Il ritorno del Nono

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  1. -Max
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    九代目水影 - Kyuudaime Mizukage

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    Il ritorno del Nono


    III - Comprendere

    Una voce, un gutturale ruggito, una rabbia sconfinata mi attraversò la mente. La provai, ma non si impossessò di me, poiché non era la mia rabbia, bensì, quella di Chomei. In così tanti anni di convivenza mi ero abituato a quella sensazione strana, difficilmente spiegabile: il provare un'emozione, priva della risonanza emotiva che essa causava, essere consci di qualcosa che non poteva essere spiegato, ma solo provato. Ogni volta che succedeva, non spesso, mi faceva rabbrividire e la pausa che seguì le ultime parole di Kensei, parole che, ovviamente, mi ero aspettato sin dal principio, servirono più a me per riprendermi da ciò che Chomei aveva appena provato. Poi la sua voce rimbombò nella mia testa.
    Fammi parlare con lui fu la richesta del sette code. Non ero sicuro che fosse una buona idea, era da molto tempo che non sentivo Chomei così arrabbiato. Probabilmente erano anni, sin da quando il Bijuu non si era liberato della sua falsa forma di terra.

    Sei sicuro? domandai incerto al Bijuu, ma sentii le sue ali fremere nella mia mente con un gesto di impazienza. Era chiaro che il Bijuu non avrebbe desistito su quel punto ed io, sinceramente, non me la sentivo di impedirgli di scambiare quattro chiacchiere con il Mizukage. Dunque, questa volta con la mia voce fisica, parlai a Kensei. Il Sette Code vuole parlarti, Kensei. Non ho idea di cosa voglia dirti. A quelle parole chiusi gli occhi e quando gli riaprii le mie iridi erano divenute due punti luminosi in un mare nero. Il vento prese a soffiare, dalla mia persona [Note]Solo un innocente effetto scenico, segno dello scontento acuto del Bijuu.

    Chomei parlò attraverso il mio corpo, la sua voce che si univa alla mia in una diplofonia quasi mostruosa.Stammi a sentire, lattina Se Kensei avesse potuto vedermi nel mondo interiore, avrebbe colto entrambe le mie mani scontrarsi poco delicatamente con il mio viso in un gesto rassegnato. Io non appartengo a nessuno. Non ad Itai. Non a Kiri. Io sono il Sette Code, e sono LIBERO l'ultima parola fu quasi urlata ed una folata di vento più forte nacque dal mio corpo controllato dal Bijuu. Ho scelto di restare legato ad Itai come ringraziamento per avermi ridato la mia vera forma, perché ho deciso di fidarmi di lui. Hanno già provato a separarci, ci hanno infettato per indebolire questo legame e sono ancora qui allora il Bijuu fece un sorriso furioso, che distorse i miei lineamenti apatici. Questa è la mia promessa per te, Decimo Mizukage. Tocca Itai e prova a separarmi da lui, ed ucciderò qualsiasi altro povero disgraziato in cui penserete di sigillarmi. Mi libererò, raderò al suolo questo mucchio di pietre e nebbia e...

    BASTA! quell'urlo secco con la mia voce bloccò quel violento soliloquio da parte del Bijuu, il quale si ritrasse, soddisfatto, ridendomi nelle orecchie. Perdonami Kensei, non pensavo arrivasse a dire questo. Sospirai, quasi spossato dall'esperienza appena passata. Ma puoi vedere come la pensa Chomei. No, Chomei non può essere trattato come un'arma, o merce di scambio. Per me, lui, è molto più di questo, molto di più del potere che mi dona dopo quelle parole però decisi di sistemare quella situazione che si era creata. Ma per farlo, avevo bisogno che Kensei capisse perché avevo detto quelle parole che lo avevano ferito. Quindici anni, Kensei. Quindici anni che sono un Jinchuuriki. Quindici anni che la mia vita è misurata dal valore della Demone che porto dentro. Solo un altro Jinchuuriki può capire cosa significa essere un Jinchuuriki. Io sapevo di essere un problema nel momento stesso in cui ho deciso di tornare a Kiri, ma sono tornato lo stesso, nonostante tutto il dolore. Sai perché, Mizukage? allargai le braccia, in un gesto di totale apertura. Questa è casa mia. Qui ho tutto, Kensei, qui c'è tutto ciò che mi resta. Lo guardai negli occhi, con intensità, certo che il significato di quelle parole arrivasse persino a lui. Mi riferivo a Jukyu, ovviamente. Noi due siamo persone così diverse che, probabilmente, ci ritroveremo in disaccordo assai spesso. Ma io voglio il bene di questo Villaggio. Voglio tornare, Kensei, voglio proteggere Kiri, difenderla dai veri nemici - calcai quelle parole - che vogliono distruggere questa patria, voglio addestrare nuovi Shinobi affinché ciò che ho imparato nella mia vita venga tramandato. E quando arriverà il tempo, trovare un Jinchuuriki che possa guadagnare la fiducia di Chomei, affinché possa liberamente scegliere di continuare ad essere legato a questo Villaggio. Mentre parlavo, sentivo parte dell'antico fervore tornare ad ardermi dentro. Lo stesso che era stato spento, sopito per così tanto tempo. Rivedere Jukyu, tornare a Kiri, erano esperienze forti ma mi stavano scuotendo. Mi chiedi che voci ho sentito. Prima di tornare a Kiri, sono andato a Konoha, poiché lì avevo lasciato mia figlia Jukyu, dalle cura di mia sorella, non sapendo che fosse già tornata a Kiri. Lì ho incontrato Raizen Ikigami, che mi ha raccontato la sua versione di ciò che è successo durante il tuo insediamento. Ed ora, ho sentito la tua, ma... non sono un giudice. Conosco l'Hokage, i suoi pregi ed i suoi difetti, non fatico a credere che possa aver detto cose che lui ritiene innocenti, ma che siano risultate offensive. Non è ciò che è successo in quell'occasione ad avermi preoccupato, Kensei, ma sono state le parole Nebbia di Sangue feci un passo verso il Mizukage, riducendo la distanza tra noi due a circa mezzo metro. Lui era alto, ben più alto di me, così fui costretto a guardarlo dal basso verso l'alto. Yogan allungò però il muso, posandolo contro il mio fianco, sbuffando aria calda dalle narici. Un concetto vetusto, doloroso, nato ai tempi del Terzo Mizukage che non era che una marionetta nelle mani di un folle, tralaltro, originario di Konoha. Voglio capire Kensei, voglio capire cosa Kiri è diventata, non lo vedi? Non ti accuso di nulla, non insinuo nulla, io voglio capire, perché in quanto Jinchuuriki qualsiasi cosa farò avrà un peso dieci volte superiore a quello di qualsiasi altro Shinobi. Ora compendi il perché, Kensei, io so di essere un problema? Perché lo sono sempre stato, per chiunque, anche per me stesso. Perché è la natura stessa di ciò che sono ad obbligarmi all'obbedienza assoluta o a diventare... un problema Sapevo che Kensei avrebbe voluto rispondere a quel punto, ma in realtà, per quelle risposto avrebbe dovuto attendere. Chissà, forse persino un'altra occasione. Io rimarrò a Kiri, Kensei, se Kiri vorrà accettarmi ancora. Ma tu mi concedi di lasciare il Villaggio in pace... A patto di tradire un compagno, vero? Magnanimo... quell'ultima parola, già usata a lui fu pronunciata con un tono di triste e rassegnata ironia. Oppure di rimanere... stavo ponderando quella scelta, in quel momento, e si vedeva. Avevo socchiuso gli occhi, quasi immaginando i possibili scenari.

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    "Il tortuoso sentiero che conduce alla pace è sempre meritevole, indipendentemente dal numero di svolte che comporta." citai quelle parole ad occhi chiusi, riaprendoli subito dopo. Era un precetto dei Ryuukishi. Non importava quanto fosse difficile la trada che conduceva alla pace, quante sofferenze, quante svolte, quante difficoltà ed ostacoli ponesse davanti, andava sempre precorso. Sempre. Anche a costo di sopportare, soffrire, ingoiare il proprio orgoglio. Se Kiri stava cadendo nell'oscurità di Kensei, io sarei tornato a controbilanciare, seppur senza insidiarne il potere. Kensei, esiste un modo, per convivere entrambi in questa situazione il pensiero, mai formulato fino a quel momento, si fece strada nella mia mente. Proponimi ai quattro Kage come Sannin di Kiri. Potrai contare su di me per difendere questo Villaggio. E se ci troveremo in disaccordo, non minerò la tua autorità, ti parlerò, come tu ti aspetti che io, Itai Nara, possa parlarti. Potrai trovare in me consigli, se li vorrai, una spada ed un difensore di questo Villaggio.Non era la volontà di avere quel grado a muovermi, poiché, a conti fatti, non sarei stato altro che un Jonin glorificato. Ma un Sannin aveva maggiore libertà di manovra, specie sul piano militare. Era uno Shinobi solitario fuori dalle rigide gerarchie di Villaggio e ne rappresentava uno dei massimi campioni. Non sarei stato una delle Mani del Mizukage. Non un'ombra. Sarei stato qualcosa di diverso. Il vento che avrebbe spazzato via i veri nemici di quel Villaggio. Non si sarebbe potuto controllare del tutto il Vento, sarebbe stato capriccioso, volatile ma, nel Mare un potente alleato. Oppure... se mi chiedi di lasciare Chomei... questa cosa non finirà in maniera pacifica. Ma non desidero ciò Kensei, nemmeno con grammo della mia anima. Ma non potrò tradire il Sette Code. Non può essere tradito ancora dissi, con lo sguardo perso nei ricordi. Non avrei sostituito il peccato di Mikoto con quello di Itai.
     
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20 replies since 1/11/2021, 12:23   627 views
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