise in fila quietamente, aspettando il suo turno per rendere un omaggio silenzioso ai defunti. Giunto davanti ai feretri si prese un momento per formulare una preghiera, augurando alle loro anime di trovare la pace. Cercò anche di chiedere loro scusa, ma la sua mente smise di funzionare, attraversata da un rumore bianco. Non c'erano parole adatte, o se c'erano si nascondevano in abissi remoti e celati ai mortali. Con gli occhi umidi, ma lo sguardo fermo, si inchinò profondamente davanti a ciascuna delle vittime di quella notte maledetta, lasciandosi poi trascinare via dalla folla addolorata che premeva alle sue spalle.
     
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    II


    Era quasi scontato che Raizen si ridestasse dal suo sonno di malumore, in fondo aveva da poco perso un braccio e doveva essere stata una notte per niente piacevole, ma Kiyomi non era certo il tipo da provare empatia; inoltre, era dell'idea che mostrare tristezza e compassione verso un ferito, non avrebbe fatto altro che peggiorare le cose. Quando vide il colosso infastidito dall'aria entrata dalla finestra, non poté far altro che notare la bizzarria di quella affermazione.
    AH, questa è nuova. L'hokage che non gradisce l'aria di Konoha, l'avranno inserita nella tua biografia. In ogni caso, non obiettò ed accontentò la sua richiesta, chiudendo la finestra.
    A questo punto, la domanda è d'obbligo: perchè sei rimasto tanto a lungo in questo villaggio se non ne sopporti neanche l'aria? E perchè, poi, diventare addirittura Hokage?
    Successivamente, all'uomo non sembrò dispiacere del dono fattogli, ma alla kunoichi sembrò che gli stesse chiedendo di sbucciargli i piccoli mandarini, e dopo una rapida occhiata perplessa sia a lui che all'alberello, gli rispose senza girarci troppo intorno.
    Non ti sbuccerò i mandarini, Raizen., fallo fare a un'infermiera.
    I due si misero a parlare degli avvenimenti di qualche sera prima, dove aveva avuto inizio tutto quello sconvolgimento nelle loro vite, e ciò riportò alla mente di Kiyomi i primi minuti di quel viaggio al palazzo del Daimyo, dove quei tizi mascherati la marchiarono con un simbolo. Quello che venne dopo fu abbastanza sconvolgente da realizzare, eppure non si scompose più di tanto, convinta che in ogni caso non c'era nessun motivo per cui stare a preoccuparsi.
    Oh, io sto bene, figurati, e non mi è rimasto nessun segno. Credo di aver perso i sensi dopo essere stata marchiata e mi sono risvegliata a poca distanza da Konoha.
    E' stata un'esperienza orribile. Ho dovuto buttare il vestito, le macchie d'erba non vanno via.
    Bè, che possiamo farci...si va avanti.

    La volpe non sembrò molto contenta che la grossa mano dell'omone si avvicinasse a lei, cominciando a ringhiare e tirare indietro la testa.
    Lascia perdere, non è domestica. Disse, mentre continuava ad accarezzarla senza problemi.
    Se l'uomo avesse continuato a mantenere il suo umore pessimo, Kiyomi non avrebbe esitato a farsi vedere un po' stufa, provando a risollevargli vagamente il morale.
    Oh, per l'amor del cielo, Raizen, tirati su. Hai perso un braccio, non è la fine del mondo. Figurati se non si rimedia ad una sciocchezza del genere con tutti i trucchi ninja che ci sono in giro.
    Inoltre non è certo colpa tua se è successo tutto quel putiferio e sono morte delle persone, non si possono combattere terroristi del genere da soli. Insomma, il villaggio è ancora in piedi, ci sarebbe potuta andare come a Kiri. E morto un daimyo, se ne fa un altro, non credo sia un problema.
    Fattene una ragione, la vita continua.

    Un po' di tatto in più non avrebbe fattoale di certo, ma a volte, forse era meglio affrontare la realtà dei fatti faccia a faccia, ed anche se non sarebbe stata una cosa gradevole, la ragazza era preparata ad una possibile sfuriata del suo interlocutore, non stupendosi se avesse dato di matto.
     
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    Dracarys

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    Destino Incerto


    7° post



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    Odiava i funerali con tutto il cuore...fortunatamente per lei era stato solo ad uno fino a quel momento, quello di sua madre, ma le era più che bastato. Tanto più che alla fine si era rivelato un falso funerale, un modo per suo padre e per le alte sfere del villaggio di coprire ciò che realmente era accaduto a Taka. Si poteva dire in qualche modo che quello fosse il suo primo...
    Per onorare le vittime nel modo più appropriato quel giorno aveva deciso di indossare il Mofuku, abito tradizionale utilizzato da secoli per quelle cerimonie, raccogliendo anche i lunghi capelli in un elegante concio. Uscita di casa non impiegò molto tempo ad arrivare al luogo prestabilito, assieme a lei molte altre persone, alcune mosse da puro e semplice cordoglio altre mosse forse principalmente dalla curiosità di capire meglio cosa fosse successo quel giorno. Arrivata al monumento ai caduti si mosse a passo spedito tra la folla: Shin era già lì e così la ragazza si avvicinò semplicemente a lui, portandosi al suo fianco ed accennando appena un sorriso quando lo vide Come stai? domando sotto voce: l'ultima volta che l'aveva visto era nel letto di ospedale con diverse ossa fratturate ma ora sembrava essersi ripreso, considerato il suo stare in piedi perfettamente. Non ebbero tuttavia tempo di parlare granché, la ragazza fu richiamata da un cenno della mano di suo padre: il clan chiamava ed in un'occasione simile gli Uchiha avevano deciso di presentarsi assieme a quella celebrazione, per indicare al villaggio come Konoha potesse contare su di loro in ogni momento. Dopo tutti quegli anni ancora lottavano per dimostrare quanto il loro passato fosse solo un pessimo ricordo Ora devo andare... senza dire altro si allontanò quindi dal Kinryuu fino a raggiungere gli altri membro del suo clan, posizionandosi di fianco a suo padre.

    Raizen fece ben presto la sua apparizione e nell'osservarlo Kairi sgranò gli occhi: non sapeva come fosse possibile, ma laddove qualche giorno prima vi era solo un moncone adesso si trovava un braccio sano ed intero, o almeno così sembrava attraverso gli scuri vestiti che portava.
    L'uomo non parlò, o perlomeno non lo fece aprendo bocca: i suoi pensieri arrivarono diretti nella loro mente, probabilmente grazie alla stessa capacità che Oda aveva utilizzato durante la loro missione. Quando poi un'ondata di tristezza, quasi di disperazione, la pervase strinse i pugni e digrignò i denti, tentando di trattenere le lacrime quando i suoi occhi si inumidirono reagendo a quella sensazione: guardandosi attorno, guardando Izuna e le persone poco distante da lei intuì come l'Hokage stesse trasmettendo quella sensazione a tutti i presenti, tentando di far capire oltre alle parole quale fosse il suo stato d'animo in quel momento. Kairi avrebbe volentieri evitato di provare quell'emozione così intensa che unita al suo stato d'animo quasi le strappò l'anima dal corpo, ma resistette alla tentazione di scappare ed andarsene il più velocemente possibile, rimanendo immobile in piedi mentre inevitabilmente una lacrima solcava il suo viso contro la sua volontà.

    Solo allora l'uomo decise infine di parlare e l'Uchiha ascoltò in silenzio le sue parole: non era sicura che sarebbero realmente bastate a consolare le famiglie che avevano perso un figlio, una madre, un padre o un fratello, ma il compito di un Hokage era quello di tenere unito il villaggio, di alimentare il fuoco dentro ogni abitante di Konoha e di impedire che si spegnesse. Sperò che in quel modo l'uomo fosse riuscito nel suo intendo, uno shinobi era addestrato per combattere e preparato alla possibilità di simili perdite (non che si potesse mai realmente esserlo...) ma per un civile la situazione doveva essere diversa, forse più difficile da digerire.
    Tuttavia quelle erano le conseguenze della guerra, e non erano che assaggi di ciò che poteva portare. Anche per quel motivo la kunoichi ripromise a se stessa che avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per evitare che una situazione simile si ripetesse nuovamente, nonostante il fallimento della loro missione al palazzo del daymo: avevano perso una battaglia, ma alla lunga Konoha avrebbe trionfato. Ma fu proprio mentre l'uomo più forte di Konoha parlava che la disperazione e la tristezza pian piano scomparvero, lasciando spazio ad altro, qualcosa che inizialmente la ragazza non seppe identificare: sentì del calore accendersi pian piano attorno a lei, quasi fossero dei piccoli focolai sparsi che andarono via via a farsi sempre più forti, più caldi. Fu al culmine del discorso che essi arrivarono al suo picco di calore, avvolgendo l'Uchiha di un sentimento di coesione e di unione che non aveva mai provato prima. Era dunque questo ciò che provava il colosso?
    Sorrise, concordando su quel pensiero: nessuno era solo, era vero, non a Konoha. Non sapeva come ragionassero gli altri villaggi ma era certa più che mai che nel paese del fuoco avrebbe sempre trovato un supporto, se lo avesse cercato, il che era uno dei motivi principali per cui non era ancora impazzita dopo aver scoperto tutte le cose riguardanti la sua famiglia e sua madre. Doveva molto a tutte le persone di quel villaggio...

    Quando Raizen si allontanò dal leggio la ragazza poi attese paziente assieme al resto del suo clan che i presenti porgessero i loro omaggi come preferivano ed infine si mosse assieme agli altri suoi consanguinei. Lei come tutti gli altri avevano portato con loro un crisantemo bianco per l'occasione ed avvicinandosi al monumento ad uno ad uno ogni membro del clan lasciò il fiore davanti ad esso, un dono, un piccolo simbolo per commemorare tutti i caduti.

    WhiteChrysanthemum



    Giunta al suo turno Kairi appoggiò l'omaggio davanti al monumento per poi fare un profondo inchino, lo stesso inchino che riservò ad una ad una a tutte le tombe presenti, pregando e promettendo mentalmente ai defunti che la loro morte non sarebbe rimasta vana, e che la perdonassero per ciò che era successo: in fondo era anche sua responsabilità l'accaduto, così come era responsabilità di ogni altro partecipante alla missione nel palazzo. Una volta finito sarebbe poi tornata fra il pubblico, in mezzo agli altri Uchiha, in attesa di sentire eventuali altri discorsi commemorativi: lei come il clan avevano deciso di onorare i caduti con il silenzio.




    Edited by Kairi Uchiha - 21/11/2017, 18:05
     
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    Pensato Asami


    Passarono diversi giorni dal suo ricovero in ospedale. Aveva subito diverse fratture su tutto il corpo dopo la tremenda “caduta”. Durante la convalescenza cercò una spiegazione a quello che successe quella sera. Ma i suoi ricordi furono spezzati da vuoti di memoria.
    In un attimo si ritrovò sospesa in aria pronta a schiantarsi su quella che sembrò ai suoi occhi Konoha. L‘attimo dopo si ritrovò dolorante e seduta sul terreno ricoperta di sangue, cercando di muoversi ma fallendo miseramente. Come misero fu il tentativo di raggiungere il suo alleato, Sho, che venne portato via da uno strano individuo. Al suo risveglio ricordò perfettamente quella scena che rimase impressa nella sua mente. Non poteva dimenticare. Oppure non voleva.
    Durante i giorni in ospedale, oltre alle varie visite quotidiane di suo zio, ce ne fu una inaspettata. Quella di una giovane ragazza dai capelli e occhi neri. Fortunatamente, quella volta, ricordò perfettamente il suo volto, nonostante i traumi ricevuti. Kairi fortunatamente stava bene, ma gli altri? E l’Hokage?

    [...]

    Le fasce che coprivano le sue braccia e le sue gambe furono tolte dopo gli ultimi accertamenti. Aveva passato troppi giorni all’interno di quella stanza monocolore e non vedeva l’ora di uscire. Guardò dall’unica finestra della stessa, cominciando ad osservare in un punto indefinito. L’unica cosa che vedeva non era il via vai di persone, che entravano e uscivano dalla struttura ospedaliera, ma la sua immagine riflessa sul vetro. La voce dello zio la portò nuovamente alla realtà, aspettando sulla soglia la genin dai capelli rossi. Il suo viso, caratterizzato il più delle volte da un’espressione spensierata, quella volta era teso come una corda di violino. Ma Asami non indagò poichè anche lei cominciò a provare esattamente le sue stesse emozioni.
    Una volta tornata a casa, mai immaginava di trovare gli ospiti che, molto probabilmente, aspettavano il suo ritorno. Entrambi eleganti ma i loro volti, confrontati tra di loro, avevano due espressioni totalmente diverse. Un volto femminile, che esprimeva solo ed esclusivamente preoccupazione, anche se incorniciato da un trucco più o meno naturale e da gioielli lussuosi. Lo stesso per i vestiti, decorati da fantasie floreali di mille colori e dal tessuto, forse, un pò troppo pregiato. L’altro volto maschile, a differenza di quello femminile, fu totalmente impassibile. Come i suoi vestiti, che non si spostarono di un millimetro non appena la ragazza entrò all’interno della lussuosa villa.
    Non credeva di trovare i suoi genitori, arrivati a Konoha in occasione del funerale del Daimyo. L’uomo, esponente di una nobile famiglia, aveva calpestato le strade di Konoha solo in occasione di grossi affari commerciali in vista. La presenza del fratello all’interno del villaggio era più che sufficiente, dal punto di vista dell’uomo. Ma in un'occasione del genere la presenza della nobile famiglia, almeno parte di essa, era indispensabile poichè resiedevano all’interno del paese. La giovane Hoshiyama non credeva nemmeno in una sua partecipazione, rimanendo di stucco quando vide la maestosa figura del padre. Nonostante ciò si era presentato al villaggio, con la sua consorte, anche con un comportamento piuttosto arrogante agli occhi della giovane donna, che nel frattempo si sentiva piuttosto amareggiata dagli episodi che aveva vissuto in prima persona. La Hoshiyama sapeva perfettamente che la presenza del padre all’interno del villaggio era forzato e che, in realtà, non vedeva l’ora di lasciare la città non appena finito il funerale.

    [...]

    Tutti gli esponenti, come vuole la tradizione, erano vestiti di nero. Numerosi avevano raggiunto il cimitero di Konoha per assistere al funerale delle vittime sacrificate quella sera. Perfino dei bambini non riuscirono a scampare dalla follia di Shiro e dei suoi aiutanti. Con lo sguardo cercò d’intravedere qualcuno dei ninja che parteciparono alla missione. Ma l’unica figura che vide fu quella dell’Hokage. Vestito di nero, come tutti i presenti al cimitero, pronto a salutare coloro che persero la vita. La diciannovenne osservava i volti affranti dei genitori dei pargoli uccisi. Non poteva nemmeno immaginare il loro dolore. Il suo senso di colpa non poteva superare quello degli uomini e donne che dovevano dire addio ad una parte di loro. E le parole del Kage di Konoha, che arrivarono dritte all’interno della sua mente, furono colme di tristezza tanto da riuscire a provare lo stesso sentimento del capo-villaggio. Una sensazione paragonabile ad un cuore ferito che in quel momento nessuno poteva colmare. Un peso sulle spalle che non poteva essere alleggerito.
    La voce dell’Hokage ruppe finalmente il silenzio, rivolgendosi alla popolazione.
    La tristezza man mano si trasformò in speranza legate anche alle ultime parole che il Kage rivolse non solo a coloro che furono colpiti da quella drammatica tragedia, ma anche agli shinobi demoralizzati dalla missione che fu tutto al di fuori di una vittoria. Un sacrificio che potevano guidare i guerrieri della foglia verso la vittoria contro il nemico che li aveva sconfitti, soprattutto psicologicamente.
    Parole servite per non cadere nella tristezza più totale ma per reagire, nonostante le complicazioni che ognuno di loro stava affrontando in quel momento. Ma quello che era successo quella sera non doveva essere un ostacolo ma uno sprono a non mollare. Per non arrendersi di fronte alle avversità della vita. Per non lottare mai per se stessi ma per gli altri.

    [...]

    Toccò alla famiglia Hoshiyama a commemorare le vittime. I quattro si avvicinarono alle diverse tombe, iniziando da quella della guardia del Daimyo. Una cascata di fiori, diversi l’uno con l’altro, che molto probabilmente cercò invano di fermare la minaccia in arrivo all’interno del palazzo.
    Per ognuno dei bambini uccisi, il gruppo lasciò una camelia. Mentre per il nobile Daimyo numerosi crisantemi per onorarne la figura. Alla vista della tomba funebre il volto dell’aspirante medico non cambiò minimamente.

    -La famiglia Hoshiyama vi ricorderà con affetto. Auguro, alla vostra anima, di riposare in pace.-

    A parlare fu suo zio Bumi, che in quel gruppo rappresentava l’esponente più anziano della famiglia Hoshiyama. Commemorò la perdita dell’uomo restando inchinato di fronte al monumento funebre. Asami si limitò ad un solenne inchino per poi unirsi alla preghiera.
    Guardò la tomba un’ultima volta prima di ritornare al suo postofare spazio ai prossimi che dovevano commemorarla. Ripensò alle ultime parole dell’Hokage. Nessuno era solo.

    §Nessuno lo sarà.§

    Una volta ritornati tra i nobili, la genin della foglia spostò lo sguardo verso il padre che sembrò in quel momento piuttosto pensieroso. Perchè aveva quell’espressione? Stava aspettando la fine della cerimonia per andare via dal villaggio? Oppure stava ripensando alle parole del capo-villaggio?
     
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    Quando vennero indetti i funerali fui uno dei primi a essere convocat, Raizen voleva unire gli shinobi rimasti far vedere che Konoha non era stata spezzata, o che perlomeno qualcuno aveva intenzione di rimettere insieme i cocci e mi disse che per parlare avrebbe utilizzato la comunicazione Mentale, ero stato ridotto al livello di un microfono, ma non mi importava.
    Mi presentai all’evento con abiti semplici, una casacca ninja nera e nessun ornamento, se trascuriamo il piccolo simbolo di Konoha, cucito in grigio sul petto, e il rosario che portavo sempre al collo. Mi ero rasato la barba, ma non ero riuscito a far niente per le occhiaie, ormai era molto che dormivo poco e male, ma probabilmente agli spiriti non sarebbe importato.

    Non appena tutte le varie famiglie fossero arrivate, attivai la tecnica della comunicazione mentale, modificando il sigillo mentre eseguivo il rituale, in modo da rendere possibile a Raizen la comunicazione con tutti gli altri invitati senza che io dovessi agire da centralino ogni volta.

    Trovavo che quello più che un funerale fosse diventato molto altro, era un evento mondano, gente che probabilmente fino a poco prima si sarebbe presa a coltellate, era tutta riunita lì in silenzio, ascoltando un Hokage di cui ormai non si fidava più.
    “Quanta ipocrisia, solo la metà di loro voleva bene al Daymio… e probabilmente meno della metà di loro vuole bene alla gente che vive qui…”
    Un pensiero rapido che girai a Raizen, avevo creato una stanza nella comunicazione Mentale attraverso cui solo io e lui potevamo comunicare, oltre la stanza principale attraverso cui Raizen parlava a tutti i presenti.
    Lasciai parlare Raizen, ascoltando distrattamente, era giusto piangere i morti, anche perché evitata tutta una serie di eventi spiacevoli come il ritorno di fantasmi assetati di sangue e simile, ma nessuno lì pensava ai vivi. Nessuno aveva pensato a Sho, ma io non potevo dimenticare che mio fratello era vivo, da qualche parte.

    Nessuno è solo

    “Sho lo è”
    Lasciai andare quel pensiero involontariamente, non aveva il tono di una ripicca, volevo soltanto riportare la mente di Raizen sulle cose importanti.

    Mi unii alla fila in direzione delle bare, giunsi le mani sussurrando una piccola preghiera, terminandola con un per favore, non tornate più. Io sorrisi. I bambini dal collo segnato di rosso mi sorrisero, per poi sparire, pazzesco che nessuno li riuscisse a vedere.
     
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    Tiro alla Fune


    Kiyomi
    - XXI -





    Lo sguardo con cui fissò Kiyomi non fu dei migliori, anche perché era evidente che ce l’aveva proprio con lei e con la sua voce, in quel momento sgradevole come una grattata di unghie sulla lavagna.
    Avrebbe potuto prenderlo in giro, avrebbe sopportato che rigirasse il dito sulla piaga riguardo la sua pessima condizione, forse era il momento giusto per insultarlo nella peggiore maniera che si potesse pensare senza ottenere alcun tipo di conseguenza.
    Ma Kiyomi aveva scelto di straparlare, di superare il gigantesco muro che separava l’accettabile dall’inaccettabile, soltanto dopo interminabili secondi di mutismo accompagnati dal suo sguardo, malinconico ma rabbioso avrebbe parlato.

    Esci di qui.

    Non aveva mai mostrato ostilità alla donna, nemmeno quando lei lo minacciò con un arma che gli aveva appena costruito, ma in quel momento era ben chiaro quando sgradevole trovasse la sua presenza, l’unica fra tutti coloro che erano entrati in quella stanza. Raizen non era di certo uno di quegli individui che poteva permettersi il lusso di scegliersi le amicizie, ma in quel momento era certo del fatto che dovesse tracciare una linea, per il bene di entrambi, stava a lei domandarsi cosa fosse successo e se potesse riparare alla valanga di sproloqui che ogni tanto si lasciava sfuggire o semplicemente uscire dalla porta.
    Un bel paio di tette non gli avrebbero certo concesso quel tipo di sconto.


     
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  7. Alkaid69
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    Non era riuscita ad alzarsi da sola quella mattina. Erano state le inservienti a doverla tirare su, di forza, lavarla, vestirla. Lei per tutto il tempo aveva avuto lo sguardo fisso nel vuoto, ora sul soffitto di legno, ora sul pavimento. Avevano dovuto imboccarle il riso in bianco della colazione. Aveva mangiato soltanto quello, poiché non sarebbe riuscita a tenere giù nient'altro. Aveva gli occhi gonfi dai pianti strazianti del giorno prima. Il suo Daimyo, il suo amato Kazutoshi era stato ucciso, morto e presto, prestissimo, anche sepolto. Voleva che seppellissero anche lei, lì, a due metri sotto terra... alla fine già vi si sentiva, lì sotto, quindi perché non farlo per davvero?
    Non si era sentita così neanche alla morte del suo caro marito Kunihiro Horikawa, così dolce eppure così ingenuo a non capire i sentimenti che lei covava per quell'uomo con il quale per così tante sere si era trattenuta, con la scusa di terminare l'uno o l'altro lavoro.

    E di cui adesso doveva assistere alla sepoltura.

    Vestita di nero, con i suoi due figli al seguito, Rukiya Horiyama si diresse al patibolo; già, perché di un patibolo per lei si trattava, quel cimitero: sembrava dovesse andare a morirci lei, in quel momento. Più dietro, seguiva l'altro, quel ragazzino così strano, così incomprensibile, che per qualche malsano motivo portava lo stesso nome del defunto padre. Lì, con quel suo solito sorriso! Un sorriso sotto il quale, lei lo sapeva, (ne era certa!) lui nascondeva la sua natura di demonio!
    No, stava esagerando, basta. Era il dolore che le metteva in testa quei pensieri. Quel bambino non aveva mai mostrato ostilità nei loro confronti, sempre così gentile e accomodante... qualche commento un po' strano ogni tanto, sì, certo, ma non per questo meritevole di pensieri così negativi, no. Lo guardò, aveva una smorfia stampata sul viso, simile a quella di chi sta cercando di trattenere una risata.

    Sospirò...

    Era in prima fila coi suoi... tre... figli, quando vide arrivare l'Hokage.
    L'Hokage... sì, non aveva capito cosa fosse successo quella maledetta notte, troppo complicato venirne a capo, ma da quello che le avevano detto era stata tutta colpa SUA e dei suoi piccoli seguaci ninja. Non bastava che il ragazzino di nome Kunihiro avesse voluto intraprendere quella carriera, sputando sulla tomba di suo padre, adesso questi anacronistici soldati le avevano sottratto anche l'ultima delle sue gioie.
    Accanto a quel riprorevole uomo, la bara, nera, oscura, malata. Al suo interno c'era lui, e lei già non riusciva più a trattenere le lacrime.

    L'Hokage terminò di parlare, e lei, non sapendo neanche come, si era trovata in ginocchio, a terra. Suo figlio maggiore tentava di tirarla su ma era come se un macigno le fosse atterrato addosso. Senza neanche più nessuno da odiare, aveva completamente perso le forze. Il discorso di quell'uomo le aveva dato l'ultimo colpo, aveva fatto cadere l'ultima minuscola goccia e adesso gli occhi non ne potevano più. Come nuvole nere ricolme d'acqua, impossibilitate a trattenerla oltre, dagli occhi cominciarono a grondare copiose lacrime, così a lungo trattenute quella mattina.
    Fu un verso struggente quello che riempì l'aria. Quasi non le sembrava sua quella voce, così estranea, così stridente eppure... così viva.

    Ma lui, lui era morto.
     
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    Rapporto complicato


    L'espressione minacciosa, il freddo silenzio e quelle poche parole dure e dirette avrebbero fatto intimidire chiunque. Ma non Kiyomi. La ragazza sostenne senza problemi quello sguardo fulminante, rimanendo sulla sua idea che il suo interlocutore avesse preso fin troppo male tutto quello che gli era successo; non perchè fosse una inguaribile ottimista, ma la sua visione della vita era ben diversa da quella di Raizen. E probabilmente da quello della maggior parte delle persone.
    Proprio non ci provi a stare meglio, eh?
    Era ovvio che il gigante stesse peggio del previsto, e la presenza di una persona come Kiyomi, non lo avrebbe certo aiutato a stare meglio. Per qualche motivo, aveva creduto che una sua visita avrebbe potuto in qualche modo tirarlo su di morale, ma a quanto pareva, si era fatta un'idea sbagliata del rapporto che c'era tra loro; forse non si conoscevano da così tanto da sopportare a vicenda i lati scorbutici e difficili dei loro caratteri, e la cosa la irritò non poco. Per nessun altro si sarebbe impegnata tanto, recandosi fino in ospedale per tenergli compagnia e portandogli addirittura dei doni per confortarlo, ma lui aveva scelto di rifiutare le sue attenzioni e concentrarsi unicamente sull'aspetto sgradevole di quella visita.
    Non c'era altro da aggiungere, quindi la ragazza fece scendere dalle sue ginocchia l'animale e si alzò, leggermente stizzita.
    Sai che c'è? Mi sa che sei troppo impegnato a rimuginare su quello che è accaduto, e credo che tu voglia rimanere da solo, quindi non voglio disturbarti oltre. Ho di meglio da fare, che andare a trovare dei depressi ingrati in questo posto dove rischio di beccarmi anche qualche malattia.
    E non preoccuparti, sono abituata ad essere definita antipatica, non me la sono certo presa.
    Aggiunse, mentre recuperava la propria borsa e si avvicinava alla porta, per poi aprirla, ma prima di uscire, tornò di scatto indietro e prese dalla sedia gli indumenti rossi che gli aveva portato.
    E mi riprendo anche il pigiama! Sì, perchè come una stupida, ho dedicato anche del tempo a cucirti un pigiama con della stoffa che avevo da parte, sprecando del tempo che avrei potuto utilizzare meglio per la mia attività. Mentre ne parlava, glielo agitò davanti agli occhi, prima di sistemarselo su un braccio, e Raizen avrebbe potuto notare lo stemma di konoha stampato sul davanti e il volto di una volpe ammiccante sul retro.
    La Saito si sentì abbastanza offesa per essere stata cacciata via dopo tutto l'impegno che aveva messo nei preparativi di quell'incontro, e anche se sapeva che l'hokage stesse affrontando un brutto momento e una crisi passeggera, aveva preso a male il fatto di non essere la benvenuta, abbandonando il colosso alla sua fredda e solitaria stanza, che sembrava preferire alla sua compagnia.
     
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    Empatia


    Kiyomi
    - XXII -





    Perché gli stava facendo una sfuriata?
    Era del tutto sicuro che quello con la vita distrutta fosse lui, quindi perché stava cercando di arroccarsi la ragione e prendersi il diritto di essere offesa?
    In trance l’avrebbe osservata mentre ronzava da una parte all’altra, starnazzando, reputandosi più ferita di quanto non fosse lui, distrutto e poggiato in quel letto come un giocattolo rotto a cui si tentava di ricaricare le batterie nella speranza che un miracolo lo ricomponesse.
    Si rese conto che ad avere bisogno d’aiuto, nonostante tutto, era Kiyomi, ma non riusciva a concedergli il beneficio di una risposta pacata o di un passo indietro, sentiva che indietreggiare in quel momento avrebbe indebolito il valore dei suoi legami con quelle persone, e non l’avrebbe mai accettato ne concesso, nemmeno a lei.

    Maledetta capra!
    Guardami!


    Si scoprì del tutto, lasciando che la donna potesse vedere cosa c’era sotto alle lenzuola, e no, non sarebbe stato un pene, ma ferite, tagli e abrasioni che seppur in via di guarigione segnavano profondamente il corpo del Colosso, per non parlare dei cavi che tenevano in trazione le fratture.
    Forse un individuo attaccato alla bellezza come lo era lei ora avrebbe potuto capire?

    LO NOTI?!?
    LO VEDI?!?
    MI HANNO MASTICATO E SPUTATO!


    Gli urlò contro senza il minimo ritegno.

    Per rimettermi addosso la coperta ci vogliono almeno tre tentativi.

    Disse sibilando.

    Io potevo ridurre un palazzo a polvere e calcinacci con una spallata.
    E guardami adesso.
    Se per errore la coperta mi scivola di dosso non riesco a rimettermela a modo!
    E tu, vieni qui, a dirmi che hai dovuto buttare un cazzo di vestito?
    Se potessi dovrei cambiare la pelle!
    Ho perso amici! Ho perso compagni! Ho perso discepoli!
    E non posso “andare avanti”, ignorarlo, che razza di squallido e schifoso essere sarei?
    Se queste cose non avessero importanza tanto varrebbe mettersi un cappio al collo e sparire, non varrebbe la pena vivere!


    Strinse la mandibola per ingoiare un insulto, ed era implicito che proprio per quel motivo non avrebbe ritrattato la sua richiesta.

    A volte non basta un mandarino, o un pigiama, Kiyomi.
    A volte si devono scegliere le parole con cura e non pensare che “tanto il pensiero basta”
    A volte si deve Essere, Per il prossimo.


    La rabbia sparì così com’era venuta, aggiungendo a quel pozzo senza fondo che ben rappresentava la sua situazione, il rapporto che aveva con quella donna: un distorto e superficiale scambio di apprezzamenti che si fermavano alla copertina del libro che li raccontava in quanto esseri senzienti e dotati di intelletto e sentimenti senza nemmeno sfogliarne l’indice. Patetico.



     
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    È colpa tua. Ratty

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    Qualche Avvertimento e un Funerale

    Curato? Ehi, io non ho curato proprio nessuno. Sono ancora dell'idea che sia stata Hebiko in qualche modo. Kappa sovrannaturali. Bah! Sbuffò quando venne sollevato quel punto, con un'insistenza tanto teatrale che nemmeno un bambino dell'asilo ci sarebbe potuto cascare, ma se non altro aveva sottolineato la sua versione. L'ingresso di Hebiko poi precipitò la situazione per qualche momento, finendo per aggiungere diverse etichette accanto al nome della segretaria nella mente dell'Amministratore...e ormai il danno era fatto, tanto che le proteste di lei gli entrarono da un orecchio e uscirono dall'altro.

    Un funerale, dici? Ah, si, il Daimyo. Mai visto... Si accigliò, per poi sgranare gli occhi con un pò di genuino terrore. Non è che inviti anche il Daimyo del Riso, vero? Dovrò procurarmi qualcosa per camuffarmi... Improvvisamente sovrappensiero, mentre il becco finto gli ondeggiava alla cintura, sembrò estraniarsi dall'ambiente circostante mentre elaborava squinternati piani di fuga casomai il viscido uomo-donna cercasse di avvicinarsi durante la cerimonia. Procurarsi dei vestiti non era difficile: le lucertole avevano dei cambi nelle loro tane ancestrali appositamente per l'occasione e poteva evocarle senza troppi problemi, ma lo stesso non si poteva dire di Hebiko. Tu decisamente non puoi venire vestita così...certi Hobby forse dovresti lasciarli a casa...non che io giudichi, eh. Vai a procurarteli, poi ci vediamo per decidere un alloggio. Ovviamente lui intendeva andare a casa di Raizen, ospite, e il "decidere un alloggio" indicava stabilire chi avrebbe dormito in quale letto, ma perchè essere chiari quando creare fraintendimenti involontari è molto più interessante? Questa almeno è l'opinione del narratore, sia chiaro.



    Abbandonato il Kage infermo, Febh trascorse buona parte della giornata a girovagare per Konoha, tanto che qualcuno ancora ripete che l'unica cosa peggiore dell'attacco di Cantha furono i giorni successivi, perchè sembrava che la sfortuna e i piccoli disastri si fossero moltiplicati, con case che crollavano, una muta di cani in fuga inseguiti da alcuni giaguari, svariati piccoli incendi che visti dall'alto tracciavano la scritta "E ora come la mettiamo, stupide stelle?" e un curioso episodio di una statua d'oro del Buddah trovata appesa a testa in giù in un pozzo con il cartello "Vendesi". Ovviamente lo Yakushi non aveva nulla a che fare con simili episodi.
    Assolutamente.

    Era venuto il momento del funerale. Funerale del quale in tutta onestà non gli poteva importare di meno, ma ormai era a Konoha e doveva fare come fanno i Konoh...i ninja della foglia. Indossato il suo (unico) abito buono in foggia occidentale, con una segretaria al fianco (si spera vestita un pò meglio) si era presentato nella sala dove si svolgeva la cerimonia, cercando di restare all'altro capo rispetto al Daimyo del Suono, se presente, in barba a etichette, protocolli, regolamenti o anche urla di richiamo, facendo orecchie da mercante se necessario. La bara del defunto leader non gli faceva né caldo né freddo, ma quelle dei bambini riuscirono a fargli fare una smorfia. Ammazzare bambini innocenti è qualcosa di immensamente stupido e inutilmente crudele. La morte è una conclusione, non porta a nulla...se fosse stato davvero intenzionato a creare danni avrebbe potuto rapirli e addestrarli per distruggere il villaggio, ma ucciderli, sprecare tutto quel potenziale, tutte quelle storie mai scritte, quello era qualcosa che meritava di essere punito senza alcuna pietà. Anche il rapimento sarebbe stato da punire, ovvio, ma almeno si poteva fare un plauso all'inventiva mentre si calpestavano i visceri di chi aveva perpetrato l'abominio, invece in questo caso la condanna era totale. Un appunto, Hebiko. Manda a promemoria che se incontro questo Shiro non devo ammazzarlo troppo in fretta. Un mese di dolore è poco, metti almeno sei mesi di tortura nella mia agenda. Lui non aveva un'agenda e Hebiko sicuramente non teneva un promemoria dei suoi impegni ma semplicemente glieli piazzava davanti e lo obbligava a rispettarli, ma gli suonava bene detta in quel momento, e a conti fatti era la frase più professionale e da Amministratore che Febh avesse mai pronunciato fino a quel momento.

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    Per il resto rimase perlopiù in silenzio. A volte persino sbadigliando mentre parlavano di ciò che era stato, e arrivando a sonnecchiare con un accenno di russamento...si svegliò solo quando prese la parola Raizen, a cerimonia già iniziata. Non era particolarmente interessato al suo discorso da perdente, e in effetti rimase comunque parecchio distratto, immaginando un omino che correva lungo le pareti della sala saltando dal battiscopa alle mensole e alle altre decorazioni, ma perlomeno non si mise a dormire. Non tanto per decenza ma perché non voleva essere svegliato da gomitate nei fianchi...era il modo peggiore per essere svegliati. Il suo essere del tutto distratto divenne evidente quando al "nessuno è solo" iniziò ad applaudire rumorosamente, da solo, invocando dopo poco un bis...prima di realizzare gli intenti omicidi di tutti e rallentare il battito fino a fermarlo. Poi si affrettò a uscire fischiettando, cercando (nella sua mente) di non dare nell'occhio. Probabilmente a Konoha non lo avrebbero visto di buon occhio per un pò...
     
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    Fare Presenza

    Non ero andato a trovare nessuno in ospedale. L'esistenza di Raizen ora che aveva rinunciato al titolo non mi interessava, non al di là di quanto mi interessasse come paziente da stabilizzare e, una volta consegnato a chi di dovere, non era più affar mio. Lo trovavo irritante e scorretto, detestabile, ma non c'era motivo di ucciderlo se non era il bersaglio. Certo, non ero andato a trovare nessuno, ma questo non significava che non fossi andato in ospedale. Tutti i ninja capaci nelle arti mediche, anche quelli ancora in formazione come me, erano stati precettati per gestire l'emergenza legata all'impatto delle rovine del palazzo e i numerosi feriti. Non ero andato a trovare Raizen, ma avevo prescritto antidolorifici per lui. Non ero andato a trovare Shin, ma durante alcuni momenti della sua operazione mi ero occupato della rigenerazione dei tessuti. Non ero andato a trovare Kairi, che non era stata ricoverata quanto altri, ma avevo prescritto io gli accertamenti dopo la dimissione. Ero stato là, silenzioso, in secondo piano.

    Perchè la Missione era sospesa.

    Almeno fino alla nomina di un nuovo Kage dovevo restare in disparte, vivere senza troppe complicazioni, anche se questo implicava allentare la presa su quelle che erano delle potenziali pedine. L'emergenza e il carico di lavoro annesso mi avevano dato l'opportunità di farlo, riuscendo anche a migliorare le mie conoscenze nel campo medico. Era la scusa ideale.
    Tuttavia un dubbio mi divorava nel silenzio del mio metodico e meccanico agire nell'ospedale: chi sarebbe stato il nuovo Kage? Forse qualcuno si sarebbe aspettato che mi chiedessi se avevo preso la scelta giusta nel salvare Raizen invece che ucciderlo, ma in realtà proprio quel dilemma per me era stato risolto quando lui, per sua stessa ammissione, aveva detto di non essere il Kage. Ce ne sarebbe stato uno nuovo. O forse avrebbero nuovamente scelto lui, sebbene a giudicare dalla sua cartella clinica credevo più probabile una carriera da mendicante che da shinobi...il suo sistema circolatorio del chakra era stato severamente compromesso, almeno quanto gli organi, e a Konoha nessuna aveva le capacità per rimettere in sesto un simile disastro. Chi poteva essere il nuovo Bersaglio? Cosa avrei fatto? Avrei fatto gli stessi errori di emotività che avevano segnato il mio rapporto con Raizen? E se fosse stata una donna? Potevo mettere in atto le manovre di seduzione che avevo appreso? Che nemico sarebbe stato? Quello che avevo preparato fino a quel momento sarebbe bastato? Sarebbe stato utile o avrei dovuto cominciare da capo? Oltre la nebbia della quotidianità, questo era ciò che mi dilaniava.

    Rimasi stupito quando, arrivando per il turno di notte, mi dissero che Raizen era stato dimesso e se ne era andato sulle sue gambe. Nessuna spiegazione. Una simile guarigione non aveva senso...che avessero coinvolto qualcuno di esterno a Konoha? Ma perché? Forse lo avrebbero nuovamente messo sotto il cappello dell'Hokage e avevano speso per rimetterlo in sesto. Quello sarebbe stato uno scenario decisamente irritante, ma almeno avrebbe posto fine all'attesa: senza un Kage, senza un Bersaglio, la Missione era priva di senso. E io ERO la Missione...vivere senza uno scopo era qualcosa che mi faceva male. Non chiusi occhio, anche se non ci furono urgenze. Cosa ne sarebbe stato di me se la mia paura più grande si fosse realizzata? Cosa sarebbe successo se NON avessero scelto un nuovo Kage? Cosa sarebbe rimasto di Yato Senju? Quel vuoto mi spaventava quasi quanto il mostro che mi rincorreva sempre, quel mostro incatenato che mi ricordava sempre quanto io fossi inadeguato e impotente di fronte alla Missione che era la mia vita.

    [...]

    Al funerale molti erano presenti. Io fissavo la bara del Daimyo e dei bambini uccisi. Il mio sguardo era triste, non per effettiva compartecipazione del cordoglio generale, ma perchè sentivo che in parte c'era anche il mio fallimento in quella missione. Non era la Missione fondamentale, non era la mia vita, ma era pur sempre una missione che era andata male, una missione in cui il bene di Konoha era stato messo a dura prova. Il mio scopo era uccidere l'Hokage per il bene di Konoha, questa l'unica certezza, l'unico punto fisso e indiscutibile della mia esistenza, per il quale mi avevano addestrato a non chiedere, ma piuttosto ad accettare come dogma. Ma se Konoha veniva distrutta, se il Daimyo veniva ucciso mettendo a repentaglio il villaggio stesso...forse la mia Missione non perdeva la sua ragion d'essere? Come potevo uccidere l'Hokage se un fallimento separava Konoha dal Paese del Fuoco. Era un fallimento bruciante. La morte del Daimyo poteva essere accettabile se usata come mezzo per uccidere il Bersaglio, preferibilmente come ultima ratio. Similmente i bambini uccisi erano un fallimento, ma solo per la perdita di potenziali pedine per il mio piano...i bambini smuovono spesso gli animi e sono utili come distrazioni per raggiungere il Bersaglio...tuttavia non conoscendoli la loro perdita mi lasciava pressoché indifferente. E nonostante tutto, il mio sguardo tradiva la profonda contrizione per gli errori commessi. Che gli altri la attribuissero pure al lutto, se volevano.

    Shin era presente, ristabilitosi. Anche Kairi, in abiti da cerimonia che mi ritrovai a fissare per qualche istante, forse finendo per farmi notare ma, in quel caso, sostenendo il suo sguardo. Anche l'altra kunoichi conosciuta durante la missione era presente, e le avrei fatto un cenno del capo. Avevo visto che era stata ricoverata e forse per questo, nonostante le capacità mediche, era stata esentata dal servizio attivo. Prestai poca attenzione agli altri partecipanti, perché Raizen stava prendendo la parola, veicolato da Oda, altro compagno di missione. Un Kage dimissionario, ai miei occhi, il cui fallimento poteva rappresentare la fine della sua carriera. Credevo fosse un borioso pieno di sé, e non sarebbe stato un discorsetto strappalacrime a farmi cambiare idea, ma pensavo anche che, proprio per il suo orgoglio, le sue parole in cui ammetteva di non essere un Kage fossero sincere. Sicuramente ci sarebbe stato un nuovo Daimyo scelto tra i nobili, e probabilmente questi avrebbe proposto un nuovo Kage, che i ninja potevano accettare o meno. L'elezione poteva anche partire direttamente dagli shinobi e dagli amministratori, ma nel caos del post-attacco dubitavo che qualcuno avrebbe votato per una persona che non aveva l'appoggio dei governanti. Poteva anche essere Raizen stesso, a conti fatti, confermato nonostante le notevoli mancanze che lui stesso stava ammettendo. Lo avrei scoperto solo in seguito.

    Intanto ero là per il Funerale. Ascoltai. Non commentai. Non risposi con l'entusiasmo di quel ridicolo ninja dagli occhiali finti poco lontano, che stava affianco alla rossa vista in sartoria. Mi limitai a fissare Raizen con gli occhi di chi SA che cosa lui stesso aveva ammesso. Fino a quel momento la mia ostilità era stata mascherata da motivazioni politiche, oltre che dal mio personale disgusto per quella persona, e non c'era motivo di metter via quella maschera. Mi avvicinai alle bare, e per quanto dispendioso in termini di chakra, produssi un fiore di legno per ciascuno di loro. Gigli per i bambini. Un garofano per il Daimyo. Era solo legno ma odorava come i fiori rappresentati, e l'odore non sarebbe scomparso prima di parecchio tempo. Un piccolo e inutile tentativo di calmare il senso di colpa.

    Ma dentro, tutto ciò che volevo sapere era cosa avrebbero deciso i nobili. La mia intera vita dipendeva da quello!
     
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    Il funerale


    VI



    Alla domanda di Raizen, la Vipera allargò le braccia frustrata, domandandosi se avesse alternative. L'Hokage gliene propose una, porgendogli la sua magliettina di poco prima, usata da tutti i pazienti. Hebiko arrossì di rabbia, lanciandogliela addosso:

    Così passo da escort in costume a passa scappata dal manicomio!! Dammi un giaccone e basta, che poi mi arrangio!

    Quando anche Febh la provocò con il commento sul suo "hobby", lei tirò il becco di anatra, stendendo l'elastico al massimo, per poi farglielo schiantare addosso, sibilando mostrandogli la lingua:

    Io ce l'ho un alloggio, trovatelo tu. Non penserai certo che condivideremo lo stesso letto.



    Il giorno del funerale, la rossa si presentò puntuale, al fianco dello Yakushi, con un appropriato abito per l'occasione. Il suo sguardo severo teneva d'occhio la situazione e Febh. Sperava che in un momento del genere potesse trattenersi, non sapeva come avrebbe potuto evitare che tutto il villaggio gli saltasse addosso se ne avesse combinata una delle sue. Al contrario dei suoi timori, l'Amministratore si mostrò più maturo di quanto non era mai stato (nella sua forma non-Oni, ovviamente), visibilmente infastidito dall'infanticidio appena accaduto. Lo osservò sorpresa, limitandosi ad annuire. La cosa le ricordò che, a detta di Raizen, il loro prossimo obiettivo sarebbe stato Oto. Potevano dirsi pronti, sapendo ciò che era successo? Se erano riusciti a mettere in ginocchio uno dei villaggi più potenti, che speranze avevano loro, un gruppo di shinobi egoisti che pensavano principalmente al proprio bene? Certo, di tanto in tanto erano riusciti a collaborare, seppur a fatica, ma una minaccia del genere era sicuramente peggiore di tutto ciò che avevano affrontato fino ad ora.
    Durante il discorso rimasero entrambi perlopiù in silenzio. L'inizio fu sufficientmente traumatico per tutti: un'aura di tristezza avvolse i presenti, costringendoli a sentire il peso di quelle perdite. Hebiko si toccò il viso, sentendo le lacrime scenderle, avvolta da un profondo senso si disagio. Pazientemente, accettò quella sensazione, limitandosi ad asciugare le lacrime, ascoltando in silenzio le parole di Raizen.
    L'applauso di Febh si fece sentire sopra il relogioso silenzio creatosi. La Vipera portò rapidamente un braccio in mezzo alle sue mani, facendogliele impattare sul tessuto per smorzare il suo applauso, nonostante il danno fosse ormai fatto. Lo avrebbe spinto con ben poca grazia, sudando freddo ed incitandolo ad andarsene piuttosto in fretta.
    Prima che Kairi potesse andarsene l'avrebbe incrociata, limitandosi a qualche parola gentile, e porgendole un biglietto, con l'invito ad uncontrarsi poco più tardi.

     
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    IV



    Le sue parole non riuscirono a convincere il Colosso, almeno in un primo momento. Ancora si addossava ogni colpa. Forse non era un gesto da sottovalutare: prendersi carico di certe responsabilità sigificava anche rendersi conto dei propri errori. Youkai continuava a pensare che si stesse colpevolizzando più del dovuto, ma non poteva certo costringerlo ad affrontare il problema come avrebbe fatto lui. Si sforzò di rispettare la sua decisione, leggermente deluso da se stesso per non essere nemmeno riuscito a risollevare il morale al proprio Hokage.
    Il ringraziamento gli fece alzare la testa, sorpreso. Forse qualcosa era riuscito a fare. Anche il solo il farlo rendere conto che non era solo poteva dirsi un ottimo traguardo. A Youkai sfuggì un sorrisetto, prima di alzarsi dalla sedia, congedandosi.

    Io vado. So che ci sono altre persone che aspettano una visita. ...Se dovessi aver bisogno, fammi sapere.


    Come tutti gli altri konohaniani, Youkai si sarebbe presentato al funerale, mantenendo un profilo basso. Ancora si vergognava nel venir chiamato "shinobi", non avendo partecipato a quella catastrofe. Forse la sua presenza avrebbe potuto cambiare le cose. Non riusciva a perdonarsi la sua assenza, doveva smetterla di tirarsi indietro ad ogni occasione. Desolato, sarebbe rimasto in disparte rispetto agli altri ninja, silenzioso, invisibile. L'Hokage prese ben presto parola, aiutato telepaticamente dal fratello di Sho, in quei giorni sulla bocca di tutti. L'aura di tristezza che avvolse il pubblico colpì anche lui, facendolo lacrimare contro la sua volontà. Si domandò se quella fosse una sensazione provata da Raizen o da Oda, essendo il secondo il creatore. Sicuramente perdere un membro della famiglia non doveva essere facile.
    Il silenzio calò tra i presenti, solo un leggero brusio, qualche sussurro di condoglianze, per i genitori delle vittime, bambini e Damiyo. Qualche voce però sembrava più forte delle altre, o solo più vicina. Youkai si voltò di scatto, sentendo un brivido sul collo. Giurava di aver sentito qualcuno parlargli, dicendogli che quello non era il suo posto. I suoi occhi porpora vagarono tra le persone, confusi: nessuno lo stava guardando. Insicuro di cosa fosse successo, credette di esserselo immaginato. Ultimamente si stava colpevolizzando parecchio, forse era solo la sua coscienza che voleva farlo sentire in colpa.

     
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    Orario di visite

    IV


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    La faccia di Kiyomi si pietrificò all'istante mentre si accingeva ad uscire dalla stanza, al suono di quelle crudeli ed offensive parole appena pronunciate da Raizen; nessuno si era mai permesso di chiamarla "capra" e la cosa fu tremendamente shockante, e se non fosse stato proprio Raizen, in quello stato, a proferirle, gli avrebbe già mozzato la testa. Anche se mal volentieri, accontentò la sua richiesta di voltarsi a guardarlo, e lui avrebbe potuto vedere il suo sguardo traboccante di furia omicida.

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    Dopo la sfuriata iniziale dell'hokage, i suoi muscoli facciali si distesero leggermente e la bocca si richiuse, restando ad ascoltare quel che avesse da dire, non battendo ciglio nemmeno quando gli mostrò le sue numerose ferite. Non c'era compassione nei suoi occhi, ma non perchè l'aveva appena insultata. Non era facile provare empatia per qualcuno, quando per la maggior parte della propria vita si pensa che l'unica cosa che conti è se stessi.
    Eppure lei era lì. Nessuno le aveva detto di andarlo a trovare, né nessun obbligo morale l'aveva fatta sentire in dovere di farlo, lo aveva fatto di sua spontanea volontà per vedere come stesse e cercare di tirarlo un po' su. Ma a quanto pareva, non era molto brava in quello e la reazione di Raizen riuscì a farglielo capire almeno in parte.

    Attese pazientemente che l'uomo finisse di parlare, per poi prendere parola in modo molto serio.
    "A volte bisogna Essere". Come al solito, straparli e ti dilunghi in frasi fatte ed inutili, e spesso e volentieri neanche ti capisco.
    Primo, non cercavo di certo di farti chiudere col passato portandoti una pianta. Si chiama "gesto di cortesia" e speravo ti potesse far piacere.
    E secondo...forse stai peggio di quanto pensassi. Non è il mio forte consolare le persone, non l'ho mai fatto e non posso capire come ti senti. Quindi è possibile che abbia esagerato.

    Continuando a parlare, si avvicinò lentamente al suo letto, e passo dopo passo, il suo tono di voce andava calmandosi.
    Speravo solo di farti distrarre dai tuoi pensieri per qualche minuto, ma forse non è il momento. Ci rivedremo quando starai meglio. Perchè tu starai meglio.
    Il mio consiglio non era quello di dimenticare, ma quello di accettare, perchè ciò che è fatto non si può cambiare.
    Dopo aver pronunciato quelle ultime parole, avrebbe preso un lembo del lenzuolo e lo avrebbe lanciato verso le spalle del degente, lasciandolo e facendo in modo che si posasse su di lui, andando a coprire il suo corpo mutilato, e il tutto senza distogliere mai lo sguardo serio dai suoi occhi. Non lo avrebbe mai ammesso neanche a sé stessa, ma in fondo quel gesto aveva un significato che si augurava gli arrivasse, ovvero che anche se perdeva tempo a lamentarsi, non era solo.
    E senza attendere un attimo di più, si sarebbe voltata per dirigersi verso la porta, solo per fermarsi e voltarsi nuovamente verso di lui dopo qualche passo, per urlargli contro tutta la sua rabbia e sbattergli in faccia il pigiama che gli aveva cucito.
    E TERZO, NON OSARE MAI PIU' DARMI DELLA CAPRA, SPORCO MAIALE! LA PROSSIMA VOLTA, TI AGGIUNGO ALTRI TAGLI ALLA TUA COLLEZIONE, SEI FORTUNATO CHE NON ABBIA PORTATO LA MIA SPADA!
    E detto ciò, se ne sarebbe andata senza ascoltare oltre, se il colosso avesso voluto aggiungere altro, seguita a ruota dalla piccola volpina.


    Edited by Yusnaan - 7/12/2017, 08:10
     
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    A Piccoli Passi


    Kiyomi
    -XXIII-




    Vide le emozioni attraversare il volto di Kiyomi, sapeva quali erano e cosa significavano, ma non le considerò, proseguì nel suo discorso, speranzoso che a qualcosa potesse portare.
    Ed inizialmente pensò realmente di aver colpito qualche nervo scoperto, ma dalle parole proferite forse era a malapena riuscito a fargli un grattino nel suo scudo di inviolabile perfezione, ma non la riprese, non aveva la voglia di combattere a stilettate per avere l’ultima parola, si limitò a sorridere, parzialmente soddisfatto di quell’energica grattata.
    Era una donna dopotutto, se avesse avuto voglia di ripensare a quell’episodio, di analizzare alle sue parole, sarebbe giunta ad una conclusione e magari a fare un passo in più verso la maturità richiesta dalla sua età.

    Così va già meglio.

    Commentò mentre chiudeva gli occhi, poggiandosi al cuscino.
    Quando la donna uscì il pollice scivolò sul dosatore degli antidolorifici e dopo poco fu buio e zero pensieri.


     
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