Punti di VistaFree con Murasaki

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    Punti di Vista


    VIII


    Il corridoio in cui i due uomini l'avevano condotta era freddo e umido, la sua oscurità interrotta solo da delle torce ancorate ai muri. Dietro ai due individui, appena rivelatisi quali probabili compagni di Oboro, Murasaki si muoveva silenziosamente, mentre l'aria attorno a loro risuonava satura dei passi del trio contro la dura pietra.

    Cosa sta accadendo?

    Un pensiero fisso si agitava nella mente della Hyuga, rimbalzando fra le immagini sfocate degli avvenimenti delle ultime ventiquattro ore. Una squadra di shinobi scomparsi, lei e Oboro nel bosco, i due uomini al bar... Poi l'esplosione, le ferite, il dolore. Tutto questo l'aveva condotta lì, in quel freddo e umido corridoio, preceduta da due uomini inquietanti e al contempo rassicuranti.

    Mentre tu e il clone della Vespa fungevate da esca per attirare l'attenzione dei fuggitivi, abbiamo trovato e bloccato i responsabili della trappola in cui sei caduta. Sono oltre questa porta. Lei è già con loro.
    Lei.

    Murasaki annuì con aria greve, mentre l'uomo si apprestava ad aprire la pesante porta di fronte a loro. La ragazza deglutì, indugiando con lo sguardo sulla figura ammantata che voltava loro le spalle. Un misto di sollievo e rabbia bruciò nello stomaco della Hyuga. Prepotente le tornò in mente l'immagine della casa nel bosco, dell'esplosione che pareva aver inghiottito per sempre la sua maestra. Delle lacrime che la giovane aveva versato per lei. Vederla lì, ferma e stoica come sempre era stata, mentre le viscere di Murasaki si contorcevano per la voglia di afferrarla e urlarle in faccia tutto il suo dolore e la sua gioia, non fece altro che rimarcare la differenza di maturità ed esperienza fra le due. La Hyuga ne era consapevole, ma questo non rendeva il tutto più semplice.

    La odio? La ammiro?

    Quando la donna la invitò a farsi avanti, Murasaki le si piazzò di fianco, mettendo a fuoco per la prima volta le figure dei due prigionieri. Rivoli di sangue colavano, scuri e densi, dal punto in cui le manette stringevano i loro polsi. Entrambi parevano privi di sensi, i volti piegati in avanti e il respiro regolare, che terminava in un rantolo soffocato. Il ventre della donna era deformato e tumefatto; alla ragazza ci volle qualche istante per realizzare che la prigioniera doveva essere incinta. Aveva qualche lontano ricordo della seconda gravidanza di sua madre, la rivedeva mentre felice si accarezzava la pancia, cercando di spiegarle in che modo il suo corpo stesse cambiando. L'evidente dissonanza fra le due situazioni fece nascere un sentimento d'urgenza nel petto di Murasaki. Cosa ci faceva una donna incinta in tale situazione, perché era tenuta prigioniera?

    I due individui che hai erroneamente accusato, e che ti hanno fiutata per la Hyuga che sei, nel momento esatto in cui ci siamo divise precedentemente stamattina, sono miei sottoposti. Calabrone e Fuco. Sono stati loro a passare al villaggio le informazioni riguardo i nostri fuggitivi. Fuggitivi che ora posso presentarti. Toru, e Kayato. I due genin che hai davanti hanno indugiato in una relazione intima, come puoi ben vedere. Il che, di per sè, non è minimamente un problema per il villaggio.
    Lo diventa se cercano di uccidere un compagno per venderne il corpo a un villaggio nemico, e scappare col malloppo.

    Murasaki guardò Oboro, cercando di comprenderne lo stato d'animo. Ma come sempre la donna appariva distante, coperta da quella sua maschera così impenetrabile.

    Uccidere un proprio compagno?
    Cosa sta accadendo?

    Quando il fuggitivo parlò, parve che la sua voce provenisse direttamente dall'oltretomba. Vi era come un sibilo nelle sue parole, un rantolo che accompagnava le sue urla disperate. Anche i suoi occhi erano quelli di un fantasma. Quando urlò le sue ragioni, Murasaki fece istintivamente un passo indietro.

    NON SIAMO TRADITORI, HO DOVUTO DIFENDERMI, HO DOVUTO DIFENDERE MIO FIGLIO, HO DOVUTO UCCIDERLO!

    Un brivido percorse la schiena della ragazza, che di fronte a tale disperazione non potè far altro che aprire la bocca, per poi richiuderla subito. Avrebbe voluto parlare, avrebbe voluto chiedere e comprendere. Ma non riuscì ad articolare alcun suono. Poi, Oboro le porse il fodero di una spada. In quel momento, con orrore, capì.

    Siete colpevoli di diserzione. Dell'omicidio di un compagno di squadra, e di aver teso una trappola che avrebbe ucciso altri ninja della Foglia che avessero cercato di trovarvi. Siete condannati a morte.

    Il tempo parve fermarsi non appena Oboro ebbe scandito quell'ultima parola. Il risuonare metallico della parola morte rimbombò per tutta la stanza, riempiendo l'ambiente di freddo terrore. Murasaki continuava a fissare l'arma, mentre in sottofondo le grida dei due prigionieri si facevano sempre più alte e disperate. Imploravano, per la loro vita e per quella del loro figlio non nato. La ragazza guardò l'ANBU di fianco a lei, scuotendo la testa e levando ad essa una preghiera silenziosa.

    Ti prego, non me.

    Sapeva ciò che stava per accadere ancor prima che Oboro aprisse bocca. Una smorfia di disperazione e orrore si dipinse sul volto della giovane, distorcendone i lineamenti fini e gentili. Poi, la maestra parlò nuovamente.

    Per un ninja non ci sono punti di vista. C'è la giustizia del villaggio, e ci sono obiettivi. L'obiettivo della tua missione oggi, è di porre fine a queste vite.

    Tutto divenne tenebra. Murasaki indietreggiò appena, mentre ogni fibra del suo corpo lottava per portarla via, lontana da quella stanza, lontana da quella decisione. Come se avesse di fronte una bestia feroce, un atavico istinto di fuga di impossessò della ragazza. Eppure, qualcosa la costrinse a non muoversi, a non compiere quel passo che l'avrebbe salvata. Inspirò, allungando il braccio e afferrando la spada. Lentamente, rimosse il fodero. Una wakizashi, del tutto simile a quella che aveva conquistato durante la sua prima missione con Oboro, comparve sotto al suo sguardo, mentre il riflesso della luce emanata dalle torce ne accendeva la lama di un color sangue.

    Punti di vista.

    In sottofondo, i lamenti dei due prigionieri continuavano. Ora erano diretti a lei, un misto di insulti e suppliche che risuonava alto, facendo vibrare ogni muscolo, ogni nervo, ogni cellula della giovane. Poteva sentire ondate di odio e disperazione investirla, portarla al largo, lontano da lì, e poi ritrascinarla con prepotenza di fronte ai due condannati. Lei, giudice e carnefice, stava forse simpatizzando con le vittime? Guardò ancora i due, concentrandosi stavolta sulla donna. Il suo pianto sommesso le ricordò quello della madre, il giorno in cui Tomoe era stata marchiata dal sigillo maledetto degli Hyuga. I suoi capelli corti e scompigliati, di un castano quasi cioccolato, le fecero per un momento pensare che di fronte a lei, prostrata dal dolore, vi fosse proprio la sorella. Poi, la fuggitiva alzò lo sguardo, puntando i propri occhi su quelli della Hyuga. In quello sguardo, Murasaki rivide infine sé stessa. Amore, preoccupazione, disperazione. Non c'era cattiveria, in quegli occhi. Solo paura, tanta quanta, era sicura, se ne potesse leggere nei propri.

    Obbiettivi.

    Spostò lo sguardo, prima sui tre ANBU presenti nella stanza, poi sulla wakizashi e su sé stessa. Quali erano i loro obbiettivi? Aveva visto il volto sfigurato di Oboro, aveva percepito quanto la vita da shinobi l'avesse forgiata, cambiata, destabilizzata. Non aveva ancora capito se questo cambiamento fosse avvenuto in meglio o in peggio. Ma ora, mentre in mano stringeva la sentenza capitale di due sconosciuti - anzi tre - l'aveva finalmente capito. Negativo. Il cambiamento era, e sarebbe stato, in senso negativo. Guardare quella wakizashi le parve equivalente al guardare l'abisso, in precario equilibrio sul ciglio di un precipizio. Eppure, qualcosa dentro di lei era fatalmente attratto dall'ignoto che tale abisso rappresentava. Durante la sua prima missione, quando per la prima volta aveva tolto la vita a qualcuno, aveva compiuto il suo primo passo verso il vuoto. Tuttavia, aveva giustificato la scarica d'adrenalina che aveva provato, attribuendola al fatto che la sua vittima l'aveva attaccata, mettendo in pericolo la sua giovane vita e facendola reagire. Ora, che scusa aveva per giustificare l'attrattiva che l'arma esercitava su di lei?

    La giustizia del villaggio.

    Lo stava facendo per il villaggio? Per la persona che i due fuggiaschi avevano ucciso? Quanto valeva una vita, quanto valevano tre vite - di cui una necessariamente innocente? Non aveva strumenti per conoscere ulteriormente la situazione, doveva affidarsi alle parole di Oboro e alle leggi degli uomini, che da centinaia di anni regolavano i rapporti tra essi. Chi era lei per ribellarsi ad un ordine? Pensare di disubbidire ad un'indicazione diretta di un superiore le procurava un dolore quasi fisico. Al solo pensarci, vedeva il volto severo del padre, i suoi occhi bianchi e inespressivi, accesi però da un sentimento di disgusto. Non poteva, non voleva disubbidire. Murasaki Hyuga era un soldato, prima una Hyuga, poi una shinobi di Konoha. Nata per proteggere, destinata a guidare, non v'era possibilità che due sconosciuti la smuovessero dalle sue prerogative.

    Fine.

    Avvenne tutto in un attimo. Murasaki chiuse gli occhi, chiedendo perdono a chiunque avrebbe dovuto giudicare la sua anima, chiedendo perdono a sé stessa, e all'innocenza che stava per sacrificare per un bene superiore. Infine, chiese perdono all'anima del non-nato. Il suo tempo fra gli umani era stato breve e crudele, e la Hyuga ne avrebbe portato il peso per sempre. Poi si avvicinò all'uomo, puntando la wakizashi alla sua tempia.

    È finita, non soffrirete più.

    Sussurrò, conficcando con un rapido movimento la spada nel cranio dell'uomo. Non avrebbe sofferto, o almeno così sperava. Le urla della donna riempirono la stanza del nome dell'uomo. Quando però Murasaki fu di fronte a lei, la fuggitiva si azzittì, puntando gli occhi iniettati di sangue verso la Hyuga.

    Che tu sia maledetta, ragazzina. Che tu possa non dimenticare mai questi occhi, e ciò che ci hai fatto. Non dormirai mai più sonni tranquilli, non ci sarà una notte in cui il nostro ricordo non ti tormenterà. La mia sofferenza finisce qui, la tua è appena iniziata.

    Il corpo della donna venne scosso da un'intensa e inquietante risata, che terminò bruscamente quando Murasaki ne terminò l'esistenza.

    È finita.

    Indietreggiò, lasciando cadere la spada insanguinata. Alzò le mani, e vide che tremavano, insozzate di sangue e cervella. Sentì le gambe cedere, e in un momento si ritrovò a terra, in ginocchio. Le sembrò che tutto attorno a lei grondasse di sangue. Colava dalle pareti, veloce e scuro, accumulandosi per terra. Le parve di soffocare, mentre il livello del sangue cresceva e cresceva, sommergendola. Le riempì le orecchie, la bocca, gli occhi. Poteva sentire il suo sapore metallico farsi strada prepotentemente nella sua gola. Poi, qualcuno la scosse, riportandola alla realtà. La stanza era quella di prima, fredda e buia. L'unica cosa che differiva era l'irreale silenzio che vi regnava. Guardò Oboro, mentre un'unica lacrima silenziosa le solcò il viso, lasciando una traccia umida sulla bianca pelle della giovane.

    Ho bisogno di andare a casa.



    Edited by Filira - 18/7/2018, 12:25
     
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    [9]



    La Vespa recuperò la spada, pulendola al suo mantello, dal quale gocciolarono residui appena estratti dai corpi dei due traditori, quindi rinfoderò la spada, e la nascose sotto alla veste scura. Schioccò le dita, e i due seguaci si occuparono di recuperare i corpi dei due ex ninja, per rimuoverli, scomparendo con i cadaveri in spalla, oltre la seconda porta di ferro, che conduceva in un altro corridoio buio, nel quale Murasaki non avrebbe scorto alcun dettaglio.
    Quel corridoio conduceva alla base della Radice sotto la Foglia, e un giorno forse, anche la giovane Hyuga l'avrebbe percorso.
    Oboro asciugò la lacrima sul volto della ragazzina, che ancora non sembrava smettere di tremare, strusciando un pollice sul suo volto, per poi rivolgerle delle parole, con la solita voce metallica.

    Oggi hai agito bene, andiamo a casa.

    Quindi, senza troppi ulteriori convenevoli, precedette Murasaki nell'uscire dallo stesso luogo cui erano giunte in precedenza, per tornare nuovamente al bar, e lasciare Otafuku, con il sangue dei due ninja, ancora fresco sul pavimento di quella stanza buia. Al loro passaggio le torce si spensero, e il proprietario del bar aprì la botola al loro arrivo, salutando la Vespa con un cenno del capo, per poi richiudere tutto una volta che fossero uscite. Il viaggio di ritorno sarebbe stato molto più rapido. Oboro non avrebbe perso tempo in chiacchiere e si sarebbe diretta verso la Foglia, ad una velocità minimamente sufficiente per non lasciare la ragazza indietro, alla quale non disse nulla per tutto il tempo. Che volesse ignorarla, o semplicemente per lei non era avvenuto nulla di cui parlare? Forse un giorno, Murasaki avrebbe potuto comprendere meglio la sua sensei, ma non era ancora il momento.
    Arrivate alla Foglia, le due si sarebbero salutate all'entrata del villaggio. Oboro le avrebbe rivolto un cenno del capo, per poi scomparire nella folla di chi arrivava e partiva da Konoha, parendo nel nulla, con un saluto accennato, come se non ci fosse stato nient'altro da aggiungere.

    [...]

    Giunta alla tenuta, avrebbe trovato solo il padre, essendo gli altri parenti impegnati in giro per il villaggio. Trovando la figlia di ritorno dalla missione, e notando il suo stato, l'avrebbe accolta con un abbraccio, e avrebbe scambiato con lei tutte le parole di cui la ragazza avrebbe avuto bisogno, anche se tale fossero state concretizzate in un totale silenzio. Quindi, avrebbe raggiunto un'altra stanza della casa, invitandola ad attendere, per poi tornare con un fodero. Era di legno nero, con una wakizashi al suo interno. Murasaki l'avrebbe riconosciuta subito.

    - Un dono per te dagli Anbu, per la missione ben riuscita, assieme a questa. -

    Disse il padre aggiungendo anche una busta chiusa. La lettera recitava:

    CITAZIONE

    "Ha ucciso la tua innocenza, che uccida anche i tuoi nemici. Usala bene. "


     
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    IX



    Il tocco di Oboro risultò freddo e duro a contatto con la morbida pelle della ragazza, che accolse con sollievo quel minimale contatto umano. Se avesse potuto, si sarebbe accasciata tra le braccia dell'ANBU, lasciandosi andare ad una lunga sequela di singhiozzi. Invece, rimase ferma e tremante, lo sguardo fisso sul muro di pietra di fronte a lei.

    Oggi hai agito bene, andiamo a casa.

    Si limitò ad annuire, seguendo poi la donna fuori dal tunnel e poi dal locale. Ogni passo compiuto la allontanava dagli orrori appena avvenuti in quella stanza, tuttavia non era sicura che questo sarebbe bastato per distaccarsi emotivamente da quanto accaduto. Avrebbe voluto fermare Oboro, chiederle come affrontare ci che dal profondo le agitava la coscienza. Come avrebbe dormito? Come avrebbe guardato sua sorella negli occhi? Come sarebbe tornata ad una vita... normale? Eppure più guardava la donna, più ne ascoltava i lunghi silenzi, più si accorgeva che non vi sarebbe stata alcuna risposta. Avrebbe dovuto imparare a convivere con se stessa, o sarebbe stata sopraffatta.

    Diventerò come lei?

    Mentre camminavano, e come sempre Oboro si teneva ostinatamente qualche passo di fronte a lei, le parve di vedere un suo riflesso comparire di fianco all'ANBU. Una Murasaki più vecchia, con più esperienza. Si voltò verso la sua controparte più giovane, e la ragazza potè leggere nei bianchi occhi stanchi tutto ciò che essa aveva dovuto affrontare. Fu questione di un secondo, e l'ombra sparì. Attribuì il miraggio alla stanchezza, scuotendo appena il capo per riprendersi. Tuttavia, non riusciva a non pensare al possibile simbolismo: possibile che ciò che il suo subconscio le aveva appena suggerito fosse l'unica strada possibile? Che per sopravvivere avrebbe dovuto forzare, violare, rinnegare se stessa? Alzò gli occhi, sopra di loro e attorno a loro la vita continuava, come se nulla fosse accaduto. Nel grande ordine delle cose, pareva che l'intima disperazione di Murasaki non avesse alcuna importanza.

    Non esistono punti di vista. Solo il villaggio, e i suoi obbiettivi.

    Pensò. E, quasi fosse un mantra, cominciò a ripeterselo. Quale che fosse il suo destino, l'avrebbe affrontato tenendo a mente queste parole.

    [...]

    Fece appena in tempo ad alzare una mano in segno di saluto, che Oboro era già scomparsa tra la folla. Si chiese se l'avrebbe più rivista, ma soprattutto se avesse voglia di rivederla ancora. Tutto quello che sapeva sul mondo ninja l'aveva appreso da lei, e ad essa era legata da un ambivalente sentimento di necessità e rifiuto. Avrebbe voluto averla sempre accanto, e contemporaneamente il più distante possibile.

    A presto.

    Disse al vento, per poi voltarsi e proseguire per la propria strada. Si muoveva lentamente, incespicando di frequente sulla gamba ferita. Quando arrivò al quartiere Hyuga, lo trovò stranamente disabitato. Una parte di lei ringraziò per questa fortuita coincidenza. Temeva che la vista di qualsiasi persona a lei conosciuta le avrebbe provocato una crisi di pianto incontrollata. Proprio mentre pensava di essere riuscita nel suo intento di evitare qualsiasi anima viva, la figura alta e severa di suo padre le si palesò davanti, all'ingresso del padiglione principale della villa di famiglia. Murasaki alzò appena lo sguardo, e come immaginato sentì un nodo alla gola, mentre le lacrime si facevano strada prepotenti.

    Padre, io...

    Poi, accadde l'inaspettato. L'insperato. Genji Hyuga, uomo di poche parole e ancor meno gesti affettuosi, si avvicinò alla figlia, cingendone l'esile figura in un paternale abbraccio, nel cui la ragazza sprofondò. Appoggiò il viso sul soffice lino della tunica del padre, lasciando che le lacrime scorressero libere e copiose.

    Ho fatto una cosa orribile, non so potrò mai...

    Alzò gli occhi, mente il padre si discostò appena, portandosi faccia a faccia con la figlia.

    Murasaki, ora devi ascoltarmi. Hai fatto il tuo dovere, questo è quanto. Non sta a te decidere cosa sia moralmente giusto o sbagliato. Quello che ti pertiene è svolgere la missione, attenerti al tuo ruolo. Oggi hai reso onore al tuo clan e alla Foglia. Il mondo non ha bisogno di shinobi impauriti e colpevoli, figlia mia.

    Abbozzò quasi un sorriso, asciugando le ultime lacrime rimaste sul viso della principessa di casa Hyuga.

    Il tuo destino è scritto, Murasaki. Ho bisogno di sapere che quando non sarò più su questa terra qualcuno si prenderà cura di ciò che ho custodito per così tanto tempo. I tuoi antenati, il tuo passato, il tuo retaggio, così come il tuo futuro... È tutto permeato di grandezza. E finalmente, lo è anche il tuo presente.

    Poi, come se si fosse ricordato di qualcosa, si allontanò per qualche minuto, tornando poi con un oggetto. Murasaki si strofinò gli occhi, eliminando gli ultimi residui del pianto.

    Un dono per te dagli Anbu, per la missione ben riuscita, assieme a questa.

    La Hyuga afferrò il contenitore in legno, sospirando appena quando ne intuì il contenuto. Di fronte a lei vi era una wakizashi, l'arma con cui aveva giustiziato a sangue freddo i due traditori. Poi, suo padre le allungò una busta, e lasciò la stanza in silenzio. Con mani tremanti, la ragazza aprì la busta, estraendo la lettera vergata in caratteri eleganti.

    CITAZIONE
    "Ha ucciso la tua innocenza, che uccida anche i tuoi nemici. Usala bene."

    Sorrise appena, di un sorriso vuoto e ben lontano dall'essere espressione di felicità. Si alzò, raccogliendo i propri "regali", dirigendosi poi verso le sue stanze. Prese la lettera, e la conficcò sopra al letto con un piccolo shuriken. Un monito, un avvertimento. Un buon augurio? Si sedette sul letto, continuando a fissare come ipnotizzata le parole impresse sulla carta. Poi, un dolore acuto alla gamba attirò la sua attenzione. Aveva ricominciato a sanguinare.

     
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