Prigione di Kiri

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  1. leopolis
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    Traditore?
    ...IO?!...



    × Off-Game ×


    × Legenda
    Narrazione
    °Pensieri°
    «Dialoghi»


    Il buio dentro cui vagava la mia coscienza, forse in cerca di una via d'uscita o forse di altro. Ero morto? Era troppo difficile il poterlo dire. D'altronde, se fossi morto non l'avrei capito. Oh, che pensieri sciocchi che m'importunavano la mente, annebbiata dal suo stesso dolore. Un dolore reale, che vagava tra le ombre e il silenzio per giungere a una spiegazione; anch'essa reale. Il primo mio pensiero, quando riuscii a percepire il freddo gelido che mi scorreva lungo i capelli e le guance, riguardò il mio Demone. Il secondo fu il suo, e fu chiaro.

    °Ho fame.°


    Provai conforto e soddisfazione nel sentire che almeno egli era vivo e vegeto dentro di me. Era l'idea che mi nutriva, l'idea di cui ero solo l'umile servo, un strumento volto alla realizzazione della sola idea. Era lui a bruciare dentro. Sentivo ardere la sua forza da qualche parte a livello del ventre, come una fiamma che non voleva spegnersi.

    °Anche io°


    La fame che avevo non era poca. Era da quei eventi, in parte sfortunati e in parte tragici, che nessuno mi aveva messo del cibo in bocca; era quindi vuoto il mio stomaco, e debole il mio corpo. Non mi ci volle molto per sentire il bruciante dolore delle cicatrici a fior di cute. Oh, ma non era forse il dolore a rendere forte un grande uomo?

    °E allora trova qualcosa°


    Sapevo che aveva fame, era comprensibile; ma nulla potevo offrirgli. Avevo le mani legate, le dita spezzare e il corpo debole. Inoltre, i miei occhi dal colore rosso-fiamma cominciarono a frugare sù e giù per la stanza, in cerca di qualcosa, o di qualcuno. In fondo vi dev'essere stato qualcuno a gettarmi quel secchio in faccia; che questi fosse un possibile alleato?

    °Resisti Asmodeus.°


    Un volto comparve dinnanzi al mio volto, e quel volto mi spiegò il tutto. La mia situazione si stava rivelando molto più fallimentare di quel che avrei potuto mai immaginare, poiché il volto sui cui si posò il mio sguardo, era il volto di Etsuko Akuma. Ci eravamo incontrati mesi addietro, anzi. Forse addirittura anni. La mia concezione del tempo terreno era andata persa durante la mia totale fusione con Asmodeus, o forse fondendomi soltanto con l'idea che egli rappresentava per me.
    Le parole di quel di Etsuko mi erano chiare. Riuscivo a percepirle, e comprendere la loro gravità, ma il mio sguardo continuava ad essere vuoto. Non m'importava quel che sarebbe stato di me, avrebbe dovuto capirlo.

    °Quante parole! I Kiriani son sempre stati bravi solo a parlare.°


    Un ghigno strano comparve sul mio volto, quando egli mi minacciò con quel spiedo. Mi parlò di tradimento, di Kiri... del Clan. Quante cose che egli ancora non comprendeva nelle dinamiche della politica! Il mio sguardo tornò ad essere vivo, e come un macigno cadde sul volto di Etsuko inginocchiato dinnanzi a me, con quel spiedo in mano. Passarono degli istanti, forse ore, prima che la mia bocca si riaprì assaporando nuovamente la capacitò di parlare.

    «Etsuko... sai chi fra di noi è il vero traditore?»


    Un compiaciuto sorriso si stampò sul mio volto, che poco dopo tornò a essere serio come prima. Lo sguardo osservava la fredda pietra delle prigioni. Un po' mi sconcertava l'esserci rinchiuso, un po' mi divertiva; ma non volevo che Etsuko capisse quanto poco me ne importava della mia vita stessa. L'unica cosa di cui m'importava era l'idea, e quella era immortale per l'eternità.

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    «Tu Etsuko. E sai perché? Perché sei schiavo di un Kage che le ha prese pure contro un Nara. E sei schiavo di un Nara che venendo a Kiri si è appropriato di ciò che è kiriano per principio. Sei servo della paura che quel Nara incute. Non hai abbastanza coraggio per ribellarti a un Kage capace solo di evocare stormi di creaturine da 4 soldi, e di un Nara scaduto che a Kiri non ci può stare, ma di cui tutti hanno paura... Ma ti capisco: in fondo è la paura di quei due che regna nella maggior parte degli abitanti di questo posto.»



    La mia voce risuonò calma e tranquilla, senza preoccupazioni riguardanti il mio futuro e il mio presente. Una voce rilassata e quieta, sicura di sé e al contempo determinata. Un po' come un richiamo, un po' come la voce che voleva far comprendere a Etsuko la grandezza dell'idea di cui ero solo lo strumento. Sapevo l'avrebbe compresa, ma non sapevo se l'avesse interpretata a dovere.

    «Sai chi tra noi due è quello che tiene di più a Kiri e al Clan, Etsuko? Io. Io sono fuggito per ricostruire questo villaggio dall'esterno, poiché dall'interno era impossibile farlo. Ci son troppe mele marce in questo posto, Etsuko. Troppi kiriani muoiono per l'Accademia. Troppi figli di Kiri hanno già trovato morte per qualcosa che non gli apparteneva, e troppo pochi hanno il coraggo di ribellarsi al sistema creatosi. Io l'ho fatto, e non me ne pentirò di certo.»



    La mia voce si ridusse a un sussurro piuttosto deciso.

    «Perciò fai ciò che devi fare, non sono di certo un vigliacco. Pagherò con i miei occhi e il mio sangue il mio tentativo di rendere grande questo villaggio, e sono pronto a farlo poiché il villaggio conta per me più di ogni altra cosa. Ma ricordati Etsuko: non sarà di certo l'assenza del mio potere a fermarmi. Finché il cuore continuerà a battere nel mio corpo, farò di tutto per giungere al compimento dell'Idea, poiché la sua grandezza supera persino la paura della morte e mi spinge in avanti superando ogni ostacolo. La vostra unica speranza di sbarazzarsi del pericolo che io porto è uccidermi, ma anche in quel caso mi duole avvisarti che l'Idea di cui sono il contenitore è già radicata nei cuori di molti kiriani.»



    Mi fermai un attimo, osservando quel meraviglioso posto. Da bambino non ci avrei mai pensato di poterci finire come prigioniero. La prigione di Kiri mi aveva da sempre attratto, era un posto affascinante che m'incuriosiva non poco, ma mai avrei pensato di trovare lì la fine del mio potere. Tra tanti luoghi a cui pensavo, la prigione di Kiri era quello che mi affascinava di meno, ma non potevo contrastare il volere stesso del Fato.
    Quegli istanti stavano diventando lunghi e insopportabili; quasi me ne stancai.


    «Agisci, Fratello, non aspettare, il Nara si potrebbe arrabbiare.»



    Scandii ciò quasi facendola somigliare a una strana rima, ma il messaggio era chiaro: meglio che si fosse sbrigato a cavarmi gli occhi. Odiavo aspettare.
     
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78 replies since 9/5/2006, 20:52   3166 views
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