La fiducia che dà la guerra.[Free Kensei - Diogene - Youshi - Harumi]

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    L'intervento di Harumi non sembrò impressionare particolarmente i presenti e la fanciulla si mise a sedere con un sorriso stanco. Le informazioni in possesso dei due kage erano ovviamente più complete delle sue, così come ben più matura la loro esperienza del campo di battaglia. Sapevano cosa volevano e come ottenerlo. Non si sarebbero fermati davanti a nulla pur di raggiungere il loro obiettivo. E di lì a poco lo dimostrarono, toccando il vero cuore della questione, il motivo per cui la giovane kunoichi aveva accompagnato il Capovillaggio in quella delicata ambasciata.

    Nell'ascoltare la proposta del Mikawa, Harumi chinò il capo. Era preparata a quella possibilità, come ad altre ben peggiori, ma sentirla pronunciare dal suo padre putativo le lasciava una sensazione di pesantezza nel petto, residuo di un sentimento di cui aveva dimenticato il nome e che stava cercando di recuperare un pezzo alla volta, unendo i frammenti di quel vaso rotto fin troppo presto. Era abituata ad essere usata e poi abbandonata, ma quella volta, per la prima volta, si sentiva triste al pensiero. Forse si era illusa di poter passare una vita, se non tranquilla, per lo meno vicina ai suoi cari. Era l'essere separata da loro a renderla inquieta, o c'era dell'altro?

    La fanciulla scosse appena la testa per scacciare quei pensieri inconcludenti. L'aveva detto lei stessa: avrebbe fatto tutto ciò che fosse stato in suo potere, e anche oltre, per permettere a Diogene di realizzare il suo desiderio. Anche trasformarsi in un'arma. Rimanere a Kiri come ostaggio, a garanzia del prestito del Tre Code, non era tra le opzioni peggiori che potevano capitarle. E come aveva sottolineato lo stesso Colosso, avrebbe avuto modo di affinare le sue capacità sotto l'occhio severo di Kensei. Un modo squisitamente otese di prendere due piccioni con una fava.

    Harumi rialzò lo sguardo su colui che l'aveva accolta e le aveva dato una casa e un nome. Le sembrava dietro quell'aria di cupa serietà di intravedere un sorriso e ne fu lieta, un riflesso quasi incondizionato la fece sorridere a sua volta. In fin dei conti andava bene così. Quello era il suo modo di spronarla a migliorarsi, duro come gli uccelli che spingono i piccoli fuori dal nido per forzarli a imparare a volare, ma non privo di un significato più profondo. Stava a lei spalancare le sue ali e dimostrare di poter essere utile alla famiglia. Doveva, no, voleva, rispondere alle sue aspettative. Non gli avrebbe dato motivo di doverla abbandonare. Non di nuovo.

    Diogene-sama, la ringrazio per riservarmi un ruolo così importante.
    Non tradirò le vostre aspettative e metterò a frutto questa opportunità.

    La giovane, che si era alzata in piedi, si sarebbe dunque voltata verso il Mizukage e gli avrebbe rivolto un reverente inchino. Diogene non l'aveva detto espressamente, ma lei avrebbe comunque tenuto d'occhio l'alleato per assicurarsi che fosse pronto al momento della chiamata e non provasse a fregare Oto in qualche maniera. Sì, poteva essere più di una figlia data in garanzia per un debito. Sarebbe stata le orecchie e gli occhi di suo padre nell'isola della Nebbia.

    Kensei Hito-sama, mi affido a lei. Sembra che sarò sotto le sue cure per un po',
    la prego di addestrarmi secondo il volere le Kokage al meglio delle sue possibilità.

    La bambina senza nome era divenuta una Mikawa e più di quasi tutti gli altri aveva toccato con mano i segreti ancestrali su cui il clan poggiava. Poteva forse integrare quella conoscenza risalendo le nebbie del tempo fino a riunire le conoscenze Kenkichi con la comune origine nel sangue? L'avrebbe scoperto rimanendo al fianco del Mizukage.


     
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