Posts written by Arashi Hime

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    Vista l'ultima volta, non direi.
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    Le cosiddette pippe mentali, nel tuo caso :sisi:
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    Non hai idea.
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    Io che supero i problemi nella vita:

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    SUN TZU AND HIS DAUGHTER

    If you know the enemy and know yourself you need not fear the results of a hundred battles.



    Venire teletrasportati era come essere infilati in una lavatrice dopo aver mangiato tre ciotole di ramen.
    Shizuka Kobayashi non era finita in lavatrice. Ma aveva mangiato tre ciotole di ramen.
    L’epilogo fu triste.

    «BLEAARGH»

    Vomitò in un angolo del sotterraneo, una mano al muro e l’altra sulla pancia. A sua discolpa si poté dire che provò, per una dozzina di secondi, a resistere a quell'impulso. Il risultato che ottenne, però, fu solo quello di assumere tre diverse tonalità di verde.
    «Oddio…questo Kimono costa 223.690 ryo…mia madre mi ammazza.» Gemette la ragazza, impallidendo. Come da tradizione, infatti, anche quel giorno la Principessa indossava uno degli splendidi abiti del suo Clan: maniche lunghissime, obi esagerato, e inamidato colletto bianco tipico delle donne sposate. Sospirò, e dopo essersi pulita la bocca con un fazzoletto ricamato che da solo avrebbe potuto acquistarne almeno altri trecento normali, la ragazza arricciò le labbra. «Questa storia del matrimonio mi ha stufata, Raizen. Diamoci un taglio quanto prima.» Disse, girandosi e avvicinandosi alla Volpe. Fu tanto sincera da risultare fuori luogo. «Tutte queste idiozie da mettersi addosso, le manfrine in casa che non ti dico, e pure Masaki mi innervosisce. Ha cominciato a diventare un po’ troppo…» Cercò il termine giusto. «…appiccicoso, diciamo.» Commentò alla fine, senza peli sulla lingua. Lanciò uno sguardo all'uomo, fissandolo in silenzio un attimo. «Non mi piace essere messa in gabbia senza il mio consenso. Non sono abituata a sbattere le ali a comando per ottenere il compiacimento migliore. E tu lo sai.» Affermò, ed era chiaro a cosa si riferisse. In ogni caso non aggiunse altro e rimase zitta anche quando il Kage le pizzicò il viso, limitandosi piuttosto a sospirare. «Per la verità ormai hai smesso anche tu di essere quello che mi conosce “meglio di tutti”...ma diciamo che tra il grande pubblico, sei quello che se la cava meglio.» Sorrise educatamente, allontanando con una mano quella della Volpe. «Vivo la mia vita stando al tuo fianco dalla bellezza di sei anni, sarebbe strano se fosse diversamente, no?» Aggiunse con tutta calma. «In ogni caso, tornando all’argomento di prima: non vedo perché fare tutti questi salti pindarici quando mi basta invitare formalmente Masaki a conoscerti. Anche perché mi risulta che un Clone si individui facilmente, per un sensitivo. Ma tant’è…me ne occupo io, no?»
    La forza di Shizuka Kobayashi, in quella missione, non era mai stata l’essere la Shinobi più potente, cosa che effettivamente non era; ma l’essere la più diretta e priva di menzogne. Non vi era falsità più grande, per una manipolatrice, che la verità stessa. E nel suo caso, in quel caso, la sua grande abilità non era recitare, ma essere sempre vera nelle sue mille sfaccettature. Con ogni probabilità la Principessa del Fuoco era la donna più idonea a eseguire quella missione, proprio perché era la creatura più pragmatica dell’intero continente.
    Fu per questa ragione, che una volta fuori da lì spedì una lettera a Masaki Kurogane e lo invitò formalmente al cospetto di Raizen Ikigami.
    “Come ben saprai, Masaki, Raizen è il mio maestro e io sono la sua unica allieva” recitava la missiva. “Sono legata a lui con un doppio filo: è una delle persone più importanti per me. Al pari della mia famiglia e dei miei più cari amici, ricopre un ruolo di prestigio nel mio cuore. Per questa ragione voglio poterti presentare a lui, prima della cerimonia, come l’uomo con cui ho deciso di trascorrere il resto della mia vita.
    Essendo molto impegnato non sono riuscita ad ottenere prima di ora un incontro, e invero egli ci potrà dare solo poco tempo -informale, non temere-, tra una sua incombenza e l’altra, ma è mio desiderio riuscire davvero a farvi conoscere.
    Vorrei che questo fosse un incontro amichevole, privo di pretese, sentiti dunque libero di non rispettare l’etichetta che il nostro rango ci impone da sempre. Capirai da solo che Raizen è un uomo che non ha bisogno di formalità, tra amici. Ne sono certa.”

    La data era per il giorno successivo, e l’ora quella più congeniale per un tè.
    La lettera, invece, era il proseguimento di ciò che Shizuka aveva iniziato in passato: introdurre Masaki nella sua cerchia di affetti. Lo aveva già fatto con Atasuke, e prima ancora con Ritsuko e la sua famiglia. In occasione dei loro appuntamenti non aveva perduto la possibilità di portarlo a mangiare i deliziosi dolcetti della pasticceria "Usagi" di Kame-chan ed era stata felice di regalare lui le sciocchezze chiccose del negozio di Momoko.
    Aveva dato a Masaki il meglio di ciò che aveva: le persone che amava. Anche quella volta, sarebbe stato così. Un invito per presentargli il suo maestro (che per puro caso era anche l’Hokage).

    […]


    Ci volle un notevole sforzo per non girarsi a fulminare con lo sguardo Raizen quando questi non mancò di ironizzare sull’interrogatorio che aveva svolto. Un’ispezione piuttosto approfondita, invero. Ma insomma, la gioventù…e nonostante tutto il suo lavoro era stato davvero encomiabile.
    «Ota…coff coff…fuku…» Tossì, portando elegantemente un fazzoletto alla bocca. «…infa…coff coff…me…» Aggiunse, sempre tossendo, perché solo la Volpe la sentisse. Comunque non aggiunse altro, in merito.

    Quando Raizen iniziò a porre domande, però, parve perplessa: riteneva che alcune di quelle fossero già implicite nelle risposte che aveva ricevuto lei, ma apprezzò il modo diverso di impostare gli interrogativi. Si chiese se la psiche delle persone avesse più chiavi e se queste potessero aprire dunque più livelli di coscienza. Quell’idea, come anche la consapevolezza che dopotutto aveva ancora davvero molto da imparare, la stuzzicò abbastanza da farla tacere e lei, mettendosi a braccia conserte, avrebbe infatti osservato lo scambio di battute tra i due fino a quando il Kage non le si rivolse in ultima istanza.
    Inarcando il sopracciglio sinistro, la donna parve perplessa.
    «Grazie per dirmi quando devo usare le mie abilità nel corso della mia missione.» Ironizzò, sarcastica. «Non ci avrei mai pensato da sola, in effetti…» Gemette, portandosi una mano alla fronte con aria contrita. «Ho ancora così tanto da imparare da te, sensei…» Sussurrò con voce rotta.
    Lasciò perdere in un attimo.
    «Non ho bisogno di creare realtà fittizie, Raizen. Non ho mai mentito nel corso di questa missione.» Disse, scrollando le spalle e mettendosi a braccia conserte di fronte allo sguardo dei due ninja. «Quando hai scelto me per questa faccenda mi hai chiesto di mimare amore per un uomo, ma io non sono mai stata innamorata. Sarei risultata così falsa da essere pietosa, l’ho capito quando mi sono ritrovata a studiare il comportamento delle coppiette del Villaggio e a simulare allo specchio occhioni dolci da cerbiatta, quindi semplicemente ho deciso di essere me stessa. Al limite avrei fallito prima di arrivare al punto saliente che, vista la circostanza del caso, non avrebbe comunque smascherato nessun piano diabolico, ma solo il mio biasimevole tentativo di prendermi gioco del cuore di un uomo.» Osservò con una leggerezza quasi allucinante. In sostanza stava dicendo che fino a quel momento non aveva minimamente tenuto in considerazione la missione, ma si era goduta ogni istante come uno qualsiasi della sua vita. Non aveva mentito, aveva solo offerto una delle tante prospettive del suo carattere, un cristallo pluri-sfaccettato e per questo imprevedibile –per gli altri e per se stessa– con accortezza, con ossessività in certi casi era vero, ma senza essere vittima dell’ansia che ci si sarebbe aspettati in quel genere di situazione. E se era pur vero che adesso le cose cominciavano a farsi davvero serie, il che prevedeva un’attitudine mentale e di comportamento ben diversa, non avrebbe cambiato l’inclinazione del suo cuore e del suo carattere.
    Avrebbe continuato a manipolare la realtà, rimanendo però seduta nella realtà stessa.
    «Se anche volessi mi è impossibile creare “sentimenti” in toto, credo.» Disse, riflettendoci. «Però penso di poter agire sulla psiche per rimuovere quei ricordi o quei momenti che portano in effetti l’animo di una persona a mutare i propri sentimenti…ma è qualcosa in cui non mi sono mai addentrata, perché troppo pericolosa.» Pensò ad un esempio, e dopo un attimo annuì. «Rammenti a Kumogakure, Raizen?» Chiese a quel punto. «In quel contesto di infiltrazione avevo pensato di entrare nelle file nemiche, assieme alla Generazione, eliminando la mia Volontà del Fuoco e risultato così insospettabile. Questo prevedeva ovviamente cancellare l’amore per il mio Paese, il mio Villaggio e per tutte le persone che mi sono care, una missione impossibile se ci pensi bene.» Togliere l’amore era come creare l’amore: era impossibile recidere completamente le radici nel cuore di qualcuno. Così era anche per l’odio, per la cupidigia, e per quello spettro sentimentale primario che formavano l’albero psicologico di una persona. Eppure… «Tutto molto bello, ma c’è stato un momento in particolare, uno solo, in cui ho veramente razionalizzato che non avrei mai e poi mai tradito il Fuoco e che sarei stata pronta a morire per proteggere il mio Villaggio, diventando così il suo Scudo Perfetto. In quel momento i tasselli di sottofondo scombinati e buttati un po’ lì e là hanno assunto la forma della consapevolezza: ebbene, eliminando quell’istante, sarei tornata ad essere una qualunque ninja che vive per una certa causa.» Non sarebbe stato necessario continuare nella spiegazione per far capire cosa tutto quello avrebbe comportato, sia le possibilità note che quelle, invece, imprevedibili. E se i ricordi fossero andati perduti, cosa ne sarebbe stato di lei…? «Ogni sentimento ha un momento preciso in cui diviene noto, tu la chiami "scintilla", e diciamo che è così, è vero. Per questa ragione posso agire in questo senso anche per “creare” e non solo per “distruggere”...ma è un processo davvero complesso e rischioso che non ritengo sia meritevole di essere usato in questo caso. Non è necessario simulare amore.» Disse con molta educazione, reclinando leggermente la testa di lato e accennando un sorriso composto. «Limitiamoci a cancellare solo ciò che inerisce alla missione e lasciamo il resto così com’è. Ma io devo poter conservare la consapevolezza di…» Esitò, e a quel punto tacque per un attimo.
    Chiuse gli occhi, cominciando a ragionare su tutti i possibili scenari: una missione di strategia e infiltrazione era come giocare a scacchi. Il trucco era pensare tre mosse avanti agli altri.
    Ma lei aveva sempre amato i grandi numeri e i numeri pari.
    «Beh, in ogni caso per quanto riguarda i tuoi "guardoni professionisti"…» Riprese a parlare dopo qualche istante, annuendo come se avesse capito chissà cosa. «…se pensi di farmi seguire a caso da qualcuno dentro Magione Kurogane il giorno dell’incontro con mio suocero, ti sbagli di grosso. Non intendo macchiare di sangue il kimono scarlatto che si tramanda da generazioni nella mia famiglia.» Sorrise. «Del mio sangue.» Puntualizzò educatamente. «Sono sicura che ti sei preparato questo discorso con un sacco di anticipo, imponente Hokage…ti credi già il più abile stratega.» Disse la ragazza, avvicinandosi a piccoli passetti al Colosso. Non appariva intimorita dalla presenza dell’uomo, come dimostrò cercando di pinzare la guancia di lui tra indice e pollice. «“Ho ideato un piano che Sun Tzu a mio confronto non è nessuno”…lo hai pensato, eh?» Ghignò, divertita. Socchiuse gli occhi, ben sapendo che alla Volpe sarebbe bastato poco per capire la domanda sottointesa: “Ma chi ti conosce meglio di me?” «Scordatelo, troppo rischioso. Ma le tradizioni del mio Clan possono volgere a nostro favore.» Osservò, annuendo. «“La sfilata della benedizione” potrà accorrere in nostro soccorso. Come da tradizione sarò io ad organizzarla…e sono certa che tu voglia farmi uno splendido regalo di matrimonio, vero Raizen?» Chiese la ragazza con dolcezza. «Per esempio la coppia di pendagli per capelli, i “Pavoni Gemelli”, di oro, avorio e smeraldo, firmati dal Mastro Gioielliere del Fuoco.» Non era una proposta. Era una richiesta. Esplicita. Sfacciata. E soprattutto tanto, tanto, tanto, tanto costosa. «Mi piacciono così tanto…» Sussurrò, intrecciando con seducente eleganza le dita della mano tra i suoi lunghissimi capelli castani. «Non sono in lista da parte di nessuno, eppure sono certa che entrambi siate d’accordo con me…» Disse, guardando i due uomini. «…Il verde mi dona moltissimo, non è vero?»

    Aveva già pianificato tutto.

    Futura Matrona Kobayashi: niente era lasciato al caso. Mai.
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    CITAZIONE (Kairi Uchiha @ 20/6/2016, 22:05) 
    (Charmender come starter tutta la vita! u_u)

    OVVIA
    Finalmente si ragiona :addit:
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    CITAZIONE
    Bartok: "Ma perché simone non parla?"
    Arashi: "Come non parla"
    Yusnaan: "Ma leggeva lei, che dovevo dire?"
    Bartok: "Non parla mai..."
    Tutti: "...."
    Bartok: "Ah no, è che ieri sera l'ho mutato ecco perché non lo sentivo"

    Yusnaan Bartok.
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    Gab non ho visto un tubo (me ne ero dimenticata, ammetto :pwn: la prossima ce la vediamo insieme, mi scrivi su cell e connettiamo insieme :pwn:), riassumi con minuzia di dettagli appena ti riprendi
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    Senza i support i tank sono destinati a morire dopo tre passi. Siate grati che il support sia più forte del tankeggio vero, altrimenti sarebbe una landa desolata di morte e disperazione per voi :sisi:
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    maxresdefault


    Ebbene sì, signore e signori, l’attesa è finalmente giunta al termine: Pokémon GO verrà lanciato ufficialmente in tutto il mondo il 15 luglio su Android e iOS, e poco dopo arriverà anche il Pokémon GO Plus, l’accessorio da polso opzionale che grazie alla connettività Bluetooth segnala la presenza di Pokémon vicini e ne permette anche la cattura. Per la cronaca, le modalità di vendita di questo wearable sono ancora sconosciute quindi siamo fottuti perché ci ritroveremo a spendere l'ira di Dio a casaccio

    Prendendo atto che questo gioco è stato creato solo con l'intenzione di far uscire di casa i nerd (vivrò in mezzo di strada come un'accattona di Suna tutta l'estate), cosa ne pensate?
    Mi è sembrato di capire che il circuito gamers è piuttosto scoraggiato, francamente a me sembra una figata pazzesca, ma non nego la mia nabbaggine sul campo... idee? pronostici?

    Si apra il dibattito :zxc:
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    A PAIR OF

    The difficulties you meet will resolve themselves as you advance. Proceed, and light will dawn, and shine with increasing clearness on your path.



    «Senti, sai cosa? Vaffanculo.»

    Disse quelle parole con un sorriso. A prima vista sarebbe apparsa tranquilla e forse, in modo preoccupante, lo era davvero.

    «Hai proprio rotto i coglioni, detto di cuore.»

    Ancora comodata con le gambe accavallate, la donna reclinò la testa di lato. I suoi lunghissimi capelli castani, scivolarono come seta lungo la schiena, fino alla spalla, ondeggiando lentamente prima di fermarsi.
    Per qualche attimo lei non disse niente, limitandosi a guardare la Volpe negli occhi, poi scrollò le spalle.
    «Questa storia del fatto che mandi avanti Konoha da solo, la tua parola è unica, batti cassa, e come te nessuno mai…ecco, diciamo che hai rotto le palle: vai a raccontare questa storiella ai tuoi piccoli e inutili genin di belle speranze, o agli studentelli con gli occhioni brillanti e la voglia di morire per una causa superiore.» Disse, e la sua voce era molto gentile. «Non a me, che non sono proprio nella posizione di essere trattata come una deficiente incapace di poter discernere ciò che si può da ciò che, invece, non si può. Ma soprattutto, a me che ho da tempo abbandonato il posto di subordinata senza la lingua.» Sorrise educatamente. «Mi dispiace, Raizen, non sono più sotto di te, ormai.» Affermò con cortesia.
    Non era una presa di posizione a cipiglio insensato, e non stava contestando la gerarchia. Stava solo rimettendo in riga un modo di esprimersi irritante e irrispettoso: Raizen Ikigami era l’Hokage, e da lui dipendeva la gestione dell’intero Villaggio, era vero. Ma quel Villaggio non era suo, e non era lui che lo faceva da solo. E del resto, se egli deteneva primati inaccessibili, anche Shizuka ne aveva altri. Ed erano unici.
    «Non è bello far pesare la propria posizione in ogni momento e in modo così gratuito.» Fece presente, solo a quel punto alzandosi dalla sedia. «Ti ho ripetuto più volte che dovresti imparare a parlare ed esprimerti, perché credimi, una di queste volte finirà male per te. E con te andremo giù tutti noi.» Osservò, socchiudendo gli occhi. «Andrò a Oto e no, non cercherò informazioni su Diogene Mikawa, ma agirò comunque secondo mio giudizio qualora si vengano a creare situazioni di un certo interesse. Senza mettere in pericolo me o Konoha, ovviamente.» Non era una richiesta quella: in passato aveva già agito secondo il suo criterio e non aveva sbagliato. Aveva rischiato di schiantarci, il che non era poco, ma ciò che aveva riportato indietro aveva implementato le possibilità del Fuoco e addirittura di tutta l’Accademia, che a Raizen piacesse o meno. «Ah, un’altra cosa…non ho mai proposto di entrare dentro Villa Mikawa, ho solo suggerito di ascoltare e osservare senza fare niente, il che è ben diverso. Cosa sono deficiente?» Ridacchiò di quella possibilità. «Non voglio morire, né tantomeno dare a Diogene un buon pretesto per farti scomodare. Avrei solo voluto rendere più sicura la rete che stai cercando di aprire, ma tant’è…» Fece spallucce, alzando i palmi delle mani verso l’alto. «A me non importa di ricordarti che non ho alcun interesse a farti sentire meno importante con quel mantellino da supereroe sulle spalle. Per me puoi essere l’Hokage o anche il Daimyo, francamente non desiderio essere un “Eroe” e no, nemmeno la gloria mi affascina. Quindi non angosciarti, non voglio toglierti lo scettro delle decisioni che ti piace tanto sventolare a destra e a manca.» Sottolineò. In caso contrario, del resto, non si sarebbe mai prestata ad essere ciò che era diventata: l’ombra del Sole. E quel Sole era proprio il Kage. «Voglio solo rispetto, quindi la prossima volta che apri bocca impara a gestire le tue parole, almeno nei miei riguardi: se sei preoccupato che mi succeda qualcosa, perché hai paura che io venga attaccata e ci rimanga sotto, dillo semplicemente, senza offendere. Se invece non te ne frega un cazzo, allora chiudi la tua boccaccia e sii così cortese da evitare di ricordare in modo insensato che qui quello che batte cassa sei solo tu, perché non ho né insistito né contestato, ho solo fatto una domanda, ho ricevuto una risposta, ho acconsentito alla stessa e il discorso poteva chiudersi senza problemi.» Disse, lapidaria. «Non sono una tua pezza da piedi, Raizen, sono una tua compagna. Fattelo piacere, oppure vai a farti fottere.» Solo a quel punto, sorrise. «...Che stupida che sono, nonostante tutto quello che sto facendo per ottenere le tue attenzioni e la tua approvazione, è evidente che se dopo sei anni non mi riconosci come un pezzo da tenere al tuo fianco e una donna di cui valutare la stima, non lo farai mai.» Osservò a quel punto, chiudendo gli occhi in un altro sorriso. «Non meriti tutti i miei sforzi, Raizen. Ma sei fortunato, perché invece Konoha li merita eccome, e fintanto che ci sarà la Foglia continuerò a migliorarmi e diventare sempre più potente. E quello che sono ora, è solo l’inizio.» Ragionò, grattandosi il mento. «Sai, se dobbiamo vantarci, allora…» Mormorò, lanciando uno sguardo sarcastico al Kage. La cosa davvero grottesca era che con ogni probabilità aveva ragione: i miglioramenti di Shizuka potevano essere davvero solo all’inizio. Il problema vero era capire in che direzione si sarebbero orientati. «Quindi non preoccuparti, farò quanto mi è stato ordinato. Non sono così idiota da non capire che non bisogna andare a bussare alla porta del nemico.» Che era proprio quello che Raizen aveva insinuato. «Detto questo, ti auguro uno splendido proseguimento. Sono certa che la tua giornata è fertile di possibilità e conquiste.» Si mise a ridere, scuotendo la testa.
    Detto questo si voltò, dirigendosi con calma verso la porta dell’Ufficio. Prima di aprirla, però, si fermò, esitando.
    «Un’altra cosa.» Mormorò, senza girarsi. «Quando starò via, vorrei che tu dessi un’occhiata a mio figlio.» Calcò la voce sul possessivo. Conosceva troppo bene Raizen Ikigami da non capire quando qualcosa tra lei e lui si andava incrinando. Era così esperta sulle loro incomprensioni, da aver sviluppato un’abilità innata nel capire il perché e il per come dei suoi comportamenti. E della loro continua danza del vicino e del lontano. «Hotaka sta entrando al quarto mese di gestazione, è un periodo delicato, e io non so quanto starò via: escludo fortemente che possa succedere qualcosa, e del resto Makuramon si occupa di monitorare tutti gli strumenti medici cui è attaccato.» Strinse le labbra: non aveva mai chiesto a Raizen di considerare quel bambino come suo figlio, e del resto aveva già più volte sottolineato che aveva usato un quarto del suo DNA solo perché, come Jinchuuriki, possedeva capacità genetiche solide che avevano impedito il rigetto del suo esperimento. Tutto ciò che era nato dopo quel momento: il suo attaccamento per il piccolo, il suo senso di responsabilità, il suo stupido istinto materno da scienziata senza moralità ed etica…era un problema solo suo, che non aveva voluto imporre a quell'uomo. E non lo avrebbe mai fatto. Ma già da tempo era stanca di ripetere le solite cose al Colosso della Foglia, e ormai aveva cominciato a dirle una volta sola: era sempre stata lei quella che si muoveva in sua direzione, adesso era giunto il momento che fosse lui a denotare di capire e comprendere, e non solo esigere. Era un po’ troppo adulta per giocare a fare la bambina. Non aveva davvero più sedici anni, purtroppo. «…Però, in caso accadesse qualcosa, chiama Atsushi Kagure del mio Team medico, è l’unico che saprebbe gestire la faccenda. Non è necessario che ti dica che nell’eventualità tutto questo accada, lui non deve uscire dal mio laboratorio fino al mio ritorno e io devo essere chiamata all’istante per tornare qui il più velocemente possibile.» Mormorò, alzando la mano sulla maniglia della porta. «Non ti sto chiedendo di farti piacere quel bambino, ti sto chiedendo di supportare me, per una volta. E per farlo devi solo portare da mangiare a quella stupida scimmia psicolabile e masochista che se ne occupa…» Sorrise di quell’appellativo, chiudendo gli occhi e abbassando la testa «…Hotaka è prezioso, per me, e se dovesse accadere lui qualcosa…» Lasciò la voce in sospeso, sentendosi improvvisamente stupida. Più di quanto non si era sentita quando, per la centomillesima volta, si era resa conto che la Volpe si curava solamente di due cose al mondo: i suoi piani e se stesso. «In ogni caso non dovrai fare niente, non allarmarti. È solo questione di darci un occhio ogni tanto. Fallo quantomeno per le grandi opportunità mediche e belliche che questo bambino rappresenterà, se non ti va di dare una mano a me.» Disse dopo un istante di silenzio, solo a quel punto girandosi e lanciando un sorrisetto al Kage. «Sono o non sono la migliore dottoressa e scienziata di tuuuutto il continente?» Cinguettò, facendogli l’occhiolino.
    A quel punto, se non ci fosse stato altro, avrebbe semplicemente aperto la porta.
    «Beh io vado, ci vediamo. Spero di tornare viva.» Ironizzò, sospirando. «In caso fosse il contrario, il kimono te lo regalo.» E puntando l’indice della mano destra ad un occhio, fece una linguaccia.

    Sarebbe partita entro un’ora e mezzo.
    Non programmava di tornare a breve, però.
  13. .


    EMERGENCY

    A man's mind will very gradually refuse to make itself up until it is driven and compelled by emergency.



    Faceva tutto schifo.
    Tutto.

    «Sensei…per l’amor degli Dei…»

    Era tutto sbagliato.

    «…non di nuovo. Quando siete depressa, lo sapete, l’Ospedale non funziona.»

    Come si era ridotta così?
    Aveva solo 21 anni e già non funzionava niente nella sua vita.

    «Vi prego, Sensei…Shizuka sensei…un po’ di contegno.»

    Non tornava a casa da tre giorni. Come al solito.
    Si lavava nei bagni dell’Ospedale, mangiava cibo precotto in ciotole di porcellana sbeccate, lavorava in media dalle 10 alle 12 ore al giorno e spesso (cioè sempre) persino di notte. Non vedeva casa sua da una settimana. Nel tempo libero poi, quando cioè gli impegni alla “luce del sole” non le succhiavano via l’anima, lavorava come iper-mega-uber-strafico braccio destro dell’Hokage per quelle faccende che la luce del sole, invece, non dovevano vederla mai.

    «Shizuka sensei!»

    Una magra consolazione, per la verità: nessuno sapeva niente delle sue abilità, perché nessuno doveva sapere niente. In sostanza conduceva la vita anonima di un’Anbu (ma non aveva la maschera fica), con il drammatico risvolto di dover per giunta essere Primario, senza contare i suoi impegni come Principessa (come poteva una Sovrana avere i nodi nei capelli e le mani insudiciate?!)…e a causa di tutto questo non aveva più manco il tempo per dedicarsi alla sua vita privata.

    «Va bene. Non credete di star esagerando, ora?»

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    Insomma: 21 anni, zitella, a dieta, e come se non bastasse divorata dal lavoro.
    Prospettive per il futuro: zero.
    Conclusione: la sua vita faceva schifo.

    «Voglio morire, Junko.» Gemette la Primario, tirando su con il naso.
    «Lo avete detto almeno otto volte negli ultimi dieci minuti.» Sospirò la Hyuuga dai voluttuosi capelli corvini, portandosi una mano alla fronte per poi sospirare. «Sensei, vi prego…perché non ci alziamo da terra, tanto per cominciare?»
    «Portami un cappio.»
    Ordinò per tutta risposta l'altra. «E che la corda sia nuova, che sennò mi si irrita la pelle.»
    «E chissenefrega se ti si irrita la pelle, Shizuka? Se t’ammazzi mica di quello devi preoccuparti.»
    Tuonò improvvisamente una voce maschile prima che sull’uscio dell’Ufficio della donna comparisse un uomo sui trenta, dai capelli biondi e gli occhi azzurri. Ghignò, sardonico. «Deficiente.»
    «Atsushi…»
    Gemette la Kobayashi dopo un istante di silenzio. Con un gesto pregno di sacrificio fece scivolare una mano sul pavimento in direzione del nuovo giunto. «A-Atsushi…»
    «…S-Shizuka….»
    Mormorò immediatamente l’altro con voce rotta, corrugando la faccia in un’espressione addolorata mentre le sue mani si stringevano a pugno e lui, chiudendo gli occhi, reclinava disperatamente la testa verso il basso.
    Junko Hyuuga, socchiudendo gli occhi in due fessure, sospirò ancora una volta. Per qualche preoccupante ragione sembrava abituata a quelle scene.
    «…A-Atsushi…» Ripeté la Primario, a terra e con la testa reclinata sulle mattonelle. Deglutì faticosamente. «…p-per te…» Sussurrò, alzando una mano chiusa verso l’uomo.
    «…p-per me…?» Patì l’altro, mentre i suoi profondi occhi azzurri si riempivano di lacrime straziate. Cercò di protendere una mano verso quella offerta lui.
    «…per te io sono…» La kunoichi tirò indietro il braccio. «…“Sensei-sama” E lo mosse in avanti. «E non osare mai più darmi della deficiente, altrimenti ti faccio a pezzi.»
    Fu appena mezzo secondo, talmente veloce che il povero medico fu appena in grado di trarsi all’indietro: un ferma carte a forma di orsacchiotto si conficcò roteando nello stipite della porta, creando un buco profondo il doppio del suo volume prima di fermare il suo movimento e, lentamente, rotolare a terra.

    Silenzio.

    «Shizuka…emh, sensei-sama.» Gemette immediatamente Atsushi Kagure, impallidendo nel lanciare sguardi intermittenti allo stipite della porta e alla donna che da terra si stava rialzando, barcollante e simile ad un demone dell’inferno. Ancora non riusciva a capacitarsi della forza di quella nanerottola. «Prima che tu commetta un grave errore che so per certo non vorresti fare…» Sussurrò con voce strozzata. «…sappi che ti ho sempre stimata un sacchissimo, ma proprio tant–…»

    «EMERGENZA! SENSEI!»


    Quando un’infermiera arrivò sull’uscio della porta, trafelata e arrossata in volto, per mezza frazione di secondo cadde il silenzio. Esitando con gli occhi sulla scena in cui una furente Shizuka Kobayashi stava strangolando quel coglione di Atsushi Kagure, la ragazza sospirò: un istante dopo stava riprendendo a parlare come se non avesse visto niente di strano.
    «Una ragazzina, circa quattordici anni: è arrivata un minuto fa con Atasuke Uchiha, dalle mura di Konoha.» Spiegò rapidamente l’infermiera mentre la Primario, alzando lo sguardo su di lei, lasciava il collo della sua preda per avvicinarsi a rapidi passi. «Forte denutrizione, febbre altissima…le cure di base non sortiscono effetto.» Anticipò l’addetta del pronto soccorso, buttandosi di corsa nel corridoio prima ancora che la Kobayashi le chiedesse di farle strada. «Di questo passo non reggerà fino alla sera.»

    Ed era vero.
    Quando il gruppo arrivò nell’atrio dell’ospedale, la prima cosa che vide fu una bambina che giaceva esanime tra le braccia di Atasuke Uchiha sotto lo sguardo atterrito di quattro infermiere e due medici, mentre fuori dalle porte di vetro scorrevoli dell’Ospedale un giovane uomo dai lunghissimi capelli rossi e una donna dall’aria provata, stavano parlando con un medico dello staff ospedaliero, il quale, con le braccia protese in avanti, cercava di calmare chissà quale loro richiesta. Bastò un’occhiata all’aspetto della bimba e poi nuovamente ai due stranieri per capire il legame che li univa.
    «…Atasuke, cosa succede?» Chiese rapidamente la Principessa del Fuoco, guardando l’Uchiha. Aveva lo sguardo stanco ed era completamente struccata. I suoi profondi occhi verdi tradirono preoccupazione quando si spostarono sulla piccola: le fu sufficiente un’occhiata per capire che la situazione era più grave di quella figurata dall’infermiera. Suo malgrado, al pari del corpo medici che la attorniava, esitò…ma nel suo caso, fu solo un istante.

    «ALLORA, MUOVIAMOCI! LA MOCCIOSA NON SI RIPRENDERA’ PERCHE’ LA GUARDIAMO TUTTI CON APPRENSIONE!»

    Il ruggito fu terribile, non tanto per il volume, anzi per la verità piuttosto moderato, quanto piuttosto per il tono furioso che, in un solo attimo, riportò tutti all’attenzione.
    «Junko!» Chiamò la Primario, indicando Atasuke. «Atsushi!» Ordinò, puntando l’indice fuori, in direzione delle altre due persone.
    Nel mentre dietro di lei due delle infermiere di poc’anzi arrivavano di corsa con una barella, e Shizuka, ponendo le braccia sotto a quelle del Guardiano, attrasse a sé la ragazzina, che strinse dolcemente al seno prima di riporla sul lettino.
    «Non fare quella faccia, da qui in poi ci penso io, stai tranquillo.» Disse la Shinobi, facendo l’occhiolino all’Uchiha. «Spiega a Junko quello che è successo e seguite le indicazioni di Atsushi per gli altri due. Lui fa schifo in queste cose, perciò mi affido a te: tranquillizzali, perché va tutto bene.» Fece presente, mentre le infermiere giravano la barella verso il corridoio del Pronto Soccorso. «Un bacino di incoraggiamento, Acchan Aggiunse, chiudendo gli occhi e protendendo il viso. Con ogni probabilità scherzava, giacché si sarebbe girata non appena la barella fosse scomparsa dietro il primo angolo, seguendola allegramente e salutando con la mano sia lui che i due probabili parenti.

    Solo a quel punto smise di sorridere.

    «La priorità del caso è di livello Uno. Da questo momento rispondete solo a me.» Ordinò al medico e le due infermiere cui concesse di assisterla. Non aveva alcuna inflessione nella voce. «Voglio tre flebo per via endovenosa.» Disse, iniziando ad elencare la composizione delle sacche nel portare le mani sopra il corpo della ragazzina: in un attimo un bagliore blu elettrico guizzò attorno alle sue dita.
    La concentrazione della donna divenne a quel punto totale. Muoveva le mani sul corpo della piccola, premendo di tanto in tanto in concomitanza di torace, addome e arti, senza compiere un solo gesto superfluo. Effettuò un prelievo del sangue, analizzò con due strumenti medici gli organi principali della paziente. Eppure, per quanto si impegnava, si rese ben presto conto che qualcosa le stava sfuggendo. Quella consapevolezza non riuscì ad impedirle dal corrugare la fronte in un'espressione lapidaria.
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    «Non riesco a capire…» Mormorò tra sé e sé. «…la febbre è alta, ma il sistema immunitario non funziona. Come può essere?» Esitò, stringendo le labbra: non aveva mai visto niente di simile, e sì che poteva dire di aver curato ogni genere di disfunzione da quando aveva ottenuto il titolo di Primario.
    …Veleno? No. Infezione? No. Tumore, cancro? No, non poteva essere, ovviamente.
    Esitò, socchiudendo gli occhi, mentre alle sue spalle le infermiere inserivano le canule alla paziente, sistemando il dosaggio.
    Qualsiasi cosa era stava distruggendo il sistema immunitario di quella mocciosa, e se le sue supposizioni erano corrette entro qualche ora la febbre sarebbe scesa. E insieme a quella ogni possibilità di riprenderla viva. Suo malgrado accolse con orrore l sua bocca farsi secca come sabbia.
    «Iniziamo una terapia ad ampio spettro.» Disse improvvisamente la dottoressa, girandosi verso i suoi assistenti. «Voi da questo momento uscite da qui, proseguirò da sola. Isolate questa sezione del pronto soccorso e avviate le procedure di quarantena. Una volta fuori, effettuate su di voi le dovute accortezze del caso prima di rimettervi in pubblico.» Di fronte allo sguardo sconvolto dei suoi colleghi, alzò una mano. «Non ho idea di cosa sia, non penso sia qualcosa di infettivo altrimenti quei due che l’hanno portata qui sarebbero nelle sue stesse condizioni, ma non voglio escludere la possibilità che l’incubazione sia diversa a seconda della resistenza del corpo.» E non ci voleva un genio per capire che una mingherlina di quel calibro era meno resistente del giovane uomo che era arrivato con lei. «Sistemate gli altri due nella sezione Est dell’Ospedale, rifocillateli, curateli, interrogateli.» Disse, mentre prendeva delle siringhe da uno dei cassetti dei mobili della stanza e, chiuso il braccio con un laccio emostatico, si iniettava chissà quale diavoleria. La pessima abitudine di sperimentare su se stessa, anche in quel caso sembrava non essere svanita. «Fuori di qui, ora.» Ordinò, secca. «Niente allarmismo, ma esigo che…» E iniziò a stilare una lista dettagliata di ordini e accortezze.

    Intanto, fuori da lì, Atasuke Uchiha era stato preso da parte da Junko Hyuuga. La diciottenne, apprendista di Shizuka, era bella ed aggraziata come una magnolia, ma troppo, troppo seria...come si sarebbe reso conto il Capo dei Guardiani, placcato sotto ad una serie di domande serrate che lasciavano poco spazio persino al respiro: "cos'è successo?", "avete notato sintomi nei pazienti?", "è stato stilato un report sull'accaduto?", "avete somministrato qualcosa ai pazienti?" ...e almeno altre centinaia di altre domande.

    Se la Hyuuga era l’esempio più evidente della disciplina, Atsushi Kagure era, al contrario, poco incline a quel genere di professionalità, come dimostrò prendendo per la testa il medico che stava gentilmente cercando di rispondere alle domande dei due stranieri. Dopo averlo scosso come un campanaccio. si limitò a spingerlo di lato con poca cura.
    «Salve, sono Kagure Atsushi, del team medico della Primario di questo Ospedale.» Disse l’uomo, con fare indolente, grattandosi la gola nel sostituirsi al precedente poveraccio che, con sguardo rassegnato, sospirò sonoramente. «Sono qui a darvi le informazioni che chiedete. La ragazzina di poco prima…tua figlia, giusto?» Chiese girandosi a guardare il ragazzo dai lunghi capelli rossi negli occhi. “Cazzo –pensò allora il medico, a riprova della sua grande professionalità– sto qua c’avrà sì e no ventidue o ventitrè anni…e si bomba le milf”. Il mondo non era mai stato così ingiusto. «Beh, non sta benissimo, ma la donna a capo di questo posto pare sia un bel pezzo grosso nel mondo medico.» Affermò, portandosi una mano dietro la nuca e grattandosi la testa. «Quindi insomma, la bambina è in buone mani. Signora, non si preoccupi.» Aggiunse, voltandosi alla donna e storcendo la bocca in quello che forse in un mondo lontano avrebbe potuto definirsi sorriso.
    In effetti Atsushi Kagure era, con ogni probabilità, uno degli uomini più indisponenti di Konoha, e se non fosse stato per puro caso anche il miglior esperto in terapie cliniche, era certo che non se la sarebbe passata così bene. Nonostante tutto sapeva quando darci un taglio, e lo dimostrò quando una delle infermiere arrivò trafelata a sussurrare lui qualcosa all’orecchio.
    Senza fare una piega l’uomo annuì poi, semplicemente scrollando le spalle, sospirò.

    «La bambina sta bene, signori genitori.» Disse, guardando i due stranieri. «La Primario se ne sta occupando personalmente, immagino comunque che ci vorrà fino a domani per poter dare una prognosi definitiva. Visto che qui fa un freddo porco e io inizio ad essere stanco, ho deciso che aspetteremo nell’Ala Est. Starò con voi, ovviamente, così potrò raccogliere informazioni su questa faccenda, analizzare la vostra storia clinica e tanta altra roba utile ad aiutare vostra figlia.» Affermò con un abbozzo di cortesia. «Spero che abbiate voglia di parlare, perché parleremo, parleremo…parleremo tutta la notte.» Annunciò con cadaverica gioia.

    E non mentiva.
    Atasuke Uchiha, i due stranieri, Atsushi e Junko, assieme alle infermiere e il medico dell’atrio, si diressero infatti presso l’Ala Est, dove di fronte ad un lieto e molto abbondante pasto caldo, i nuovi arrivati ricevettero cure mediche, abiti nuovi e puliti, comode poltrone imbottite su cui riposare…e tante, troppe domande.

  14. .
    Oh, che meraviglia.







    Avrete presto mie notizie.
  15. .
    sposami.
3719 replies since 5/7/2005
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