La Più Grande delle MinacceIl Crollo di un'Era

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  1. Munisai
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    La Più Grande delle Minacce • Capitolo I

    Munisai ebbe appena il tempo di farfugliare un'imprecazione nel destarsi a causa della sirena, che la terra tremò facendo oscillare il letto e la stanza intera. Balzò in piedi uscendo sul balcone, cercando ci scoprire la causa del tumulto. La sua villetta, presa in affitto proprio quel dì, si trovava in periferia, dunque non godeva di una visuale ottimale del centro città, se non in lontananza. Ma il giovane riuscì ugualmente a capire che laggiù stava succedendo qualcosa di grave. Per le strade si stava già consumando un fuggi fuggi generale, dove la maggior parte degli abitanti, apparentemente civili, si allontanavano dal punto dell'ipotetico cataclisma, mentre alcuni, sicuramente dei ninja a giudicare dall'abbigliamento e dalle movenze, si fiondavano nella direzione opposta, probabilmente richiamati dall'allarme e dal casino generale. Sbuffando, tornò in camera da letto e mise qualcosa addosso, agguantò quel poco d'equipaggiamento su cui era riuscito a mettere le mani e si gettò in strada.
    Se non altro non rischierò di annoiarmi qui sorrise tra sé beffardo.

    Non sapeva bene dove andare, a dirla tutta. Ogni cosa era nuova per lui, e il fatto che il sole fosse ormai scomparso oltre l'orizzonte non lo aiutava certo ad orientarsi nel groviglio di strade, stradine e vicoli. Inizialmente fu sufficiente procedere in direzione opposta rispetto alla moltitudine di persone che sembrava nel bel mezzo di un'evacuazione in piena regola, ma più il ragazzo si faceva d'appresso e più le vie si facevano deserte, mettendolo in difficoltà. Il suo vagare alla cieca fu però prontamente interrotto da una seconda scossa e da un boato. Il giovane si fermò un attimo a centro strada, al riparo da possibili crolli e calcinacci vari.
    Era ormai più che evidente che non si trovasse di fronte ad un mero fenomeno sismico. Gli strani rimbombi che si potevano udire, il terrore del popolo e l'intervento degli shinobi lasciavano intendere che qualcosa di molto più pericoloso fosse all'opera. Ne ebbe la certezza quando, in lontananza, vide delle luci risplendere nel cielo. Quattro cilindri di luce, ad occhio e croce lunghi più di dieci metri. Ora sapeva senza ombra di dubbio qual era la giusta direzione, ma a quel punto la domanda sorgeva spontanea: era prudente avvicinarsi?
    I ninja erano stati convocati, ormai era chiaro che l'allarme a quello servisse. Ma lui non era un ninja del Suono. Non ufficialmente, non ancora. E a seconda dei casi, avrebbe potuto rimetterci le penne, lui che non aveva nessun addestramento formale e nessuna speranza contro quei mostri capaci di incanalare e brandire il chakra come la più devastante delle armi. Poteva trattarsi di un attentato terroristico o dell'attacco di una forza nemica. Sicuramente lo sembrava. Poteva realmente sperare di combinare qualcosa? E, possibilmente, portare a casa la pellaccia?
    Rifletté Munisai, con la freddezza e il pragmatismo che lo contraddistinguevano. Sicuramente non sarebbe stato da solo, ci sarebbero stati senza dubbio elementi di spicco della gerarchia militare di Oto. Non poteva essere altrimenti in un momento di crisi come quello. E lui stava per fare il suo debutto in quel mondo. Poteva mai farsi sfuggire l'occasione di osservarlo e testarne la consistenza così da vicino, in una situazione di reale pericolo? Fianco a fianco con i migliori guerrieri del Villaggio?
    Neanche per sogno. Non si sarebbe fatto scappare l'occasione di farsi conoscere e riconoscere da quelli che, in breve tempo ne era convinto, avrebbe potuto chiamare suoi pari. Inaugurare il suo servizio non con qualche insulsa missione di quarta categoria ma in una situazione seria come quella sembrava, beh...avrebbe dato tutto un altro prestigio alla sua incursione nel mondo ninja. Non poteva perdere l'opportunità di mettersi in gioco e mostrare le proprie doti. Non quando riteneva di poterla fare franca.
    Allungò il passo, deciso nel suo incedere e tenendo sempre i sensi all'erta. Arrivò infine nei pressi della piazza sulla quale affacciava un edificio dall'aria importante e antica, che si rivelò anche essere l'epicentro di tutta la vicenda. Le colonne di chakra erano sospese al di sopra di esso, minacciose. In lontananza si poteva scorgere un nutrito gruppetto di persone. D'un tratto, il terreno si deformò partorendo due enormi rettili, le bestie più grosse che Munisai avesse fottutamente visto. Ruggirono feroci, spruzzando scintille e lapilli incandescenti sull'intera piazza e sugli attoniti astanti. Il ragazzo era ancora distante ed evitò la malefica pioggia, ma non di molto.


    Osservò le creature con preoccupazione e reverenza, il suo viso come pietrificato in una espressione seria, corrucciata. Una goccia di sudore freddo gli scese dalla fronte. Era ancora in tempo per tornare indietro, nessuno aveva ancora notato il suo arrivo, o comunque avevano ben altro a cui pensare per prestargli attenzione.
    Strinse entrambi i pugni ed un ghigno di pura esaltazione gli si dipinse sul volto. Aveva fatto tutta quella strada per scappare con la coda fra le gambe alla prima mostruosità che gli si parava davanti? Quello era il mondo dei ninja, la normalità era un optional, e lui lo sapeva bene. Era lì apposta per imparare a dominare e a distruggere qualsiasi ostacolo avesse incontrato sul suo cammino. Diavolo, probabilmente sarebbe diventato un mostro lui stesso per riuscirci. E gli stava bene.
    Stava avvenendo tutto tremendamente alla svelta, non si aspettava di essere messo subito alla prova in quel modo. Ma non aveva importanza. La ritirata non era un'opzione a quel punto.
    Percorse dunque la piazza ostentando sicurezza. Chi avesse distolto per un attimo l'attenzione dalla figura incappucciata, chiara autrice di quell'attacco, per porlo sull'ultimo giunto avrebbe visto un ragazzo appena sopra i vent'anni, ben piazzato, dalla ribelle chioma rosso acceso e dagli occhi di un peculiare verde acido. Indossava abiti semplici, stivali e pantaloni scuri, comodi e una maglia a mezze maniche bianca. Null'altro, a parte il modesto equipaggiamento assicurato perlopiù alla vita e gli inseparabili occhiali da lavoro a fasciargli la fronte. Si dispose in mezzo al mucchio di gente, ben sicuro di non esporsi in prima linea.

    Arrivò giusto in tempo per ascoltare l'interessante racconto dello sconosciuto che celava deliberatamente la propria identità. Un racconto sugli albori del Suono, su Orochimaru e l'apparente tracollo di quest'ultimo, fino ad arrivare alla situazione odierna del Villaggio. Quasi tutto ciò che disse era di dominio pubblico, scritto nero su bianco nei libri di storia. Tranne che per alcuni passaggi chiave, come ad esempio il fatto che il Sannin non fosse mai realmente morto, ma bensì sostituito da un suo clone sotto le mentite spoglie del Nidaime. E che quello stesso Nidaime fosse morto ormai da tempo all'insaputa di tutti, ucciso in gran segreto da due Jonin di Oto.
    L'uomo incappucciato non fece mistero delle sue intenzioni. Voleva radere al suolo quel palazzo, simbolo del potere del Serpente, e cancellare così qualsiasi traccia o ricordo del suo operato. E voleva rendere i ninja del Suono partecipi di questa distruzione che avrebbe, a suo dire, portato ad un nuovo inizio, e per questo chiese a tutti non solo un parere su quanto avevano appena appreso, ma anche di fare una netta scelta di schieramento: sposare la sua causa o tentare di fermarlo.

    Alcuni pronunciarono la loro idea, altri esposero cosa rappresentasse il Villaggio per loro, qualcuno pose delle domande all'assalitore. Uno dei presenti addirittura rivendicò diritti su quel luogo e un presunto legame diretto con il suo antico proprietario.
    Munisai era rimasto in silenzio a braccia conserte tutto il tempo, ascoltando attentamente le parole di tutti, non potendo fare a meno di riscontrare la stranezza della situazione. Una figura minacciosa che evidentemente aveva la forza di portare a compimento i suoi propositi ma sembrava voler portare prima gli shinobi di Oto dalla sua parte. Shinobi che, di contro, si dimostravano o disinteressati o arrendevoli nei confronti di ciò che, di lì a poco, sarebbe potuto verificarsi. Di certo nessuno dei presenti, malgrado la superiorità numerica, pareva incline a voler fermare lo sconosciuto con la forza. Sembrava quasi fosse una loro vecchia conoscenza, ma questo forse si sarebbe scoperto più avanti.
    Fatto sta che anche il rosso trovò occasione di esprimersi, in quella arena dove a tutti veniva richiesto di esporsi.
    Non ritengo che questa sia una buona idea esordì, attirando su di sé gli sguardi di tutti. Pur mantenendo una posizione leggermente arretrata riusciva comunque a guardare e ad essere visto da tutti grazie alla sua statura considerevole.
    Oh, immagino che io debba presentarmicontinuò con tono tranquillo, rivolgendosi non tanto all'uomo del mistero quanto a tutti gli altri.
    Mi chiamo Munisai Kanashige, aspirante shinobi del Suono. Mi sono appena trasferito qui, ma mi auguro vorrete ugualmente ascoltare la mia opinione.

    Ebbene sì, dire che Munisai fosse nuovo era un eufemismo. Era letteralmente appena arrivato. Dopo aver superato i rigidi controlli alle mura, aveva passato ore in Amministrazione a rispondere ad interminabili domande, a compilare moduli e a sbrigare buona parte della burocrazia che, infine, gli aveva garantito la cittadinanza e residenza otese. Aveva poi fatto domanda di arruolamento nelle forze ninja, e ottenuto qualche articolo di equipaggiamento. Successivamente aveva cercato e trovato un'abitazione dove stabilirsi. Una giornata lunga, ma lontana dall'essere finita per il giovane.
    Cercare di costruire un futuro migliore per il Villaggio non implica, a mio dire, dover ripudiare il suo passato cancellandone ogni traccia, come se ce ne vergognassimo.
    Per molti Orochimaru era un mostro macchiatosi di indicibilii atrocità, ma in fondo era un semplice fautore della filosofia otese che vige tutt'oggi, seppur portata alle estreme conseguenze. L'ha detto lei stesso, no? "Oto è luogo in cui la forza può dare vita ai desideri".
    Egli era l'incarnazione di questo principio.
    Aveva forza da vendere, e un desiderio tra i più ambiziosi. E fino al suo ultimo respiro ha continuato a perseguirlo, con ogni fibra del suo essere, contro tutto e tutti.
    Con ogni mezzo a sua disposizione.
    E per questo, a dispetto di tutto, avrà sempre il mio rispetto.
    Sono fiero di intraprendere la mia carriera ninja in un Villaggio fondato da una figura del genere, piuttosto che da qualche ipocrita pallemosce.
    Questa è Oto, dopotutto.
    -
    Fece una pausa, valutando le sue prossime parole.

    Si rendeva conte che quanto aveva detto fosse estremamente impopolare, persino in quel luogo, ma decise che in quel momento una voce fuori dal coro fosse necessaria per cercare di rimettere le cose in prospettiva. E se quella voce coincideva con il proprio pensiero, beh, era del tutto casuale.
    Detto questo, se ciò che ci hai raccontato è vero riguardo al piano che il Nidaime stava per mettere in atto, andava fermato, su questo non ci piove.
    Non posso che schierarmi dalla parte dei due Jonin che hanno affrontato e sventato questa minaccia, e tolto di mezzo chi ci voleva tutti morti, portandone il fardello.
    Ma tentare di cancellare il passato è un errore, poiché ognuno può dimenticare dove è diretto se non ricorda da dove è venuto.

    Quel palazzo alle sue spalle
    lo indicò con un cenno del capo, è ormai un guscio vuoto.
    Privo del suo padrone non costituisce più alcuna minaccia, ma possiede quantomeno un valore storico inestimabile.
    Ovviamente va perlustrato e perquisito palmo a palmo. Di tutto ciò che la Vecchia Serpe ha lasciato al suo interno, salviamo ciò che può esserci utile e distruggiamo il resto, ma lasciamolo intatto.
    In memoria del passato, e da monito per il futuro. E che nessuno possa insinuare che gli Otesi non riescano a sopportare il ricordo delle loro radici arrivando a compiere azioni così eclatanti
    osservò i lucertoloni e le colonne di luce incombere sopra di loro.

    Munisai poteva essere anche l'ultimo arrivato, ma se pensavano che avesse puntato il dito sulla mappa e scelto un posto a caso dove stabilirsi si sbagliavano di grosso. Aveva fatto le sue indagini, le sue ricerche, approfondite ricerche, prima di fare quel passo. E per quanto vivere una realtà fosse cosa ben diversa, le sue parole erano sicuramente frutto di un pensiero informato e ponderato.
    Sperava solo di non aver fatto il passo più lungo della gamba.

     
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