La Nebbia e la BrumaQdV

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  1. -Hidan
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    La Nebbia e la Bruma


    II


    Ti ringrazio, Kensei. Ma non ce ne sarà bisogno. Feci un passo all'indietro. Non puoi aiutarmi. Nessuno e niente può farlo. Posso farlo soltanto da solo. Aggiunsi, a bassa voce. Ci vediamo alla Bruma. Parlai con un tono di sconforto.
    Non sapevo immaginare che razza di uomo avrebbe potuto rincontrare Kensei.

    [...]


    Allontanatomi dalla Nebbia, accompagnato solo dalla mia silenziosa ira, non dubitai neanche un istante della mia scelta.
    Mi conoscevo troppo bene e in quello non stato non sarei stato in grado di cooperare. Anzi, probabilmente, sarei stato solo un'enorme minaccia per chiunque mi fosse stato intorno.
    Solcai rapidamente il cielo grigio ma quieto della mattina e, poco dopo di mezzodì, arrivai nelle vicinanze dell'arcipelago della Bruma. Da una rapida occhiata in lontananza, capii immediatamente che qualsiasi mappa mi avesse dato Kensei, questa era del tutto inattendibile. La accartocciai e la lasciai al vento, che la trasportò chissà dove prima di finire inghiottita dalle onde.
    Mi alzai di quota, in modo da rimanere nascosto agli occhi anche di qualche stralunato osservatore, quindi decisi di circumnavigare in volo le isole ad ovest di quella che doveva essere l'isola principale della Bruma.
    Mi sarei limitato ad osservare in silenzio eventuali spostamenti di imbarcazioni o navi da guerra, o avrei cercato di localizzare una eventuale presenza più importante di forze nemiche su una delle isole che stavo sorvolando dalla distanza; in qualsiasi caso, al termine di quel piccolo viaggio, mi sarei diretto verso le coste del Cielo.

    Sarei atterrato a un paio di chilometri da una cittadina portuale che avvistai dal mare, quindi mi trasformai in un uomo di una quarantina di anni e, così occultato, avrei fatto l'ingresso in quella comunità.
    La prima e più importante tappa sarebbe stata quella dove ogni persona avrebbe cercato per primo delle informazioni: la taverna della città. In particolare, la locanda che prendeva il nome de "Il Gabbiano Grigio", era una struttura di due piani, decisamente grande, posta al limitare della zona portuale della città. Attesi il tramonto prima di agire. Una volta entrato, mi sedetti dapprima al bancone da solo per poter osservare gli individui che meglio potevano corrispondere ai miei requisiti, che alla fine erano molto semplici: con la bocca larga e ubriachi. Dopo aver ordinato una bottiglia d'acqua fresca all'oste - circostanza che mi fece guadagnare un'occhiata storta, e che quindi mi spinse ad ordinare anche una zuppa di pesce - iniziai ad osservare la situazione attorno a me.
    La scelta non fu troppo difficile.
    Poco distante da me, un uomo sulla cinquantina e una bottiglia di sakè in mano era seduto ad un tavolo con quelli che sembravano essere i suoi figli e un altro gruppo di persone, probabilmente incontrate lì per caso, date le loro facce fin troppo evidentemente poco contente di quell'accadimento; tra un urlo e un altro, un brindisi e un braccio molesto intorno al collo, le espressioni di disagio delle persone lì sedute si fece via via più evidente. Quando vidi che l'uomo terminò la bottiglia di sakè, decisi di prenderne una nuova dal bancone e, solo a quel punto, mi avvicinai all'allegro e fastidioso uomo,
    Se solo fosse stato un qualsiasi altro momento, quella messa in scena sarebbe stata una delle cose più semplici in assoluto, ma con quello stato d'animo quei momenti sarebbero stati paragonabili ad una lunga tortura.
    Dopo 3 minuti, eravamo già i migliori amici. Gli altri stranieri approfittarono della mia intromissione per darsela a gambe e, dopo una trentina di minuti, al tavolo rimanemmo solo io e il vecchio, che si rivelò essere un mercante di spezie e tessuto che viaggiava con i suoi figli dal Paese delle Sorgenti Termali. In quel lato del mondo le spezie del continente ninja non erano così comuni, quindi, facendo la sponda tra il Cielo e il Miele, riusciva a guadagnare un bel gruzzolino ogni viaggio.
    La fortuna volle che per conto del Cielo il mercante aveva effettuato anche dei trasporti anche verso l'arcipelago della Bruma. Le informazioni alla fine mi costarono un'altra bottiglia di sakè. Il mercante avrebbe tirato fuori una vecchia mappa dell'arcipelago e, ormai troppo stordito dall'alcol dal chiedersi il perché, incominciò a rispondere alle mie domande. Sebbene fosse stato solo al porto commerciale, ovvero l'isola più meridionale che avevo visto per prima arrivando da Kiri, riuscì quantomeno a dirmi i nomi delle isole e le poche informazioni che conosceva riguardò ad esse: evitai di commentare la ridicola nomea delle dita della mano, ma sostanzialmente, oltre al porto principale, le isole esterne alla principale erano, rispettivamente, un'isola prigione, una specie di isola sacra, un'isola militare e un'isola sede di un clan satellite e fedele alla Bruma di nome Ukuwaru. L'isola centrale, invece, era il "palmo" di quella strana "mano".
    Fu il continuare della discussione che, però, divenne ulteriore fonte di apprensione per me.
    Il mercante, quasi sorpreso, capì che non conoscevo la storia della battaglia tra i due draghi rossi, il mostro libellula e i grandi kraken della Bruma. Dopo essersi vantato di averla mancata per meno di una settimana, l'uomo iniziò a raccontarmi la storia di quella battaglia che era imperversata un anno prima. Un drago rosso che poi divennero due, quindi un enorme mostro volante, l'arrivo della flotta della Bruma, della grande ammiraglia, dei kraken... Se solo non conoscessi i protagonisti di quella storia, lo avrei preso per pazzo.
    Ma, insieme al suo racconto e all'epilogo della battaglia, terminò anche la mia capacità di fingere. Mi alzai, in silenzio, mentre il mercante mi invitava a sedermi per ascoltare l'esito della storia. Non risposi neanche e, nel silenzio, presi la strada dell'uscita della locanda. Se avessi ascoltato altre parole riguardanti Meika e Itai, probabilmente, sarei esploso.
    Con gli occhi come iniettati dalla rabbia, guadagnai il retro della taverna solo per scaraventare un pugno con un muro in mattoni, distruggendolo.
    Rimasi un solo istante a contemplare la mia opera, salvo poi dileguarmi nel buio.

    Guadagnata l'oscurità ed una volta uscito dal piccolo centro abitato, sciolsi la trasformazione. Era passato a malapena un giorno, ne sarebbe dovuto passare un altro prima di iniziare. E da dove avrei potuto iniziare? Dalla prigione? Forse era la soluzione più banale: due ninja di quel calibro veramente sarebbe stato sufficiente inserirli in una prigione con altri detenuti? Lo dubitavo... Ma dove allora? Scaraventarmi sull'isola principale senza informazioni sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio.
    Senza accorgermene, fui di nuovo in volo, avvicinandomi verso la Bruma.
    Avevo detto a Kensei che avrei atteso prima di assalire le isole della Bruma... Ma nulla mi avrebbe vietato di iniziare a distruggere alcune delle sue navi.
    Avrei navigato intorno alle isole esterne nella notte, cercando di avvistare una nave che navigava solitaria nella notte, magari di dimensioni non eccessive.
    Se avessi trovato una nave corrispondente a quelle che cercavo, mi sarei avventato su di essa dall'alto. Avrei cavalcato le Spade Gemelle fino a ad una quindicina di metri dalla nave, a quel punto avrei iniziato una discesa verso l'albero maestro della nave, impugnando la stessa grande spada e sprigionando la sua potenza: un enorme martello di chakra avrebbe spazzato via il pennone, e aprendo forse un enorme buco nella nave stessa.
    Una volta atterrato, mi sarei guardato intorno, probabilmente già circondato da nemici. Adesso voi risponderete alle mie domande... E solo dopo, morirete.
     
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