Sangue Blu

Corso Base per DarthFranz

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  1. Birbatron
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    I vantaggi dell'essere un hyuga erano di certo molti, ma il ragazzino era stato men che meno viziato. Anzi. Sembrava quasi, se non fosse per il cognome importante e per i vestiti di lusso per l'occasione, un ragazzo di una famiglia di ceto medio-basso.
    Non gli era stata concessa nessuna scorciatoia, aveva ricevuto tutto il peso della nobiltà senza i privilegi.

    Non che la cosa gli pesasse, evidentemente: non sembrava avere tempo per preoccuparsi di queste cose. Gonfiò il petto ed attese risposte, crucciando la fronte quando udì il suo istruttore ridere. Non capiva.

    Ho detto qualcosa di sbagliato?

    Domandò incerto, inarcando un sopracciglio con fare curioso: a differenza sua, sembrava che tutti avessero i capelli neri. Jin li aveva bianchi, come quelli di un vecchio o di un albino. Anche il colore degli occhi era stranamente acceso: un violaceo piuttosto chiaro. La pelle quasi candida, una pecora nera in mezzo a pecore bianche. Ne andava fiero, però.

    Ah!

    Esclamò poi, allungando il collo ed osservando la carrozza, con sguardo sorpreso: gli occhi si illuminarono ed una generale eccitazione prese il sopravvento del volto altrimenti rigido del ragazzo.

    Non ho mai viaggiato in carrozza!

    Confessò con un pelo di vergogna, arrossendo e piegando il capo. Lo infossò fra le scapole, come a volersi nascondere, per poi correre veloce verso la carrozza. Vi salì rapidamente, visibilmente eccitato, sedendosi il più possibile vicino al finestrino, qual'ora ve ne fosse stato uno. L'odore del tacchino riempì l'aria rapidamente, e fu quasi con timore che ne chiese un pezzo. Non era abituato, aveva vissuto come un ragazzo qualsiasi fino ad ora, nonostante il retaggio nobile della famiglia. Si cambiò rapidamente nel suo vestito da cerimonia,
    doveva -in fondo- solo infilarsi un kimono di seta blu sopra il mondano abbigliamento da studente: stretto in vita per non impedire i movimenti.

    Ascoltò attentamente le parole del superiore, intervallando ad esse una breve masticata della coscia, visibilmente affamato. Forse non aveva neanche fatto colazione.

    Fare da scorta?

    Chiese sorpreso, indugiando

    Scusi la domanda, ma perché non avete chiamato un genin o un chunin? Non credete...si insomma, che sia troppo pericoloso per uno studente?

    Abbassò lo sguardo, aggiungendo come a voler riparare ad un torto

    Non che non sia onorato! Tutt'altro! E' solo che...hanno attentato alla vita della signora, no? Ho paura di lasciarci la pelle.

    Confessò, calando di nuovo gli occhi e poggiando il capo sullo schienale, visibilmente preoccupato. Non era mai stato messo in una situazione simile, prima d'ora.
    Divertirsi? Davvero poteva?

    [...]

    Arrivarono con quindici minuti di ritardo, ma non ci fece troppo caso: la sua mente era occupata da altro.
    Lo sguardo era teso, e come biasimarlo? Era solo un ragazzino, buttato a forza in una possibile situazione di vita o di morte. O almeno, così lui l'aveva intesa.
    Le iridi saettavano da una parte all'altra, sempre sul chi vive, il corpo tutto era rigido e pronto all'azione. Calmarsi? E come?
    L'edificio era fin troppo protetto, e ciò non faceva che accrescere i timori del giovane studente: quelle mura, anziché ispirare fiducia e protezione, evocavano pericolo. Perché mai, in fondo, avrebbero dovuto erigere mura, se non per difendersi?

    Tutta quella gente. Troppa. Forse era paranoico, forse no, ma sarebbe stato facile infiltrarsi senza farsi vedere. Troppi ospiti.

    Non sarebbe stato meglio fare un matrimonio per poche persone?
    Non voglio sembrare irrispettoso, ma se è come dite...sarebbe facile intrufolarsi. Non credo che ci si ricordi di ogni singolo invitato.


    Vociò verso Ryuuji con tono preoccupato ma nondimeno cortese, abbassando il tono per evitare di farsi sentire dagli altri.
    Era visibilmente preoccupato, ma cercò di ricacciare i timori dentro di sé, non voleva fare brutta figura!
    L'odore delle piante e dei fiori, poi, contribuì a renderlo un tantino più quieto. Le orecchie sempre rizzate, però: non si sa mai.

    Principessa Hanabira.

    Vociò quindi il ragazzino, improvvisando un inchino: mano destra sul cuore, sinistra dietro la schiena, busto leggermente inclinato verso il basso: come gli avevano insegnato a casa.
    Il tono calmo e riverente, lo sguardo carico di orgoglio ma di rispetto allo stesso tempo, sorrise infine, entrando dentro al palazzo.
    Tanto rosa, troppo.

    [...]

    Non ci volle molto prima che gli venissero assegnati compiti. Fu un sollievo per lui: occupare la mente con altre faccende lo avrebbe aiutato a dimenticarsi del vero motivo per cui era qui.
    O almeno, così pensava.

    Non disse nulla a Ryuuji, annuì convinto e sorrise, incamminandosi verso il giardino con aria tranquilla e vogliosa di mettersi in gioco.
    L'aria fresca, il profumo, sempre meglio del rosa accecante all'interno del castello. Lo trovava pacchiano, ma non avrebbe mai osato mettere in discussione i gusti della principessa.
    Non gli ci volle molto per trovare la zona: gente indaffarata ogni dove, ma un piccolo ammasso s'era formato laddove doveva essere montato il gazebo: non è un lavoro per quattro persone, insomma.

    Ivi si diresse, tenendo occhi ed orecchie aperte durante il tragitto: ogni cosa, ogni minimo particolare, suono, odore. Non gli importava cosa nello specifico, lui voleva prestare attenzione a tutto. O almeno, voleva provarci.
    Occupare la mente con altro, evidentemente, non era così utile.

    Salve, serve una mano?

    Chiese quindi, presentandosi con un sorriso ai servitori, alzando pelo pelo la mano sinistra. Non v'era superiorità nel suo tono di voce, e lo sguardo era il suo solito: orgoglioso ma rispettoso, carico di quella fermezza che solo sangue nobile può dare (o una buona dose di disciplina paterna, in alternativa). Il petto si gonfiò un poco, e senza neanche attendere si fiondò nel mezzo dei preparativi, aiutando per come avesse potuto: passare cavi? L'avrebbe fatto. Legare, segare, incollare? Non avrebbe rifiutato. Tirare la stoffa, cucirla, montare i paletti nel terreno? Non si sarebbe tirato indietro. Portare bevande, cibi o quant'altro? Non l'avrebbe considerato sopra di lui.

    E se fosse scappata qualche domanda, non sarebbe stato tempo sprecato.

    Ho saputo della principessa, gran brutta storia. Mi sembra una donna gentile, perché le stanno alle costole?

    Chiese ad uno, mentre gli passava un bicchiere d'acqua

    La principessa è una gran signora, elegante e gentile! Una vera nobildonna!

    Sentenziò verso un secondo, mentre si dava da fare per montare i sostegni della tenda, cercando di carpire informazioni dall'eventuale risposta. L'espressione, il tono, le parole. Sarebbe stato schivo? Accondiscendente? Avrebbe fatto scena muta, oppure -perché no- gli avrebbe confidato qualcosina?

    Questo posto è sperduto! Non potevate farlo a konoha?

    Domandò anche, cercando di integrare ogni domanda nella conversazione come se fosse naturale. Che male c'era, in fondo, ad essere ciarlieri?

    Cercò anche di sfruttare la ricerca dei gatti: un posto sbagliato di qua, uno di là. Magari un'orecchio troppo teso, uno sguardo fugace verso questa o quell'altra zona.
    E se gli avessero detto qualcosa? Non conosce il castello, s'era sbagliato, non avrebbe ricommesso lo stesso errore!

    Uno Shinobi, in fondo, deve essere sempre pronto a raccattare informazioni.

    [...]

    E così la giornata passò, ed arrivò la sera.
    Se avesse avuto qualche informazione degna di nota non avrebbe perso tempo, la sera stessa: si sarebbe annotato tutto su un piccolo diario, ed avrebbe passato il resto del tempo ad analizzare eventuali indizi o tasselli (sempre che ve ne fossero).

    In caso contrario avrebbe semplicemente dormito, preparandosi al giorno successivo.
     
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16 replies since 21/1/2018, 23:06   249 views
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