Where everything started

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    九代目水影 - Kyuudaime Mizukage

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    Where Something Starts Again


    Fly ag



    IL DEMONE

    Diciotto mesi prima





    Il buio, cos'è questo buio. Soffocante, mi toglie forze, non riesco a volare. Cado, cado senza mai toccare il suolo perché non posso toccare il suolo. Non esiste la dura terra in quel mondo, in quel costrutto onirico dell'inconscio condiviso con Itai, dove entrambi avevamo deciso che dovesse essere cielo, cielo infinito e libero, dove potevo librarmi. Niente più sbarre per me, il Sette Code, il Demone che vola, che si libbra nei cielo. Niente più terra sotto di me, attorno a me, niente più roccia a scolpirmi addosso un guscio fasulla, un ricettacolo di puro odio, furia e rancore. Qualcosa però mi aveva sottratto forza, potere. Aveva cercato di staccarmi da Itai, senza riuscirci. Qualcosa di invisibile aveva interferito con la mia connessione con Itai, danneggiandola. Non in maniera irreparabile, ma quanto bastava per rendere facile l'operazione di estrarmi, imprigionarmi ancora dove non avrei avuto il lusso di vivere in un mondo aereo senza la dura roccia ad aspettarmi al fondo della caduta. Catene invisibili avevano strappato via il mio chakra finché, privo di forze, non era iniziata la caduta infinita. Ero dolorante, ferito, ma non sconfitto. Ero vivo, Itai era vivo, ero debole ma avrei ripreso a volare: non mi avevano ucciso. Chiusi gli occhi, accartocciai le ali con difficoltà e mi lasciai andare, una infinita caduta verso il basso-non basso, assorbendo tramite il corpo di Itai l'energia necessaria a restare vivo. Non riuscivo a parlare, ero troppo debole. Lui sapeva che ero ancora vivo, lo percepiva, non c'erano dubbi, ma la connessione... la connessione era interrotta, tranciata da quella malattia e poi ripristinata, ma flebile, troppo flebile per poter essere sfruttata per tornare a parlare. La mia voce era stata silenziata e mi sforzavo, mi sforzavo di parlare, di farmi sentire, di sussurrare che io c'ero.
    Non ci riuscivo.

    Poi, venne la Tempesta.

    Iniziò alcune settimane dopo la sconfitta. Avevo riacquisito forze a sufficienza da riaprire le ali e planare dolcemente anziché continuare a cadere come un peso morto, attratto da quella forza di gravità illusoria che aveva il solo scopo di dare valore alla libertà del volo. Iniziò come una scossa, un tremito nell'aria che avvertii in tutto il corpo. Compresi che il mondo era stato scosso poiché Itai era stato scosso da qualcosa che non potevo comprendere con quella connessione ancora tronca, mozzata dalla debolezza. Agitai nervosamente le ali, tentando invano di risalire, ma ero ancora debole e prosciugato. Fu allora che vidi, un'ombra. La sagoma famigliare di Itai comparve nella dimensione condivisa tra noi, eppure, era così diverso da come lo ricordavo. Un'ombra, più che un uomo, dai confini non netti, distorti, nebulosi. Con fatica riuscii a planare verso di lui, che mi dava le spalle, e questi si voltò, scomparendo in un'esplosione che mi spinse indietro con una forza inarrestabile. Allargai le ali usandole per franare ed un dolore immenso, infame mi travolse. Il cielo si riempì di nuvole, tuoni, pioggia in un istante ed urla. Urla senza fine, mischiate al fragore possente dei tuoni. Chiamai il Jinchuuriki. Lo feci con disperazione, poiché quella era opera sua, e non potevo credere che l'Itai che conoscevo stesse alterando così tanto quella sua parte subconscia di se al solo scopo di creare, nella mia esperienza sensoriale, un vero e proprio inferno. Qualcosa era accaduto, ma non sapevo cosa, e quell'ombra era stata l'inconscia proiezione di Itai, di un qualcosa di oscuro che aveva seppellito dentro di sé, forse per proteggere la sua mente da un assalto improvviso. Ma così facendo aveva reso quel mondo un posto ostile, buio, non più fatto di un cielo infinito. Allora, in un disperato tentativo, raccolsi le energie dal fondo della mia anima e urlai la mia richiesta, sfruttando il canale danneggiato ma ancora presente che ci collegava.
    Funzionò. Le nuvole si contrassero, venendo attirare da un punto distante, quasi una forza di gravità misteriosa fosse comparsa all'improvviso. Una nube, la Tempesta, nacque. Una sfera larga cento metri, impenetrabile, turbolenta e soprattutto, separata da me.



    Compresi subito. Ed avrei fatto di tutto per rientrare lì.


    IL DRAGO

    Allo stesso tempo



    Yogan era... devastata. Itai era scomparso da due anni, eppure sapeva che lui era ancora vivo. Per un drago dell'ordine dei Ryuukishi vedersi rifiutata dalla propria metà umana era la vergogna più grande che si potesse concepire eppure, nel profondo, Yogan sapeva che Itai non l'aveva fatto e che non l'avrebbe mai fatto. Il collegamento, nato alla radice stessa della loro anima che faceva di Yogan ed Itai due estensioni distinte dello stesso essere, le diceva che era ancora vivo e che soffriva, orribilmente, per qualcosa, al punto che quel dolore spirituale si fece fisico, in una violenta somatizzazione che si riversò in egual misura su Itai e Yogan. La dragonessa, in forma umana, atterrò al centro del Faro, laddove vi era un'isoletta al centro del male di lava bollente, uno scoglio di roccia lavica incandescente che lei trovava di conforto. Cadde con le ginocchia al suolo, stringendo il petto con le braccia, tremando violentemente.
    Itai... era morto.
    Non c'era altra spiegazione per quel dolore così violento ed acuto. Lacrime calde le caddero dagli occhi, vaporizzandosi all'istante nell'aria atrocemente calda del vulcano, attendendo di sentire ciò che altro draghi le avevano descritto come l'esperienza peggiore che potesse loro accadere. Il sentirsi mutilati, senza possibilità anche solo di abituarsi alla menomazione. Avrebbe potuto condurla alla follia. Ma l'attesa, terribile sensazione... Non giunse. Qualcosa la fermò all'improvviso, come se l'atto stesso della morte fosse stato interrotto da qualcosa che avesse agito all'improvviso.



    IL JINHUURIKI, IL RYUUKISHI


    LASCIAMI MORIRE MALEDIZIONE! Fu un'esplosione di rabbia che non riuscii a controllare e che sorprese anche me o meglio, lo avrebbe fatto se non fossi stato in uno stato di così profonda alterazione da sentire come sacrosanta quella richiesta a cui nessuno avrebbe potuto acconsentire, non a quelle condizioni. Le parole di Raizen avevano, come le precedenti, la virtù della verità e della saggezza, ed il difetto di essere... solo parole. Parole che non potevano scalfire la dura corazza che avevo costruito per difendermi da qualsiasi possibile intromissione al compimento della mia somma e finale volontà. Ero stato rispedito nella mia dimensione interiore, privata di Chomei ed esclamate quelle parole mi sarei allontanato da Raizen il più possibile, ponendomi quasi al centro di quella tempesta sferica, levitando con aria furiosa. Rabbia.
    Da quanto non la provavo? Da quanto non provavo qualcosa che non fosse apatia? Persino la scoperta della lettera di Jukyu non era stata accolta con quelle sensazioni, né con un'esplosione acuta di dolore profondo, ma solo con l'acuirsi di quella sensazione di assoluta impotenza che aveva posto al di là del regime del possibile il ricostruire qualsiasi rapporto con Jukyu e dunque, come logica conseguenza, tolto qualsiasi stimolo per continuare a vivere una vita indegna. L'ironia vuole che tra tutte le emozioni che potevano spezzare il muro di indomabile apatia, fu proprio la rabbia quella che per prima provai. La rabbia che acceca, la rabbia distruttiva che io - tra tutti - avevo imparato a domare, a cancellare. TU NON PUOI SAPERLO! NON PUOI SAPERLO COSA VUOL DIRE QUESTO SCHIFO RAIZEN! La Tempesta stava mutando con quelle parole, divenendo sempre più agitata. Il vento divenne così forte da arrivare quasi a spostare l'Hokage - ma non la Volpe - ma, giacché cambiava direzione in maniera continua e fluida qualsiasi centimetro guadagnato in una direzione veniva immediatamente perduto subito dopo, sicché alla fine, Raizen rimase al proprio posto.
    Kurama tentò, inutilmente, di fare quanto chiestogli da Raizen. Itai tuttavia non poteva essere ancora trasportato nel Regno Profondo poiché quello era il regno di Bijuu, non dei loro Jinchuuriki. Solo un Jinchuuriki con un legame totalmente saldo poteva essere trasportato in quel cerchio ed il legame tra Chomei ed Itai attualmente non lo era. La Tempesta! La Tempesta bloccava la possibilità di riunire Itai e Chomei, la tempesta che era la rappresentazione inconscia del dolore che aveva travolto l'intera dimensione diciotto mesi prima. Il disperato grido di Chomei non era andato inascoltato, qualcosa avevo fatto, sebbene non consapevolmente. Forse nel sonno, o forse nel tentativo di placare il dolore interiore che quel grido ovattato mi provocava avevo contratto la Tempesta attorno a me e, così facendo, tagliando di netto la comunicazione tra me e Chomei. Si diceva che spesso, chi soffriva, ergeva muri attorno a se nello sconsigliato tentativo di isolarsi dal mondo.
    Io avevo eretto muri di nubi tempestose dentro di me per tagliare via l'unica entità mia mica che, in nessun modo, potevo allontanare. Lo avevo fatto con tutti gli altri, persino con la mia bambina, nella maniera classica con cui l'essere umano decide di restare solo e lo avevo fatto anche con Chomei. Quello però impediva a Raizen e Kurama di trasportarmi dove avrei potuto trovarmi faccia a faccia con il Demone, senza possibilità di scappare.



    Tuttavia... qualcosa cambiò. Così come avevo contratto la Tempesta per proteggere Chomei, quella furia che provai nei confronti di Raizen mi fece perdere il controllo del limite che mi ero imposto. Le nubi, sempre più agitate, parvero bollire, formandosi e disfacendosi di continuo in un processo equilibrato che parve sbilanciarsi verso la graduale dissoluzione. Quasi come a grattare l'interno di una caverna, le pareti della Tempesta divennero sempre più ampie, allargandosi a velocità esponenziale, finché queste non furono distanti, onnipresenti, ma che non delimitavano più uno spazio chiuso.
    Razien, allora, avrebbe sentito qualcosa oltre i tuoni. Kurama l'avrebbe percepito ancora prima. Voltandosi l'avrebbero visto, il Sette Code, tornato nella sua forza.


    Kurama Chomei salutò quella proiezione del fratello, dunque si rivolse all'Hokage. Hokage... Non so cosa abbiate fatto, ma grazie. Sono mesi che cerco di superare quelle nubi Il cercoterio quindi volse la propria attenzione al suo Jinchuuriki, facendo fremere le enormi ali in un gesto di impazienza. Il dolore... Queste nubi erano una barriera, l'ha creata senza rendersi conto di cosa faceva, si è isolato da me... Dunque mosse le ali, cavalcando agilmente il vento, fino a trovarsi di fronte a me. Io, nel mentre, avevo messo le mani sulle tempie, ed ero caduto in ginochio, prostrato da tutto quel dolore. Sentii che qualcosa era cambiato quando i tuoni si fecero più distanti, ma presenti. Riaprii gli occhi, allora, e rividi Chomei.
    Chomei... mormorai, allungando una mano verso il duro carapace. Il Bijuu mosse ancora le ali. Sei qui... Io... Cosa sta succedendo, non capisco... misi una mano alla mia testa, confuso, traumatizzato dal mio stesso gesto di poco prima che inizia a rifutare di aver compiuto. Io... ed a quel punto Itai Nara, crollò. Forse la vista del Bijuu che credeva avesse deciso di nascondersi da lui, o forse quella rabbia che era un'emozione diversa dalla nera e cupa disperazione apatica aveva fatto breccia in lui. Probabilmente, entrambe le cose.
    Ricaddi in ginocchio, tenendo il viso tra le mani e, dimentico di qualsiasi forma di dignità... piansi. Per la prima volta, piansi i figli che avevo perso. Piani la moglie che si era uccisa.
    Piansi, e piano piano, quel mondo di tempesta, iniziò a schiarirsi.

    Riemersi dal mondo interiore a terra, con le gambe che dolevano. Alzai lo sguardo verso la montagna dei Kage, dunque mi guardai le mani, accorgendomi che fino a poco prima erano premute contro il mio viso e che erano bagnate di lacrime. Il dolore era atroce. Ma era vivo, un dolore acuto, penetrante, simile ad una spada piantata nello stomaco. Ma era qualcosa.
    Mi rimisi in piedi allora, con estrema difficoltà: le gambe soffrivano per l'abuso a cui le avevo sottoposte.

    Scusami se ti ho tagliato fuori dissi a Chomei, attraverso la mia mente, accorgendomi che ancora altre lacrime stavano sgorgando dai miei occhi, incapaci di fermarsi. Cosa avevo cercato di fare? Come avevo potuto pensare di... uccidermi?
    Sono vecchio qualche millennio, ragazzo Chomei rise, anche se non condivisi quell'ilarità. Per me diciotto mesi non sono nulla... Ma parleremo poi di questo... Ora vola
    Non fui io a chiedere il suo chakra. Fu lui ad inondare il mio corpo di potere, quel potere famigliare ed il manto del demone prese ad avvolgermi. Non assunsi l'aspetto bestiale e non raffinato di Chomei, ma fu un manto azzurro, che lasciava intravedere la mia persona. [Tecnica]
    Mi librai in volo, per la prima volta da quasi due anni, risalendo per una decina di metri, quasi rinato, scendendo poi subito dopo verso il basso. Sentivo vergogna e sollievo in egual misura e seppi, a quel punto, la vastità di ciò che avevo cercato di commettere.
    Sono stato un idiota dissi, levitando fino a toccare nuovamente terra, quando quel manto del demone svanì, rivelando la mia figura tramortita, quasi tremante.Grazie... Mi... Mi hai salvato la vita. Lo sfinimento giunse all'improvviso. Caddi sulle ginocchia e subito dopo, poggiai le mani sulla roccia, leggermente piegato in avanti. Sono... sono esausto Raizen... è tutto così pesante... Quelle ultime parole erano praticamente un sussurro. Ero tutt'altro che guarito, ma, quantomeno, se adesso avesse teso una mano verso di me l'avrei presa e mi sarei rialzato di nuovo. Manca ancora qualcuno però... manca lei E lui avrebbe capito subito a chi mi riferivo. A Yogan. Ma non avevo ancora il coraggio di affrontarla... a differenza di Chomei, Yogan era giovane. Per lei quel tempo pesava molto di più. Ed io l'avevo ferita, terribilmente, chiudendomi persino a lei. Lo sapevo. Sapevo che parte del dolore che provavo era il suo, nato da quello che avevo provato io stesso, in una folle risonanza che ci avrebbe portati entrambi alla follia.







    Edited by -Max - 22/10/2021, 23:24
     
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    La Prima Conseguenza


    V




    L’Hokage non avrebbe risposto a quella furiosa domanda, non meritava una risposta e pur dandola non avrebbe potuto dire altro che ovvietà e rimarcare quanto Itai, nelle condizioni in cui versava, non poteva essere padrone della sua stessa vita.
    Era nel suo mondo interiore, e come tanti anni prima era lì che avrebbe curato i suoi mali, le azioni consce del colosso però non furono efficaci quanto la sua naturale propensione alla provocazione, quel terremoto emotivo iniziò infatti proprio dalla rabbia, un grande fuoco acceso da un piccolo cerino: la privazione della libertà di togliersi la vita.
    Quel cielo infinito prese a ribollire e le nuvole persero quella fredda staticità dovuta alla loro densità, iniziando a muoversi mentre si diradavano, era in realtà un ciclo continuo in cui si disfacevano e ricreavano perdendo di intensità e colore come una tempesta in timelapse. Nonostante Kurama non fosse riuscita a scavare in quella coscienza pareva che infine non ce ne sarebbe stato bisogno: un tuono, nonostante la tempesta stesse passando si avvicinava.
    Le ali del sette code, Chomei, erano qualcosa di troppo imponente per emettere un normale ronzio, e anche se il continente ninja avesse sviluppato carcasse di metallo volanti munite di una gigantesca elica il paragone sarebbe stato ben misero, le rigide ali del colossale coleottero muovevano una quantità d’aria così grande e rapidamente da poter sentire la pressione variare persino nel petto oltre che nelle orecchie.

    Ah di preciso non lo so nemmeno io.
    Ma pare che io non abbia perso il tocco, e direi che questo è l’importante.


    Si guardò attorno, rincuorato da quell’inizio, ma distrutto dal muro che si era abbattuto addosso ad Itai, per la seconda volta. Non era mai semplice affrontare quegli eventi, probabilmente il primo colpo era stato forte, ma era davanti a lui che il kiriano, l’ex konohaniano, aveva realizzato sa sua perdita. Poteva gridare forte quanto voleva che il suo dolore era solamente il suo, e Raizen non avrebbe ribattuto, ma riusciva a capire seppure riusciva a dimostrarlo a stento.
    Così come si abbassò nel mondo interiore di Itai si sarebbe abbassato in quello reale, di modo che quando Itai si fosse ritrovato lì avrebbe nuovamente percepito la mano di Raizen e questa era ancora lì quando il chakra di Chomei iniziò a scorrere.

    Tempo di sgranchirsi penso.

    Lo osservò volare, quasi orgoglioso e divertito dal fatto che, in quella forma il volare di Itai era decisamente più simile ad un ronzio di quando non fosse in forma demoniaca.

    Ti ricordi ancora come si compongono i sigilli vero?
    So a chi stai pensando, ma il vecchio Soyobo è altrettanto preoccupato, qualche tempo fa ho dovuto aiutarli io a risolvere dei problemi nella…


    Si stava sforzando di ricordare con precisione luogo e nome della vallata in cui abitavano i Tengu ma era stranamente difficile.

    ...nella valle in cui abitano, il metallo che conservano era mira di qualche golosone, ma più importante, non riuscii a dargli risposta quando mi chiese di te, e credo meriti qualche risposta.
    Ma con calma.


    L’avrebbe guardato nuovamente, fuori dal suo guscio di autocommiserazione e depressione era ancora più smunto.

    Secondo me se cacci una goccia di sangue stramazzi al suolo.

    Ma in realtà la cosa più importante erano le paure che Itai scaricava anche su Yogan.

    Il tuo più grande sbaglio è stato chiuderti a lei Itai, le scuse migliori che puoi fare sono quelle che porgerai Aprendoti a lei.
    Non aver paura, la tua sofferenza è solo tua Itai, per quanto la tua chiusura abbia ferito tanti, e per quanto negativa questa è una reazione normale, è anche vero che queste ferite dipendono da un assenza, non da qualcosa che si è malato.


    No?
    Quando Itai avesse trovato il coraggio di incrociare i sigilli il richiamo sarebbe stato doloroso, era come eseguire un gesto a cui si era avvezzi dopo un infortunio, il corpo sapeva come farlo, ma inaspettatamente faceva male, terribilmente.
    Per quanto Raizen avesse parlato col cuore colmo di speranza il legame tra Yogan e Itai era qualcosa di diverso, l’aveva cresciuta col suo chakra ed il suo contatto gli aveva dato una forza di cui ora era orfana.

    Kami benedetti...

    Fece qualche passo con la mano tesa verso il drago, aveva assistito alla sua nascita dopotutto e stava quasi per toccarla, le poche differenze con Hibachi e ai suoi fratelli gli facevano credere di poter trovare un qualche tipo di soluzione a ciò che aveva davanti, ma ritrasse la mano, stringendola in un pugno. Non era il momento adatto e non spettava a lui, con Yogan non sarebbe mai spettato a lui, per quanto la sua condizione lo preoccupasse.
    La grande draghessa era apparsa come di consono rispondendo alla chiamata i Itai, ma sotto le sue zampe le nuvole che le permettevano di muoversi agilmente nel cielo si formavano a fatica, facendola arrancare con scarsa agilità, fino a farla atterrare scompostamente al suolo, sul quale si sarebbe adagiata, più esausta che stanca. Il respiro con il quale salutò sembrava quello di chi poggiava la testa su un cuscino dopo una settimana passata ha dissodare il terreno col piccone, il suo colore era scuro, un rosso sangue lontano dal vivido rosso che caratterizzava la Fiamma della Speranza, ricordando le braci spente dei suoi predecessori a cui era toccato un destino simile, qualcosa che faceva tornare Kutsu alla mente.
    Il rapporto dei Ryukishi era qualcosa che non andava preso sottogamba, men che meno quando aveva fatto schiudere un uovo.
     
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    The last Kinght


    Ricordavo ancora come fare qualche sigillo. Avrei potuto farli velocemente, quella memoria muscolare non si era persa nel tempo ma, con deliberata lentezza, composi i sigilli della tecnica del richiamo sfruttando una goccia di sangue, una singola goccia. Ad ogni sigillo l'ansia si faceva sempre più forte. La consapevolezza di un legame che avevo trascurato in tutti quegli anni iniziò a gravarmi addosso con sempre maggior dolore, e man mano che il momento di rivedere Yogan si avvicinava si faceva sempre più chiaro, nella mia testa, la certezza che il mio dolore l'avesse ferita in maniera irreversibile.
    Del resto io ero un Ryuukishi.
    Io ero L'ULTIMO DEI RYUUKISHI e per chiunque non lo fosse quel semplice titolo poteva suonare solo un altisonante vanto, ma per me non era né un titolo, né un vanto. Era la realtà, triste, di una condizione che sembrava destinata a non cambiare, in quanto Ultimo, ed un essere più profondo del semplice titolo affibbiatomi. Ero stato il Mizukage, ora non lo ero più. Ma non sarei mai potuto smettere di essere un Ryuukishi, nemmeno alla morte di Yogan, se per qualche disgrazia impensabile fosse avvenuta prima della mia. Era un elemento che definiva il mio essere e senza ne sarei stato mutilato
    Per questo, la consapevolezza che Yogan avesse potuto soffrire per il mio dolore e per il fatto che mi fossi chiuso totalmente a lei mi pesava, tanto ed era la vergogna segreta che avevo nascosto nel cuore, che mi impediva di richiamarla, o meglio, che me lo aveva impedito fino a quel momento.
    Ma aver riacquisito quel canale con Chomei mi aveva consentito di rendermi conto, sebbene solo in piccola parte, di quanto, effettivamente, avessi vissuto per mesi in un delirio da me creato, una pura e semplice negazione della realtà dove mi sentivo abbandonato da tutti quando in realtà ero stato io ad aver chiuso i rapporti con il mondo. Paura di contaminare la Fiamma Immacolata? Ma che idiozia era mai quella. La Fiamma Immacolata non poteva essere contaminata da me, che soffrivo in maniera quanto più umana possibile. Il dolore che provavo era dolore, ma non c'era accenno alla furia, non c'era vendetta, non c'era vero risentimento. Solo dolore. Ed il dolore era umano, era quanto di più umano esistesse, ed i Ryuukishi rifuggivano la violenza gratuita, la vendetta, la furia... ma non il dolore. Avevo accettato il lutto da tempo, ma l'accettazione non aveva mai portato alla scomparsa della sensazione di essere privo di una parte di me. Ma quello era normale!

    Poggiai la mano contro la roccia e Yogan comparve, volando, ferita. C'era qualcosa che non andava in lei e potei comprendere facilmente cosa. Del resto, il suo dolore ed il mio, ed il mio dolore era il suo. Tutto ciò che di tossico avevo riversato nel nostro legame l'aveva lentamente erosa nell'animo, la mia depressione era divenuta sua e così come i miei poteri sembravano essersi guastati... così lo erano stati i suoi. E non solo i suoi poteri, tutto di lei sembrava danneggiato. Il colore scuro delle sue scaglie sembrava quello del carbone mischiato a sangue, e la sua incapacità di volare era dolorosamente penosa da vedere. Ed il suo fiato... Un fiato pesante. Yogan non si stancava mai di volare. Persino dopo ore ed ore di volo, atterrando, non era mai apparsa affaticata.
    La guardai, rimanendo immobile per dei lunghi istanti, senza sapere bene che fare. Lei fece uno sbuffo, soffiando aria calda dalle narcici, cosa che sollevò piccoli vortice di polvere. Un suo occhio mi guardava. I draghi non piangevano, non nella loro vera forma. Ma lessi in quei grandi occhi famigliare una commozione mista a sorpresa, forse la sorpresa di vedere quanto fossi cambiato in quel tempo.
    Yogan... chiamai il nome della fedele compagna, dell'estensione draconica del mio essere. Feci un passo, allungai una mano lentamente fino a poggiarla sul suo muso scaglioso, accarezzandolo con le dita, carico di affetto. Nessuno forse avrebbe mai potuto capire quel legame con una bestia tanto fiera e pericolosa e di come io riuscissi, con lei, a comportarmi in quella maniera così umana. Forse solo Raizen, ma lui, per i draghi era qualcosa di diverso. Io non avevo un granché a che fare con gli altri draghi, tutto era concentrato su di lei. Perdonami... Io non riuscivo... lei continuava a respirare affannosamente, come una bestia ferita in punto di morte. Mi avvicinai ancora, inginocchiandomi dinanzi a lei, poggiando la fronte contro le sue scare ancora tenevo una mano su di esse, in un che voleva essere quanto più simile ad un abbraccio fosse possibile tra due esseri con una fisiologia così differente.
    I..Itai... la sua voce giunse debole, eppure, fu chiara, con il sottofondo di un ruggito che accompagnava ogni parola come sempre succedeva con lei, una fisiologica conseguenza della sua fisionomia. Sei... sei tornato... sembrava stupita e commossa. Io annuii, allontanando la testa della sua pelle. Era calda, ma non quanto ricordavo.
    Sono stati anni... difficili... il tono di voce era basso, ma lei avrebbe sentito. Ayame... feci per dire, ma mi resi conto che lei già sapeva. Non avevo bisogno di parole per farle capire l'enormità di cosa fosse successo. Solo Jukyu... Solo lei... e non vuole vedermi, lei è... lei è arrabbiata. A quelle parole qualcosa di profondo e scuotente parve nascere dalla dragonessa. Sembrava una risata, triste.
    Quella piccola peste... Yogan aveva sempre avuto un debole per Jukyu. Era stata lei, del resto, ad imbattersi per prima nel talento precocissimo di mia figlia e da sempre l'aveva supportata, protetta (specie da se stessa) e guidata. Parte del mio amore genitoriale era fluito da me in lei, come accadeva per qualsiasi cosa. Pensavo fossi... fossi morto poco fa...
    Quelle parole mi fecero abbassare lo sguardo, pieno di vergogna. Se non fosse stato per Raizen lo sarei stato davvero. Non potevo nasconderlo a lei, tuttavia. Yogan io... Stavo facendo una cazzata. La più grande della mia vita le toccai ancora le scaglie. Non le chiesi scusa per quello, lei, tra tutti, non aveva bisogno di comprendere il mio dolore, poiché lo condividevamo. Sono rinsavito ora... Ma tu...
    Sono... sono malata Itai... Questi mesi, la tua assenza, tutto questo dolore... Sollevò il capo, spingendolo contro la mia mano. Per un attimo fui colto dal panico più assoluto, senza sapere cosa fare ma poi... all'improvviso, giunse un'altra voce nella mia testa. L'altro compagno della vita, l'altra parte che definiva il mio essere quale Il Jinchuuriki del Sette Code.

    Ohi, Itai la voce di Chomei mi rimbombò forte in testa, al solo scopo di attirare la mia attenzione. C'è una soluzione. Il tuo chakra. Dalle il tuo chakra. Credo che come è successo con me, hai inconsciamente chiuso il legame, ma lei ne soffre tremendamente. Il Bijuu fece una pausa, che durò alcuni secondi. Cioè, state da schifo entrambi... ristabilisci quel legame.

    Il suggerimento di Chomei aveva senso. Dopotutto quando lei era nata io le avevo donato senza accorgermene una enorme quantità di chakra, consentendo all'uovo di schiudersi ed a lei di avere un corpo adeguato alle sue conoscenze ancestrali. Ma a quel piano c'era un problema. Era da quando ero stato assaltato ed infettato che non riuscivo più ad evocare il potere da me stesso creato e maturato. Abbassai lo sguardo sulla mia mano, sentendo la sensazione di inutilità farsi strada dentro di me, minacciando di destabilizzarmi ancora.
    No.
    Non avrei perso anche lei. La mano si chiuse in un pugno saldo. Dunque, avrei chiuso gli occhi, richiamando a me quel potere che avevo dimenticato. C'era una sorta di blocco. Una barriera di un qualcosa di ignoto attorno al nucleo vorticoso del potere, una barriera che non aveva alcun motivo di esistere per la natura stessa della Jishin no jutsu. Connettere, donare. Cercai, spasmodicamente, di sfondare quel muro, senza però riuscirci subito. Yogan si avvicinò ancora alla mia mano ed io, anziché tenere il pugno stretto nel tentativo di rievocare il potere, la aprii, rilassandomi, poggiandola su Yogan.
    Ricordi, il giorno che sono uscita dall'uovo? mi chiese lei. Io, in tutta risposta, chiusi gli occhi, annuendo. Nel cratere del Monte Gekido, prima che il Faro fosse ricostruito, quando non vi erano draghi poiché tutti nel Sonno. Un singolo uovo, rosso, al centro di un lago di lava ed il dolore atroce per recuperarlo, seguito poi dalla schiusa. Un serpente non più grande del mio avambraccio, rosso e piccolo e, nel momento in cui l'avevo toccata... una connessioneGià, le connessioni. Il Chakra era nato per connettere e distorto nel suo uso come arma. Il mio chakra si era fuso con quello di Yogan, in un prototipo della Jishin no jutsu che però altro non era che la funzione stessa e pura del chakra stesso. Ricordai quella sensazione, la sensazione di trovare un incastro tra il mio chakra ed il suo. Ricordai.

    L'esplosione di chakra fu vivida, improvvisa, quasi accecante. All'improvviso il mio chakra aveva perso la sua individualità e finalmente potei toccare quello di Yogan, riversandone in lei in abbondante quantità, lasciando che il mio chakra la guarisse dalla malattia della lontananza. Le scaglie di Yogan si schiarirono, dilavate dal nero del dolore, tornando al loro colore rosso vivo, rosso fuoco.
    Quando separai la mia mano da Yogan la dragonessa alzò il capo verso l'alto, aprì la bocca e ruggì. Un selvaggio ruggito gioco, accompagnato da un possente fiammata che forse avrebbe fatto preoccupare qualcuno a Konoha, ma non importava. A Yogan quelle cose non importavano mai.
    La guardai, commosso, sapendo che era tornata. Che io ero tornato. Mi voltai a guardare Raizen, ancora avvolto in quella specie di vorticosa aura di chakra.
    Spero che nessuno corra qui... una specie di timido sorriso incurvò le mie labbra, il che era il massimo che avrei fatto. Un tempo, avrei riso di gusto al pensiero di qualche specialista di Suiton di Konoha che si precipitava lì per spegnere un incendio salvo poi trovarvi un drago. Sai Raizen, io sono l'ultimo di Ryuukishi. L'ultimo cavaliere dei draghi dissi all'Hokage, mentre Yogan si avvicinava abbassando il capo, avendo compreso le mie intenzioni. Ed un Ryuukishi... è abituato a volare. Saltai con un balzo sulla testa di Yogan. Ritrovai quel contatto famigliare, mettendomi in piedi sulla testa della dragonessa com'era mia abitudine e lei ruggì ancora di gioia.
    E voleremo! La dragonessa fece presa sulle nubi di fuoco e si diede una pinta verso l'alto, in cielo, solcandolo a piena velocità, lasciando che il vento mi fischiasse nelle orecchie.
    Yogan risalì le correnti d'aria fino a che Konoha non fosse stata ben visibile sotto di noi. Chiunque, al Villaggio, avrebbe potuto vedere la scena e quella divenne una dichiarazione di ritorno. Poiché Yogan ed Itai tornarono a solcare i cieli insieme. Allargai le braccia, godendomi la sensazione del vento tra i capelli e sul viso.
    Andiamo? Fu la domanda di Yogan. Feci un altro timido sorriso e e mi inginocchai, posando una mano sulla sua testa.

    Andiamo. Fu la mia unica parola. La dragonessa ruggì ancora, di gioia pura e selvaggia, ma velata da una specie di malinconia. Io avevo perso tutto, per cui anche lei. Ma non importava. Ciò che voleva fare ora era volare. Io ero il Jinchuuriki del Sette Code. L'Ultimo dei Ryuuikishi. Il mio elemento ero il cielo, non il mare. Non la terra. Il cielo. E nel cielo Yogan sfrecciò, sorvolando Konoha, salendo verso l'alto per poi fare una picchiara verso il monte dei Kage, passando di stretta misura tra due ciocche di capelli del quarto, senza toccare nemmeno un sasso, poi si abbassò sul Villaggio, in preda al senso di liberazione, sorvolandolo ad una quota non troppo alta, ad una decina di metri dagli edifici smuovendo con la forza del suo passaggio i panni distesi ad asciugare di metà del Villaggio. Poi sarebbe risalita fermandosi in aria, Avevo dimenticato avrei dunque iniziato a dire, rendendomi conto che le lacrime rigavano il mio viso. Avevo dimenticato cosa fosse volare... In tutto ciò, non sapevo se Raizen mi avrebbe seguito o meno, magari si sarebbe preoccupato che Yogan avesse deciso di distruggergli il Villaggio con il suo volo liberatorio, ma eravamo fermi lì e lui non avrebbe potuto far altro che raggiungerci.
    Se lo avesse fatto, lì, tra i cieli, mi avrebbe trovato seduto sulla testa di Yogan, a guardare lontano. Verso est, vero Kiri. Vero casa.
    Cosa è successo a Kiri, Raizen? Era il momento di tornare nel mondo. Itai Nara che tutti conoscevano non sarebbe mai più tornato. Una versione diversa, segnata, ma pur sempre Itai, era rinata quel giorno. E quell'Itai, che fu Mizukage, voleva sapere. Cosa fosse successo alla sua casa, alla casa dove sua figlia aveva deciso di scappare per stare lontano da lui, convinta che non sarebbe tornato mai più.

     
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    Il Ryukishi


    VI




    Guardò Itai riprendersi quel pezzo della sua vita con un sorriso, sapeva che era una parentesi in un mondo distrutto, e che ci sarebbe voluto ancora parecchio tempo per rimettere tutto apposto, tuttavia, pur con quella costante malinconia ad attenuare quel momento non poteva negarne la felicità. Era consapevole di quanto quella riunione fosse potente e di quanto la divisione di contro avesse ferito ulteriormente entrambi.

    Bentornati dunque.

    Glielo avrebbe detto mentre atterrava gentilmente sulla testa di Yogan.

    Scusa se non chiedo il permesso, ma eravate leggermente fuori mano.

    Il contatto con Raizen, potè notare Yogan, era molto diverso dal passato, simile a quello di Itai e contemporaneamente differente, incredibilmente più forte ma contemporaneamente indescrivibilmente più debole. Qualcosa accomunava i due ma non era semplice capire cosa, era certo che seppure conoscesse Raizen solo superficialmente, se non fosse nata per essere un tutt’uno con Itai, avrebbe potuto condividere più delle parole del colosso. Qualcosa in lui era cambiato.
    Ma agli effetti era un drago molto giovane nonostante il chakra di Itai avesse messo il turbo alla sua crescita, ed alcune cose erano più semplici da capire quando si conosceva più di un evocatore.

    Sei sicuro di voler partire subito?
    La tua condizione non è certo migliorata Itai, e forse devi toglierti quell’aria da mendicante che hai prima di presentarti lì, non dico di andarci in abiti da cerimonia, ma almeno qualcosa che ti resti addosso se ti si guarda più di due volte.


    Se avesse confermato di nuovo Raizen avrebbe annuito.

    Come vuoi che sia cambiata… tu sai chi hai lasciato lì, fatichi davvero ad immaginare come una persona così incapace di cogliere le sfumature possa trasformare in qualcosa di aberrante tutto ciò che tocca?
    E credo che sia l’unica cosa di cui puoi veramente pentirti.
    Kensei non aveva dato buoni segnali già alla riunione dei kage, si è fatto divorare dal risentimento, dopo aver piantato tutti alla riunione lamentandosi del fatto che fossimo poco attivi nel ricercare un nemico così pericoloso il tarlo nella sua mente si è ingigantito.
    Non so su chi abbia messo le mani per scoprirlo ma ha saputo che uno dei miei ninja, un figlio di cui neanche sapeva l’esistenza, era stato rapito proprio da Cantha e nonostante sia stato suo padre per cinque minuti scarsi ha trasformato la mia presunta incapacità nel proteggere un jonin che faceva il suo lavoro in una colpa, mettendo sempre più tensione nell’alleanza accademica.
    E tu sai che io ho provato a rintracciarlo, ma siccome non è l’allocco che il padre crede che sia era già tornato prima che io potessi partire!
    Non so che obbiettivo abbia, ma è noto che abbia anche ripristinato la nebbia di sangue [mi pare di aver capito che la cosa sia di dominio pubblico, se così non fosse ignora questo passaggio della nebbia di sangue] e onestamente trovo assai strano che ci si possa attaccare a simili sciocchezze per tagliare le gambe ad un alleanza se non si anno secondi fini.
    Ma sai che tipo di persona sia io.
    Ah, ovviamente vi ho chiesto un passaggio perché mi ha proibito di sorvolare Kiri con i miei draghi.


    Si sarebbe preso qualche secondo di pausa, per se e per far riflettere Itai.

    Oltre questo… beh, non saprei, come ti ho detto i rapporti sono tesi, so solo che sta addestrando il chunin che mi odia di più in tutto il villaggio se non l’unico.
    Sembra che con Suna e Oto non abbia tensioni, certo esclusa la volta che Diogene l’ha sbudellato, ma pare sia cosa da poco.


    Alzò le spalle al limite dell’incredulo.

    Ritengo quell’uomo un folle visionario e non so in quanti lo seguano, per cui sarà meglio stare attento a come ti muovi.
    Anche in relazione alla mia presenza non so quanto possa essere positivo entrare accompagnato da me.
    Posso dirti però che programmavo da tempo una visita per chiarire la mia posizione nei suoi confronti e se non altro ristabilire un rapporto di collaborazione quantomeno sulla carta.


    Espirò pesantemente aspettando una risposta.
     
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    九代目水影 - Kyuudaime Mizukage

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    La promessa di un Ryuukishi
    Sapevo che non ci sarebbero stato buone notizie da Kiri. Per una serie di ragioni. La prima, più semplice, era il terrore e senso di colpa dovuti all'abbandono del mio ruolo a causa di quel profondo stato depressivo in cui ancora c'ero. Forse avevo appena superato l'apatia, avevo ricostruito un legame con Yogan e Chomei e ciò mi avrebbe aiutato, ma il macigno del lutto mi gravava ancora addosso, prepotentemente. E ciò mi impediva di essere ottimista, di dire a Kiri è andato tutto bene anche se non c'ero io a prendermene cura, di pensare al fatto che avevo lasciato a Kiri Shinobi capaci, preparati, avrebbero potuto prendersi cura del Villaggio anche in mia assenza. La seconda ragione, più pratica, era legata alle parole che Raizen mi aveva detto in precedenza e che io avevo volutamente ignorato. Qualcosa era cambiato a Kiri, e mia figlia era lì, in quel Villaggio. Per cui sì, sarei dovuto tornare, da solo.
    Raizen mi chiese se per caso intendessi andarci immediatamente, ma a quella domanda feci un cenno di diniego con il capo. Non potevo dirigermi immediatamente a Kiri, c'erano altre cose che avrei dovuto fare prima.
    No, devo riposare, almeno questa notte Raizen. Come hai detto, ho un aspetto orribile e devo... devo riflettere quelle ultime due parole le ripetetti due volte, e la seconda volta in tono pensoso. Kiri aveva un nuovo Kage, e quel Kage era Kensei. Era la scelta più logica, Akira era stato troppo spirito libero, non avrebbe mai accettato un ruolo del genere. Ma il sottinteso era... io che volevo? Dal punto di vista puramente pratico, non avrei potuto semplicemente tornare a Kiri, ringraziare Kensei di avermi tenuto la sedia calda e fare come se nulla fosse accaduto. Sarebbe stato ridicolo, irrispettoso e probabilmente, anzi sicuramente, del tutto illegale ed assimilabile ad un colpo di stato. Poi c'era la questione di ciò che io volevo e tornare ad essere Kage era nel fondo della mia lista dei desideri. Inoltre, devo passare da Kurohai. Ci ho lasciato qualcosa, che devo recuperare. Forse aveva già notato che non avevo armi con me. Non avevo né Garyuuka ne Nishikigoi. Lui raccontò cos'era successo, quanto Kensei avesse cambiato il modo di fare a Kiri e non mi sorpresi minimamente della cosa. Io ero stata l'eccezione alla regola che vedeva Kiri come un posto cupo, ma nemmeno all'apice delle manie di collezionismo di organi di Shiltar si era parlato di nebbia di Sangue. Quell'ideologia, per come la ricordavo, era malata. Il discendente sbiadito di un'ideologia instillata dal terzo Mizukage che era controllato da un Uchiha rinnegato. Ma perché attirava a se così tanti seguaci, nonostante con Kiri non avesse nulla a che fare? Sospirai, passandomi una mano sul viso. Grazie per le informazioni Raizen. Purtroppo non so cosa potrò fare a riguardo, non so cosa voglio fare, in realtà. Ho lasciato Kiri, non merito di avere voce in capitolo a riguardo. Ma lo sai come sono, come la penso sull'Accademia, su tutto. E lo sai le minacce che sono dietro l'angolo. Il ricordo del Veterano mi tornò prepotentemente nella mente. L'esperienza nel Mondo Senza Tempo era stata terrificante, ma soprattutto, ci aveva lasciato in eredità un nemico troppo forte per essere sconfitto in un combattimento convenzionale, a capo di tre nazioni che volevano ridurre tutto in cenere. L'Accademia esisteva per quello e nonostante il ritorno dei Cremisi il meglio che si era fatto, in mia assenza, era stato continuare a litigare. Yogan, scendiamo Avrei detto alla dragonessa la quale prese a scendere in larghe spirali, molto lentamente. Dovrò tornare a Kiri. Da solo. Se fosse venuto anche lui, le cose sarebbero andate peggio. Dovrò parlare con Kensei, capire cosa vuole fare e perché si comporta come si comporta. Non potrò scendere a compromessi su certe questioni ed è probabile che qualcuno voglia tirarmi fuori il demone a forza se dovessero capire che non intendo prestare la mia forza a scopi che non sono in linea con la mia ideologia su quello, Raizen, poteva star tranquillo. Conosceva benissimo la mia ideologia votata alla ricerca della pace, delle soluzioni diplomatiche prima del conflitto armato, che era l'ultima spiaggia da percorrere. Se dovessi rimanere a Kiri... farò in modo che questi problemi vengano appianati. Ma se dovessi sentire puzza di bruciato, se Kensei sta portando il Villaggio in una direzione che non mi piace... lasciai in sospeso. A quello serviva la riflessione. A capire cosa fare, se quella eventualità si fosse verificata. Combattere? Volevo evitarlo. Non volevo combattere Kensei per un ruolo che non volevo ricoprire. Farlo per il bene di Kiri? Per Jukyu? Per quello avrei potuto farlo, ma Jukyu aveva deciso di camminare sulle sue gambe ed io, da padre, non avrei potuto farle scudo per sempre dalle conseguenze delle sue decisioni. Kiri non sarebbe affondata, non di certo, sarebbe semplicemente diventata un posto dove forse non avrei voluto vivere con un capo per cui forse non avrei voluto combattere. Tutto qui. Non dovevo salvare nulla. Almeno, quella forse era la mia prima impressione, ristretta. Yogan planò fino a poggiarsi al suolo e vi scesi con un balzo.
    La dragonessa, a quel punto, assunse nuovamente una forma umana, tornando ad essere la giovane donna dai capelli rossi che non vedevo da tempo. Si stiracchiò i muscoli, come dopo un lungo sforzo. Ovviamente, aveva seguito tutto il discorso e lei, più di tutti, poteva comprendere le mie intenzioni, ed i miei conflitti.
    Ho una brutta sensazione Itai mi disse Yogan, accigliandosi appena. Tu non sei solo un ninja. Sei l'ex Mizukage, e sei anche il Jinchuuriki del Sette code. Sei una mina vagante che qualunque capo sano di mente deve mettere sotto il suo controllo, se non fosse che non possono controllarti perché li prenderesti a calci nel sedere.
    Forse un tempo, ora non so se è ancora così puntualizzai, ma era indubbio che l'uso della violenza contro di me non sarebbe stato semplice. Ma hai ragione. Come ho detto prima, probabilmente vorranno Chomei. Ma Chomei... sospirai. Chomei non era un demone. Era un amico, un compagno di viaggio e di una vita. Eravamo legati da quattordici anni ormai. Non glie lo permetterò. Per niente al mondo. Razien mi rivolsi all'Hokage. Sapevo che forse gli stavo dando una delusione, con la mia volontà di non essere più incisivo sulla questione Kiriana, ma c'erano troppi livelli di complessità in quella situazione ed io, un Kage che aveva abbandonato il suo Villaggio, potevo fare ben poco. Qualsiasi mossa sarebbe stata vista come tirannica, anzi, avrebbe potuto peggiorare la percezione che i Kiriani avevano dell'Accademia. Non so cosa posso fare per Kiri. Probabilmente nulla. Ma noi siamo alleati. I tempi che arriveranno saranno funesti, e non importa cosa Kiri farà, io aiuterò chiunque abbia bisogno nelle guerre che veranno. E quella, era la promessa. La promessa di un Ryuukishi. ...Te lo chiedo di nuovo, conosci qualche posto in cui passare la notte?


     
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    VII




    Raizen annuì, soddisfatto dal senno che pareva riprendersi lentamente possesso della mente di Itai.

    Ma non troppo, hai già riflettuto abbastanza.
    Spero solo che tu sia in grado di fare ciò che va fatto a questo punto.
    La strada non è ancora in discesa.


    Quando quello disse di dover passare a Kurohai l’Hokage sorrise.

    Direi di si, tra poco non hai neanche la pelle addosso.

    Atterrati sul tetto dell’amministrazione, come Raizen avrebbe indicato dopo l’ordine di Itai, si sarebbe messo braccia conserte.

    Credo sia la cosa più opportuna, a prescindere da tutto.
    Anche perché credo che la mia presenza abbasserebbe sensibilmente le possibilità di far chiudere la cosa pacificamente.
    A prescindere da cosa succederà, Itai, sei nato a Konoha, per quanto ti piaccia chiamare Kiri casa il tuo animo parla molto più forte di te quando si tratta di appartenenza.
    Certo, non credo di poter fare di te un Konohaniano, ma sarai sempre un gradito ospite.


    E quello bastava a far capire come Raizen la pensasse su di lui.

    Per quanto riguarda Kensei… non sono troppo preoccupato, non fin quando le fiamme di Yogan saranno dalla tua parte.

    Adesso che il drago era in forma umana poteva battergli sulla testa come l’adolescente che era, anche se con affetto più che scherno. Avrebbe quindi indicato un ingresso, ben studiato nonostante fosse sul tetto, segno che veniva usato tanto quanto quello principale, tuttavia, avrebbe esitato sulla maniglia.

    Di Kensei e di Kiri non mi importa più di tanto Itai, della tua famiglia, di Juukyu però si.

    Si voltò verso di lui, guardandolo negli occhi.

    Devi ricostruire, non recuperare, restaurare... non pensare di poter essere un padre per lei, non subito.
    Nella sofferenza ci somigliamo tutti, e lei ha scelto di escluderti, non basterà il solito, dovrai parlare come parli ad un adulto, non alla tua piccola bambina.
    Lei si è spinta oltre perché ha bisogno di essere grande, pur avendo ancora bisogno di una guida… il difficile sta proprio nel prendere le misure alla sua necessità di essere grande e al bisogno di consigli, la linea è sottile ma non puoi permetterti di arrenderti.
    Non dare niente per scontato, ne l’abbandono, ne l’affetto, ne l’odio, valuta tutto e agisci concretamente per lei.


    Non c’era niente di semplice tra quelle parole, ma Itai aveva una lunga notte davanti, avrebbe potuto riflettere.

    Andiamo adesso, cerchiamo di sgombrare un po' la mente.
    Richiama Sojobo…


    Forse avrebbe potuto riflettere.

    ... ci faremo un goccio e poi deciderai se passare la notte da me o in una stanza in albergo che facciamo sempre tenere libera per occasioni come questa.
    E non pensare di non poter mangiare.


    Itai era tornato, se avesse portato problemi o pace ancora non era il momento per dirlo.


     
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