Posts written by leopolis

  1. .
    I 20 anni della Legend, dunque, sono stati nel 2023
  2. .

    Il Fulmine Nero di Ame


    Post 4 - Lo Spazio-Tempo



    Le uniche regole che dominavano quel mondo era… l’assenza di regola. I filamenti energetici che si intrecciavano nei tessuti interdimensionali aveva abbastanza energia per poter creare mondi e distruggere i mondi, aprire le porte e chiuderle. Se c’era un posto in cui la creatività e la fantasia poteva rivelare l’essenza, quello era sicuramente l’universo in cui ed Etsuko eravamo capitati, per volontà nostra o per desiderio altrui. Nessuno di noi, difatti, sapeva se era davvero complice e artefice unico del proprio destino, oppure se eravamo, in un qualche strano modo, guidato da una forza esteriore a noi, esterna, forse, all’Universo stesso. Quella che dal Vuoto traeva le proprie radici e che espandeva le metastasi fino ad altri mondi.

    Sorrisi.

    Il Caso creava. Il Caos distruggeva. Il Caos accompagnava. Parlava. Influiva. Faceva nascere pensieri e idee. Ero sicuro che anche il mio cuginetto avrebbe sicuramente percepito, in quell’ambito di Creazione, quella tendenza. L’avrebbe sentita in maniera forte e decisa. Come se fosse… già presente. Come se fosse lì. Come se in qualche modo ci appartenesse.

    Ed ero sicuro che tutte quelle regole, le norme di un mondo diverso, oscuro e lontano, le avrei scoperte presto grazie a quel libro. Il Sacro Tomo che mi ero ritrovato. Il suo potere… beh, lo sentivo. Le conoscenze che mi avrebbe fornito le avrei percepito ben presto, provando a spostare al di là i limiti della Morte. Sempre più in là. Finché il mondo non sarebbe stato invaso da anime e spiriti oscuri come la Pece. Come il Diavolo stesso voleva.

    Etsuko lo avrebbe approvato. Lo sapevo. Lo sapevo perché il mio cugino aveva amato la conoscenza molti anni prima, come se la Conoscenza stessa fosse stata per lui un frutto proibito che egli aveva volontariamente assaggiato.

    - E’ così che Egli parla con noi, - spiegai. - Attraverso pagine, lettere, illustrazioni. Soprattutto per mezzo di Simboli tanto antichi quanto lo è il mondo stesso. -

    “Un libro vergine… in un mondo oscuro…”



    I polpastrelli delle mie dita sfogliavano quelle pagine in modo delicato. Curioso. Quasi come se scandissero una specie di oscuro ritmo. Come se volessero portarmi oltre i limiti di cui mi ero già ricordato. Mi dimenticai persino della presenza di quell’Essere vicino a me. Di quel mio cugino che, forse, non sarebbe mai riuscito a provare le stesse emozioni, a scoprire la stessa conoscenza.

    Mi domandò cosa ne pensassi e, distogliendo lo sguardo dal Sacro Tomo, lo guardai di risposta, con quel mio sguardo felice, attento, sicuro, concentrato. E, sebbene minimamente, innamorato.

    - Penso che l’Antico mi stia portando laddove dovrei trovarmi, - risposi osservando attentamente i simboli all’interno del testo. Erano quasi tutti uguali. Quasi tutti occulti. Come le simbologie divine che solo un essere Divino poteva comprendere.

    In quel momento sapevo già che quel Simbolo mi avrebbe dato un potere. Non sapevo ancora, però, che tipo di potere sarebbe stato e come lo avrei sfruttato, ma ogni avventura iniziava da un primo passo che veniva fatto e quella non era mica un’esclusione dalla regola.

    Sentivo il peso del suo sguardo sulle mie spalle, mentre mi allontanavo dal Tomo e da Etsuko, per ritrovarmi ancora una volta tra le meteore di fuoco che cadevano su quel suolo. Oltre altre rovine ancora. In mezzo alle anime di coloro che avevano perso la strada e la luce.

    Quando lo Spazio-Tempo si attivò dandomi la possibilità di viaggiare tra i tessuti della materia, accolsi quell’opportunità con lo stesso viso di sempre. Il potere era quello; la capacità di spostarsi tra i filamenti allo stesso modo di un Dio non era altro che una delle tante capacità che avrei dovuto usare.

    Solo un asso nella mia manica.

    Notai lo stupore di Etsuko con lo stesso sguardo dapprima.

    - Questo è il potere del Caos, - sottolineai.

    Capii l’entusiasmo del mio cugino, ma… Come vi ho già detto, poco dipendeva dall’abilità in sé. Molto dalla capacità di saper usare quell’abilità nel modo giusto. Come se fosse… Una pedina sulla mia scacchiera.
    Le idee del mio inventivo cugino e della sua fantasia non tardarono ad arrivare. Fu egli stesso a suggerire che i nostri poteri oculari provenissero proprio da quella dimensione e, - anche se non era del tutto corretto, - non era nemmeno troppo lontano dalla realtà dei fatti.

    - D’accordo, - risposi al mio ammirabile cugino per poi scuotere il capo. - Un po’ di nausea. Mi gira la testa. Ero abituato a farlo grazie alla tecnica del Teletrasporto, comunque. Niente di nuovo. -

    In parte quello che avevo detto era assolutamente vero. Durante la mia vita terrena, in quegli strani anni che mi avevano preceduto, usavo spesso il Teletrasporto. Era la mia terza natura; la cosa che più preferivo dopo le illusioni e le bombe.

    Comunque fosse, la proposta di Etsuko non sarebbe rimasta inascoltata e, quando mi avrebbe preparato il campo da gioco, avrei fatto come da lui richiesto. Di nuovo, con il simbolo impresso nella mia mente, avrei concentrato il mio chakra per trasmetterlo al pavimento sotto ai miei piedi, il che in quello scenario sembrava surreale. Poi di nuovo mi allontanai, questa volta non più di 10 metri e in quel momento stabilii il contatto mentale ed energetico con il Simbolo Maledetto che avevo creato poco prima.

    - Pronto, - dissi al mio cugino per poi [attivare il collegamento - Slot Tecnica 1] tra lo spazio e il tempo e, infine, penetrare di nuovo nel tessuto tra le dimensioni. -

    Non appena lo feci, passarono pochi istanti ed ecco che pochissimi istanti dopo fui sul sigillo dall’altra parte. Fu in quel momento che si attivarono i miei muscoli, spingendomi a schivare [Slot Difesa 1 - Schivata] il primo costrutto, che impattò sul terreno al mio fianco senza causarmi alcun danno a causa della sua bassa velocità.

    - Hmm… Vorrei provare la stessa cosa in attacco, - avrei detto. - Fammi provare. -

    Con quelle parole mi sarei avvicina a Etsuko, posizionando il simbolo a 1.5 metri vicino a lui. Poi mi sarei di nuovo allontanato e, infine, sarei nuovamente riapparso vicino a Etsuko. Sfruttando quell’apparizione, avrei dunque tentato di [toccarlo - Slot Azione 1] con il palmo della mia mano, sfruttando appunto la velocità aumentata in seguito a quella mia dislocazione.

    - Davvero, - avrei detto. - Dopo la dislocazione sono più veloce. -




    - Hai altre idee su come sviluppare quest'abilità, - avrei chiesto mentre intorno a noi continuavano a cadere meteore e le anime dannate continuava a intonare la loro oscura sinfonia.

  3. .

    La ricerca della pianta


    Post 2 - Domande



    Quando venne, vidi chiaramente che non si trattava dello stesso ninja che avevo incontrato prima. Si tratta di un ragazzo diverso; più deciso. E con il coprifronte recante il simbolo della nota del Suono su di sé. Ciò poteva significare una sola cosa: nel frattempo era diventato un genin. E, pertanto, aveva anche dimostrato di avere le capacità e le competenze necessarie per lo svolgimento delle missioni accademiche. Se, tuttavia, si aspettava che quella sarebbe stata una missione qualsiasi, come tante altre, avrebbe dovuto ricredersi ben presto.

    Quella, difatti, non era una missione qualsiasi e non era nemmeno una missione accademica. Non poteva essere catalogata come D, C, B, A o S. Sebbene avevo trovato le tracce della pianta, non avevo idea di dove stessimo andando e quali pericoli ci avrebbero atteso. Avremmo dovuto affrontare ciò che non sapevamo potesse esistere. Ciò che avrebbe potuto rubarci non solo la vita, ma anche l’anima, portandoci non solo alla morte, ma alla totale interruzione della mia esistenza umana.

    - Laddove stiamo andando è un posto estremamente pericoloso, - gli dissi. - Così tanto che, probabilmente, nemmeno te lo immagini. Sono piuttosto sicuro che non sei nemmeno lontanamente in grado di capire. - Aggiunsi. - Pertanto, mi aspetto da te l’esecuzione precisa e dettagliata di tutti i miei ordini. Senza fare domande. Senza allontanarti dai miei ordini. Senza fare altro. -

    Mi sembrava di essere stato abbastanza chiaro in merito e non avrei voluto sentire alcun tipo di rifiuto o di disobbedienza, che avrebbe portare alla morte entrambi noi. In quella situazione avremmo dovuto essere niente di meno che una squadra sola. Due individui diversi, ma una sola entità, come se operassimo come un perfetto meccanismo. Una specie di orologio perfetto.

    Comunque fosse, avrei atteso un paio di minuti per chiarire il piano, rispondere agli eventuali dubbi del mio compagno e così via. L’importante, per me, era di sfruttare quel tempo in maniera costruttiva, affinché egli capisse non solo dove stavamo andando, ma anche cosa avrebbe dovuto fare. Pertanto, avrebbe sentito da me una piccola introduzione:

    - Ho scoperto che quel simbolo appartiene a un filamento di una delle sette di Ame. Come ogni gruppo criminale, anche loro occupano una torre in quel nel Villaggio della Pioggia e al 95% è lì che ora si trova questa pianta. Probabilmente non l’hanno ancora usata, motivo per cui dobbiamo entrarvi e riportarla a casa. Tuttavia… quasi sicuramente non sarà semplice. Fare tutto in modo furtivo, nascosto, sarà quasi impossibile. Dovremo combattere, immagino, e anche avere l’inventiva necessaria per ridurre i rischi. E, alla fine dei conti, ce ne andremo. Spero. -

    Se il giovane genin otese avesse avuto delle domande, osservazioni o proposte, mi sarei premurato di dargli tutto ciò di cui necessitava. Altrimenti, avrei aggiunto che la torre cercata era nel cuore di Ame, - era una delle tantissime torri di quel posto, a dire il vero, - e che avremmo dovuto entrare di nascosto.

    - Togliti il coprifronte, - gli avrei detto. - Non ti servirà. -

    A quel punto non ci sarebbe rimasto molto altro da fare che metterci in viaggio. Per strada da Oto verso Ame, - e la strada tanto lunga non era mica, - ci saremmo fermati per qualche attimo sotto un albero.



    - Quest’oggi non siamo accademici, - gli avrei detto. - Siamo criminali. E come tali dobbiamo comportarci. Niente deve farci risalire all’Accademia, capito? - Gli avrei chiesto. -

    C’era, però, anche un’altra cosa che volevo sapere prima di raggiungere definitivamente Ame e recarci nella torre che riportava il simbolo che il giovane ninja aveva trovato. Anche in questo caso, farlo non sarebbe stato semplice ed era per questo che avevo bisogno di maggiori informazioni.

    - Vedo che sei diventato genin, ma… i tuoi punti di vista in merito al mondo? Sono cambiati? E, poi, quali abilità hai sviluppato nel frattempo? Combatti a distanza? In corpo a corpo? In che modo preferisci combattere? - Avrei domandato.

  4. .

    Il Volto del Tennin


    "I grandi uomini si forgiano nel fuoco.
    È privilegio degli uomini più piccoli accendere le fiamme.
    Qualunque sia il prezzo."


    Capitolo 4 - La Meta





    Non reagii in alcun modo alle sue parole. “Maledetto”. Sì. Ero stato maledetto ed erano stati i kiriani stessi a maledirmi. Loro avevano plasmato me, la mia stessa essenza, la forma e lo spirito, in ciò che ero diventato. Loro l’avevano nutrita con l’energia. Con la loro ingordigia. Con le loro stupide azioni. Con quel modo di fare spavaldo, che niente aveva a che fare con l’Acqua stessa.

    Mi avevano maledetto ed ero stato felice di quella maledizione. Mi avevano maledetto e sarei stato felice di farmi maledire ancora una volta. Ero diventato finalmente libero.

    Senz’Amore.

    Senza sentimenti.

    I kiriani avevano aperto le porte e l’Antico mi aveva poi guidato, passo dopo passo, fino a formarmi. Fino a farmi ergere nuovamente in quel mondo di anime dannate. In cui più si era dannati, più si veniva maledetti, e più potere si otteneva. Fino a manipolarmi come se fossi l’Acqua stessa, assumendo la Forma e la Materia che la Provvidenza stessa apprezzava di più.

    - Sat Asat Viveka Buddhi, - dissi rispondendo alla domanda del ragazzo e non aggiunsi altro. Di certo non ero venuto lì per fare disquisizioni filosofiche con uno che sembrava essere più animale che un umano. Non sapeva usare la mente e, forse, la mente non gli serviva nemmeno. Ciò che gli poteva davvero servire era la capacità di andare oltre. Iniziare una nuova fase nella sua stupida esistenza terrena. Mutare e rinascere. Ricomparire al mondo come lo faceva l’Oscurità stessa dopo una lunga giornata di Sole.

    Guardai il suo vano tentativo di alzarsi con uno sguardo di disprezzo.

    - Sei patetico, - sottolineai. - Ti chiuderei in uno zoo se potessi. -

    Molti anni fa credevo che i ninja di Kiri fossero i migliori del mondo. A causa della lontananza da altri esseri inferiori, - soprattutto dai sunesi che non si lavavano e andavano in giro pieni di pulci, - pensavo che i nostri geni ci rendessero capaci di resistere, di mutare, di evolvere, di migliorarci. Una casta superiore, per così dire. Una classe di shinobi che superava di gran lunga le altre.

    Dei sovrumani.

    “Il gene immutato,” - mi ricordai, ricordandomi anche di persone come Etsuko, che quel gene lo conservavano con gelosia e impegno. Tuttavia, mi ricordai anche di altro bestiame, che quel gene lo sprecava in rapporti assurdi con esseri inferiori, come lo erano i sunesi o i fogliosi, per non dimenticarsi di quella fogna a cielo aperto, - governata da barboni vari, - che era Oto.

    - A quanto pare, in mia assenza e sotto l’influenza di mammiferi come Itai Nara, vi siete trasformati da ninja di tutto rispetto in bestiame incapace di pensare con la testa propria. Pecore e vacche. - Sbuffai capendo che ci sarebbe voluto molto lavoro per riportare i kiriani alla loro… umanità. Ma davvero mi serviva farlo? Per quale motivo? Per un senso di amore verso quel lontano angolo del mondo? Quello in cui la gente aveva scelto di perdere il proprio gene per sottomettersi a un foglioso? No. Non meritavano.



    - Peccato. - Scossi il capo con evidente disprezzo e disappunto mentre il tizio che fino a pochi istanti prima sprigionava enormi masse di chakra lanciando palle piene di energia in giro ora giaceva a terra, ormai in fin di vita, quasi privo di sensi, ma con qualche pensiero o idea che alimentava ancora quel corpo, all’interno del quale sembrava esserci ancora qualche anima. Il Soffio della Provvidenza che poteva riportarlo sulla retta strada.

    Con quelle parole e ancor prima che altre anime potessero comparire vicino a me, mi sarei avvicinato al corpo morente. Durante quel percorso mi sarei assicurato, anche grazie alla Vista Vitale, che non mi mentisse e che tutto quello, con la sua caduta, non fosse che un stupido modo per illudermi.
    Illudere me.

    “Troppo presto,” - mi dissi fra me e me avvicinandomi al corpo inerme. - “Decisamente troppo presto.”


    In sua vicinanza, gli avrei messo una mano sul polso, per controllare il battito cardiaco e, se fosse stato ancora attivo, gli avrei posizionato una mano sul collo, per poi spostarla verso i capelli, fino alla nuca. Lì, avrei tenuto la mano ferma per un po’, in modo da imprimere nella sua mente ben 4 [Simboli del Pensiero - Slot Tecnica Avanzata - Azione Rapida,] uno dopo l’altro. Tutti diversi, ma collegati. Tutti che avrebbero influenzato i comportamenti futuri del povero Rin Okumura, sempre se fosse sopravvissuto.

    Se fossi riuscito a imprimere sulla testa del ninja sdraiato quei simboli e, soprattutto, se egli non fosse morto subito per colpa dello sforzo sostenuto, l’avrei di nuovo guardato dall’alto verso il basso:

    - Cercheremo di salvarti, Rin Okumura, ma non sprecare la Misericordia dell’Antico. Perché non avrai altre possibilità di percorrere la Retta Via. -



    Solo in quel momento sentii il mio nome pronunciato da qualcuno o da qualcosa. Disse che ero diverso e mi voltai lentamente, fino a vedere una figura alata, più alta e grande di me; con quasi gli stessi occhi dal colore rubino. Sentii le note famigliari di quella voce, gelida e divertita, come se appartenesse a un essere sovrannaturale. Vidi le sue ali. Forse anche lo stesso gene che io avevo ricevuto.

    - Non mi interessa vedermi. Che cosa stupida sarebbe... - risposi osservando l’artiglio della figura puntato direttamente verso il mio cuore. - Non sarebbe interessante. -

    Conclusi ascoltando la sua domanda in merito a cosa mi avesse spinto a distruggere il sigillo che mi teneva legato, ma, in quanto entità sovrannaturale, egli stesso doveva capirlo. Doveva saperlo. Intuire il modo in cui i filamenti della realtà si intrecciavano dando vita a trame e storie. - La Provvidenza, - tagliai secco. - Colei che guida e dirige. Che modifica e rinnova. Affinché la Mano dell’Antico riporti questo mondo laddove deve merita di essere. -


    Non mi servivano le immagini che passavano nella mia mente. Mi ricordavo di quegli istanti e, da un certo punto di vista, avevo ora l’opportunità di osservarli da un’altra angolazione. Se tutto quello non fosse avvenuto, difficilmente avrei scoperto la sorgente del potere degli Akuma. Difficilmente avrei capito da dove provenissero i nostri diabolici poteri. Due passi indietro e uno di lato, per così dire. Nell’Universo delle stelle cadenti e delle anime oscure che vagavano tra le sabbie del tempo.

    Fu in quel momento che guardai gli occhi di Rin Okumura, quasi totalmente privi di vita, ormai, sebbene sperassi ancora che da qualche parte all’interno della sua coscienza quella vita la riacquistasse.

    - Se pensi che sia rinato per portare la pace nel mondo o altre assurdità del genere, sbagli. - Risposi alla creatura alata di cui non conoscevo il nome. - Non sono tornato qui per portare la pace, bensì la spada. Per far scontrare fratello contro fratello, padre contro figlio, amico contro amico e figlia contro sua madre, affinché l’uno sia nemico dell’altro e che all’interno di una famiglia non vi sia né calma, né pace, né tranquillità. -



    - D’altronde, nessun umano vuole davvero un mondo pacifico e ben costruito. Noi desideriamo un mondo con la sua melodia infinita. Con la dolorosa tensione dei contrasti. Per gli umani, quelli veri, la vita è giusta soltanto nella sua totalità. Nella meravigliosa sinfonia di note alte e di quelle basse. -

    Lo avrebbe capito cosa volevo: la Vita stessa. La rugiada mattutina. Il sangue degli innocenti. L'Odio. La Passione. Il Dolore, ovviamente. Tanto dolore. Il clangore delle spade. E il rumore delle esplosioni. Le voragini. Le macerie. Gli enormi castelli in pietra costruiti per mano umana.

    Fantasia e creatività. Senza limiti.

    Era ciò che volevo.

    La Bellezza della Creazione.



    Seinji Akuma

    Statistiche Primarie
    • Forza: 500
    • Velocità: 500
    • Resistenza: 400
    • Riflessi: 550
    Statistiche Secondarie
    • Agilità: 500
    • Concentrazione: 600
    • Intuito: 500
    • Precisione: 500
    Chakra
    58.5/90
    Vitalità
    10.75/14
    Slot Azione

    1. ///

    2. ///

    3. ///

    Slot Difesa

    1. ///

    2. ///

    3. ///

    Slot Tecnica

    1. ///

    2. ///

    3. ///

    Note

  5. .

    La ricerca della pianta


    Post 1



    Era passato diverso tempo dal momento in cui mi ero lasciato con il buon otese dal buon cuore, che si era offerto di lavare i piatti nella taverna in cui eravamo rimasti per rimediare a uno dei propri errori. A dire la verità, ero estremamente curioso del modo in cui sarebbe proceduta la sua vita. Ero curioso di sapere come sarebbe finito e in quale sgabuzzino di Oto avrebbero trovato il suo corpo senza vita, a dire il vero. D’altro canto, da qualche parte sotto-sotto, nella mia anima, sapevo anche quel tipo aveva del potenziale. Se fosse riuscito a sfruttarlo, però, era ancora ignoto.

    Comunque, avevo sfruttato quel tempo per attivare i miei contatti di Ame e ritrovare i vari conoscenti della Pioggia che avrebbero potuto aiutarmi. A guidare la ricerca c’era un simbolo, - lo stesso che l’otese aveva disegnato sul tavolo con un kunai e io avevo trascritto su un foglietto di carta, - e, a dirla tutta, non era molto semplice da trovare né ad Ame, né altrove, giacché non si trattava di un simbolo ben noto o altamente conosciuto. Si trattava, tutt’altro, di una simbologia ignota o nascente, forse appartenente a un gruppo che era appena apparso al mondo.

    Dovetti impiegare non solo le conoscenze, ma anche il denaro, per avere degli appigli e quegli appigli si trovavano nel cuore stesso di Ame dove, probabilmente, si ritrovava la pianta perduta dell’ospedale.

    L’otese avrebbe saputo della mia presenza nel Paese del Riso grazie a una lettera che gli avevo inviato e che lo avrebbe raggiunto ovunque, tramite una specie di piccione, indipendentemente da dove si fosse ritrovato. Nella lettera stessa avrebbe letto poche, ma significative, righe:

    - Ho trovato la pianta. Ti aspetto alle 16.00 del 6 febbraio vicino all’Ospedale. -

    Di che ospedale si trattasse l’otese lo avrebbe capito senza problemi, giacché era il posto in cui ci avevamo lasciati e, una volta giunto lì all’ora indicata, mi avrebbe ritrovato vestito nel mio kimono violastro, a osservarlo con gli stessi occhi attenti del tempo passato.

    -Buongiorno! - Gli avrei detto notando il coprifronte, sintomo del fatto che non si trattava più di uno studente, ma di un genin, membro fiero della comunità di Oto. - So dove si trova la nostra pianta, - gli avrei detto. - Pronto per andare nel cuore di Ame? - Gli avrei chiesto.


  6. .

    Il Volto del Tennin


    Post 6 - In ricerca di alleati



    Alla vista di quel che stava accadendo, il foglioso raggiunse i 3 figuri illusori che con tanta maestria avevo appena creato con velocità e foga. Non mi aspettavo niente di meno da persone come lui, fieri membri di uno dei più antichi clan del Continente. Non era ancora entrato sulla sua strada. Non aveva ancora percorso i passi di un ninja. Era rimasto alla stregua dello stesso bambino di sempre. Uno shinobi, sì, ma con il cuore buono di chi credeva ancora nella bontà del mondo e dei ninja intorno a lui.
    -Avanti, - dissi mentre il foglio, - pedina del mio Teatro, - correva in avanti. Sapevo già cosa sarebbe successo. Era il modo in cui ciò sarebbe successo che mi interessava maggiormente. D’altronde, il Simbolo del Pensiero aveva bisogno di tempo per poter agire.

    Il suo kunai, estratto con forza e velocità, impattò contro il fianco della vittima prescelta, entrando nell’illusione come un coltello penetrava nel burro. Il buon foglioso avrebbe sentito senza problemi la rottura dell’epidermide, il modo in cui il sangue avrebbe iniziato a fluire sul suo kunai bagnandovi la mano e poi anche i tessuti più interni nel corpo della vittima. Avrebbe visto un ghigno di dolore sul suo volto, quasi come se fosse stato colpito alla morte, mentre il ninja otese stesso si piegava sulle ginocchia portandosi una mano al fianco.

    “Bene,” - pensai unendo i palmi delle mani in una specie di applauso. Il [danno] non era comunque troppo alto, né troppo intenso e l’illusione non scomparve. In compenso, [provò - Slot Azione 1] a colpire il foglioso in contropiede con un rapido movimento del braccio, con un pugno mirante al ginocchio, con l’intenzione di fargli del male, il più possibile.

    Al contempo anche gli altri due figuri si sarebbero attivati, gettandosi sul foglioso come un gruppo di iene si gettava su una pecorella smarrita tra gli alberi delle montagne.

    Il primo avrebbe provato a [colpire - Slot Azione 2] il nostro buon samaritano con un kunai appena estratto. Un colpo dal basso verso l’alto, con la punta, traiettoria ascendente puntante direttamente verso il centro della gola, con l’intenzione di mandare il nostro foglioso dai padri sin da subito. Il colpo era illusorio, non mortale, ma senza lo Sharingan il buon Kawayama non avrebbe mai potuto saperlo.

    L’altro, al contempo, provò una cosa diversa, ma altrettanto fastidiosa: senza le armi, avrebbe provato ad [afferrare - Slot Azione 3] il buon per le spalle, da dietro. Un qualcosa che l’Uchiha aveva già vissuto sulla propria pelle e che già conosceva a pieno. SE, - e solo se, - ci fosse riuscito, l’illusione avrebbe iniziato a stringere con forza e foga, provocando pressione sul torace del foglioso con l’intenzione di… farlo soffocare.

  7. .

    Il Fulmine Nero di Ame


    Post 3



    Alla fine dei conti mi aveva seguito, il mio bel cugino dallo sguardo profondo e conoscenze antiche, in quel che era molto di più rispetto a un semplice portale. Laddove le energie dei mondi si addensavano formando porte che potevano portare verso altre dimensioni, più o meno sottili, visibili e non. Etsuko-san lo sapeva, in fondo alla sua anima e cuore, che i nostri poteri, gli occhi degli Akuma, non erano di quel mondo. Appartenevano a dimensioni tanto oscure quanto profonde. A tempi antichi. Quando non erano solo i muscoli a fare il loro dovere, ma soprattutto la mente.

    Quell’antica energia che vibrava al di fuori dai mondi conosciuti, Etsuko l’avrebbe percepita in pieno. Quelle fluttuazioni - le avrebbe sentite non solo sulla propria pelle, ma anche nell’anima, come se fosse una quintessenza in grado d’influire oltre la materia, su ciò che materiale non lo era affatto.

    Comunque fosse, era chiaro che il mio cugino non era più lo stesso di molti anni addietro. In quei momenti era diverso. Più evoluto. Un essere migliore. Dagli occhi in grado di vedere più in fondo. Dallo spirito di chi non voleva restare immischiato nella fango della mediocrità per andare oltre.

    - Vedo che sei diventato libero. - Gli avrei detto prima di addentrarmi nello specchio di ombre e anime prima di rispuntare dall’altra parte, nel mondo delle fate in cui solo il vuoto regnava, donando agli avventurosi poteri che mai si sarebbero mai potuti aspettare.

    Ciò che vidi dall’altra parte era… comune. Non più il Vuoto, l’oscurità più nera che avevo visto molti anni prima. No. Quel giorno Dio mi aveva regalato un qualcosa di totalmente diverso.
    -Il futuro… - pensai. Era quel futuro che avevo sperato avvenisse. Il futuro di Unione. Il futuro di speranza, in cui il materiale e l’immateriale potesse vivere insieme. Combattere insieme. E morire insieme. Tra gli edifici costantemente battuti da odio e oscurità, in mezzo alle meteoriti e agli alberi morenti. In mezzo alle fiamme in grado di bruciare non solo il corpo, cellule e atomi, ma persino l’anima stessa. Il Caos, del resto, avrebbe divorato tutti, spostando il vivente nell’oscurità, nell’Abisso, negli anni di odio.
    Dinnanzi a quel paesaggio il mio volto gelato non cambiò in alcun modo. Tutt’altro. Il Caos creava. Disegnava. Progettava. Architettava.

    - Il Caos è Costruttore, - dissi. - Il Signore degli Universi. -

    Fu in quel momento che notai un’enorme figura dinnanzi farsi strada tra edifici creati dall’oscurità e le altrettante meteore che vi si facevano spazio. Non avevo alcun dubbio che quell non fosse il Dio vero. Sapevo che era soltanto uno dei suoi avatar, tra l’immensità di volti e dimensioni che il signore del Caos poteva avere. La corazza, gli altri e quant’altro ancora non facevano altro che confermare le mie impressioni originarie, come se provenissero da una mia profonda comprensione dello stato delle cose. Angelo e demone al contempo, come se fosse un diavolo difficile da trovare altrove. Come se si trattasse di un demonio unico nel suo genere.

    Non avevo alcun dubbio in merito al fatto che si trattasse davvero di un avatar del Caos. Di un Volto serafico immerso tra le ombre. Senza volto, ma con un’anima più grande di quelle che avevo mai percepito. Con un’energia vitale infinita. Con un aspetto immenso. Un titano in mezzo ai titani. Un gigante tra le infinite linee dell’universo.

    Mentre si muoveva, vidi un dito alzarsi nell’aria, quasi come se fosse immerso nel vuoto, tra gli astratti disegni. Lo vidi puntare verso un edificio, anch’esso immerso nelle ombre.

    - Ci indica qualcosa, - dissi al mio cugino spostando lo sguardo in direzione mostrata dalla divinità oscura. Se il cugino di Kiri mi avesse seguito, ben presto ci saremmo ritrovati all’interno dell’edificio indicatomi dall’Avatar, laddove altre ombre e altre linee fluide regnava in un paesaggio che definire surreale era poco.

    - Un libro, - avrei detto indicandolo con un dito. Non mi sarei avvicinato, però, allo stesso personalmente. Nonostante fossi sicuro di trovarmi in mezzo a un ambiente che mi si addiceva, d’altro canto era anche chiaro che ogni passo sbagliato, fosse anche un respiro, si poteva rivelare per me alla pari di un errore. Forse anche uno di quelli che non sarei mai riuscito ad annullare.

    Ma mandarvi mio cugino? Quella mi sembrava un’altra decisione assurda a cui, probabilmente, non sarei mai riuscito a rimediare. Era una pedina, vero, ma una pedina troppo importante per me. Quasi… centrale.

     In fin dei conti, fui io stesso ad andare laddove indicato dal dito divino. Fui io stesso a percorrere i passi. Ad avventurarmi sulla strada. Ad aprire il libro, - non senza sentimenti negativi, lo ammetto, - trovandovi una guida.

    - Dei simboli? - Chiesi. - Vuole che io impari a disegnare? -

    Guardai la divinità dalla corona appuntita con un sopracciglio rialzato, quasi fosse un fantasma o qualcosa del genere.

    Lessi le pagine di quel libro con velocità e dedizione, come se fossero la mia Bibbia, e anche se non ci capii molto, era chiaro che avrei dovuto provare.

    - Dunque, concentrare il chakra… - dissi apponendo la mano sulla parete. - Far fluire il chakra. Sentire il chakra. Percepirne il flusso. -

    Avrei fatto come richiesto dal libro stesso, disegnando il Simbolo del Caos sulla superficie del muro per poi osservarlo restare lì, fisso.

    - Come dovrebbe funzionare, tutto ciò? - Domandai di nuovo guardando l’ammasso di energia e vitalità che mi restava dinnanzi come un muro inerme.

    “Prova… Allontanati… E diventa un’unità sola con il simbolo.”

    Feci come mi chiese, allontanandomi da tutto: dalla casa, da Etsuko, dalla divinità stessa, per ritrovarmi in mezzo alle meteore a diverse centinaia di metri di distanza. E allora cercai di percepire il simbolo. Di sentire quel flusso di energia e materia. Di diventare uno solo con lo stesso. E, infine, di smaterializzarmi nei tessuti interdimensionali per poi ricomparire sul simbolo stesso.

    - Hmm… - Dissi poi. - Il primo passo. -


  8. .

    Il Fulmine Nero di Ame


    Post 2



    Spiegargli semplicemente cosa facevamo lì avrebbe richiesto tempo e sforzo che, in fin dei conti, non avevamo nemmeno, motivo per cui non potevo permettermi di restare lì a spiegargli l’intera storia di quel tempio, di quel villaggio, di quei passi che stavamo facendo. Perciò, quando venne e mi chiese di spiegargli cosa stessimo facendo lì, avrei indicato il tempio in rovine con un cenno del capo. A prima vista Etsuko avrebbe visto che non si trattava di un tempio operante; si trattava, al più, di rovine di ciò che era stato il tempio ancora pochi anni prima, quando per compiacere Somujo e i suoi diretti discendenti vi venivano commessi sacrifici umani.

    - Moltissimi anni fa, quando Izanami non era ancora stata imprigionata a Yami-no-Kuni da Izanagi, nel tempo degli antichi déi di cui noi siamo i diretti discendenti, c’erano moltissimi templi in giro per il Continente. In vari angoli del mondo venivano venerate divinità differenti: alcune malevoli, alcune benevoli, alcune solo per migliorare il raccolto, altre per la salute, per la prosperità e così via. Qui, ad Ame, le divinità venerate erano tante, ma la maggior parte delle stesse era collegata alle guerre, alle battaglie, agli scontri, in quel che era una tendenza verso il Duello Primordiale, verso quell’eterno Conflitto che anima il mondo e lo rende vivo. - Mentre parlavo, le nubi si sarebbero di nuovo addensate su quel di Ame, portando ombre e gocce di pioggia sul mio volto. Le rovine dell’antico tempio si sarebbero anch’esse colorate di nero, assumendo un tetro aspetto che nell’arco di pochi secondi lo avrebbero reso ancora più spaventoso. - C’era però un dio in particolare che si differenziava dagli altri, Etsuko. Uno di quelli che non era direttamente collegato alle guerre, ma che, al contempo, donava ai propri adepti più fedeli una forza che pochi altri aveva: permetteva loro di piegare al proprio volere i piani interdimensionali, dando loro la possibilità di spostarsi da un posto del mondo all’altro in battito di ciglia, non importava quanto fossero lontani i due punti. - A quel punto il mio sguardo si sarebbe di nuovo spostato dal tempio verso Etsuko, i suoi occhi rossi, quegli antichi rubini che avevo imparato a riconoscere tra i molti e che, proprio come era accaduto con gli adepti di Somujo, gli donavano un potere tanto antico quanto particolare. Anche io avevo quel potere. Il potere d’influire sulle menti altrui. Di stabilire un legame con le connessioni interneuronali nel loro cervello. Di manipolare quelle connessioni spingendoli a vedere cose che non c’erano. - Quella divinità, Etsuko, si chiamava Somujo-no-Kami. La sua linea di discendenza tutt’ora non mi è chiara, perché i testi in merito si contraddicono, tuttavia probabilmente apparteneva alla linea di Izanami-no-Kami e che fosse rimasto al di fuori da Yomi-no-Kuni, quando Izanami vi venne imprigionata. Attualmente abita nel Vuoto, laddove era stato incluso il Caos primordiale stesso, e, insieme alle altre divinità caotiche, cerca una via d’uscita per comparire nel mondo per piegare la realtà interdimensionale al proprio volere. - Ridacchiai cercando di cogliere sin le più minimali reazioni che Etsuko avrebbe avuto alle mie parole. Forse non lo sapeva ancora, ma anche il suo, - il nostro, - potere proveniva da quelle dimensioni, da realtà tanto lontane quanto particolari, da quell’Oscurità in cui le energie fluttuavano, si addensavano e ricomparivano in diversi angoli del mondo, trasportandovi non solo l’Ombra stessa, ma anche le emozioni, i pensieri e soprattutto i Volti.

    - Noi siamo Diavoli, Etsuko. Lo dice il nostro cognome. Il nostro Clan. Siamo degli Akuma, cugino. Diavoli nel suo stato più puro. Diavoli capaci di creare. Ingannare. Manifestare. E per questo siamo qui: siamo qui per allargare le porte interdimensionali tra i mondi, per portare il Caos sul Continente e, soprattutto, per donare la Libertà ai nostri parenti che tutt’ora fluttuano nell’Antica Oscurità, in cui solo il freddo e il vuoto regnano sovrani. -

    A quel punto, sperando che la mia breve spiegazione gli fosse bastata, mi sarei incamminato verso il tempo facendogli cenno di seguirmi, anche perché la giornata sarebbe stata lunga ed egli, di certo, avrebbe fatto meglio a prepararsi a quel che sarebbe venuto in seguito.

    - Conosci la storia del 4° Hokage? - Gli avrei chiesto facendo un salto dal tetto del palazzo su cui mi trovavo per avvicinarmi alla porta del tempio, un portone in legno inciso con dei simboli sopra. - Pare fosse stato l’unico ad aver sviluppato la stessa capacità di spostamento interdimensionale. - Appoggiando il palmo della mano sul legno del portone, lo avrei aperto rivelando a Etsuko l’interno del tempio.



    Totalmente in rovina all’interno, con delle pozzanghere sul pavimento e delle statue ai lati, con un’intensa luce più in avanti e un’enorme statua frontale, che ritraeva una figura alta e alata, con diversi occhi, 4 braccia e 7 code, alle spalle del quale c’era, ancora in quel momento, una fiacca luce giallastra.

    - Fulmine Giallo di Konoha, lo chiamavano, Etsuko. Si spostava così velocemente da non poter essere colto. Visto. Inafferabile. Presente ovunque. Morto per pura volontà di autosacrificio, altrimenti nessuno mai sarebbe riuscito a toccarlo. -

    Con quelle parole i miei passi sarebbero risuonati all’interno del tempio, mentre le mie mani avrebbero rapidamente trovato una torcia che in pochi secondi avrei acceso illuminando le antiche rovine. A quel punto il mio cugino avrebbe visto le antiche statue in maniera più nitida e precisa, come se fossero reali, presenti. Come se da un momento all’altro si potessero spostare, muoversi. Aggrapparci. Non erano umane; no. Erano divine. Altri occhi che ci guardavano, scolpiti nella pietra. Su quella superficie liscia il fuoco della mia torcia si sarebbero riflesso come una stella nell’Oscurità, segnalando alle divinità presenti nella nostra dimensione e nell’altra la presenza di due Diavoli.

    Passo dopo passo avrei iniziato ad avvicinarmi alla statua in fondo al Tempio, laddove solo pochi anni prima la setta dei Somujo offriva sacrifici umani (e non solo) all’Antico. Due Diavoli, seppur ancora deboli, non sarebbero di certo passati inosservati in nessuna delle dimensioni. Le energie a quel punto avrebbero iniziato a fluttuare; reali, come noi stessi. Etsuko le avrebbe viste. Le avrebbe percepito intorno a noi. Correre. Girare. Vorticare.



    -Sei pronto, cugino? - Gli avrei chiesto osservando il portale alle spalle della statua. - Ogni potere ha un prezzo; ogni debito dev’essere ripagato. Ogni promessa va compiuta. -

    Con quelle parole mi sarei avvicinato al portale inserendovi il palmo della mia mano. Al contempo avrei percepito l’energia vibrare. Come la materia stessa cercasse di comprendere la nuova realtà. Di capire da dove provenisse quella mia mano e dove fosse diretta. Di quali realtà si aprissero dall’altra parte.

    -Sei pronto a incontrare l’Antico? - Avrei domandato con un ghigno sulle labbra. Senza attendere oltre, mi sarei inoltrato nel portale aperto, laddove solo il Sangue e l'Oscurità avevano importanza.


  9. .

    Il Dialogo tra Eroi


    Post 6



    Alla fine dei conti la discussione era terminata, la strada era stata segnata e ora non ci sarebbe rimasto che camminare sulla stessa fino a raggiungere la meta che entrambi cercavamo. - Ora non ti resta che aspettare, - gli avrei detto per poi piegare il foglio sul tavolo e inserirmelo in tasca. Avrei dovuto fare le mie ricerche ad Ame. Contattare le persone che avevano una certa influenza in quel della Pioggia. Mettere tracce. Cercare i passi. Solo in quel modo prima o poi sarei riuscito a raggiungere il termine delle mie ricerche, trovare il filamento che mi avrebbe portato prima verso quel ninja e poi verso la pianta che così gelosamente cercavo.

    Alzandomi dal tavolo gli avrei dato una pacca sulla spalla, in maniera tale da tranquillizzarlo, e poi lo avrei guardato per chiedergli se fosse ancora certo di quello che aveva affermato a proposito del non uso della forza. Alla fine dei conti, non aveva ancora capito dove si trovava. Non sapeva ancora che, letteralmente, l'unica cosa che aveva davvero valore a Oto era proprio la forza. Qui si apprezzavano unicamente coloro che in qualche modo potevano imporsi sugli altri. Essere davvero liberi. Proprio la libertà era ciò che separava gli otesi dai non otesi. Perché Oto, da un certo punto di vista, era il puro Caos primordiale, con tutto ciò che esso comportava.

    - Se sei sicuro di non voler usare la forza, allora non ti resta che andare a lavare i piatti, - gli dissi. - Ci vedremo tra un po' di tempo, quando riuscirò a rintracciare il simbolo che mi hai mostrato. - Non sapevo ancora quanto tempo mi sarebbe servito per riuscirci, anche perché Ame era una fogna a cielo aperto. Era il luogo per eccellenza in cui regnava il Caos nella sua forma più pura. Riuscire a rintracciare qualcosa lì era possibile, ma era difficile. E, di sicuro, ci sarebbe voluto più di qualche sforzo affinché coloro che sapevano parlassero.

    Dopo aver dato una pacca sulla spalla al ninja di Oto, mi sarei allontanato sparendo poco nel Nero della Notte e lasciando da solo il piccolo guerriero otese. Lui avrebbe potuto restarci a lavare i piatti o fare in un altro modo. Poco importava. D'altronde, era a Oto e la scelta era solo la sua.
  10. .

    Il Fulmine Nero di Ame


    Post 1



    Sarebbe passato diverso tempo da quel momento in cui avevo contattato Etsuko per rivederlo dopo diverso tempo fino all'istante in cui ci saremmo di nuovo ritrovati per le vie di Ame, ove Etsuko mi aveva proposto un piano e io, alla fine dei conti, lo avevo accettato, sebbene mi desse più rischi che possibilità e mi portasse a rischiare non solo il corpo ma, probabilmente, anche l'anima. Alla fine di quel breve incontro ci eravamo ritrovati con una promessa e con un progetto da svolgere. Ci serviva solo un filo da srotolare e più di qualche passo da compiere. Era quello che si aspettava la Provvidenza da me. Lo sentivo. Era quella la strada che avrei dovuto percorrere per restare fedele alle esigenze della Provvidenza.

    Il problema era sempre lo stesso: come? Per fortuna, quando ci lasciammo con Etusko ed egli tornò in quel buco pieno di cemento e nebbia che Kiri era, mi ricordai di ciò che ero stato poco prima della mia dipartita. Era quella al via che avrei dovuto percorrere. Quella era la strada segnata di passi. Mi ricordavo della setta che avevo contattato poco prima di diventare Mizukage, quando ero ancora ad Ame e che voleva unire gli Occhi Rossi dei Demoni con la possibilità di apparire in ogni momento, in ogni istanza, ovunque volesse. Tracciando simboli. Aprendo portali.

    Da quel punto di vista, la Strada era chiara, ma era pur sempre oscura. Ci sarebbero stati sacrifici da fare. Sangue da gettare. Alla fine dei conti ci ero abbastanza preparato, come se fosse ormai una meccanica sempre prese. Un elemento che ero entrato nella mia vita da sempre e che ci era diventata una parte fondante.

    Quello stesso giorno due cose sarebbero accadute:

    1) Io mi sarei recato nel tempio di Somujo ad Ame, trovandolo vuoto o quasi, ma con più di qualche elemento a cui mi sarei potuto agganciare per condurre le indagini e giungere al punto di fine delle investigazioni.

    2) Un corvo sarebbe di nuovo volato verso Kiri, oltrepassando le mura e le difese per raggiungere Etsuko Akuma, ovunque si fosse trovato nel villaggio in quel momento. Probabilmente nel suo ufficio oppure altrove. Nella missiva poche parole, ma chiare:

    - Oscurità e Sangue, affinché il debito dell'antico Dio venga ripagato. -



    Come di solito, Etsuko avrebbe trovato in allegato a quella missiva una breve aggiunta con delle coordinate e, quando sarebbe giunto sin lì, avrebbe trovato un tempio che molto tempo prima era già stato visto da Kato, nella sua forma ancora umana, e da Tasaki di Suono, prima che fosse andato a pascolare i campi dopo essersi rotto il cazzo di Oto.

    Comunque fosse, era un tempio non troppo alto, nascosto tra le ombre della pioggia, coperto dall'acqua stessa, un po' decaduto, ma sicuramente con molte energie interiori, come se tanti sacrifici vi fossero stati fatti e molti mali vi fossero stati commessi, ma se c'era qualcosa che vi si poteva ottenere, in quel posto, era la Benevolenza della Provvidenza, la capacità di sottomettere il Tempo e lo Spazio al proprio volere e di mettere al servizio del Caos, l'unica vera forza che ogni essere umano e divino sarebbe dovuto seguire. Per farlo, tuttavia, un Sacrificio sarebbe dovuto venir fatto, una nuova forza appresa, del sangue gettato sull'Altare del Caos. E solo allora, il Fulmine Nero di Ame, forse, avrebbe fatto la sua comparsa sulla scena.

  11. .

    Il Dialogo tra Eroi


    Post 5



    - Esatto, - dissi quando sentii la risposta del ninja del Suono, esplicata in una maniera estremamente logica e lineare, come in pochi potevano fare. Sicuramente, il tizio che mi trovavo davanti aveva tutte le carte in regola per diventare un membro di spicco del mondo degli shinobi, specialmente se avesse continuato ad attenersi al proprio credo ninja e fare tutto il possibile per raggiungere la meta preimposta. Non c'era niente da aggiungere, se non che: - Prima o poi troverai ugualmente colui che ti tradirà, giovane otese. È solo una questione di tempo. Così come troverai colui che diventerà il tuo partner più fedele. -

    Grazie a quel simbolo e a tutto ciò che era accaduto, avevamo avuto abbastanza appigli per programmare il da farsi. Al contempo, il piccoletto doveva capire che non sarebbe stato facile, che avrebbe dovuto riempirsi di pazienza e calma prima di poter procedere oltre. Io stesso avrei dovuto fare le mie ricerche prima ancora di ricontattarlo, spiegargli i dettagli e poi partire alla ricerca di quella pianta. Avrei dovuto mettere in opera una missione d'indagine, sia sulla pianta che sul simbolo mostrato, in maniera tale da ricollocare il tutto nel miglior modo possibile. Solo in questo modo avrei potuto, in fin dei conti, ottenere le informazioni certe sul luogo in cui si trovava ciò che stava cercando e capire meglio il mondo in cui avremmo potuto trovare il necessario.

    Alla fine dei conti, non mi rimase che osservare la venuta del cameriere, che si lamentava giustamente per quello che era appena successo al suo tavolo, e vedere la reazione composta, quasi timida, del ninja del suono. Era una cosa molto strana da vedere, in realtà, perché di altri tempi e in altre circostanza, al di fuori da ogni dubbio, i ninja del Suono si sarebbero messi a tirare in mezzo mille miliardi di discussioni e, probabilmente, sarebbero pure passati alle mani. Ora, invece, osservavano timidi qualcuno che in quel momento aveva un ruolo superiore. Sicuramente non era spaventato, - questo lo si vedeva, - semplicemente dispiaciuto.

    - Aiutarmi nel mio lavoro, dici? - Chiese il cameriere portandosi una mano al mento. Si vedeva che talvolta venivano persone come il ragazzo otese e cercavano di fare cose come quelle. Alcune magari non pagavano nemmeno il conto. - Lavorerai 3 giorni al posto mio, nelle giornate in cui avrei dovuto essere in vacanza. Capito? - Domandò.

    A quel punto non è che l'otese avrebbe avuto chissà quali scorciatoie, a dire il vero. Era stato lui stesso ad aver proposto quella soluzione al cameriere, mentre io avrei domandato al cameriere un foglio con una penne, che mi sarebbe stata portata in poco tempo. Con quegli attributi a portata di mano non mi sarebbe rimasto altro da fare che ridisegnare il simbolo presentato dal ragazzo otese sul foglio, in maniera tale da averlo a portata di mano una volta che sarei andato a cercare degli appigli ad Ame.

    Non appena il cameriere se ne fosse andato, mi sarei rivolto al mio compagno di viaggio:

    - Davvero vuoi ripagare questo? - Avrei indicato il simbolo inciso sul tavolo. - Sei un ninja. Sei più forte. Poi sempre risolvere tutto e ogni cosa con la forza. -

  12. .

    La caccia allo scimpanzé


    Post 3



    Quando la scimmia comparve iniziando a fissarli entrambi, i due non persero tempo e si diedero da fare. Alla maniera loro, bisogna dire: il ragazzo di Oto lanciò un kunai, mentre il ragazzo di Konoha provò a fare tutto il resto del lavoro sporco.

    Così il kunai otese viaggiò a mezza altezza fino al casco di banane, che colpì in pieno facendolo cadere, proprio come il ragazzo del Suono aveva prospettato. A quel punto, la scimmietta però non si scompose e guardò prima il tizio che aveva lanciato l’arma, poi le banane cadute, poi di nuovo il ragazzo del Suono, poi l’arma che era ormai a terra e, infine, il ragazzo foglioso che ora si moltiplicava e correva sempre verso di lei. Ovviamente, il kunai era decisamente, molto più veloce rispetto all’Uchiha, motivo per cui giunse al proprio obiettivo prima, ma la strategia messa in atto diede comunque i suoi frutti: la comparsa 3 cloni incorporei fece sì che lo scimpanzé restasse di stucco, mentre i suoi occhi non riuscivano a capire chi di quei cloni era quello vero, mentre il suo cervello non capiva il perché fossero comparse ben 3 figure nuove.

    La reazione fu razionale:
    Dovendo recuperare altre banane, che ora aveva perso, e spaventandosi nel vedere così tanta gente davanti a sé, la scimmia scattò di 1 metro in alto aggrappandosi ai vari rametti. Lo fece agilmente e proprio mentre il foglioso fu in sua vicinanza cercando di prenderla. Certo, lo Scatto Rapido dell'Uchiha era molto veloce; il movimento per prendere la scimmia non lo era. [NOTA]

    Pochi movimenti per uscire dal raggio d’azione dei ninja accademici bastarono per osservare il foglioso dall’alto di un rametto, mentre un pugnetto scimmiesco si chiudeva e un dito medio si alzava in direzione dell’Uchiha, seguito da una linguaccia. [Slot Difesa 1 - Schivata]

    Vi fu anche un altro motivo per fece propendere alla scimmia per quell’azione, piuttosto che ad altre: più in alto si sentiva più al sicuro e quel lancio del kunai, sebbene l’avesse disorientata temporaneamente, l’aveva anche messo all’erta e spaventato, anche perché quegli strani aggeggi metallici li aveva già visti, in realtà.

    Una volta scappata 1 metro più in alto sul tronco di un albero, la scimmia avrebbe [continuato - Slot Azione 1-2] ulteriormente il suo movimento di altri 6 metri, finché non si sarebbe portata a circa 11-12 metri dal livello del terreno. Da lì, avrebbe [preso - Slot Gratuito Veloce] due banane, di cui una sarebbe [volata - Slot Azione 3] verso la testa dell’Uchiha spostato più in avanti (non sapeva, a quel punto, quale fosse l’Uchiha vero e quale no), mentre l’altra sarebbe [volata - Slot Azione 4] verso l’otese: avrebbe percorso una traiettoria parabolare, quasi come un banana-shuriken, per provare a colpirlo sul lato del collo.

    C’era, però, anche dell’altro: alzando lo sguardo verso l’albero i due shinobi avrebbero visto che su quell’albero c’erano banane in quantità. Munizione infinite, o quasi, con cui Ayako avrebbe potuto fargli passare la voglia di farsi catturare e di tornare in gabbia.

    Cosa, quindi, fare?

    [NOTA]


  13. .

    Il Dialogo tra Eroi


    Post 4



    Che non ci conoscessimo abbastanza per poterci reciprocamente fidare era un fatto noto e sarebbe stato difficile affermare il contrario, specialmente per me, che con il nuovo volto emanavano una specie di sicurezza e calma. Se avessi, per qualche motivo, deciso di contrariarlo dicendoci tutt’altro, alla fine dei conti avremmo perso entrambi. Perché entrambi avevamo il bisogno di ritrovare quella pianta per essere in pari con lo staff dell’Ospedale. - Giusto così, - gli dissi. - Non ci conosciamo… Però… Se tu andassi in missione con uno shinobi di Suna oppure di Kiri, ti fideresti di lui anche se non lo hai mai visto prima? - Ciò che gli volevo far capire era tanto semplice quanto immediato: durante la sua vita di certo avrebbe trovato moltissime persone, ne avrebbe conosciute in migliaia, e non avrebbe avuto né modo né motivo per fidarsi di tutti. E poi ci sarebbero state anche quelle persone che avrebbe conosciuto per decenni e che poi, forse, lo avrebbero tradito comunque. La verità e la realtà erano semplici: avrebbe dovuto crescere e diventare indipendente, per fidarsi (oppure no) senza pensare alle conseguenze che ciò avrebbe potuto avere.

    Il ragazzo poi mi confermò il suo appartenere a Kumo e, dopo un breve momento di silenzio, spostò le attenzioni sulla ricerca della pianta. Fidarsi o no, la ricerca della pianta era l’unica cosa importante in quel momento. Io, con le braccia incrociate al livello del petto, lo ascoltai attentamente, finché non disse di aver visto un simbolo.

    Un simbolo? - Domandai. Se davvero aveva visto un simbolo, ciò ci poteva ben presto riportare al nocciolo della questione: trovare gli appigli necessari per ritrovare colui che stavamo cercando. Alla fine, decise di non prolungarsi oltre, tirò fuori un kunai e incise il simbolo cercato in maniera tale che potessi vederlo senza problemi.

    - Bene così, - risposi memorizzando il simbolo, finché non comparì un cameriere.

    - DIAVOLO! - Esclamò guardando l’intaglio. - Non vi avevo permesso di fare intagli sul tavolo! Ora lo dovrò buttare! -

    Gridò. L’otese avrebbe senza troppi problemi notato lo sguardo arrabbiato del cameriere che, giustamente, ora sembrava volere una specie di ricompensa o qualcosa del genere. Del resto, gli aveva appena rovinato il tavolo.

    - Ci scusiamo, - avrei risposto al cameriere allargando le labbra in una specie di abbozzo di sorriso. - Non succederà più. -

    - Le vostre scuse non bastano! Mi avete rovinato il tavolo! Ora mi toglieranno i soldi dal mio stipendio! -

    Lo sguardo arrabbiato del cameriere si sarebbe poi posato sul mio compagno, il primo responsabile di ciò che era successo. Anche io lo avrei guardato: aveva di sicuro fatto qualcosa di errato, ma come rimediare ora?


  14. .

    Il Volto del Tennin


    Capitolo 7 - Il piano



    - Capisco, - commentai semplicemente ascoltando le sue parole. Alla fine dei conti, si era stancato di Kiri. Un po' come si stancavano tutti. La sua partita, dunque, doveva finire, mentre la mia doveva iniziare. Un perfetto modo per riprendere ciò che avevo lasciato e anche oltre. Per riportare un bel po' di caos nel mondo. Avrei dovuto giocare una partita quasi perfetta per riuscirci. Dovevo sistemare tutto in maniera tale da non destare sospetti. Da non lasciare tracce. Di non far capire che io ero io. E al contempo dovevo continuare a seguire le tracce lasciatemi dalla Provvidenza.

    - I tempi sono cambiati, Etsuko, - avrei risposto. - Ma sì. Amministrerò Kiri nel modo a me più congeniale. Finché non mi scopriranno. -

    Se era così convinto di quel piano, sarebbe stato meglio per me assecondarlo. Alla fine dei conti, dopo non aver avuto nulla, avrei avuto la seconda carica di potere nel villaggio. Il tutto con uno schiocco delle dita, grazie a come si erano sistemati gli eventi. Eppure, la partita stava solo iniziano. I pedoni venivano mossi in avanti. I cavalli erano pronti al sacrificio. Mancava solo la figura del Re avversario: tutto il resto era chiaro.

    - Io non pagherò alcun prezzo, caro cugino. Sono tornato da poco e ciò che mi proponi è il meglio di ciò a cui potrei aspirare. -

    A quel punto l'affare era fatto, a quanto pareva. La strategia era stata stabilita. I dialoghi erano stati svolti. Lui voleva la libertà. Non era forse libero in quel di Kiri? Cosa gli mancava?

    - Prima, però, devo sistemare alcune faccende qui, ad Ame, e spero che tu possa aiutarmi a farlo. Ci vediamo qui tra qualche giorno. -

    Con quelle parole mi sarei nuovamente girato di spalle a lui. A lui, che era già diventato un'importante parte del mio gioco. A lui, che era stato Marchiato e che ora si sarebbe portato quel marchio per chissà quanto tempo ancora. Sì, sarei ripartito da lui, proprio come la Provvidenza desiderava, per portare a compimento il mio compito.

  15. .

    Il Dialogo tra Eroi


    Post 3



    Solo fino a qualche anno fa quel mio trucchetto, con il documento falso, non sarebbe sicuramente riuscito. Gli inganni a quel tempo erano decisamente più diffusi; ci si poteva aspettare l'arrivo di un inganno da ovunque, letteralmente. Poteva arrivare in ogni momento. In qualsiasi istante. Ora la situazione nel mondo sembrava decisamente migliore. Come se fosse più delicata. Più controllata. O forse... Era solo quel tipo a non avere una soglia di attenzione abbastanza alta. Del resto, era poco più che uno studente. Una piccola figura dispersa in un mondo molto più grande e ampio. Un'insignificante pedina, niente di più.

    - Non è più casa mia, Kumo, - dissi. - Non è lo è dal colpo di Stato che vi è avvenuto. -

    In fin dei conti non aveva mentito. Non totalmente, almeno. Era davvero molto lontano da casa, ma non era Kumo quel posto. E poi... Kiri non la consideravo più casa. Da un sacco di tempo ormai. La sola idea di tornarci mi faceva provare un immenso odio nei confronti di tutte quelle persone che vi vivevano. Tutto ciò che avrei fatto, sempre se avessi potuto, sarebbe stato distruggerla, disastrarla. Lasciare che vi regnasse il caos e che il gelo prendesse casa in quel posto.

    Per quanto riguardava gli interessi in comune, il giovane otese mi sembrò decisamente più serio e pragmatico. Prima affermò che la motivazione che gli avevo appena portato gli sembrava sufficiente e poi mi chiese cosa sarebbe successo dopo. Davvero gli importava cosa sarebbe accaduto dopo? Quella sarebbe stato il suo ultimo problema, a dire il vero. Nel preoccuparsi per ciò che sarebbe potuto accadere un giorno, avrebbe potuto perdere il presente dimenticandosi di una delle verità assolute che contraddistinguevano quel mondo: vivere.

    - Dopo? - Chiesi. - Beh... Immagino che torneremo tutti ai nostri impegni. Io a vendere il riso. Tu a... ad allenarti? O a quello che devi fare? -

    Non che avessi chissà quali piani per quel ragazzo: certo, avrei potuto mettergli un simbolo sulla testa, provare a spingerlo sulla strada della Forza, cercare di fare in modo che guardasse il mondo vero, quello senza il velo a coprire la verità. Ma davvero sarebbe stato pronto per un simile affronto? Per trovare la sofferenza? Vedere i volti senza le maschere?

    - Appartieni a Kumo? - Avrei domandato guardandolo. Dal colore della sua pelle lo si poteva notare senza troppi problemi. E chissà che discendenza aveva quel ragazzo di colore. Chissà che tipo di commissione avrebbe dovuto sbrigare! Non che me ne importasse molto, comunque. Quel tipo di faccende non mi riguardavano sicuramente e non una cosa che in qualche modo poteva riferirsi a me stesso. - Capito. Comunque, a Oto sono tutti ben accetti, se mi ricordo bene. Kumo, Taki, Iwa. Quello che vuoi. C'è un Kage un po' aggressivo, che ama le guerre, ma in genere è almeno... - E qui mi fermai. Almeno cosa? Sicuro? No. Mi ricordavo che fosse tutto fuorché sicuro, tra attacchi e criminalità organizzata. Ben gestito? Nemmeno. Una fogna a cielo aperto. - Beh, almeno ci si può commerciare, se si sa con chi farlo. -

    A dirla tutta, nemmeno il commercio a Oto era così florente come in altri posti, ma hey, in qualcosa quel villaggio pur doveva eccellere rispetto ad altri e l'unico fattore che mi veniva in mente era... la guerra. Oto era situato in una terra molto più piccola rispetto agli altri Paesi. Era così piccolo che, sembrava, il Paese del Fuoco avrebbe potuto inglobarlo in un solo boccone. E invece, Oto non solo riusciva a resistere agli altri Paesi, ma aveva una forza militare sufficiente per respingere gli attaccanti e ad attaccare a loro volta. Avevo zero dubbi: se Konoha avesse un giorno deciso di attaccare Oto, Konoha sarebbe probabilmente sparita dalle mappe.

    - E poi... Oto è un ottimo posto per coloro che vogliono essere liberi. -



    Quando poi finalmente ci sedemmo dietro al tavolo, ascoltai ciò che ebbe da dire l'otese in merito a quella radice e dovevo anche ammettere che aveva ragione. - Questo avremmo dovuto chiederlo all'Ospedale, - sorrisi. - Penso che lo farò dopodomani. - L'idea di tornare all'ospedale per ottenere le informazioni di cui avevamo bisogno non mi sembrava così assurda come si poteva pensare a prima vista. Avevo già diverse altre idee in mente e molte di loro avrebbero richiesto tempo di realizzazione. Non sarei mai riuscito a realizzarle tutte e veloce. Era persino inutile sperarci. E così, anche con quel tizio vicino, avrei dovuto comunque andare ad Ame da solo. Capovolgere tutto. Provare a rintracciare la strana pianta.

    - E tu? - Avrei chiesto ingoiando una palla di riso. - Hai mai visto quei due tizi? -

6335 replies since 4/11/2006
.