Il ritorno del Nono

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    九代目水影 - Kyuudaime Mizukage

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    Il ritorno del Nono


    I - Un ruggito nei cieli della Nebbia

    L'autunno aveva ormai preso piede da tempo, nel mondo, e la pioggia sferzava i cieli di Kurohai, abbattendosi sul villaggio, gonfiando il mare e perdendo, come sempre, la lotta contro il calore del Monte Gekido che però sarebbe stato per un po' decisamente poco vivibile per gli umani, con l'umidità che rendeva il caldo torrido ancora più pericoloso. Ma non ero diretto al Monte, bensì nel lato florido dell'isola, ad un casolare di piccole dimensioni isolato dal Villaggio ai margini della vegetazione. Una casetta semplice, su due piani ma di piccole dimensioni, dall'aria trascurata. Il suolo scuro di Kurohai lì era puntellato di verde incolto che non curato stava ricoprendo alcuni oggetti lasciati nel giardino. Un manichino da allenamento, usato da Jukyu, era ribaltato di lato, quasi marcito. Un vecchio tavolino, due sedie.
    C'era un albero, in quel piccolo giardino. Un ginkgo. Era da lì da prima della casa, anzi, era più corretto dire che la casa era lì a causa di quel ginkgo. Quando cercavamo un posto isolato dove costruirci una piccola casetta dove riposare ed un giorno, vivere dopo il ritiro, Ayame si era innamorata di quella distesa di foglie dorate che ricopriva il terreno sottostante. Era un singolo albero, la cui storia non mi era nota, ma che forse era stato piantato lì molto tempo prima. Un singolo albero di ginkgo, su tutta l'isola.
    Sotto quell'albero, coperte dalle foglie colore dell'oro, tre lapidi. Non belle, nemmeno curate. Non vi erano fiori, poiché nessuno le visitava da diversi mesi.



    Yogan si diresse lentamente verso il basso, muta, le scaglie lucide per la pioggia. Le prime due, di Natsu e Nana, erano ordinate, una vicino l'altra. La terza, di Ayame, era più indietro, più vicina all'albero che aveva tanto amato, leggermente più grande delle due. Atterrò ad una certa distanza dalla casa e non appena posai piede per terra, assunse immediatamente la sua forma umana. Il vento le muoveva i capelli rossi e lei fissava dritto davanti a se, con un'espressione dura.
    Sono qui? chiese. Il suo tono era carico di emozioni inespresse. I draghi non condividevano l'ombra dei sentimenti del loro Ryuukishi ed i Ryuukishi non condividevano l'ombra dei sentimenti dei loro draghi. L'affetto che Yogan aveva provato per la mia famiglia era sempre stato sincero, genuino, nato da lei stessa e per questo quelle perdite la colpivano quasi quanto avevano colpito me.

    affermai con voce neutra, seguendola mentre ci avvicinavamo alle tombe. Ci ero tornato, una sola volta, otto mesi prima ma da allora non era più riuscito a mettervi piede. Yogan si avvicinò a quelle pietre sotto le quali riposavano i resti mortali della mia famiglia, vi posò una mano e chinò il capo, chiudendo gli occhi. Decisi di lasciarla sola, a piangere quelle perdite. Io, non riuscivo ancora a restarvi per troppo tempo. Troppo dolore.
    Ero tornato lì per altre cose, oltre che portare Yogan a dare loro il saluto che avevo negato per troppo tempo. Mi diressi verso la casa. La porta, chiusa a chiave, evidentemente non era stata forzata. L'aprii ed entrai in quel luogo che mi rievocava troppi brutti ricordi. L'aria era stantia, soffocante per il panico che mi causava ripensare alle morti che tra quelle mura avevano avuto luogo. Determinato andai fino in una botola, che aprii, rivelando un seminterrato buio che illuminai accendendo una torcia alla parete.
    Il seminterrato era abbastanza vuoto, qualche cianfrusaglia, qualche vecchio giocattolo di Natsu in un angolo e, sulla parete più lontana rispetto la botola, su una rastrelliera, c'erano due spade. Due Katane.
    La prima era Garyuuka. La seconda, Nishikigoi.
    Le presi, sistemandole entrambe sul mio fianco sinistro, dunque mi voltai ed uscii. Quella era la tappa obbligata. Riprendere ciò che mi apparteneva, e ciò che apparteneva a Kiri. Dopotutto, Itai Nara non era un ladro.



    Sorvolai il Villaggio della Nebbia a quasi cinque chilometri di altitudine. A quella distanza chiunque avesse visto verso l'alto non avrebbe notato altro che, beh... nebbia, figurarsi Yogan. Inoltre, era sera. La dragonessa procedeva in circolo, senza fretta e non sembrava essere molto contenta.
    Itai questa è una stronzata mi disse senza mezzi termini, com'era suo solito. Io rimasi sordo a quella esortazione, poiché avevo deciso cosa fare e ciò che dovevo fare avrebbe richiesto un'azione preparatoria.

    Yogan, per la ventesima volta, andrà tutto bene dissi. Ero forse l'unico Ninja di Kiri che sapeva volare e non stavo andando in nessun luogo pericoloso. La realtà era semplice. L'unica cosa che dovevo fare prima di tornare a Kiri e confrontarmi con il Villaggio era parlare con Jukyu. Lei non voleva parlarmi, probabilmente, ma avevo deciso di non rispettare quella distanza che stava cercando di imporre. Non potevo non vederla faccia a faccia, capire cos'era diventata e lei aveva bisogno di confrontarsi con me, con quel dolore che rappresentavo, altrimenti avrebbe continuato a costruire una narrazione distorta di ciò che mi era successo. Io vado. Tu non scendere per nulla al mondo, intesi? Ci rivediamo dove abbiamo detto.
    Mi lasciai andare, cadendo verso il basso, Strinsi le mani ai fianchi, scendendo in picchiata ad una velocità sempre più folle, finché non richiamai a me il potere di Chomei. [Tecnica]
    Arrestai la caduta, frenando fino a raggiungere una velocità che potevo controllare. Il Villaggio era a circa un chilometro dal punto della verticale della mia traiettoria e la corressi per dirigermi verso una piccola altura a strapiombo della costa, da cui si poteva ammirare, nelle giornate più chiare, il Villaggio. Feci sparire il Chakra di Chomei e trovai una pietra sui cui sedermi. Ed attesi.
    Certo che hai un bel coraggio a tornare.


    [Quella mattina]
    Un messaggio era giunto a casa di Jukyu Shinretsu. Farlo arrivare non era stato difficile. Far arrivare messaggi dal porto al Villaggio era semplice e con una buona Henge mi ero finto un marinaio che voleva mandare un messaggio a casa. Jukyu si era ritrovato una busta chiusa, non firmata, che conteneva un unico foglio con poche parole che chiunque altro avesse letto non avrebbe potuto interpretare. Un messaggio che chiedeva soltanto di vederci dove Jukyu, con la famiglia, aveva passato una giornata fuori in serenità, in uno dei rari momenti di stacco che mi concedevo quando ero Kage. Si trattava di un messaggio interpretabile solo attraverso la conosceva di un ricordo condiviso da solo noi due. Certo, avrebbe potuto tradirmi ed indirizzare lì qualcun altro, magari Kensei stesso... ma dubitavo lo avrebbe fatto. Jukyu per natura era ostinata e curiosa e per quanto forse si sforzava a crederlo, esisteva un legame con me che le avrebbe resto difficile tradirmi a sangue freddo. Lei era troppo passionale, troppo arrabbiata per non cogliere al balzo l'occasione di sfogarsi in privato.


    Certo che hai un bel coraggio a tornare disse Jukyu, alle mie spalle. La sua voce era un misto di tremante emozione, rabbia e molte altre emozioni mischiate assieme che le impedivano di tenere un tono di voce fermo. Mi alzai e mi voltai, guardando mia figlia al chiarore della luna per la prima volta dopo anni. Era cresciuta. Non era più una bambina piccola ed arrabbiata. Era diventata più alta, il suo viso aveva perso quasi del tutto i tratti infantili. Riconoscevo sul suo viso i miei tratti in maniera disarmante, ma c'era anche tanto di Ayame in lei. Ma gli occhi, grandi occhi verdi, li aveva presi da me.Beh? Che vuoi? Perché questo incontro segreto?

    Ciao Jukyiu fu ciò che riuscii a dire dopo lunghi secondi di silenzio. Vidi il suo sguardo contorcersi in una smorfia di rabbia e sapevo che stava per esplodere. Sospirai, muovendo un unico passo verso di lei. La vidi irrigidirsi, ma non indietreggiò, anzi, con aria di sfida alzò il viso. Sono tornato... ma prima di rendere pubblico il mio ritorno volevo parlarti. Non so se ci sarà un'altra occasione.

    ...E parla allora disse lei, quasi sputandomi quelle parole addosso. Incrociò le braccia al petto in un istintivo segno di chiusura che non tradussi come tale consciamente, ma che, inevitabilmente, mi spinse ad abbassare lo sguardo prima di iniziare.

    Lo so che sei arrabbiata con me iniziai, e fui interrotta da un suo sospiro a metà tra il disprezzo e l'esasperato. Lo so e ti capisco. Ma ormai non sei più una bambina, è giusto che non ti difenda più da ciò che mi è successo. Le diedi le spalle, tornando a sedermi sul masso. Lei ora mi guardava più curiosa, ma sempre distante e diffidente. Dopo la morte della mamma io ero perso. Forse, con lei al suo fianco sarei riuscito ad affrontare la tragedia meglio ma quella era l'ultima mia ancora di salvezza. Io... non potevo prendermi cura di te Jukyu. Ricordi come stavo? Dimenticavo di mangiare, a malapena mi alzavo dal letto. E tu era una bambina che soffriva, soffriva tanto e che non potevo aiutare.

    Così hai pensato bene di scaricarmi da zia Hanako e sparire per quasi due anni, vero? La rabbia in quelle parole era tangibile e mi ferì. No, non l'avevo scaricata. L'avevo affidata a qualcuno che poteva prendersi cura di lei, ma Jukyu era troppo arrabbiata per rendersene conto. Non serviva abbandonarmi papà. Io potevo farcela, avrei voluto restare con te! Ed invece no, mi sono ritrovata senza sorella, sneza fratello, senza madre e SENZA PADRE! Le ultime due parole furono urlate e lei si avvicinò a me, in maniera quasi aggressiva. Cosa vuoi da me ora?

    Jukyu... mormorai il suo nome, rialzandomi avvicinandomi a lei finché non fu a portata del mio braccio. Voglio solo parlarti. Vorrei che tu mi perdonassi, ma so che sei troppo arrabbiata ed amareggiata per prendere in considerazione l'idea. Ma non mi perdonerei mai se non tentassi di farti capire sospirai. Lei era una trentina di centimetri più bassa di me ed io ero costretta a guardarla dal basso verso l'alto. Odiai quella cosa. Mi abbassai per mettere il viso alla stessa altezza del suo. Se fossi rimasta con me, temevo tu avresti sofferto ancora di più. Ero... ero un morto che camminava. Non le dissi del mio recente tentativo di diventare un morto spiaccicato sulla roccia. Non le serviva quell'altro carico da portarsi dietro.

    Cosa credi che la tua assenza mi abbia fatto bene? La vidi stringersi il braccio destro con la mano sinistra. Notai solo in quel momento che era bendato. Non erano bende mediche, erano bende da combattimento e Jukyu, a meno che non avesse modificato il suo stile così radicalmente, non aveva motivo di usare quelle protezioni solo su un braccio. Tutto, nel suo linguaggio corporeo, urlava che stava nascondendo qualcosa sotto quelle bende. Credi che io possa perdonarti? Potevi venire a trovarmi a Konoha! Farmi un cenno, farmi capire che ti importava ancora di me. Invece no, sparito, ti credevo MORTO le sue braccia mi spinsero via, vidi lacrime bagnarle gli occhi, feci un passo indietro, ma mi riavvicinai subito, non disposto a lasciarmi allontanare da quelle manifestazioni di rabbia.

    Lo so. Hai ragione, ma io... non ragionavo bene Jukyu. La mia mente era... è malata sospirai, abbassando lo sguardo. Avevo commesso tanti, troppi errori, ma incolparmene del tutto era errato. Qualcosa si era spezzato dentro di me e quasi tutte le mie azioni dopo quel momento erano state simili ad un sogno. Non ricordavo un granché di quei mesi, non ricordavo nemmeno cosa mi avesse impedito di tornare da lei. Ora sono qui, e farò di tutto per recuperare.

    Troppo tardi papà lei calcò l'ultima parole con disprezzo, velato di altre emozioni.
    Non voglio recuperare nulla con te.

    Quelle parole mi colpirono, ma non giunsero inattese. Quella ferita era già aperta e quel suo atteggiamento non fece altre che farla sanguinare di più, ma non mi avrebbe devastato ancora. Mi avvicinai di un passo ancora e misi una mano dietro la sua testa. Non la bloccai, ma lei rimase ferma, cercando di capire cosa stava per succedere.
    Io rimarrò per sempre tuo padre dissi allora, guardandola negli occhi. Ed anche se mi odierai, anche se farai di tutto per allontanarmi da te, non smetterò mai di amarti. Perché sei mia figlia. E nemmeno tu potrai scappare da questo. Lei non rispose a quelle parole, rimase immobile, senza dire nulla. Mi allontanai da lei avvicinandomi alla scogliera. Il chakra di Chomei tornò ad avvolgermi, azzurrino come prima, privo delle forme bestiali. Sta attenta Jukyu, ti prego. Non interferirò con la tua vita e le tue decisioni... ma ti prego, sta attenta. Mi alzai in volo lentamente e poi, come una scheggia, volai verso l'alto, lasciando mia figlia a guardarmi, confusa, atterrita. La vidi con la coda dell'occhio sedersi sullo stesso maso su cui ero seduto lì io, accucciarvisi e stringere le ginocchia al petto e poggiarvi il viso contro.



    [La mattina dopo]
    Un ruggito, che da tempo non si udiva a Kiri, avrebbe probabilmente fatto voltare più di una persona a guardare il cielo.
    Devo dire che questa idea mi piace disse Yogan, per poi ruggire ancora, spingendosi nei cielo alla massima velocità, circumnavigando tutto il Villaggio. Chiunque, a meno che non fosse in come, avrebbe udito quel ruggito e molti l'avrebbero trovato famigliare. Così come avrebbero trovato famigliare la figura serpentina rossa di Yogan che, fino a due anni prima, era una visione ben nota nel Villaggio.

    Non ho intenzione di lasciare questa cosa nascosta dissi a Yogan, che a quel punto si innalzò in volo quasi in diagonale per alcuni secondi, puntando poi per la grande piazza centrale di Kiri. Abbassò il capo puntando verso quel posto, ruggendo, furiosamente, abbassandosi in picchiata. Non c'era molta gente, faceva freddo, era mattino ma chi vide Yogan abbassarsi corse a lasciare il centro della piazza libero mentre la dragonessa, con un movimento a spirare, scendeva toccando il solo, avvolta in maniera simile ad un grande serpente. Io ero sulla sua testa e saltai giù, Yogan urlò ancora, richiamando lì, nella piazza di Kiri, il Villaggio ed i suoi ninja.
    Il Nono Mizukage era tornato a casa. Forse qualcuno sarebbe corso nello studio di Kensei ad avvisarlo, come se non avesse sentito e visto ciò che era appena successo dalla larga vetrata dell'ufficio del Mizukage. Non indossavo alcuna insegna di ciò che era stato, non ne avevo diritto. I miei vestiti erano ancora logori, consunti dai mesi di viaggio, il mio aspetto non era cambiato rispetto a quando ero andato a Konoha. Ero più vecchio, più di quanto gli anni passati potessero giustificare. Respirai l'umida aria di casa, sentendo emozioni contrastanti dentro di me. Gioia, paura, tristezza, tutte mischiate in un insieme non definibile. Ero a casa. Casa. Non sapevo se sarebbe rimasta ancora tale per molto, ma per il momento quella era casa.

    [Note]Giocata aperta a tutti i Kiriani, ovviamente **!




    Edited by -Max - 1/11/2021, 13:00
     
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