La Più Grande delle MinacceIl Crollo di un'Era

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  1. Munisai
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    La Più Grande delle Minacce • Capitolo XI

    Evidentemente sia i sodali del colosso di Oto che lo Yakushi avevano metaforicamente stappato il proverbiale vino spumante troppo in fretta.
    L'appena eletto Kokage, infatti, si era dileguato dalla piazza e, con ogni evidenza, dal Villaggio stesso lasciando indietro solo un suo clone, una spada e una lettera dove, si sarebbe poi scoperto, giustificava la sua defezione accennando a problemi da risolvere non meglio specificati e riconsegnava di fatto il Suono alla custodia dell'ex Amministratore. Amministratore che, a quel punto, tanto più "ex" non poteva dirsi.
    Il rosso assistette quasi divertito alla reazione stizzita di questi, pur assicurandosi di girargli bene al largo, evitando in ogni modo di fomentarne ulteriormente l'ira. Febh si limitò a sfogare il suo disappunto polverizzando un mucchietto di macerie lì nei suoi pressi, per poi passare a seviziare un tizio apparentemente giunto sul posto con la specifica finalità di essere brutalizzato. Per sua fortuna, il tipo pareva in grado di rimarginare miracolosamente ogni genere di ferita patita, quindi alla fine del supplizio potè congedarsi dopo essere tornato come nuovo o quasi.
    La rabbia del Jonin non era causata unicamente dal fatto che il Kage se la fosse svignata a tempo di record, per di più dopo aver tirato su quel pandemonio di riunione. Munisai non era ancora in grado di comprenderlo a fondo, in fondo lo conosceva appena, altrimenti avrebbe realizzato che, molto probabilmente, all'uomo bruciasse più di tutto il fatto di vedersi nuovamente gravare dell'onere di portare avanti quella baracca sgangherata e sanguinolenta chiamata Oto, per di più dopo aver pregustato e quasi sfiorato un po' di tanto anelata libertà dalle seccature burocratiche e amministrative.
    Il novellino si era astenuto dal voto, come era giusto che facesse essendo appena arrivato in quel luogo. Ma gli altri? Quanto era stata oculata la scelta di mettere sullo scanno più alto una figura evidentemente così sfuggente?


    Pian piano coloro che si erano sottoposti alla prova del Sigillo fecero ritorno in piazza. Alcuni più malconci e provati di altri, ma tornarono tutti.
    A quel punto vennero a conoscenza del contenuto di quella lettera scritta col sangue, e dopo aver brevemente preso atto di cosa esso comportasse, lo Yakushi prese a ribadire l'importanza di un impegno congiunto e strenuo per rendere il Suono e ogni suo shinobi più forti, di potenziare le difese del Villaggio e di prepararsi ad affrontare i nemici che tramavano contro esso o contro l'Accademia intera. Poi, passò ad assegnare dei ruoli che riguardavano sia l'Amministrazione che le squadre preposte sia alle missioni segrete che alla pattuglia della cinta muraria.
    Tra conferme e promozioni, quasi tutti vennero premiati per la tempra e la forza di spirito dimostrate durante le terribili prove a cui si erano sottoposti. Tutti tranne il rosso e il ragazzino biondo, che erano i più pivelli di tutti e quindi non ancora pronti a ricoprire una posizione di responsabilità. Ma se non altro il primo dei due ne aveva cavato uno dei sette Sigilli da tutta quella faccenda.

    Mentre gli altri astanti, evidentemente rianimati da quello scatto di carriera ma soprattutto tranquillizzati dalla consapevolezza di averla sfangata ancora una volta, commentavano l'accaduto, esprimevano le loro idee sui provvedimenti più urgenti da prendere e avanzavano proposte, Munisai se ne restò defilato, a osservare la scena dalle retrovie a braccia conserte. Non aveva nulla da aggiungere a quanto avesse precedentemente detto e sapeva che non spettava a lui, un novellino arrivato neanche ventiquattr'ore prima, pontificare sul da farsi.

    Si limitò ad osservare in religioso silenzio le colonne di chakra abbattersi sul Palazzo della Serpe, provocando una scossa sismica non indifferente e riducendo l'edificio ad un cratere polveroso. Il tutto al comando di un semplice schiocco di dita di Febh. Il ragazzone lo guardò tra il perplesso e l'atterrito: quanto cazzo era potente quello stramboide?

    Quando si riprese dallo sconcerto, vedendo che l'Amministratore lasciava la piazza implicitamente sciogliendo l'adunata, decise di non intrattenersi oltre in futili chiacchiere con gli altri. Voltò le spalle e si incamminò verso casa, alzando appena la mano in segno di commiato.
    Io me ne torno a letto disse lapidario, ostentando noncuranza.
    Eppure, malgrado l'estrema stanchezza e prostrazione, sia fisica che psicologica, per tutto quanto era avvenuto quella notte, era più che certo che la memoria fin troppo fresca di quegli eventi non gli avrebbe lasciato chiudere occhio.



     
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