Palazzo Yakushi

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    Quando Ogen Yakushi vide per la prima volta il piccolo Febh, fece i conti con uno sguardo che solo poche volte nella sua lunga vita aveva avuto il piacere, o la sfortuna, di incontrare: Lo sguardo di chi ha conosciuto gli abissi del nulla, ed entro i quali si è perduto in modo forse perpetuo.
    […] Benché la famosa Yakushi fosse già da molto tempo ritenuta una delle più potenti kunoichi delle Terre Conosciute, era indubbio ch'ella, prima di essere un'arma al servizio del proprio villaggio e in particolar modo del proprio Clan, fosse una donna, e come tale, nel vedere gli sfregi dell'orrore sul volto di un bambino tanto piccolo, parve per un attimo non potersi trattenere dalla pietà... per quanto, a guardarla dall'esterno, nessuno avrebbe potuto immaginare un cuore pulsante in una così rigida espressione.
    Neanche lei stessa.
    “Ne chiedo l'adozione” Aveva detto proprio così Kojiro Yakushi quel giorno in cui aveva ottenuto udienza, e nel farlo la guardò dritta negli occhi con la determinazione tipica di chi aveva già deciso e che non avrebbe mai accettato un no “Chiedo la vostra benedizione, Ogen-dono” Aveva poi aggiunto, inchinandosi, mentre al suo fianco il piccolo si girava a guardare con occhi vacui l'uomo che aveva vicino e di cui non pareva del tutto sicuro delle intenzioni. Non sembrava sorpreso da quella repentina proposta, ma neanche consapevole. Forse era felice, o forse semplicemente disinteressato.
    Leggere i sentimenti di quella creatura, per un attimo, apparve veramente difficile persino a lei...
    … lei che era la più famosa manipolatrice della storia di Oto e che, con le sue dita, aveva costruito e distrutto molte più di quelle realtà che un qualsiasi umano avrebbe mai avuto la possibilità di vedere nel corso della sua vita.
    Aveva esitato al tempo, povera sciocca...
    “Potrà volerci molto, Kojiro-san. Non permetterò l'introduzione di un estraneo alla sapienza immortale degli Yakushi”
    “Attenderemo” Aveva prontamente e testardamente risposto il Jonin, pur non alzando lo sguardo.
    “C'è chi aspetta da decadi” Aveva riso allora la matriarca, sistemandosi una manica sgualcita del suo completo rosso, con cui non mancò di nascondere in parte il viso contratto in un'espressione di pura ironia.
    “Attenderemo fino a quando sarà necessario” Aveva però insistito l'uomo, forte di una risolutezza rara da trovare altrove...
    ...e alla fine, per quanto indubbia potesse essere la circostanza, il rotolo del giuramento fu srotolato, il sangue del bambino fu apposto su di esso, ed egli diventò a tutti gli effetti il figlio di Kojiro e il fratello di Soryo, acquistando con gravità il nome di “Yakushi” ...era l'inizio di una nuova speranza...

    ... O almeno così aveva sperato Ogen, ma adesso, dopo tanti anni, si trovava di fronte un uomo che non sapeva neanche quali erano le buone maniere in presenza di un'ospite.
    Sicuramente l'inizio c'era stato, e visti i raggiungimenti conseguiti si poteva considerarlo persino mirabile, ma per quanto riguardava l'intelligenza del soggetto... beh, quello era un altro discorso.
    « Febh, pensavo di essere stata chiara l'ultima volta... » Esordì così Ogen Yakushi, fissando cupamente il giovane Jonin che, fermo a qualche metro di distanza da lei, sembrava sudare in modo tanto copioso da dar ad intendere che nessuna sorta di rigenerazione istantanea avrebbe mai potuto portarlo a sopravvivere ad una circostanza quale quella in cui si trovava « Speravo che avessi compreso... davvero » Continuò, e così dicendo sperò fosse facile per il suo interlocutore ricordare di quella volta in cui, essendosi scordato di servire il tè a dei rinomati ospiti (yakuza, ma nessuno faceva distinzione all'interno del Clan Yakushi. La buona educazione, del resto, è buona educazione) la stessa vecchia Ogen aveva fatto in modo di infilarlo nudo come un baco dentro una vasca di acqua bollente aromatizzata al tè, in cui aveva poi gettato dei limoni interi con l'ordine che il ragazzo non fosse dovuto uscire dal suo ricovero fino a quando i frutti non si fossero aperti di loro spontanea volontà, offrendo alla bevanda il loro aroma così amato...
    ...inutile dire che quella volta c'è chi rimase stupito di trovare il povero sguattero galleggiare nella vasca con la bocca fumante di calore, svenuto da chissà quanto tempo, e chissà per quanto tempo ancora; eppure...
    Evidentemente non aveva messo abbastanza limoni.

    Nonostante tutto, si rese improvvisamente conto l'anziana matrona, non c'era tempo ulteriore per occuparsi dell'inettitudine di quel giovanotto imberbe, aveva qualcos'altro a cui dedicare la propria attenzione, qualcosa che, ahimé, stavolta sembrava interessarle davvero... pareva infatti che, finalmente, avesse trovato un topolino con le unghie in quell'enorme topaia che i Kami insistevano a chiamare vita.
    Un topolino che, a quanto si supponeva, non temeva di esser divorato.
    « Temo tu abbia frainteso »
    Ferma in ginocchio sul legno consunto del parquet del suo Dojo, Ogen Yakushi si limitò a chiudere gli occhi dopo aver ascoltato in silenzio le parole della ragazzina senza passato, di fronte alla quale non fece altro che rimanere immobile, annuendo di tanto in tanto più per abitudine che per reale apprezzamento di quanto esposto.
    [...] Vista da fuori e in quel momento, con quel suo volto affrontato da una vecchiaia molto più carismatica di tante giovinezze estranee, la fioca luce degli Yakushi sembrava semplicemente un'anziana come tante poiché niente in lei trasmetteva il terrore e la potenza di cui tutti sapevano fosse portatrice. Innocua, gentile addirittura. Erano questi gli aggettivi che si sarebbero usati per lei, e che difficilmente qualcuno avrebbe mai pensato di capovolgere poiché non c'erano motivi per l'anziana di imporre la sua presenza su chi sapeva perfettamente di poter domare semplicemente con l'intelletto.
    Le situazioni in cui era solita alzarsi in piedi erano altre e quella, per quanto interessante fosse, non era una delle citate.
    « Non ho mai detto di non aver apprezzato il tuo dono. Mi sto forse sbagliando? » Domandò dopo un lungo attimo di silenzio la kunoichi, sorridendo alla ragazzina dai capelli corvini « Ho biasimato la tua arroganza, non la tua cortesia d'animo. Ho giudicato la tua avventatezza di comportamento, non le tue radici o il tuo passato » Parlava in modo misurato ora, soppesando ogni sillaba su una bilancia invisibile che rendeva il suo discorso una sorta di mantra affascinante da cui difficilmente qualcuno avrebbe voluto distogliere l'attenzione « Non mi interessa quali sono i tuoi trascorsi o chi possa dirsi tuo parente, tantomeno reputo d'interesse sottoporti a tortura, poiché ritengo più che evidente che la vita abbia reso il tuo cuore e il tuo animo già schiavi di quella viziosità che è il "non perdono" » Sorrise « Non hai bisogno di un giogo, ma solo di una chiave per liberarti dalla tua prigionia attuale » E così dicendo congiunse le mani in grembo, chiudendo gli occhi per un motivo che forse solo Febh avrebbe potuto comprendere in tempo, ma che con ogni probabilità avrebbe invece colto alla sprovvista la giovane Genin che -mentre fosse stata ancora intenta ad ascoltare la risposta di quella donna attorno alla quale la realtà sembrava ruotare- si sarebbe vista scivolare ad un lato del volto una mano la quale, incurante dell'eventuale sussulto o reazione di cui sarebbe stata spettatrice, si limitò a proseguire il suo cammino, che sarebbe terminato ad un metro e mezzo esatto di distanza dalla mora kunoichi, di fronte a cui, sul pavimento, sarebbe stata adagiata una tazza di porcellana giapponese decorata a mano e colma di tè ancora fumante. La stessa operazione sarebbe stata contemporaneamente ripetuta davanti all'amministratore di Oto.
    Vi era dunque un dojo, tre persone e due tazze poste ad un metro e mezzo di distanza da chi avrebbe dovuto beneficiarne...
    … anzi, per la verità di tazze ce n'erano tre.
    Quando i due uomini vestiti di un rustico hakama bruno avessero infatti adempiuto al loro dovere, allontanandosi dunque da quelli che agli effetti venivano trattati ora come due ospiti, non avrebbero mancato di lasciare alle spalle d'essi, esattamente al centro tra i due, una terza tazza di porcellana che, come le due che l'avevano preceduta, fumava di tè caldo.
    Al contrario delle sorelle, però, ella era lontana due metri.
    « Sei stata condotta qui da Febh a quanto mi dici... »
    La voce di Ogen Yakushi risuonò cristallina all'interno dell'enorme stanza d'allenamento, infrangendosi sulle pareti di legno e venendo rimandata indietro dalle vetrate chiuse che, specchiando il sole a tratti all'interno del dojo, sembravano esser intenzionati a non lasciar sfuggire nessuno, impazienti spettatori di uno spettacolo che pareva essere appena agli inizi
    « ...ma la mia domanda è, ed è sempre stata, un'altra: Cos'è che stai così disperatamente cercando? »
    Ci fu un attimo di silenzio.
    « Posso offrirti ciò che desideri? »
    E quella domanda, posta con la voce di chi non impone la beffa, venne abbandonata poi al silenzio, poiché dopo quelle parole niente più uscì dalla bocca di Ogen Yakushi che, ferma nel punto che aveva fatto proprio, rimase immobile a guardare i suoi due interlocutori aspettando da loro delle frasi, delle azioni... o semplicemente delle ambizioni.

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