Villa MikawaResidenza di Aloysius Diogenes

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    il trono vuoto


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    Harumi non aveva abbandonato un istante il fianco del Mikawa. Il Colosso di Oto, l'uomo il cui nome incuteva timore al solo nominarlo da un capo all'altro del continente, giaceva da tre giorni sul letto della sua stanza alla Villa. Il viso, già naturalmente affilato, si era fatto ancora più spigoloso per l'eccessiva magrezza. Le lenzuola ricadevano con malagrazia sulle membra scarne, alzandosi appena al ritmo lento del suo respiro. Fyodor aveva fatto il possibile per rimetterlo in sesto, ma ora solo il tempo avrebbe potuto dire se si sarebbe ripreso. E solo i kami sapevano quali strascichi avrebbe avuto sul kage di Oto quell'esperienza. Ai più sarebbe bastato molto meno per perdere ogni traccia di senno. Forse sarebbero sopravvissuti, ma ridotti a gusci vuoti. La fibra di Diogene era però forte. Neppure il dio oscuro era riuscito a spezzare la sua anima fino in fondo. Una fiammella aveva continuato ad ardere.

    La giovane jinchuuriki si mosse inquieta sulla sedia. Aveva accettato quell'unica comodità solo dopo lunga insistenza del medico della Villa, preoccupato che la sua paziente avesse una ricaduta. E non sarebbe stato poi strano, visto che era morta. Se era ancora lì, il merito era solo dell'uomo che languiva di fronte a lei. All'ultimo momento aveva usato una tecnica tanto arcana da sembrare una magia del sangue per strapparla dal sonno eterno. Da allora però il Mikawa non aveva più ripreso conoscenza. Ci voleva tempo, continuava a ripetere Fyodor. Ma l'orologio a pendolo nel salone d'ingresso continuava a ticchettare nel silenzio scandendo lo scivolare dei secondi come grani di sabbia dentro una clessidra senza che vi fosse alcun progresso. Sulla Villa era sceso un torpore simile al letargo. Passi lievi sul pavimento, frasi sussurrate, porte adagiate con cura. Quasi temessero che un rumore troppo forte, un clamore improvviso potesse spezzare l'incantesimo e farli precipitare in una cupa realtà a cui nessuno era pronto.

    Le ombre iniziavano ad allungarsi nella camera inondata dalla luce rossa del tramonto. Alla ragazza gli interni parevano tinti di una tonalità sanguigna e non poté che sentirsi a disagio. Si strinse le braccia, scacciando quella sgradevole sensazione. Il liquido cremisi le aveva donato la vita, ma prima gliela aveva tolta, ed in una maniera orribile, affogata in una pozza senza fondo. A riscuoterla da quei pensieri oscuri fu un sospiro tanto profondo che sembrava giungere dall'oltretomba. Harumi alzò gli occhi sul volto di Diogene vide le sue palpebre tremolare, come se stesse combattendo per aprirsi. La giovane si ritrovò a trattenere il respiro finché, con un ultimo sforzo, il Kokage riuscì a vincere quella battaglia. Rimasero a fissarsi per alcuni istanti prima che la kunoichi trovasse la forza di reagire.

    Fyo-Fyodor! Vieni, presto! Si è svegliato!

    Fyodor aveva finito di visitare il capovillaggio, ma non si era espresso. Troppo presto, o forse troppi orecchi indiscreti ad ascoltarlo. Al capezzale del malato erano radunati diversi dei più fedeli sottoposti del Mikawa. Gli sguardi di sollievo tradivano un legame con il boss che andava oltre il semplice rispetto. Solo la piccola Yachiru si teneva a distanza. Era rimasta a lato della porta e dopo essere esplosa in un infantile e spontaneo sorriso si era rabbuiata ed ora teneva gli occhi bassi sul pavimento. Anche Harumi dopo la lunga veglia se ne stava in disparte, vicino alla finestra. La ragazza aveva sfruttato quei giorni di vita sospesa per mettere ordine nei suoi pensieri. C'erano delle cose che voleva dire. Anzi che doveva dire, per poter andare avanti. Quando era stato il momento, aveva fatto la sua scelta senza indugio. Ma non voleva dire che quella decisione non aveva avuto conseguenze su di lei.

    Alla fine il medico aveva cacciato i visitatori che si affollavano intorno al letto del capovillaggio, ordinandogli di lasciarlo riposare. Le uniche a non essersi mosse erano la ragazza e la bambina. Entrambe osservavano l'uomo di sottecchi, senza osare alzare lo sguardo su di lui. Nonostante si trovasse in quella condizione miseranda, il coraggio necessario a confrontarsi con il Colosso era non indifferente. Harumi l'aveva racimolato lentamente nelle ultime ore. Se vacillava era solo perché aveva paura delle conseguenze di quanto stava per fare. Era un turbamento nuova per la giovane, cresciuta in una pressoché assenza di emozioni. Poco alla volta da quando era giunta ad Oto aveva iniziato a conoscere quelle che prima erano solo parole nei libri. Rabbia, felicità, tristezza. E paura.

    La sua mancanza di senso di autoconservazione aveva inquietato molti dei ninja che l'avevano conosciuta, ma aveva una spiegazione semplice: non riteneva di valere nulla. Non valeva quindi la pena di preoccuparsi di cosa ne sarebbe stato di lei. Quello era stato il risultato di un'infanzia spietata da indesiderata. Certo, aveva avuto di che nutrirsi e un tetto sopra la testa, ma nient'altro se non continui abusi fisici e psicologici. Fino alla sua trasformazione nella nuova forza portante del Suono le cose non erano cambiate poi molto, almeno all'inizio. Poco per volta, però, qualcosa aveva iniziato a mutare. E i responsabili erano Eiatsu e gli altri abitanti della Villa, compreso il burbero capoclan. Le avevano dato molto di più che un piatto caldo ed un letto. Le avevano dato un posto da chiamare casa.

    Diogene...sama...

    L'uomo aveva riguadagnato abbastanza forze da riuscire a stare seduto, appoggiato alla testiera del largo letto. Harumi gli si era avvicinata mogia, ma una volta a pochi passi trovò la forza di alzare lo sguardo, fissandolo senza esitazione negli occhi. Poi, inatteso, uno schiaffo si abbatte sulla guancia del Colosso.

    Questo è per Yachiru!

    Il labbro le tremolava e la voce era stridula. Era palese che si stesse controllando a fatica e fosse sul punto di scoppiare a piangere. Tutte quelle emozioni che aveva accumulato pian piano durante la sua permanenza lì stavano tracimando come un fiume in piena. Era triste, spaventata, ma più di tutto arrabbiata per quello che il kage aveva fatto nella cripta. Ad agire non era stato lui, ma la divinità che aveva assunto il controllo del suo corpo. Ma era proprio questo che non poteva perdonargli. Essersi lasciato controllare così facilmente...e per questo aver fatto del male alla bambina dai capelli rosa. E mentre dava voce a quei pensieri, se non l'avesse fermata, sarebbe arrivato un altro schiaffo, più debole del precedente.

    Questo è per abbandonarci sempre senza dirci nulla!

    Il Mikawa spariva spesso nel nulla per settimane, a volte mesi, senza lasciar detto nulla. Semplicemente una mattina si svegliavano e lui non c'era più. Aveva così poca fiducia in loro? Non li riteneva all'altezza? Per lui erano solo pedine da muovere a piacimento su una scacchiera e da sacrificare al momento opportuno? Harumi aveva ormai il volto apertamente rigato dalle lacrime, ma continuava a gridare le sue domande verso l'uomo, battendogli i pugni sul petto. No, non sarebbe stato nemmeno quello il problema. A lei stava bene farsi utilizzare. Voleva essere utile. Dimostrare di valere qualcosa. Perché la sua vera paura era un'altra. Ciò che veramente temeva, era essere abbandonata di nuovo.

    Non voglio perdere la mia famiglia...

    In singhiozzi, con i pugni delle mani che parevano quelli di un bambino appoggiati al largo torace di Diogene, si accasciò lentamente appoggiando la fronte sul suo petto. Si sentiva completamente svuotata, ma anche sollevata. Era riuscita a tirare fuori tutto quello che si teneva dentro, per la prima volta in vita sua.


    [...]


    Tutto andava per il meglio a Villa Mikawa. Il padrone di casa era di nuovo via, ma quella non era una novità. Anzi, si poteva affermare che una volta fatto il callo a quella stranezza, si era diventati a tutti gli effetti un abitante della Villa. Harumi guardò fuori dalla finestra, ammirando il paesaggio autunnale del giardino antistante la magione. Finnian aveva fatto proprio un bel lavoro. Mentre pensava ciò, la giovane rabbrividì. Strano, eppure i vetri erano ben chiusi. Si vedeva proprio che ormai andavano verso l'inverno.

    Un topolino zampettò sotto la sedia su cui era seduta la ragazza. Con agilità si arrampicò sulle tavole di legno scrostate fino a raggiungere il davanzale. Attraversò un buco largo un pugno nel vetro crepato si lanciò fuori, scomparendo dopo pochi istanti tra gli alberi aggrovigliati e tetri del Bosco dei Sussurri.

    Ahhh, che bei colori che hanno le foglie d'autunno...



    CITAZIONE
    Ne approfitto per giocare il finale della ruolata precedente mentre entriamo nel vivo dell'azione!
     
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393 replies since 2/11/2007, 23:19   12299 views
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