Il Nido del Drago

Ikigami no Tatemono

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    Il Nido del drago

    Ikigami no Tatemono







    Chiedete ad un progettista se è più facile edificare o progettare una casa e vi risponderà che riempire di nuove idee e concetti un foglio bianco è sempre una disgrazia condita di problemi e insaporita da soluzioni, chiedetelo ad un maestro di muri e vi dirà che esistono solo problemi su cui mettere la giusta quantità di calce per tenerli assieme.
    Chiedetelo a chi ha partecipato alla realizzazione del Nido del Fuoco e riceverete un coro concorde di problemi e lamentele sia dal lato progettuale che da quello realizzativo: chiedetelo a Raizen Ikigami.

    Una grande idea ha sempre grandiose soluzioni per ciclopici problemi.

    Dopotutto cosa poteva rispondere l’ideatore, il progettista e il realizzatore di una simile opera?
    Il lungo processo era iniziato con l’idea di una casa lontana da Oto e da Konoha, una casa degna di un Hokage e di un amministratrice, qualcosa che torreggiasse su un paesaggio sconfinato. Però non poteva bastare, qualche volta l’umido della montagna era troppo e si desiderava il clima secco delle zone più basse o il salmastro delle spiagge. Nessuno dei due però era tipo da abituarsi ad avere più dimore e concepirle come proprie ed in risposta a quell’esigenza che normalmente era insormontabile pensò che una casa poteva spostarsi se un arma poteva camminare.
    Passarono giorni e notti insonni, in cui fu necessario risolvere problemi strutturali e di stabilità ma furono giorni stimolanti soprattutto perché lui stesso poteva mettere in pratica ciò che pensava e correggerne gli errori. Gestire un simile flusso di lavoro era il sogno di qualsiasi catena di montaggio ed il paradosso era che ogni modifica in risposta ad un problema era come fare un salto avanti nel tempo poiché le soluzioni erano sempre e comunque le sue. Dopotutto erano cloni.
    Fu in questo flusso di pensieri che inevitabilmente i problemi vennero ridotti all’osso e risolti con un unica soluzione: una piattaforma super rigida, un alzato flessibile e i draghi avrebbero pensato agli spostamenti. La struttura nella sua interezza aveva la possibilità di potersi issare in delle palafitte, in modo da tenere sempre il piano orizzontale e poter essere posizionata sopra a degli specchi d’acqua.
    I cantieri richiesero tempo e risorse e per un discreto periodo di tempo che Raizen fu costretto ad affrontare applicando alcune delle sue tecniche più raffinate, sdoppiandosi grazie ai cloni corporei e dando a loro la possibilità di lavorare in maniera indipendente mentre lui gestiva il villaggio come di consueto. Una volta applicate le giuste cure in ospedale infatti era certo di poter mantenere le sue riserve al massimo come anche il clone che avrebbe prodotto la squadra di lavoro, consumando più tonici di quanti potessero fare bene alla salute durante il periodo. Per la prima volta provò anche una leggera difficoltà nel rilasciare il clone, la quantità di esperienze acquisite iniziavano ad essere vaste e la consapevolezza della sua natura quando il tempo passava era problematica, ragione per la quale accorciò i tempi di operatività del clone per salvaguardare la sua natura mentale.
    In poco tempo, la quantità di esperienza raccolta lo trasformò in un operaio invidiabile e la coordinazione raggiungibile dai cloni fece procedere il cantiere a velocità impensabili.
    Attraverso dei contratti privati con i Senju si fece creare le strutture lignee adatte a creare una scatola rigida a sufficienza da sopportare qualsiasi spostamento e che, grazie alla possibilità concesse dalla loro tecnica speciale, non necessitavano di tinte e manutenzione potendo dare al legno colori senza nasconderne la bellezza intricata delle sue venature.
    I progetti delle travature venivano sempre consegnati in fogli dettagliati che ne esplicavano uso e proporzioni ma che rappresentavano esclusivamente le stesse, rendendo possibile risalire al loro utilizzo per via delle specifiche sulle venature ma mai alla posizione all’interno dell’edificio. l’intricata progettazione si avvalse anche dello studio del palazzo del daimyo, per comprendere come rendere modulari gli ambienti, favorendone l’intercambiabilità per meglio adattarsi a nuove zone nei limiti del possibile.
    Il palazzo venne costruito quindi per stanze modulari che non avevano grandi vincoli compositivi se non quelli stilistici in modo che il palazzo fosse sempre coerente a se stesso.
    L’esterno appariva prevalentemente rosso per via del legno Senju ordinato di quella tonalità, ma dove questo non era esposto le pareti erano bianco avorio e le tegole scure mentre le Oni-gawara volute dalla tradizione rappresentavano i clan dei draghi rispettando il punto cardinale di appartenenza, l’orientamento della casa rispetto ai punti cardinali infatti non poteva cambiare a prescindere dal luogo per una questione di esposizione alla luce solare.
    I tetti spioventi e opportunamente inclinati, avevano delle falde i cui colmi terminavano con un leggero rialzo, dando all’edificio l’apparenza di essere un rogo. Il tetto era poggiato su un sistema antico ma più efficiente persino del moderno cemento e permetteva di avere molto più spazio libero all’interno, similarmente alla struttura dei grandi templi occidentali.
    Per quanto la composizione potesse cambiare l’abitazione era concettualmente simile ai grandi castelli dei daimyo, con un giardino o corte su cui si affacciavano le stanze private o le dependance, utile anche a dividere l’esterno dall’interno e li stesso, in linea con l’ingresso alla corte era presente anche il più massiccio corpo principale dove era possibile trovare, disposte su diversi livelli la sala degli eventi, quella dei ricevimenti, la sala delle armi mentre al penultimo piano stava la sala da letto, sovrastata solamente dallo studio privato di Raizen.
    Gli ingressi erano in entrambi i casi maestosi, quello delle mura di cinta pur non essendo fortificato aveva un apparenza distinta e importante, poggiato da entrambi i lati su una doppia fila di colonne rosse che anticipavano il muro su cui era fissato il cancello, scuro quasi quanto le tegole e quasi impreziosito dalle borchie metalliche. Nel grande spazio risultante si innestava anche il muro di cinta, strutturalmente indipendente, ed a cui il grande cancello faceva quasi da fibbia e diventava un utile spazio per dare riparo ad un nutrito numero di persone se fosse stato necessario attendere l’apertura delle porte o ad un drago se vi fosse stato messo a guardia. L’ingresso al corpo principale invece era era anticipato da un alto colonnato, doppio, che correva lungo tutto il perimetro e che forniva una leggera penombra prima di accedere agli spazzi interni invasi dalla luce che filtrava dalle ampie finestre poste sopra lo spiovente che copriva il colonnato. Il passaggio dall’esterno era curioso e piuttosto scenico, si passava infatti dallo spazio aperto e naturalmente luminoso, ad un ingresso più placito, per poi aprirsi in una grande sala dominata dai toni chiari del legno naturale che rifletteva non poca luce grazie alla finitura semilucida data da un sapiente utilizzo delle tecniche di ebanisteria konohaniana che esaltava la perfezione della rifinitura poco dettagliata ma meticolosa e precisa anziché l’arzigogolata complessità degli intarsi.
    I lavori procedettero in maniera organica, lontano da occhi indiscreti, e circondando il cantiere di tutte le maestranze necessarie alla realizzazione di una casa perfettamente funzionante, dalle fondamenta fino agli ornamenti draconici che ornavano il colmo più alto della magione.
    Il risultato era una coerenza incrollabile, propria dei luoghi sacri ligi alle regole dei loro culti, mentre qui ogni elemento corrispondeva all’idea di Raizen. Il palazzo era un chiaro richiamo al fuoco e già attingendo alla tradizione architettonica di Konoha ne richiamava pienamente i colori esternamente, e tutti i volumi, sfinandosi mano a mano che crescevano in altezza ricalcavano le forme di una fiamma, spinta verso l’alto dai tetti ricurvi.
    Un grado di controllo necessario se si voleva rendere possibile a quella casa di potersi sospendere sopra le nuvole dei draghi.


     
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    Il Riposo dei Risorti

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    Dopo la discesa nello Yomi no Kuni il mondo reale era saturo di stimoli, per quanto il rischio di restare per sempre nel regno dei morti e i complessi eventi accaduti al suo interno quel mondo era silente e spento come ci si aspetterebbe dalla dimora della morte. Uscire all’esterno e sentire il vento sulla pelle fu come rinascere, era come se la presenza di stimoli avesse rimesso in moto le sue percezioni.
    Sentì la minuta mano di Hebiko nella sua, liscia e delicata nonostante la cenere del mondo del vendicatore e leggermente fredda nonostante tutto. Si voltò verso di lei e le sorrise, stringendole la mano e poggiandola sulle labbra non solo per baciarla ma anche per sentirne di nuovo l’odore, dolce, tenue e piacevole, distante dagli acquitrini otesi, inspirò prima di allontanarla nuovamente.

    Andiamo, non voglio stare un secondo di più vicino a sto posto.
    Youkai tornerà con gli shishi.
    Vai dritto a casa, non la passi liscia se devo tornare a cercarti da qualche parte, ti avverto.


    Avrebbe evocato uno dei draghi rossi, tiepidi al contatto come sempre, e dopo averlo ringraziato per il passaggio si voltò nuovamente verso la sua Viperella, le fece scivolare le mani sui fianchi e la issò senza difficoltà in groppa al drago raggiungendola poco dopo prendendo posto dietro di lei. Dovette ammettere a se stesso che necessitava di sentire qualcosa di diverso dal freddo sulla pelle, per questo aveva scelto un drago Rosso. Mentre il leggendario rettile prendeva quota cinse Hebiko per la vita, stringendola a se in un caldo abbraccio. Rimase fermo senza considerare il tempo che passava, sentendo il profumo dei suoi capelli scorrere sul suo viso, accettando anche il fastidio con piacere, mentre il rosso di lei e il nero dei suoi si mischiavano trascinati dal vento. Dopo un tempo che ebbe il piacere di ignorare mise il viso accanto al suo, ed un tocco di labbra dopo l’altro, dal collo fino alla bocca la baciò, tenendole il viso con una mano per sfiorarle la guancia vellutata.
    La guardò negli occhi a lungo, erano simili ai suoi per chissà quale incrocio del destino, entrambi con le iridi verticali, seppure le motivazioni fossero ben diverse, a volte si poteva aver paura di guardare nel silenzio gli occhi di chi si ama, per timore di vedervi riflesse paure o incertezze, ma Raizen non temeva ciò che c’era negli occhi di Hebiko, in quel mondo dal colore così inusuale, diviso da un abisso verticale, c’era solo lui, così come nei suoi c’era soltanto Hebiko. Le riavviò i capelli e non potè fare a meno di accarezzarle un orecchio e baciarla ancora.
    Nel suo corpo ogni tensione andò allentandosi, soffiata via da un vento frizzante ma piacevole,lontano dalle battaglie, dalla tensione e dalla violenza riusciva ad essere morbido e delicato e trattare una Kunoichi forte come la Dokujita come la creatura delicata che era sotto le scaglie.
    Quando arrivarono a Konoha era poggiata sul suo petto, quasi stesa tra quello e il suo braccio, le aveva evitato le sferzate di vento più fastidiose proteggendola col palmo della mano e un gesto per volta ne aveva raccolto le gambe per metterle sopra alle sue, fino a raccoglierla tra le sue braccia come se fosse dentro un nido, anche se al loro nido erano appena giunti.
    Raizen si calò dal drago quasi con passo felpato, congedando il drago poco dopo, come se volesse evitare di svegliare qualcuno che trovasse il modo di disturbarli, il suo appartamento in realtà era defilato e lontano dalla parte densamente abitata del villaggio, ma quel silenzio aiutava anche a non rovinare quell’atmosfera così rilassata. Avrebbe poggiato la viperella a terra solamente quando fosse stato necessario cercare le chiavi della porta, chiedendole di pazientare con una carezza sul viso. La casa non sapeva di chiuso, un odore neutro di pulito li accolse, misto alle note personali di Raizen che inevitabilmente erano presenti nella sua dimora e che Hebiko conosceva.
    Non vennero abbagliati dalla luce, che prese calore lentamente, crescendo come un fuoco sulle pareti, restando bassa e discreta, davanti ai due solamente un luogo sembrava avere senso: il grande divano dove avrebbero aspettato una cena da asporto. Si stese, stremato dalla missione infinita, con un occhio chiuso per cercare di riposare e l’altro che guardava il viso di Hebiko stesa sopra di se a cui accarezzava il viso.
    Dopo qualche minuto passato nel tepore domestico, coccolati dalle certezze che solo le mura di casa potevano dare, divenne impellente la necessità di lavare via il sudore e la fatica, fastidiosi come un sassolino dentro alle scarpe, per premiarsi con indumenti morbidi e puliti. Sarebbe stato impossibile per Hebiko rifiutare di utilizzare insieme la doccia, era grande a sufficienza perché Febh potesse chiamarla camera da letto e l’acqua cadeva verticale da una grande porzione del soffitto, dando l’impressione di lavarsi sotto una cascata dalla temperatura sempre gradevole. Svestire la viperella era un gesto che faceva in quel momento con gentilezza e pazienza.
    Non potè non notare il seno pieno e sodo che nella sua naturalezza si rilassò appena quando rimosso il sostegno dei vestiti, passò da sotto il costato per raggiungerlo dalle spalle, e invitarlo leggermente verso l’alto per riempirsi le mani di quella liscia pelle. Sotto alle sue dita la pelle si animò di un riflesso incontrollabile accentuandone il pallido rosa in due punti ora più evidenti al tocco leggero che gli permise di sentirli sotto il palmo di mano. Il baciò che accompagnò quel gesto misurato ma desideroso di soddisfare qualcosa che quel corpo aveva creato spostò di qualche secondo le lancette dell’orologio perdendosi nel quadrante. Poco dopo si alleggerì a sua volta, impossibile non notare nella sua pelle indurita dal sole le imperfezioni di una vita colma di esperienze, tra cicatrici e leggere imperfezioni che arricchivano la sua pelle come una mappa in cui era possibile ripercorrere la sua storia, il contatto tra i due fu come quello tra due petali a cavallo della brezza, le sue mani scorrevano lungo i fianchi di Hebiko suonando una calda e affettuosa melodia.
    Quando la doccia scrosciò sui due fu come se le carezze che si scambiavano venissero amplificate, l’acqua scorreva, lavando via i brutti ricordi e lasciando solo loro due sotto di essa, liberi grazie al sapone dai vincoli della pelle salmastra. Chinatosi per mondare l’intero corpo dalle prove superate non potè evitare di soffermarsi sulla genuina bellezza della Dokujita, dolce come nessuno si aspettava che fosse la assaggiò più volte, con dolcezza, tracciando una linea tratteggiata dal basso ventre fino al collo mentre traeva a se quel corpo come se i loro interi corpi fossero labbra, come se la carne potesse mischiarsi in sensazioni nuove.
    L’acqua scandiva quei gesti accumulandosi quando i loro corpi si univano, scrosciando a terra in una sola volta quando si allontanavano nuovamente, spezzando la monotonia del getto costante con accenti disordinati e casuali. La sfregò delicatamente accarezzandola come un opera d’arte, esitando nel suo corpo ogni qual volta una sua voglia incontenibile glielo suggeriva. Grazie al contatto intermittente tra le sue labbra e il corpo di lei i suoi sensi, sempre affilati, non poterono non notare l’acqua ora tenuemente salmastra, il suo corpo si scioglieva attorno a lei, accumulando la tensione in un unico punto.
    In poco tempo divenne acqua, e come l’acqua la accarezzava, rallentando leggermente quella corsa sfrenata ma senza risparmiarle qualche onda più sferzante. In quella danza così stretta però notava che la viperella si lasciava trasportare dalla musica pur volendo provare a condurla a sua volta, forse per un moto di orgoglio che Raizen non desiderava spegnere bensì incoraggiare.
    Impossibile a quel punto non sentire sulla pelle lo strumento che Raizen le porgeva per condurre quel gioco, pur senza mostrare alcuna impazienza. Avrebbe infatti atteso che quell’ansia da palcoscenico calasse e le permettesse di familiarizzare con quell’esperienza e con uno strumento di quel tipo. Quando sentì il tocco di lei avrebbe continuato ad invitarla a proseguire quel movimento e soltanto quando fosse stato opportunamente accordato avrebbe chiuso l’acqua per portarla nel vero palco, coperto da lenzuola in morbido e liscio cotone, pesanti al tatto ma fresche.
    Si distesero insieme legati da una corda di baci più tenace dei sigilli Uzumaki che lentamente gli avvolse attorno a tutto il corpo, stringendo e accarezzando qualsiasi cosa che riuscisse a prendere tra le mani trattenendosi con grazia e competenza nei punti più sensibili. Solo quando avesse sentito i suoni ovattati dalle gambe di Hebiko che chiedevano qualche secondo per comprendere quel momento così idilliaco si sarebbe fermato, guardandola da vicino mentre le mani stringevano le lenzuola cercando tra di esse un appiglio che infondo non serviva.
    L’ansia e i problemi del primo concerto erano spesso intramontabili ed era necessaria pazienza per dissiparli e rendere positivamente irripetibile quell’esperienza, per questo fino a che non gli fosse stato richiesto sarebbe stato gentile nei modi venendo aiutato dalla naturale elasticità della sua amministratrice.
    Era inevitabile però che quella sinfonia nel suo scorrere dovesse avere dei crescendo, in un susseguirsi di armoniose curve che di volta in volta alzavano il picco dell’intensità. Dopo i sinuosi archi vennero gli squillanti ottoni, poi i rigidi legni e infine le roboanti percussioni, tuttavia la melodia andava avanti senza regole, guidata solo dalla matematica del piacere in cui uno più uno poteva dare ben più di due.
    In quei momenti non esisteva niente di preferito, tutto sfiorava la perfezione perché tutto veniva surclassato dall’istante successivo.
    La notte non fu breve, interrotta da risvegli frequenti, a volte guidati dalla sete, altri dalla fame di carne, caddero stremati più di una volta, ma più di una volta si rialzarono per combattere ovunque ci fosse spazio per due corpi che si amavano.
    Dopo aver mangiato qualche avanzo e qualche cibo a lunga scadenza reso eccezionale dalla fame e dal bisogno di nutrimento entrambi si abbandonarono sul divano, vestiti a stento dai propri capelli con Hebiko adagiata sopra di lui mentre le mani, finalmente scariche dalla tensione repressa, si muovevano placide, animate solamente dal piacere della pelle dell’altro, nonostante la Montagna trovasse ben più spesso piacere tra i morbidi saliscendi delle curve dell’otese piuttosto che sul collo o altrove.

    Pensavo.

    Disse per poi interrompersi brevemente e farsi guardare negli occhi.

    Perchè non una casa?
    Prima mi hai chiesto perché avessimo aspettato e beh, niente c’è stato favorevole, dalla distanza agli impegni.
    Questo appartamento mi piace ma il villaggio mi sta stretto, vorrei più respiro.


    Continuava ad accarezzarla, ancora avido del contatto con la sua nuda pelle.

    Qualcosa in alto, nascosto, lontano da tutti in cui rifugiarci in ogni secondo di libertà, in mezzo alla natura e dove lo sguardo possa vagare per miglia senza mai trovare ostacoli.

    Aveva occhi sognanti, segno che stava pensando a qualcosa di impensabile.

    Qualcosa che possa muoversi, dopotutto perché accontentarsi di un posto?

    Concluse con un sorriso.

     
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    La Vipera riempì avidamente polmoni d'aria fresca, riassaporando una sensazione che aveva dato per scontato per troppo tempo: la vita. Dalle ultime rivelazioni avute, avrebbe dovuto esser piena di pensieri, farsi venir l'ansia mentre freneticamente cercava una soluzione al suo problema, ma niente di tutto quello che era successo là dentro le importava. Era fuori. Era viva. Poco altro importava in quel momento. Stringeva la mano di Raizen, in una presa decisa, quasi incredula che ne fossero usciti entrambi indenni. Persino Febh e Youkai stavano bene, ma loro erano diversi. Era certa che Febh avrebbe mantenuto ben pochi traumi dopo quell'avventura, mentre Youkai... sembrava più a suo agio in quel regno di morte che in mezzo ai vivi. Venne distratta da qualcuno che le tirava con gentilezza la mano, lasciandosi andare in un sospiro esausto. Accompagnò quel gesto facendo cadere il suo corpo su quello del colosso, posandovisi sul fianco. Le parole dell'Hokage ruppero il silenzio, ricevendo in risposta una muta affermazione.

    Venne raccolta con delicatezza, viziata come si usava fare ad una principessa, posandosi sulla creatura, che rilasciava un piacevole tepore al contatto. Sentirsi avvolgere dalle mani della Montagna le diede un senso di pace e sicurezza di cui aveva tremendamente bisogno. Avrebbe preso ampie boccate d'aria ad alta quota, carezzando con il viso l'ispida barba dell'uomo. Raramente Raizen poteva dire di averla vista così tanto rilassata, persino quando dormiva sembrava più irrequieta. In quel momento però, i suoi unici pensieri erano rivolti ad apprezzare ciò che aveva, dimenticando almeno temporaneamente ciò a cui era sfuggita, ed evitando di pensare alle minacce future che la attendevano. Incrociò lo sguardo con la Volpe, sorridendo come poche volte aveva fatto in vita sua: c'era stanchezza nei suoi occhi, ma anche gratitudine, verso la persona che aveva di fronte. Le bastò condividere l'affetto richiesto dall'uomo per far passare il messaggio: non c'era nessun altro che voleva al suo fianco in quel momento. La sicurezza che le dava Raizen era un vanto che pochi potevano permettersi. Ogni suo bacio le provocava un leggero brivido, come se la vita stessa cercasse di scuoterla, ricordandole che nonostante tutto era ancora lì, nonostante le sue preoccupazioni e le minacce incombenti, stava sopravvivendo a testa alta, e doveva esserne orgogliosa. E l'Hokage la osservava come fosse la fonte della sua stessa vita. Hebiko era una delle poche persone che diceva di apprezzare sentir parlare il Colosso, qualsiasi cosa avesse da dire, e aveva spesso molto da dire. Ma in quel momento non servivano parole. Non aveva detto aperto bocca da quando erano usciti, non ce n'era stato bisogno. Ne leggeva le movenze, gli sguardi, ne percepiva l'affetto. La loro complicità superava il bisogno di comunicare a voce.

    All'arrivo a Konoha venne viziata di nuovo, raccolta come il più delicato dei fiori. Era sempre pronta a mostrare la sua indipendenza, a pretendere di far le cose da sola, a detestare l'idea di un debito o un favore da dover ricambiare. Quello era diverso. Quel gesto rappresentava un profondo affetto, e non avrebbe privato Raizen di quel momento. Ne percepiva il rispetto, poteva leggere nei suoi occhi che la vedeva cresciuta, la vedeva più forte. La sua risposta fu quella di accomodarsi tra le sue braccia, aggrappandosi ed inspirando profondamente, saggiando il suo odore, quasi temesse di poterlo dimenticare. Il silenzio venne interrotto solamente davanti alla porta di casa, dove la Vipera, ridacchiando, insistette di essere tenuta in braccio, lasciandosi e pretendendo di farsi viziare, mentre usando la sua flessibilità mosse un braccio per tastare le tasche dell'Hokage, frugando in ognuna di esse alla ricerca delle chiavi. Si sentivano come fossero due teenager che dovevano stare attenti a non svegliare i genitori, inebriati non dall'alcool ma dall'amore, ricordando una gioventù che non avevano mai vissuto appieno, entrambi costretti a crescere troppo in fretta.

    Le luci dell'appartamento rendevano l'atmosfera quasi surreale, e l'ambiente moderno e minimale dava un senso di pulito e di nuovo, come se quela in cui si trovava fosse una nuova casa, e non la solita dimora che ormai aveva visitato infinite volte. Si lanciarono entrambi sul divano, restando in silenzio nella penombra, scambiandosi solamente sguardi e carezze, l'uno lieto di poter stare accanto all'altro. Diversi minuti di silenzio sarebbero passati, prima che una semplice frase ruppe il religioso silenzio: Ho bisogno di una doccia. Voleva lavarsi via i pochi residui di quell'avventura, e Raizen sembrava condividerne il desiderio. Arrossì visibilmente quando, nuovamente in silenzio, un gioco di sguardi le fece capire le intenzioni della Montagna: non era il momento di separarsi. Si morse le labbra, acconsentendo taciturna, lasciando che le grandi ma delicate mani del Colosso la spogliassero, pezzo per pezzo, concedendogli un'intimità che mai prima d'ora aveva concesso ad anima viva. Avrebbe condiviso il favore, con leggera vergogna ma chiara complicità. C'era insicurezza nelle sue movenze, ma c'era anche la determinazione data dall'essere sopravvissuti alla morte stessa. Non c'era spazio per le paure, doveva solamente seguire la corrente, certa che quello non fosse che un segno del destino, come se gli dei avessero dovuto metterci mano per convincerla a darsi una mossa, convincerla che era arrivato il momento, che non avrebbe mai avuto la sua vita perfetta se lei stessa non si impegnava per renderla tale, cogliendo le occasioni che le si paravano davanti. Rilasciò un sospiro deciso quando sentì il Colosso su di lei, scavalcando con facilità uno scoglio che la Vipera aveva sempre posto tra lei e simili esperienze, quasi temendole, non volendo apparire così vulnerabile agli occhi di nessuno... Eppure, nonostante la vergogna, non volle scappare, non voleva liberarsene.

    Lo scrosciare dell'acqua abbracciò entrambi, dando loro una sicurezza che avevano forse dimenticato. Hebiko sfiorava la pelle della Montagna, soffermandosi su ognuno dei più minuscoli solchi e cicatrici, con una minuzia tale da sembrare volesse impararli a memoria, in netto contrasto con quella della donna, libera da qualsivoglia imperfezione, liscia e candida, come una bambola di porcellana appena conclusa: nascondeva in sè un'aura di mistero, di cui solo chi l'aveva costruita ne conosceva i segreti. Non avrebbe mai pensato di voler condividere un momento così intimo con chiunque, levarsi la sporcizia di dosso era un gesto che sentiva unicamente personale, togliersi le vergogne e le sconfitte di dosso, lasciando che il pubblico potesse vederne solo le vittorie e i successi. Eppure, per quanto restasse dell'imbarazzo per l'intimità condivisa, era a suo agio nel lasciare che fosse proprio Raizen a toglierle di dosso gli errori, condividendone il gesto. Non provava vergogna nel mostrare la sua debolezza. Tra i due non c'era spazio per il giudizio, ma solo il desiderio di aiutarsi e migliorarsi a vicenda. E, per Hebiko, un forte desiderio di condividere quelle esperienze, di poter arrivare al suo livello, di sentirsi degna di essere alla sua altezza. Seguiva i movimenti del Colosso con l'avidità di chi voleva saperne di più, di chi voleva dare tutto se stesso, pretendendo altrettanto. Lo guardava dall'alto al basso, eppure era lui ad avere pieno controllo, e lei a concederglielo, a chiedere silenziose istruzioni che avrebbe seguito, stringendo i capelli di lui ed intonando la sua approvazione. Stava mostrando lui una debolezza che aveva sempre nascosto, una sottomissione che non aveva il coraggio di ammettere, e che non voleva essere l'unica a condividere. Stava dando all'uomo tutta se stessa, e presto si sarebbe reso conto che avrebbe preteso lo stesso. Con sinuosità si sarebbe mossa, incerta sì, ma con una volontà che l'altro non sarebbe stato in grado di spegnere, e difficilmente lo avrebbe voluto. Mai avrebbe pensato di inginocchiarsi di fronte ad un uomo con onore, di sua spontanea volontà. E nonostante quella che sembrava pura sottomissione, la sua era invece volontà di prendere il controllo, di non voler essere da meno. Gesti controllati, uno sguardo che cercava la continua approvazione del suo partner, ma anche la volontà di imporsi su di esso, di insistere che quello fosse il suo momento, un volergli dimostrare che il suo ruolo non era quello della bambolina da proteggere e custodire. Le sue carezze sarebbero state una guida, avrebbe scoperto che quel corpo che spesso detestava, così peculiare ed unico, aveva dei vantaggi non da poco. Sarebbero state le reazioni di Raizen a darle più confidenza, più fame. Voleva dire la sua, aprirsi e svelare i suoi segreti a chi l'aveva accolta senza giudizio, a chi l'aveva fatta sentire speciale senza illuderla, a chi l'aveva protetta senza sovrastarla.

    Lo schiocco delle sue labbra risuonò nella stanza, a giudicare dall'imbarazzo sul suo viso era ben felice di passare il turno al suo compagno. Raccolta e viziata come una principessa, le morbide lenzuola le diedero un ulteriore senso di sicurezza. Dopo che la doccia aveva lavato via la tremenda esperienza nell'aldilà, ora poteva realmente sentirsi a suo agio, ed accettare che fosse finalmente finita. Con Raizen, al contrario, aveva appena cominciato. Lui soprattutto, non sembrava voler perdere nemmeno un secondo. La Vipera aveva ormai svuotato la mente, abbassando la guardia come mai aveva fatto in vita sua, da quando aveva ricordi. Aveva sempre dormito con un occhio mezzo aperto, era sempre allerta anche in casa sua, persino durante il sonno il frammento non le dava tregua. Finalmente poteva realmente sentirsi senza timore, accolta tra le grandi mani del Colosso, esposta come mai prima in vita sua. Il jonin stava usando la sua fin troppo estesa esperienza, mentre la giovane kunoichi rispondeva a gran voce, inarcando la schiena sorretta con gentilezza dal suo uomo. Sentiva l'istinto di stringerlo più che poteva, stritolarlo a sè, allungare le braccia fino ad avvolgerlo per intero, ma avrebbe resistito, mostrando comunque il suo entusiasmo, ma ben posata, leggermente calcolata, un piccolo freno dato dall'imbarazzo e l'incertezza della prossima mossa.

    Si sarebbe stiracchiata, tremando appena, ridacchiando a labbra strette per la situazione in cui si trovava. Allungando le mani su Raizen, gli cinse il collo con delicatezza, trascinandolo su di se, cercando con il viso un dolce bacio, prima di soffermarsi sul suo sguardo, ridacchiando ancora. Ma perchè abbiamo aspettato così tanto? Avrebbero recuperato il tempo perso, un po' alla volta. I giochi erano iniziati, e nessuno dei due voleva essere il primo ad arrendersi. Ma la Vipera, per una volta, avrebbe accettato la sconfitta con piacere.


    La Vipera si era adagiata comodamente su Raizen stesso, con una leggera coperta ad avvolgere entrambi, sgranocchiando pigramente patatine mentre lo sguardo cadeva sulla televisione di fronte a loro, spenta. Si sentiva stanca e leggermente stordita, un po' come quei weekend pigri, spoglia di tutte le sue energie. Venne riportata all'attenzione dal suo uomo, che le fece una proposta che non attecchì immediatamente. Heh. Come quella tua grotta da bestia selvatica? Guarda che ho degli standard io, merito quantomeno un castello. Lo prese in giro, ricordando i suoi racconti sulla sua piccola grotta personale, che ormai aveva abbandonato da tempo. Raizen però non sembrava stesse parlando solamente di sogni e fantasie. Hebiko ebbe modo di riflettere più seriamente sulla sua proposta, con un leggero shock sul suo volto. Hah... U-una nostra dimora??Non era certa di come rispondere, ma sapeva che non voleva rispondere di "no". Sentiva ci fossero parecchi problemi per un chiaro "sì" però. Dove avrebbero messo quel castello? Sarebbe stato saggio scegliere uno dei due villaggi? Sarebbe stato troppo incauto posizionarlo al di fuori dei confini? Che significava "uno che possa muoversi"??

    Sbattè le palpebre un paio di volte, distraendo lo sguardo altrove. Aveva molte, moltissime domande sulla proposta. Ma fu in grado di usare la sua voce solo per una. Avremo più di un paio di stanze per gli ospiti... Giusto? Domandò. Insomma, pensi davvero di poterti trasferire e lasciare il ragazzino qui, da solo? Fece un cenno verso la stanza di Youkai, che sapeva bene vivesse con Raizen da parecchio ormai. Pensavo solo... al fatto che nessuno di noi ha un vero clan di cui far parte. Magari... Magari dovremmo assicurarci che ci siano posti a sufficienza per qualche membro extra. Sorrise, osservandolo negli occhi. Ben presto il suo sorrisetto innocente venne sostituito da un grosso imbarazzo, lanciando uno dei cuscini direttamente sulla faccia della Montagna. NON STO PARLANDO DI FIGLI!! Hai già Youkai, fattelo bastare!! Ovviamente la sua speranza era recuperare i vecchi membri del suo primo team, anche se al momento aveva ben poche speranze. Ma era un pensiero che le ronzava in testa da qualche tempo, e sapere che Raizen aveva intenzione di creare delle fondamenta con la Viperella stessa, poteva essere un'ottima occasione per riunire più di un'unica coppia.
     
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