Il ritorno del Nono

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    九代目水影 - Kyuudaime Mizukage

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    Il Ritorno del Nono


    IV - Accettare


    Guardai Kensei. Guardai il suo elmo metallico, cercai di scorgere l'uomo dietro di esso. L'uomo che avevo conosciuto un tempo, l'uomo ferito tenuto in piedi solo dall'odio e dalla rabbia. L'uomo che, nella sua fredda apparenza, ardeva di passioni incontrollabili al limite della follia. Eppure, lucido. Lucido, ma forse, non abbastanza distaccato da non rendersi conto di ciò che gli avevo proposto per davvero. Ma, non sarebbe stato da me irritarmi per un malinteso. Avrei insistito, pacificamente, finché le mie parole non avrebbero fatto breccia al di là dello strato di metallo che lui aveva posto sul suo viso per filtrare il mondo e nascondere ciò che era diventato.
    Fortunatamente la questione della Nebbia di Sangue fu chiarita. Di certo non credevo chela crudeltà sarebbe potuta giungere ai fasti del passato, il dubbio che in realtà fosse qualcosa di diverso era sempre stato nella mia mente. Più che un dubbio, la certezza. Il dubbio era quanto fosse vicina questa versione della Nebbia di Sangue rispetto a quella messa in piedi dal Terzo Mizukage e ne risultava che, fortunatamente, sarebbe una versione annacquata della stessa.
    Ne sono felice dissi con tranquillità, rivolto sia al Mizukage che al giovane Shinobi che aveva chiarito le modalità di quella nuova tradizione Kiriana. Non era qualcosa che mi piacesse particolarmente, non ero un convinto sostenitore dei legami creati sul campo di battaglia per diverse ragioni, ma che importanza aveva, dopotutto? Kensei, io credevo che fosse qualcosa di diverso. Perché se fossi stato così sciocco da credere che avessi deciso di affogare la Nebbia nel sangue dei Kiriani, ti assicuro che non staremmo parlando adesso. Ma nemmeno io, distrutto come sono, sono impazzito al punto da credere che tu possa fare una cosa del genere, dissi rivolgendomi solo al Mizukage. E se questo funziona, ne sono solo felice. E lo sono davvero Kensei. Se l'irritazione avesse smesso di tappargli le orecchie forse avrebbe percepito la sincerità nella mia voce. Ora Kensei... feci una pausa. Misi la mano sul muso di Yogan, la quale stentava a trattenere la sua irritazione alle parole del Mizukage. Solo il mio tocco amichevole le impediva di aggredire, quantomeno verbalmente, il Kage ma Yogan si rendeva conto che stavamo camminando su un ghiaccio sottile.Perché pensi che io voglia essere sempre fuori dal Villaggio? Chiesi semplicemente. Io voglio essere qui, a Kiri. Come un tempo. Perché Kiri è la mia casa, Kensei. Sto ricominciando faticosamente a provare qualcosa che non sia annientamento e so che Kiri è casa mia. Non voglio prendermi un titolo per girovagare per il mondo. Puntai nuovamente gli occhi verso il Mizukage. Io ero un sostenitore dell'Accademia non per l'Accademia in sé. Quell'alleanza sarebbe potuta bruciare in qualsiasi momento. Io ero il Mizukage. Per me Kiri veniva prima di tutto e se l'Accademia non è il bene di Kiri, per me potrebbe crollare all'istante. Del resto mi insegni che le alleanze devono beneficiare tutte le parti in gioco, o sbaglio? Domanda retorica, non aveva alcun bisogno di una risposta. Stavo cercando di essere conciliante, il più possibile, come anni di diplomazia mi avevano insegnato ad essere. Non intendo minare la tua autorità, in alcun modo, Kensei. Se prenderai decisioni che non mi piaceranno, al massimo ti potrò chiedere di parlarne, in privato, nella speranza che tu - come avrei fatto io quando vestivo i tuoi panni - l'ascoltassi. Ti sto mettendo a disposizione la mia spada, la mia forza, il potere del Sette Code che custodisco e, se vorrai, i consigli di un uomo che è stato nel tuo stesso posto. Mi avvicinai al Kage, afferrai la mano che mi porgeva e strinsi il suo polso metallico con forza e decisione. "Il tortuoso sentiero che conduce alla pace è sempre meritevole, indipendentemente dal numero di svolte che comporta." ripetei Significa anche dover ingoiare il proprio orgoglio, faticare, accettare idee che non sono le mie. No, Kensei, da me non dovrai temere nulla. Strinsi con maggior vigore il braccio del Kage, certo di non ferirlo con la mia presa salda, ferrea. L'unica persona che dovrai temere, Kensei, sarai te stesso. Questo è il peso che porti. Questo è il peso che ho portato anche io. Ogni mattina, la persona che più temevo al mondo, era quella che mi rimandava lo sguardo dallo specchio. Dissi quelle parole senza sottintesi, e Kensei forse se ne era già reso conto. Quando si raggiungeva la posizione di Kage ci si faceva molti nemici ed allo stesso tempo, si reggevano le sorti del Villaggio. Le decisione del Mizukage influenzavano la vita di migliaia di Kiriani e, nel tempo, se non fosse stato attento, quelle stesse decisioni avrebbero potuto distruggerlo. Un Kage, chiunque esso fosse, doveva temere più di ogni altra cosa sé stesso. Perché egli stesso era lo strumento più rapido per la sua caduta. Kensei sarebbe voluto essere un tiranno? Se non avesse temuto quel lato di sé avrebbe fatto la fine che i tiranni hanno sempre fatto nel corso della storia.
    Ma sarei stato io a portare la rovina su Kensei? No. Non io. Io non ne avevo più le forze. Se avevo accettato di rimanere al Villaggio era solo per Jukyu. Lei, forse, poteva anche odiarmi ma io non l'avrei abbandonata ancora in nome dei miei ideali. Se Kiri stava andando in un posto oscuro, allora, mi sarei immerso nell'oscurità. Non mi sarei fatto dominare dalla Furia. La crudeltà non sarebbe diventata mai parte di me. Ma la vita mi aveva spezzato e, nel ricompormi, non sarei potuto essere più lo stesso di prima.

    Sei sicuro? la voce di Chomei mi rimombò nella mente. Sempre con la mente, risposi al Bijuu che immaginavo, non fosse proprio contento di avere a che fare con Chomei. Ma se stavo compiendo quel passo era anche per lui.

    dissi allora al Bijuu, con semplicità. Voglio restare a Kiri, vicino a Jukyuu. E l'unico modo che ho per farlo è non fare troppi capricci e lasciarmi scivolare addosso cose che non mi piacciono. Non importa il resto. Non intendo perdere nessuno di voi tre dissi riferendomi a Chomei, Yogan ed ovviamente, Jukyu.

    Riesco a percepire la felicità dell'Hokage alla notizia da mezzo continente di distanza Chomei disse quelle parole con tono ironico, ma non senza una piccola punta di preoccupazione nella voce. Raizen era un altro Jinchuuriki, l'idea di scontrarsi con Kurama non lo esaltava un granché, del resto.

    Già, Raizen ne ha combinata un'altra e Kensei è un misto di odio ed orgoglio troppo grandi per lasciar correre delle volte mi chiedevo cosa passasse nella mente di Raizen quando faceva certe cose. Era uno Shinobi potente, capace. Un amico ed un alleato ma la sua scelta durante l'insediamento di Kensei aveva reso qualsiasi possibile rapporto ben più complicato. Ma immagino che potrebbe fargli piacere sapere che a Kiri ci sono io. Immagino spererà che io possa porre un freno a Kensei, in qualche modo... sospirai, mentalmente, rivolto al Bijuu. Ma non sarà un ruolo che potrò interpretare.

    Gli devi la vita, Itai la realtà espresa dal Bijuu mi colpì come un maglio ed il senso di colpa arse forte. Ma che conflitto poteva esserci? Il mio Villaggio, la mia casa... mia figlia erano sull'altro piatto della bilancia. Chomei forse percepì quelle sensazioni. Ho capito, non c'è bisogno che dici altro disse il Bijuu ed io, mentalmente, lo ringraziai. Forse un giorno mi sarei sdebitato con l'Hokage. Una vita per una vita. Ma se mi aveva salvato la vita, se era mio amico, avrebbe compreso dove dovevo essere in quel momento e quanto ciò mi sarebbe costato.

     
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