Prigione di Kiri

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  1. leopolis
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    × Legenda
    Narrazione
    °Pensieri°
    «Dialoghi»


    Passi. Erano passi? Passi nel buio, i cui suoni, lesti e fragili, rimbombavano tra le mura di quei corridoi immersi nell'oscurità dell'oblio e del nulla. Chi? Chi era così pazzo, folle? Chi così coraggioso da scendere negli inferi di Kiri; chi così volenteroso di cercarmi, di vedermi? Tutto donai per il bene di Kiri, e non avrei fatto scelte diverse. Io ero solo un'anima passeggera, un costrutto di carne e ossa che avrebbe trovato il suo eterno riposo sul campo di battaglia, o sotto lapidi di maestose pietre; ma Kiri. Kiri no. Kiri sarebbe rimasta tale, nei secoli dei secoli, a splendere nascosta tra le nebbie dei paesaggi, e ad animare le anime voraci dei guerrieri che vi nascevano. Kiri avrebbe continuato a fare ciò che sempre faceva: far vivere. Far vivere come un sentimento, come un'emozione, infondendo nelle anime dei giovani quelle fiamme che a mio tempo sentivo bruciare dentro di me.
    Ero un folle...?! Non ci sarebbe voluto molto. Presto la follia sarebbe diventata logica, e la logica sarebbe diventata follia. I folli avrebbero indossato le vesti dei razionali, e i razionali sarebbero presto diventati folli, immersi nelle loro ricerche di dettagli e di elementi del libero raziocinio.
    Chi? Chi ancora, tra quelle lande desolate, in quel mondo perduto - perso, catturato nelle grinfie del non patriottico pensiero - mi donava della sua attenzione? Chi, aveva all'interno del proprio petto quella fiamma ardente, che altri avevan perduto tempi orsono e che molti non avevan mai avuto?
    Un esempio, era ciò che mancava. Un esempio per le generazioni che venivano, per coloro che avevano bisogno di vivere a Kiri.
    Nel silenzio sbuffai. Chi se non io? Chi se non un Akuma? Quando le gerarchie del villaggio erano corrotte fino al midollo di falsi patrioti, di un Mizukage per cui la poltrona era più cara che la sopravvivenza stessa del suo popolo; oppure di un Nara che ha violentato, abusato e sconvolto fino alle radici tutto quel che del villaggio è sacro e intoccabile. Colui che aveva vinto, mettendo radici a Kiri, e appropriandosi abusivamente di quel che suo non poteva essere per principio.
    No. Non importa. Chiunque esso sia, mi sarei comportato come sempre: testa alta, petto ardente. Onore e gloria, nella sconfitta e nella vittoria.


    «Ladri e Ipocriti, Ladri e Ipocriti, Ladri e Ipocriti.»



    Nel cuor mio avevo sperato. Avevo sperato che ciò non accadesse, che la vecchia fiamma si risvegliasse nei cuori delle persone... ma no. Stupide alleanze avevano prevalso. Stupidi miscugli di villaggi e di razze avevano vinto. La finta pace aveva trionfato. L'Ipocrisia aveva trionfato! Potevo mai guardare il sole che illuminava un mondo del genere? Come? Con che coraggio?
    Eppure speravo, speravo che qualcuno mi liberasse le mani, che qualcuno mi desse la possibilità di agire, la possibilità di mettermi contro quel mondo e di donargli un fresco respiro di vecchi valori caduti nella dimenticanza. Dimenticanza dell'antico mondo, di cui mi sforzavo a conservare la Luce nei miei ricordi e nella mia voce.
    Quel mondo, che mai più avrei rivisto.
    Quanto? Una settimana? Dieci giorni? No, non lo sapevo, ma quei passi... Lenti e misurati. Che fossero i passi del mio boia? Di colui che dopo essersi appropriato dei miei occhi, desiderava il mio cuore e poi la mia anima?
    Fiero mi alzai. Tutto avrei dato per vedere Kiri splendere.
    No, lo sapevano. Non mi serviva un corpo, non mi serviva un'anima. Idea e spirito, non ero altro. E finché la mia idea sarebbe continuata ad ardere nelle teste delle persone, sarei vissuto.
    La sua voce, quella voce. La voce il cui tono mi risuonava ancora in testa, come se fosse fatta di mille aculei pungenti. Come se si conficcasse nella mia carne, depradandola e saziandosi con essa.
    Dalla mia posizione supina, mi alzai ascoltandolo. Parlava di... promesse. Quali? Quali promesse se è stato solo un attore; un kiriano con una maschera. Nessuna promessa mi era stata fatta, nessuna lealtà dimostratami. O forse sì?
    No, non potevo arrendermi. Aveva ragione. Non v'era sconfitta per me, non ci poteva essere.
    Cosa importava soffrire se v'era nella mia vita qualche ora immortale?


    «Da fratello a fratello...»



    Ripetei silenzioso. Fratello: cosa mai poteva significare un tal termine? Qual'era il significato che esso aveva, se non quello di donare, osservando la luce degli occhi splendere e l'anima fiorire e il giardino verde all'interno di ognuno di noi riempirsi di fiori colorati.
    Pochi passi mossi in direzione del Fratello. Feci come egli mi disse; obbedii senza protestare. Composi i sigilli e divenni quel che egli voleva che io diventassi, nutrendo la mia immagine col ricordo impresso nella mia mente di quel capo delle guardie. E allora lo seguii. Lo seguii misurando i miei passi e ascoltando i suoi. Cercando di stargli a passo, basandomi sull'udito. Ascoltando la sua vice e derivandone la sua posizione.
    Feci come mi disse: non parlai, e lo seguii. Finché non riassaporai sulla mia pelle il vento di libertà. O meglio l'illusione di quella libertà di cui tutti erano impregnati fino al midollo senza nemmeno accorgersene. Chi di color che abitava in quel villaggio era veramente... libero? Pochi, contabili sulle dita di una mano. Gli altri condannati a una vita di schiavitù. Schiavitù di false logiche e tesi filosofiche bugiarde.
    No. A mio fianco v'era ancora qualcuno che Credeva. E io Credevo insieme a lui.
     
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