La Più Grande delle MinacceIl Crollo di un'Era

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  1. Munisai
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    c h a p t e r
    b l a c k

    Munisai giunse al cospetto del suo personale Demone del Sangue, su quello che sarebbe stato per il ragazzo o l'altare della consacrazione o un altare sacrificale. Sostenne lo sguardo e il sorriso angoscianti di quella creatura dal potere smisurato senza tradire alcun timore, manifestandogli unicamente l'umiltà e il rispetto che la circostanza imponeva.
    Si starà chiedendo chi io sia, Sandaime esordì il giovane, con voce chiara e ferma.
    Era forse l'unico individuo, tra i presenti, che Diogene non conoscesse o del quale non avesse, per forza di cose, alcuna informazione. Una breve introduzione era dunque necessaria, specialmente quando si presentava di fronte e a fianco agli otesi rivendicando per sé uno dei tesori più preziosi del Suono.
    Mi chiamo Munisai Kanashige e mi sono appena trasferito qui a Oto.
    E' mio desiderio diventare un abile shinobi servendo questo Villaggio, e un potere del genere
    continuò, indugiando con lo sguardo sull'intera, quasi mostruosa figura del Kage, mi aiuterebbe di sicuro a realizzarlo.
    Strinse appena i pugni.
    So bene di rischiare grosso, ma non intendo farmi da parte ed essere un mero spettatore.
    Questa è la strada che ho scelto, in fondo. Non fuggirò davanti al primo ostacolo.
    Procediamo pure.

    In fin dei conti il Colosso aveva offerto a tutti i presenti la possibilità di fronteggiare l'arduo cimento, senza eccezioni, dunque il rosso non riteneva di doverlo convincere.
    Quando il clone di sangue diede il suo benestare, il giovane allargò il colletto della maglietta sformandolo abbastanza da scoprire maggiormente petto e dorso. Diede poi le spalle all'altro, indicandogli un punto sulla spina dorsale, all'incirca un palmo sotto l'ultima vertebra cervicale, giusto tra le scapole. Diogene non si fece pregare troppo e subito affondò gli artigli nelle carni del ragazzo, provocandogli un dolore acuto ma circoscritto. Vacillò appena, stringendo i denti e le labbra per non fare un fiato. Poi sentì le grinfie cremisi penetrare più a fondo, sfiorando una vertebra o due pur non danneggiandole. La sensazione fu comunque tremenda e alquanto strana, come se qualcuno gli avesse spinto un cilindro di ferro incandescente nella schiena.
    Il rosso serrò le palpebre e non riuscì a trattenere un lamento, mentre si piegava in due dal dolore. Quando tornò in posizione eretta e riaprì gli occhi, si ritrovò davanti una piazza completamente deserta.

    Tutti gli otesi e i vari duplicati, Diogene, Febh, tutti quanti si erano volatilizzati. Persino le gigantesche lucertole e le colonne di chakra erano andati. Restavano solo il piazzale imbrattato dal sangue del Mikawa e il Palazzo della Serpe. Munisai si guardò intorno febbrilmente, cercando di capire che fine avessero fatto tutti. Regnava un silenzio assoluto, sovrannaturale.
    Che cazzo sta succedendo?! esclamò, o meglio tentò di farlo, ma non uscì il minimo suono dalla sua bocca.
    Sgranò gli occhi per la sorpresa, stringendosi la gola con una mano. Scrutò in ogni direzione in maniera convulsa, e quando l'edificio tornò nel suo campo visivo scoprì di non essere più solo.
    Una decina di metri di fronte a lui si stagliava una figura incappucciata ricoperta da capo a piedi da un'ampia cappa candida come la neve. Sembrava un maledettissimo spettro.
    Fece un passo in avanti, lentissimo ma il cui suono riecheggiò nell'intera piazza, l'unico che si fosse udito dopo la sparizione di massa. Il giovane istintivamente indietreggiò.
    E tu chi cazzo sei? Dove sono finiti tutti?
    Per la seconda volta, il suo tentativo di proferir parola fu inutile. Munisai ora era realmente spaventato. Cosa diavolo stava succedendo? Chi era quel tizio? Era forse caduto in una tremenda arte illusoria che...
    No. Era il Sigillo. Doveva essere per forza il Sigillo, la prova di cui aveva parlato il Kokage.
    Ma cosa fare? Come comportarsi?
    Il rosso si sentiva, per qualche ragione che al momento non riusciva a comprendere o spiegarsi, completamente impotente di fronte alla figura immacolata, la quale avanzò di un altro passo, ancora più assordante. Da sotto al mantello fece capolino un braccio ossuto, latteo tanto quanto l'abito. Delle dita affusolate e dalle unghie acuminate avvicinò con lentezza esasperante l'indice al cappuccio, come a far segno di tacere.
    In un istante la mente del rosso fu invasa da migliaia di immagini di morte, come una serie interminabile di agghiaccianti diapositive che gli fecero vivere, nei panni della vittima, le più disparate e crudeli esperienze di tortura e uccisione.

    Durò solo un secondo, ma lui le percepì come ore.
    AAAAAAAAAAAARGHHHH!!!
    Un grido straziante che non fu mai proferito, non poté esserlo.
    Gli occhi sgranati, le lacrime gli rigarono il viso mentre l'intero corpo era scosso dai tremiti. Le gambe cedettero e prima di rendersene conto era a terra a dare di stomaco.
    E intanto la bianca sagoma continuava ad avanzare.
    Passo. Dopo passo.
    No. Così no. Così era impossibile.
    Perdendo il sangue freddo che normalmente riusciva a mantenere anche nelle situazioni più critiche, annaspò nel suo stesso vomito cercando di rimettersi in piedi. Quando ci riuscì, girò le spalle e scappò.
    Stava per morire, ne era certo. Al diavolo la prova, al diavolo Oto, al diavolo tutto. Non voleva crepare.

    Sfortunatamente, la sua fuga si concluse dopo una singola falcata.
    La figura in bianco, infatti, si era materializzata nuovamente davanti a lui, ma ad appena due metri di distanza. Ebbe appena il tempo di realizzarlo che questa, allungandosi ed assottigliandosi in maniera innaturale, saltò nella bocca della sua preda fino a scomparire del tutto. Quell'essere si era fatto volutamente divorare, andandosi ad annidare nell'animo di Munisai, il quale ora si sentiva soffocare.
    Portò entrambe le mani alla gola, incapace di respirare. Divenne cianotico, gli occhi si iniettarono di sangue. Stava per morire di una morte orrenda.
    Si sentì solo cadere mentre perdeva conoscenza, precipitando nelle tenebre.
    Quando rinvenne era immerso in un liquido scuro simile al catrame, non altrettanto viscoso ma abbastanza denso e nero da impedire completamente la visibilità. Agitò gli arti con tutta la forza che aveva cercando di nuotarci dentro. Andava praticamente alla cieca ma aveva comunque una vaga idea di quale fosse il sopra e il sotto, quindi si diresse là dove sperava di trovare la superficie. Era di nuovo a corto di ossigeno e stava per annegare, quando una flebile luce bianca penetrò il flutti.
    Ancora qualche metro e riuscì a cacciare fuori la testa, tirando un profondo respiro. Per qualche strano fenomeno, il pelo dell'acqua parve solidificarsi e il giovane riuscì ad issarcisi sopra come fosse una lastra di ghiaccio. Il muscoli e i polmoni gli bruciavano per lo sforzo, ma ne era uscito indenne e stranamente senza avere addosso tracce di quella robaccia.
    Già, ma dove si trovava?
    Si guardò intorno ma, a parte quello sconfinato mare oscuro non vi era nulla se non un orizzonte bianco, vuoto di qualsiasi cosa.

    D'un tratto, dei vagiti.
    Nella direzione dalla quale provenivano vide due figure sfocate inginocchiarsi accanto a un neonato che piangeva. Entrambe cinsero le loro mani attorno all'esile collo del bebè.
    No...
    Intanto Munisai aveva recuperato l'uso della voce, almeno quello.

    Giusto il tempo di prenderne atto, che qualcun altro arrivò sulla scena, spazzando via gli aspiranti infanticidi, che si dissolsero in una nube di fumo grigio.
    Si trattava di una donna vestita in abiti cerimoniali da miko, una sacerdotessa del tempio. Aveva lunghi capelli neri lisci e lucenti come la seta, ma non aveva un volto. Dove dovevano esserci occhi, naso, bocca, non c'era nulla. Un essere a dir poco inquietante, che sembrava uscito da chissà quale racconto popolare.
    Questo raccolse il lattante stringendolo tra le proprie braccia affettuosamente. Ma sembrò quasi che avesse toccato una sostanza tossica, perché la pelle della donna immediatamente si riempì di piaghe e andò in necrosi.
    Vomitò sangue, poi venne lentamente inglobata dalla distesa d'ossidiana.
    Cos'è questo?

    Prima che il giovane potesse avvicinarsi, il neonato, rimasto lì da solo, crebbe, diventando in pochi secondi un bambino vestito di poco più che stracci e palesemente negletto. Questi cominciò a correre più veloce che poteva.
    Munisai gli tenne dietro a una certa distanza, fino a quando il piccolo non si fermò una cinquantina di metri davanti a lui, ai piedi di un albero sbucato dal nulla.
    Al rosso gli si gelò il sangue.
    Avrebbe detto che si trattava di una quercia, ma era completamente priva di foglie e la corteccia era bianca come l'avorio. Ai suoi rami completamente spogli erano legate delle corde dalle quali penzolavano alcune dozzine di bambini e bambine di età diverse, ma tutti decisamente piccoli. Alcuni dei corpi erano sfigurati, altri mutilati, ma erano tutti, chiaramente, appesi lì da un pezzo.
    Il bambino, di fronte a quell'immagine, crollò sulle ginocchia tremando in maniera incontrollabile come in preda alle convulsioni, lanciando un grido lancinante tra i singhiozzi.
    Che...che posto è questo?
    Il ragazzo cominciò a respirare affannosamente, guardandosi intorno in cerca di un appiglio, di una via di fuga.
    In cerca di una risposta.
    DOVE CAZZO MI HAI PORTATO?!! sbraitò, chiaramente rivolto alla figura in bianco. O forse al Kokage?


    Munisai non aveva mai conosciuto i propri genitori, era stato abbandonato ancora in fasce ai piedi di un tempio, dove fu trovato da una miko che decise di crescerlo come suo.
    Purtroppo la giovane contrasse un male sconosciuto e morì non molto tempo dopo. Al che il piccolo, che qualcuno addirittura biasimò per la disgrazia, fu affidato ad un orfanotrofio dalle pratiche assolutamente esecrabili.
    I ragazzini erano sottoposti a ogni genere di maltrattamento e sevizie, ed erano anche sfruttati. Da giovanissimi, infatti, venivano impiegati come forza lavoro ad infimo costo da "affittare" a individui senza scrupoli, ognuno in base alle inclinazioni che dimostrava.
    Il rosso, ad esempio, da subito aveva dimostrato ingegno e buona manualità, oltre alla sorprendente capacità di assemblare oggetti anche di utilità partendo da rottami e cianfrusaglie. Pertanto si era trovato spesso a dover affiancare orologiai, artigiani, e meccanici di vario tipo.
    Ma c'era di peggio.
    I bambini più graziosi, femmine ma anche maschi, venivano avviati alla prostituzione prima ancora che la loro età raggiungesse le due cifre.
    I bambini che non mostravano talenti evidenti, invece, venivano costretti a mendicare. Spesso questi ultimi venivano mutilati deliberatamente affinché suscitassero maggior compassione nei passanti.
    Munisai aveva visto molti ragazzini come lui morire durante la sua permanenza in quel luogo maledetto, incapaci di sostenere un simile inferno.
    Inutile dire che questo vissuto l'aveva profondamente segnato.


    Le scene alle quali aveva appena assistito erano una sorta di macabra reinterpretazione di alcuni eventi traumatici della sua vita, alcuni dei quali troppo remoti perché ne avesse memoria.

    Benvenuto nella mia dimora.

    Il ragazzo sobbalzò nel sentire quella voce grave e spettrale che scoprì appartenere all'uomo in bianco, che ora si stagliava alle sue spalle a debita distanza.
    Tirami fuori da qui esalò Munisai respirando a fatica, serrando i pugni.

    Mi dispiace, ma questa sarà la tua tomba.

    Ti ho detto DI FARMI USCIRE DA QUI!
    Il rosso sbroccò, scagliandosi rabbioso contro il suo aguzzino.

    HAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHA!

    Una risata gutturale riempì ogni angolo di quel limbo.
    Alla creatura bastò alzare una mano. Un braccio del giovane sparì. Senza dolore, senza sangue. Come se qualche divinità avesse usato una gomma da cancellare su di lui, che a stento se ne accorse.
    Poi via l'altro braccio, infine le gambe, una alla volta. Si schiantò rovinosamente di faccia sulla superficie nera, un tronco umano.

    Non potrai mai sconfiggermi così.
    La tua ira è futile, vecchio amico.


    Chi...coff... Chi cazzo ti conosce?

    Oh, ma ti sbagli di grosso.

    L'essere afferrò per il collo ciò che restava dell'altro, sollevandolo da terra.
    Un flebile tentativo di dimenarsi non servì a nulla.

    Noi ci conosciamo da tutta una vita.
    Siamo cresciuti insieme. Ti ho sempre accompagnato lungo il tuo cammino.
    Il Sigillo mi ha solo dato forma e consistenza, e abbastanza forza per sopraffarti.
    Ho IO il Controllo adesso.


    E così dicendo lo scagliò lontano con una forza inaudita, facendo urtare a terra il corpo martoriato diverse volte, come un sassolino fatto rimbalzare su uno stagno.
    Il ragazzo sputò sangue per i vari impatti ma, miracolosamente, si ritrovò di nuovo con gli arti integri al loro posto.


    Si mise in piedi con qualche difficoltà, ma non ripartì alla carica. Restò fermo, cercando di tenere a bada la frustrazione e di recuperare la lucidità di pensiero di cui avrebbe avuto bisogno per uscire da quella situazione.

    Ciò che ti ho mostrato prima non era nulla di che, mi stavo solo riscaldando.
    Il tuo passato ti ha dato cicatrici che probabilmente non guariranno mai, ma sei riuscito ad andare avanti in qualche modo.
    Le tue paure non risiedono in ciò che è stato.
    Le tue paure risiedono in ciò che sarà, non è così?


    Munisai non rispose, non fece nulla.

    La tua morte è imminente, ma se vuoi provare a fermarmi dovrai affrontarmi sul mio terreno.

    Sotto i piedi della figura ammantata spuntò una roccia che crebbe e salì, più e più in alto, fino a diventare una vera e propria rupe, difficile dire quanto alta, ma ben oltre il centinaio di metri.

    Raggiungimi qui, sulla vetta di tutte le cose.
    Lascia che il tuo destino ti sia rivelato.



    Il rosso non aveva molta scelta.
    Era intrappolato in una dimensione sulla quale sembrava non avere il minimo controllo. Era alla totale mercé di quella entità trascendente, ma sapeva che l'unica speranza era affrontarla e sconfiggerla.
    Ma come raggiungere quella sommità?
    Lo spettro non aveva dimenticato un dettaglio così importante.
    Dall'abisso emerse qualcos'altro, un'enorme scala a pioli lunga quanto la rupe, già in posizione verticale pronta ad essere usata. Ma non era una scala comune.
    Sia i due staggi che i numerosi gradini erano composti da parti anatomiche umane. Braccia e gambe senza pelle, ogni genere di organo interno, e poi teste di ogni misura e sesso che penzolavano qua e là, occhi che lo fissavano, il tutto tenuto insieme da capelli, tendini e intestini.
    Se la vista era raccapricciante, l'odore era nauseabondo.
    Ma che razza di mente malata poteva partorire una cosa del genere?
    Munisai indietreggiò coprendosi la bocca, pensando che avrebbe rimesso ancora una volta ma ciò non accadde. Era come se la scala lo attirasse a sé, non gli faceva così schifo come aveva immaginato. Doveva comunque raggiungere quella vetta, e quello era l'unico modo.

    Fece per avvicinarsi, quando sentì qualcosa tirargli i pantaloni.
    Si girò.
    Era il bambino di prima, esile e dai vestiti lisi e rattoppati, e degli occhialoni da lavoro sulla fronte. I capelli rosso acceso erano spettinati e gli occhi verde acido colmi di lacrime, mentre un braccio stringeva forte a sé un pupazzo di metallo, un giocattolo che si era costruito lui stesso usando delle vecchie ferraglie trovate in una discarica.
    Nel luogo dove era cresciuto i bambini non avevano balocchi.
    Ti prego, non andare... gemette.
    Munisai lo fissò come imbambolato.
    Diede per la prima volta segni di cedimento. Si mise le mani in faccia.
    Non ne poteva più. Basta. Basta.
    Guardò verso la rupe con odio.
    QUESTO E' UN ALTRO DEI TUOI TRUCCHI DEL CAZZO?
    TI FACCIO VEDERE IO! MI HAI SENTITO?!
    sbraitò.
    Fece per muoversi, ma il piccoletto si aggrappò di nuovo.
    No, ti prego! ripeté tra i singhiozzi.
    Non lo fare! Resta con me!
    Tirò su col naso.
    Non lasciarmi da solo.
    Munisai lo spintonò facendolo cadere col sedere a terra.
    Non mi seccare! E' l'unico modo.
    E senza degnarlo più di uno sguardo, lo lasciò lì a piangere mentre lui cominciava la sua scalata.


    A ogni piolo che calpestava sentiva il suono di ossa che si rompevano e tessuti che si laceravano. Non i suoi, quelli della scala stessa. E urla strazianti si levavano.
    Sembrava quasi che ogni gradino rappresentasse una vita spezzata. Inizialmente il rosso trovò tutto ciò alquanto inquietante, ma più si avvicinava al vertice e meno restava turbato.
    A metà percorso si scatenò una tempesta, con raffiche di vento che gli tagliavano la pelle e una pioggia di sangue a inzupparlo. La scala oscillava pericolosamente, ma lui arrivato a quel punto nemmeno ci faceva caso. Nulla riusciva più a distrarlo o a scuoterlo.
    Lui continuava a salire, e salire, e salire. Fino alla vetta, quando finalmente mise piede sulla roccia e dove trovò la creatura immacolata ad aspettarlo.

    Questa prese ad applaudire lentamente ma sonoramente, tirando fuori due braccia candide e mostruose da sotto al mantello.

    Eccellente. Dimmi, come ti senti adesso?

    Vuoto.

    Per Munisai fu come svegliarsi da una trance, d'improvviso riusciva di nuovo a percepire con chiarezza il mondo che lo circondava. Sgranò gli occhi e spalancò la bocca nel guardare le proprie braccia, scoprendo con orrore che erano identiche a quelle dell'essere, cadaveriche e dalle unghie aguzze.
    Se le sue braccia erano così...allora anche il resto?

    HAHAHAHAHAHAHA! Mi sembri confuso.

    Che...che diavolo mi hai fatto? farfugliò il rosso.

    Io? Niente. Ciò che sei...
    No, ciò che siamo è frutto delle tue decisioni.


    Lo additò mentre da sotto al cappuccio si intravedeva per la prima volta qualcosa, un ghigno abominevole.

    Io sono il tuo futuro. Io sono il tuo destino.

    E così dicendo, si abbassò il cappuccio rivelando le sue fattezze.
    Capelli e cute bianche come il latte, una voragine al posto dell'occhio destro e delle zanne che conferivano un sorriso uscito direttamente da un incubo. L'unico occhio brillava di una luce sinistra, dietro alla quale si celava un'iride verde acido e una pupilla verticale.
    Era quasi irriconoscibile, ma quello era sicuramente Munisai.
    Qualche anno più vecchio, dal fisico scheletrico, ma era lui.

    Orrore misto a terrore si palesarono sul viso del rosso, il quale indietreggiò ma dietro di sé non aveva altro che un burrone ormai, anche la scala era sparita.
    Non aveva via di scampo.
    No! Non può essere...

    Sei stato poco lungimirante, vecchio mio.

    Quel momento se lo stava godendo tutto, come se lo avesse atteso per anni.

    A cosa pensavi conducesse la ricerca del Potere Assoluto? Mh?
    Se sapessi che cose che abbiamo fatto con queste mani per arrivare fino a qui.
    Quanti patti col diavolo.
    Quante persone trucidate. Tradite. Ingannate.


    Un'espressione estatica gli si dipinse sul volto mostruoso.

    Che c'è? Non è come te lo aspettavi?

    Non doveva andare così. scosse il capo il giovane, in totale negazione.
    Non è possibile, SONO SOLO STRONZATE!

    Tu credi?
    Guardati, sei un essere patetico. Un debole.
    La verità è che nessuno ti ha mai amato, nessuno ti ha mai considerato.
    Sei solo una nullità, un errore.


    Adesso avanzava, lento e minaccioso.

    Hai cercato di sopperire alla mancanza d'affetto accumulando potere e benessere, come se il buco che hai nel petto potesse essere riempito con qualcosa di così dozzinale.

    Basta, stai lontano. STA' LONTANO! urlò disperato il rosso, che si trovava in un angolo senza potersi muovere.
    L'altro lo ignorò.

    E tutto in nome della Vera Libertà, no?
    Quel concetto schifosamente puerile che hai sempre posto come tuo obiettivo ultimo, quello stato che credevi di poter raggiungere quando fossi diventato potente oltre ogni limite.
    Quale ironia.
    Più cercavi Potere per raggiungere la Libertà, e più ti ritrovavi a dover accettare vincoli, compromessi.
    A doverti legare a doppio filo a entità che sotto sotto disprezzavi.
    Fin quando un bel giorno ti sei svegliato in catene, e hai realizzato che il tuo bel percorso ti aveva condotto solo alla prigionia.


    Dalle profondità del mare oscuro emersero diverse catene lunghe decine di metri, che schizzarono a folle velocità verso il rosso, avvolgendolo dal collo in giù.
    Ogni tentativo di resistenza fu inutile.
    Lasciami andare! LIBERAMI, PEZZO DI MERDA!
    LIBERAMI!!
    LIBERAMI!!!
    il ragazzo si dimenava e gridava come un ossesso. Senza rendersene conto le lacrime bagnarono le sue guance, mentre la luce nell'unico occhio rimasto si spegneva.
    Quella era la cosa peggiore che potesse capitargli. Peggiore della morte.
    E quel maledetto lo sapeva bene.

    Liberami, ti supplico.

    Oh, abbiamo cambiato tono eh?
    Quanto sei ridicolo HAHAHAHAHAHAHAHAHA!
    Spero tu capisca qual è la tua posizione, adesso.
    Sai, avevo intenzione di ucciderti, ma penso di aver cambiato idea, non sarebbe abbastanza divertente.
    Da questo momento, prendo io il controllo.
    Questo corpo mi appartiene.
    Tu, invece, marcirai in catene nelle profondità più recondite del tuo stesso subconscio, inerme e in preda ai tuoi rimpianti. Per il resto dei tuoi miserabili giorni.


    No, ti prego! TI PREGO!

    Il mostro fece ciao con la manina prima che le catene trascinassero con violenza il loro prigioniero nell'oblio dell'oceano nero dal quale erano arrivate.




    Sprofondò sempre più, ma il ragazzo non avrebbe trovato sollievo nella morte, non stavolta. Provò infinite volte a liberarsi, invano.
    Le parole del suo spettro gli rimbombavano ancora in testa. Aveva ragione? Era tutto vero?
    In parte lo era, non riusciva a togliersi quel pensiero dalla testa.
    Era stato davvero così cieco da scegliere un percorso che conduceva ad un qualcosa di così aberrante?
    Pianse in silenzio.
    No, non poteva accettarlo. Non doveva andare così. Lui voleva solo essere in grado di contrastare chiunque cercasse di renderlo di nuovo schiavo. Per quello aveva cominciato a cercare il Potere, perché il mondo è dei forti e tutti gli altri vengono calpestati. E lui non voleva essere calpestato, schiacciato, come era successo in passato.
    No, mai più. Voleva essere libero, il Potere gli serviva solo per spazzare via chiunque tentasse di fargli di nuovo del male.
    Voleva proteggere se stesso. E voleva proteggere coloro che aveva a cuore, fornire a tutti loro una realtà sicura e serena dove poter esistere.
    Dove poter tentare di essere felici.

    Un momento.

    Fu come se qualcuno avesse alimentato una fiammella che stava per estinguersi.
    I suoi amici dell'orfanotrofio! I suoi fratelli e le sue sorelle.
    Loro gli avevano voluto bene, e lui ne aveva voluto a loro. Ancora gliene voleva. E molti di loro erano da qualche parte nel mondo.

    Voleva rivederli.

    L'essere immacolato, la proiezione delle sue paure, non era stato del tutto sincero con lui.
    Munisai aveva conosciuto l'affetto. Pertanto, la sua esistenza non poteva essere un errore. Non poteva essere priva di significato. Quel mostro voleva solo ingannarlo, portarlo alla disperazione, ma nessuno può conoscere il futuro.

    Il destino non esiste.

    La strada non era prefissata, ma tutta da tracciare, e Munisai non avrebbe dimenticato quel terrificante avvertimento ogni qual volta si fosse trovato davanti ad una scelta. Se avesse mantenuto i piedi per terra e avesse rammentato di non concentrarsi solo su se stesso e sulla sua personale ambizione, se avesse considerato anche chi gli stava intorno e le conseguenze del suo operato, non avrebbe sporcato il suo cammino. Non più di quanto fosse necessario, comunque.
    Il Potere non doveva essere il fine, ma il mezzo per concedere a se stesso e a coloro ai quali teneva la serenità che gli era mancata tutta la vita.
    La Libertà, seppur non assoluta, sarebbe stata, a quel punto, vivere con soddisfazione e orgoglio la propria vita senza dover soffrire per mano di qualcuno che tentava ignobilmente di distruggerla.

    Sì. Così stavano le cose.
    E così le cose sarebbero andate. Ne era certo.




    Munisai e quel groviglio di catene schizzarono verso l'alto emergendo dalle tenebre.
    Il ragazzo vide che la creatura bianca stava per ghermire il bambino, e sapeva anche il perché, finalmente ci era arrivato.
    Così come l'essere era la personificazione delle sue paure, così il piccolo se stesso era la personificazione di ciò che di buono e umano era rimasto in lui. O forse della sua innocenza, o della sua speranza, non ne era sicuro, ma quel che è certo è che non avrebbe permesso che gli succedesse niente.

    Le catene attorno al giovane cambiarono colore, passando dal nero al rosso e infine ad un bianco luminoso, diventando incandescenti. Poi esplosero in mille pezzi scagliati in ogni direzione, tranne dove si trovavano gli altri due.
    La figura del rosso si rivelò nuovamente, mostrando che era tornata alla normalità.
    Camminò verso il piccoletto, parandosi poi tra lui e il nemico. Intanto i frammenti roventi davano fuoco al mare e a tutto lo scenario.
    Il mostro si accigliò, confuso.

    Questo è...impossibile!

    Le catene si riassemblarono pezzo per pezzo accanto a Munisai, stavolta del colore del comune metallo.
    Forse la Vera Libertà davvero non esiste come dici, o forse sì.
    Tutti hanno dei legami, tutti hanno delle catene da sorreggere.
    Ma se questo è inevitabile, io forgerò le mie catene con le stesse mie mani, ne conoscerò ogni segreto, e non avrò problemi a liberarmi da esse quando diverranno un fardello troppo grande.

    Distese un braccio davanti a lui e quei serpenti d'acciaio si avvinghiarono e stritolarono la Paura.

    Sei uno stolto se pensi di potermi uccidere! IO SONO--

    Non poté finire la frase perché anche la testa fu avvolta, intrappolandolo come in un bozzolo impenetrabile.
    So esattamente cosa sei.
    E so di non poterti eliminare, perché sei una parte di me e dobbiamo coesistere.
    Per ora mi servi, ma quando non sarà più così ti annienterò senza lasciare di te nemmeno il ricordo.
    Non ti lascerò mai il controllo. Perché non ho più paura di te.

    E così dicendo, il sarcofago di metallo fu inghiottito dal mare nero.


    Tutto stava bruciando, nel mentre.
    Munisai tirò un respiro profondo, poi si voltò verso il piccolo Munisai, accovacciandosi.
    Ti chiedo scusa per prima, sono stato un vero idiota disse con tono sinceramente dispiaciuto. Poi gli sorrise tendendogli la mano.
    L'altro non disse nulla, gli corse solo incontro gettandogli le braccia al collo.
    Fu sollevato e preso in braccio, poi i due si allontanarono.
    E ora vediamo di uscire da questo postaccio.
    Stai tranquillo, non permetterò più a nessuno di farti del male.







     
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