Casa di Fuji e Yumie Shinretsu

E ovviamente la nipote Ayame

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  1. Ayame•
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    In un angolo del quartiere del clan Shinretsu, vi è una casa forse un po’ più piccola delle altre, ma dall’aspetto decisamente più imponente.
    Anticipata da un piccolo giardino curato nei minimi dettagli (la padrona di casa è una patita dell’ordine e del giardinaggio), presente una grossa porta d’ingresso nera, che da in un atrio altrettanto scuro e serioso, finemente arredato con vasi e mobili di antica manifattura.
    Le stanze non sono molto ampie, ma vi è una serie di antichi specchi che danno la sensazione di uno spazio molto vasto.
    La cucina, che si apre sul lato dell’atrio, è abbastanza piccola, sebbene sia arredata in modo da farci stare tutto.
    Poi, tuttavia, si apre un’ampia sala da pranzo, con un grande tavolo d’ebano al centro, e delle sedie solide e preziose.
    Alle pareti di questa sala sono appesi molti quadri, fatti dal padrone di casa Fuji Shinretsu, durante la gioventù, e in un angolo è presente un grosso pianoforte, unica fonte di conforto della giovane Ayame che vive nella casa insieme ai nonni Fuji e Yumie.
    Tornando nell’atrio, invece che entrare in cucina o andare nella sala da pranzo, c’è anche la possibilità di salire le lunghe scale che portano al piano superiore.
    Qui si trovano le tre camere da letto e l’ampio bagno.
    Di queste stanze, quella di Ayame è decisamente la più piccola e la meno seriosa, quasi fosse una stanza esterna alla casa: è il suo mondo, l’unico angolo a lei concesso per essere se stessa, in un’abitazione che, invece, lei odia profondamente.
    Qui non ci sono mobili antichi, non ci sono quadri di gioventù di suo nonno e non ci sono manufatti della famiglia di sua nonna.
    La stanza è di forma rettangolare, molto stretta, e una parete è quasi del tutto occupata da un grosso e ingombrante armadio (“Che serve” dice la vecchia Yumie “Tanto lascia sempre i vestiti in disordine!”), mentre dall’altra si trova un letto e la scrivania della giovane, sempre piena di libri di varia natura, poi vi è una semplice finestra, che da sulla strada.
    Finestra che Ayame ha spesso immaginato di usare per scappare da qui.

    E qui, nella stanza che non appartiene alla casa, in un angolo, appoggiato sul letto perennemente in disordine della giovane Shinretsu, vi è un unico peluches, un orsacchiotto nero che lei protegge da sua nonna, che desidera solo buttarlo via e cancellare anche quel particolare della sua vita.


     
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    Piccolo stratagemma




    Non sapevo che razze di persone erano i suoi nonni, sapevo solamente che non mi andava di lasciare Ayame in loro balia per troppo tempo. Sapevo che era colpa loro se il giorno prima lei non si era presentata all’appuntamento che ci eravamo dati: l’ avevo intuito avantieri, quando lei aveva affermato di non sentire quel posto casa sua. Ma per quel pomeriggio, volevo liberarla. Avevo atteso circa le quattro del pomeriggio ed a piedi, volando di tetto in tetto, mi ero diretto verso casa di Ayame. Rapidamente giunsi sul tetto di casa sua e quando fui li applicai una piccola strategia per fregare i cari nonni: se credevano di poter impedirle di uscire troppo a lungo, si erano sbagliati malamente.
    Quindi composi un solo sigillo, creando, dinanzi alla porta di casa, una copia corporea che subito a sua volta si trasformò senza esitazione in un uomo distinto, del tutto diverso da me: abito elegante, pelle scura e capelli neri. La copia bussò alla porta con insistenza: si sarebbe presentata come un esattore delle tasse di Kiri che si lamentava di alcune imposte non pagate negli ultimi anni: avevo il sospetto che sarebbe bastato ed avanzato per far prendere ai poveri vecchietti un vero e proprio colpo al cuore.
    Io, di contro, andai dalla parte opposta. Usando il chakra adesivo ed una buona dose di mimetismo cercai tra le finestre quella di Ayame e quando trovai la ragazza stesa sul suo letto sorrisi. Mi mostrai quindi, bussando alla finestra ed attendendo che uscisse fuori. Quando lei aprì la finestra le tappai la bocca con una mano e parlai prima che lei potesse emettere qualsiasi suono e quindi parlai, sussurrando le parole all’orecchio di lei.

    « Chiudi la porta da dietro e torna qui. Non fare rumore, una mia copia sta occupando i tuoi nonni ora. »



    Detto ciò quando lei sarebbe tornata io avrei mosso alcuni silenziosi passi dentro la sua stanza, entrando nella finestra. Quindi, le avrei scoccato un veloce bacio sulle labbra.

    « Mi sei mancata, ma capisco che ti hanno reclusa.
    Vuoi fuggire ora o posso stare un po’ silenziosamente qui? »



    Mormorai sulle sue labbra, approfittandone subito dopo per saggiarle di nuovo: una necessità oramai. Nel frattempo però, al piano di sotto la copia aveva rinunciato e dopo aver ceduto all’insistenza dei nonni si voltò e sparì dietro l’ angolo, sparendo definitivamente.

    « Certo che tua nonna è proprio odiosa. »



    Dissi a bassa voce ridacchiando. Quando la copia era andata distrutta tutte le informazioni del colloquio con la nonna si erano riversate nel mio cervello: la copia stava per attivare il demone e strapparle la testa, tanti erano stati i nervi che gli erano venuti. Per fortuna che non aveva abbastanza chakra per farlo.








     
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    Isolamento
    16:01; Martedì 16-06





    Quando era tornata a casa, quella sera, si era ritrovata a dover fare i conti coi genitori di sua madre, che, infuriati, la aspettavano entrambi alzati (sebbene suo nonno mostrasse i primi segni di sonno), sostenendo che una ragazzina di soli diciassette anni non poteva tornare al Sabato sera quasi alle due (al che lei aveva risposto che era rientrata all’una e mezza), e la Domenica sera a mezzanotte passata (al che lei aveva risposto che era mezzanotte in punto).
    Risultato?
    Dopo averle fatto una ramanzina da svegliare i vicini, l’avevano chiusa in camera, bloccandola in quella stanza per tutto il giorno successivo, stando attenti ai suoi vari tentativi di fuggire.
    Niente da fare, era bloccata, almeno finché non imparava a scendere dalla finestra.
    Infuriata, la giovane, era stata costretta a piegarsi al volere dei due vecchi, che le impedirono così di andare all’appuntamento con Itai.
    Adesso avrebbe pensato che lei aveva cambiato idea?
    Avrebbe pensato che non lo voleva più?
    Cosa avrebbe pensato?
    Non ricordava di avergli detto abbastanza per fargli intuire che quella casa era come una prigione per lei, e se ne pentì.
    Sperava solo che lui non interpretasse troppo male quella sua assenza, anche perché non sapeva dove avrebbe potuto cercarlo: non aveva idea di dove abitasse.
    Poteva sempre tornare al ristorante del giorno prima e chiedere al proprietario.
    Verso le dieci la ragazza sperò che lui venisse a prenderla a casa.
    Verso le undici si arrese all’idea che non sarebbe venuto.
    Passò quindi la giornata sdraiata sul letto, senza fare assolutamente nulla se non progettare assurdi piani di fuga, alcuni dei quali contenevano anche qualche atto poco legale, tipo l’omicidio.
    No, non si sarebbe fatta anni di galera per due vecchi che già avevano un piede nella fossa, ma l’ipotesi dell’incidente domestico era sempre da prendere in considerazione.
    Quando anche al pomeriggio Itai non si presentò, e tanto meno la sera, la ragazza cominciò seriamente ad inquietarsi.
    Il giorno dopo il regime dittatoriale sembrava aver perso di forza, tanto che riaprirono la porta della stanza della giovane (prima chiusa a chiave), ma continuarono comunque a vietarle di uscire, con l’avviso che, in ogni caso, non doveva sperare di vedere il sole fino a fine Giugno.
    Dannati vecchietti.
    E, ancora una volta, la mattina Itai non si presentò.
    Quel pomeriggio, come il pomeriggio precedente, Ayame si era stesa sul proprio letto, ad osservare il peluches nero, senza toccarlo.
    Si limitava a guardarlo, in silenzio.
    Non aveva idea di che ora fosse, non aveva idea di che tempo facesse fuori, e per quanto la riguardava sua nonna poteva anche essere morta, poco le importava.
    Ma la giornata prese una piega ben diversa quando, verso metà pomeriggio, sentì dei colpi lievi alla finestra.
    Alzò lo sguardo, e trovò Itai.
    Sorridendo, istintivamente, andò ad aprire, sul punto di sparare fuori una raffica di parole per scusarsi di non essere andata da lui il giorno prima.
    Ma lui le tappò la bocca con una mano (avrebbe preferito se l’avesse fatto con le sue labbra), e le disse di andare a chiudere la porta a chiave.
    Lei ubbidì, e quando si girò se lo trovò di fronte, e finalmente si scambiarono un veloce bacio.


    “Mi sei mancata, ma capisco che ti hanno reclusa.
    Vuoi fuggire ora o posso stare un po’ silenziosamente qui?”



    Prima che lei potesse rispondere, diedero inizio ad un nuovo bacio, più serio del precedente, mentre lei istintivamente lo abbracciava.
    Era nervosa fino a pochi minuti prima, ma ora stava decisamente meglio.
    E come avrebbe potuto essere altrimenti?
    Aspettò un bel po’ prima di interrompere quei baci, poi si decise a rispondere alla sua domanda.

    “Se vuoi possiamo restare, ma non c’è molto di interessante qui..”



    Disse piano, un po’ perplessa.
    Ed effettivamente era vero: almeno per lei, la sua stanza non era niente di eccezionale.
    Ma se lui voleva restare un po’, per lei andava bene: sua nonna non sarebbe venuta a controllare, e se fosse venuta avrebbe trovato la porta chiusa a chiave e Ayame che le urlava di lasciarla in pace (la stessa cosa era successa quella mattina, non sarebbe stata sospetta).


    “Certo che tua nonna è proprio odiosa.”



    Già.
    Era una delle persone più odiose che conoscesse.
    In risposta alla sua affermazione, Ayame si limitò ad avvicinarsi maggiormente a lui,appoggiando la testa sul suo petto, facendo un piccolo sorriso.
    Andava molto meglio, si.



     
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    Tra il fuggire ed il restare con lei poco mi importava: dopotutto mi interessava più che altro restare con lei e basta. Presi le sue mani e le baciai dolcemente, come amavo fare, per poi stringerla tra le mie braccia. Quasi involontariamente, perché non era del tutto involontario, mi lasciai andare con lei sul suo letto, dichiarando la mia intenzione di non muovermi per il momento, almeno.
    Baciai le sue labbra di nuovo, perché non riuscivo a fare altro in quel momento dopo che, per un intero giorno, non l’ avevo vista per niente a causa dei suoi due nonni ai quali avrei voluto volentieri svitare la testa con le mie mani.
    Con estrema calma, senza alcuna fretta (che sarebbe risultata del tutto immotivata) mi separai dalle sue labbra, rimanendo così, insieme a lei su quel letto a scambiarci attenzioni che in quel momento mi parevano necessarie.

    « Non mi interessa cosa c’è fuori o cosa non c'è dentro.
    Tu sei più interessante di tutta Kiri. »



    Mormorai quindi, cercando nuovamente le sue labbra, per baciarle prima con la classica dolcezza che aveva sempre caratterizzato i nostri baci per poi cercare, istintivamente, senza che potessi o volessi fare qualcosa per impedirlo, maggiore passione negli stessi. Lei mi attraeva incredibilmente e resistere era forse impossibile in quel preciso istante: un giorno di lontananza era bastato ed avanzato, ora volevo stare beatamente con lei a scambiarci quelle affettuose – e silenziose – effusioni.







     
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    Tesa
    16:18; Martedì 16-06





    Avrebbe di gran lunga preferito uscire di lì, andare a fare un giro per le vie di Kiri, ma sapeva bene che se sua nonna fosse venuta a bussare alla porta, ed era probabile che succedesse, e se non avesse ricevuto nessuna risposta, poteva persino obbligare suo nonno a tirar giù la porta.
    Se era troppo di cattivo umore, si, poteva succedere.
    Quindi almeno standosene lì rischiava poco di essere scoperta.
    L’importante era che lui se ne stesse lì con lei.
    Come aveva già fatto la sera prima, lui le prese le mani, posandovi due baci sui palmi, trascinandola poi sul letto con se.
    Ovviamente lei si lasciò trascinare più che volentieri.
    I due continuarono quindi a baciarsi, dopo che non si erano visti per un giorno e mezzo, per colpa di quella vecchia megera della nonna di lei.
    Quanto odiava quella casa.
    Lentamente anche quel bacio si esaurì, e lui sussurrò delle parole che la fecero sorridere.
    Si conoscevano da pochissimi giorni, si erano resi conto di piacersi solo la domenica sera precedente, eppure sentiva già il desiderio istintivo di tenerselo tutto per se, il desiderio di baciarlo, il desiderio di averlo accanto.
    Non le era mai capitato di sentire un’attrazione così forte verso un qualsiasi ragazzo, mai.
    Ma ora era felice che quel ragazzo fosse lui.
    Dopo l’ennesimo bacio puramente dolce, tuttavia, la dolcezza si trasformò in qualcos’altro, molto coinvolgente, qualcosa che alla ragazza era puramente estraneo.
    Un pizzico di passione cominciò a crescere in quel loro contatto, passione a cui lei non potè che lasciarsi andare, nonostante un po’ la spaventasse tutto ciò.
    Lui non aveva idea di quanto fosse inesperta lei, probabilmente.
    Tuttavia, a metà di quello strano bacio, la vecchiaccia bussò con forza alla porta, obbligando Ayame ad interromperlo bruscamente.


    “VATTENE!”




    Urlò con rabbia, irritata per quell’intrusione, irritata per il solo fatto che quella donna esistesse: non la voleva più nella propria vita, non voleva più tutto quello.
    E Yumie Shinretsu di allontanò, ubbidendo quasi all’ordine della nipote. O forse andò a chiamare Fuji per farsi aiutare, questo non le era dato saperlo.




     
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    Domande




    A dire il vero non rimasi troppo bene quando lei interruppe quel bacio urlando quella parola quando eravamo abbastanza vicini. La mia reazione istintiva fu prima quella di chiudere con forza gli occhi, poi mordermi la lingua per non ridere, per poi infine occupare le labbra sul collo di lei per qualche dolce bacio. Risalii, ovviamente baciandola, la pelle sino a giungere all’orecchio. Su una cosa era certa, voleva stare con lei ma allo stesso tempo voleva che lei non venisse scoperta.
    Non ero del tutto certo che sarebbero stati felici di vedermi, soprattutto perché ero io, un Ninja con una storia travagliata e forse poco onorevole alle spalle, benché abbastanza fedele a Kiri ed avendo rischiato più volte per il bene del villaggio.
    Ma finché stavamo li dentro, da soli, niente e nessuna poteva disturbarci. Baciai nuovamente le sue labbra con dolcezza e sfiorai i suoi capelli con le sue dita, separandomi appena dalla sua pelle. L’aria attorno a noi era accaldata e l’effetto che lei in quel momento sembrava avere sulla stessa mi ricordava terribilmente quel pazzo sfegatato di Natsu Ho, mio simpatico nemico capace di riscaldarsi l’ aria attorno. Anche se ovviamente, e per fortuna, le cause erano ben diverse.

    « Ma perché ti stressano così? »


    Chiesi in un mormorio un po’ serio a lei ma veramente preoccupato. La situazione che viveva era assolutamente infelice e per questo la mia preoccupazione era normale e giustificata: non aveva fatto niente di che, era tornata a mezzanotte circa e mi sembravano essere stati esageratamente duri con lei. Continuavo ad accarezzarle il viso ed i capelli, ricercando sempre quel contatto con lei che stavo scoprendo essenziale per le mie giornate.







     
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  7. Ayame•
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    Sincera?
    16:20; Martedì 16-06





    Era stato del tutto istintivo, per lei, urlare così contro sua nonna, dato che, dopo due giorni di prigionia, ormai si innervosiva solo a sentire i suoi passi nel corridoio.
    Si rese conto dopo di essere stata troppo brusca con Itai, che all’inizio chiuse gli occhi, poi tuttavia, tentando quasi di non ridere, portò le labbra sul suo collo, facendole risalire fino all’orecchio, mentre la giovane istintivamente si stringeva a lui.
    Di questo passo l’avrebbe mollata entro due settimane, doveva rilassarsi.
    Poi le loro labbra si incontrarono nuovamente, riscoprendo la dolcezza di poco prima, non la passione di quando si era interrotto quel bacio.
    Nel frattempo lui cominciò ad accarezzarle piano i capelli, e lei sorrise, felice di averlo accanto, felice di non essere lì da sola.
    Alla fine, tuttavia, lui le fece la domanda che lei si aspettava le avrebbe fatto.



    “Ma perché ti stressano così?”



    Le chiese quindi, mentre lei riappoggiava la testa sul suo petto, socchiudendo gli occhi tristi.
    Già, perché quei due la trattavano in quel modo?
    Era sempre stato così, erano sempre stati fin troppo rigidi con lei, nonostante Ayame non fosse una ragazza esageratamente vivace.
    Probabilmente era per colpa di sua madre: non erano stati in grado di controllare lei, e ora si rifacevano sulla nipote.



    “Ti hanno visto l’altra sera”



    Ayame rispose alla domanda del ragazzo, ma non fu del tutto sincera.
    O meglio, non gli disse tutta la verità: non voleva raccontargli di sua madre (anche se quella storia avrebbe contribuito a fargli capire perché i due vecchi avevano reagito in quel modo).
    Però si, sua nonna l’aveva visto, e, nonostante non fosse riuscita a riconoscerlo bene, aveva il sospetto maniacale che fosse lui.
    Istintivamente la giovane cercò nuovamente le sue labbra, tentando quasi di riprendere da dove si erano interrotti poco prima, sperando che fosse possibile.





     
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    Silenzio.




    Lasciai cadere il discorso, non avendo troppe intenzioni di continuarlo. Mi avevano visto, probabilmente era vero e mi faceva rimanere male il fatto che ora pagasse lei per questo. Ma d’altro canto non si poteva fare altrimenti: probabilmente i tempi non erano per niente maturi per dire tutto alla nonna, che in qualsiasi caso, l’ avrebbe segregata sicuramente peggio di quel momento. Quindi, come giusto che fosse, mi limitai a lasciar andare gli eventi di quel pomeriggio così come potevano andare. Insomma, se rischiavamo di farci sentire perché parlavamo tanto valeva impegnare le labbra in altro, no?
    Quindi mi lasciai andare, accogliendo il suo esplicito invito, riunendo le mia labbra con le sue per poi stringerla a me con delicatezza, accarezzandole piano la schiena, quasi con timore. Poi, guidato da un istinto che credevo ormai perduto, com’era successo prima aumentare la passione di quel bacio, cercando di contenerla e di non cancellare completamente la dolcezza dello stesso.
    La nonna, sebbene fosse un problema persistente, era qualcosa che poteva essere risolto diversamente. Intanto ero certo che lei gli avesse fatti demordere dal loro assurdo tentativo di sapere della nipote: in quel momento sicuramente Ayame stava meglio di quello che loro credevano: entrare li era stato un gioco da ragazzi e lo sarebbe stato anche camuffarmi in un momento di necessità: ero un Ninja, ed anche esperto, di assi nella manica da giocare ne avevo molti.
    La mia mano che fino a quel momento era posata inerme sul letto della ragazza prese quasi all’ improvviso vita, risalendo piano il suo corpo a partire dal suo fianco, fermandosi sul suo viso che presi ad accarezzare con lentezza.
    Non sapevo bene che cosa fosse in quel momento, ma se fino a quei giorni aveva vissuto in apnea lei per me era ossigeno pure che mi bruciava dentro, consumandomi l’ anima senza che io potessi o volessi far nulla per contrastarlo.







     
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    Silence
    16:25; Martedì 16-06





    Per fortuna lui decise di non continuare quel discorso: innanzi tutto Ayame non aveva voglia di parlarne in quel momento, in secondo luogo, ogni parola che pronunciavano li avvicinava inesorabilmente ad essere scoperti.
    Quindi era meglio limitare le parole, e rimandare i discorsi a quando fossero stati liberi di parlare in santa pace.
    Le loro labbra quindi si incontrarono, e lentamente ripresero da dove lei aveva così bruscamente interrotto poco prima.
    Ancora una volta, un filo di passione si insinuò in quel contatto, questa volta tuttavia più controllato, senza lasciar cadere la dolcezza.
    Intanto la vecchia non si fece più viva, segno che probabilmente si era limitata a lasciar perdere.
    Meglio così: se la lasciava perdere, dopo l’anziana signora si sentiva persino un po’ in colpa, e questo le lasciava qualche possibilità di poter uscire da quella casa prima della fine della settimana.
    O almeno così sperava di cuore.
    Una mano del ninja intanto accarezzava la schiena della giovane, mentre l’altra era posata sul suo viso.
    Ormai none era più tempo per le parole: le pareva di non essersi mai sentita così bene, come in quel momento.
    Intanto la mano della giovane si era spostata tra i capelli chiari del suo ninja, accarezzandoli.
    Lentamente, per far star più comodi entrambi, cercando di non interrompere quel bacio, al giovane si stese, trascinando giu anche lui, accanto a se, sperando che non interpretasse male quel gesto, anche se le possibilità che succedesse erano basse.
    Di certo non aveva la minima intenzione di spingersi oltre al bacio, questo era più o meno chiaro, almeno per quel giorno.
    Dopo un po’ si interruppe anche quell’ennesimo bacio, e la giovane si allontanò dalle sue labbra di qualche millimetro, osservandolo negli occhi con un sorriso stampato sulle labbra.
    E pensare che, a quanto ne sapeva sua nonna, in quel momento avrebbe dovuto essere da sola, arrabbiata nera con il mondo.
    Illusa vecchiaccia.




     
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    ...




    Non volevo spingermi, per ovvi motivi, troppo in avanti. Mi bastavano le cose semplici in quel momento, ovvero anche solamente tenerla vicino a me. Stesi sul letto rimanemmo così, vicino a fissarci dopo esserci baciati con un’intensità nuova per noi due. Le mie dita rimasero sul suo viso, accarezzandolo dolcemente prima si percorrere piano la linea della mandibola fino sul suo mento, dove posai un tenero bacio.
    E quindi mi allontanai appena, guardandola meglio, riuscendo a cogliere il suo viso completamente in un colpo d’ occhio. Notai, come meglio prima d’ora, ogni suo adorabile particolare: i suoi capelli un po’ scompigliati con quei ribelli ciuffi che le davano l’aria di chi non era proprio facile da tenere a bada, il viso bianco e delicato, ma allo stesso tempo proporzionato e meraviglioso. I suoi occhi neri poi mi incantavo, erano un libro aperto per le sue emozioni ed erano particolari nella loro assoluta semplicità. Ogni dettaglio di lei mi ammaliava e dopo essermi allontanato potei fare l’ unica cosa sensata in quel momento: ritorare da lei.
    La baciai una volta, poi due, tre fino a che ebbi fiato nei polmoni. Rimasi vicino a lei quando, separando le mie labbra dalle sue, mormorai qualcosa vicino al suo orecchio: forse il primo complimento vero e proprio, gratuito ed assolutamente spontaneo.

    « Sei bellissima. »


    Mormorai con dolcezza quindi, prima di riprendere con assoluta a baciarla, perdendo il conto dei baci che le diedi, forse dieci o forse cento. Ad ognuno la passione degli stessi aumentava, senza freno apparente, senza volontà di fermarsi eppure senza capacità di sfociare troppo in la. Stavamo bene così, senza niente di più e niente di meno: era tutto perfettamente meraviglioso così.







     
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    Tic-Tac
    18:55; Martedì 16-06






    Continuarono qui così, passando il tempo nel modo più semplice, scambiandosi qualche bacio e osservandosi, ancora una volta escludendo dalla propria mente tutto il resto.
    Solo loro due, sdraiati su quel letto.
    Lentamente lui prese ad accarezzarle il viso, posandole un bacio sul mento, mentre lei lo osservava, in silenzio.
    Poi lui si allontanò un po’, per osservare bene il suo viso, mentre lei, accennando un sorrisetto, gli rubava una mano e cominciava a giocherellarci, distratta.
    A dir le verità era un po’ tesa all’idea che lui la osservasse così da vicino: avrebbe potuto notare così ogni anche piccolo difetto del suo viso.
    Ma non pareva vedere difetti in quel momento, a giudicare dal suo sguardo.
    Poi le loro labbra tornarono ad unirsi, e la giovane si rilassò di nuovo tra le braccia del suo ninja, felice più che mai che fosse lì con lei.
    Alla fine, quando non ebbero più fiato e furono costretti a separarsi, lui le sussurrò un complimento all’orecchio.


    “Sei bellissima.”


    Doveva ammetterlo, non sapeva come reagire ad una cosa del genere, non sapeva cosa rispondere: non era per niente convinta che fosse vero, ma sospettava, sperava, che lui lo pensasse veramente; era questo l’importante.
    Ripresero quindi quei baci, con infinita dolcezza, una dolcezza sincera e disarmante che a dire il vero la lasciava sempre un po’ intontita, mista a quella istintiva passione che lentamente cresceva, senza tuttavia risultare mai esagerata, sempre controllata.
    Meraviglioso, niente da aggiungere.
    Il silenzio ebbe nuovamente il sopravvento, e i due continuarono a concentrarsi puramente su quello che stavano facendo.
    E il tempo, purtroppo, passò, passò velocemente.
    Così i due passarono il resto del pomeriggio abbracciati, su quel letto, senza la concezione delle ore che passavano, finché, verso le 7, la vecchiaccia non tornò a bussare alla porta, per dire alla nipote di scendere per la cena.




     
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    Poco prima della fuga




    Quasi fosse scontato il tempo trascorso con lei volò. Non potevo farci nulla, sapevo che sarebbe successo, ma di certo non per questo mi sarei fatto prendere dallo sconforto. Anche perché, probabilmente, non sarebbe finita li. Io stesso avvertii i passi di sua nonna per le scale e fermai i baci. Sospirai e mi separai dal suo viso. Quando sentii poi i deboli tocchi contro la porta, ma odiosi ed insistenti, la lasciai libera di andare. Quello era l’ ultimo pericolo, dopo che sarebbe tornata dalla cena avremmo potuto uscire fuori. Le scoccai un ultimo bacio sulle labbra e mi sedetti, mormorando poi alcune parole nell’orecchio.

    « Io rimango qui e ti aspetto.
    Dopo non credo che verranno a bussarti di nuovo, così potremo uscire. »



    Non sapevo ne dove andare e ne dove portarla, ma qualcosa avrei trovato, come al solito. Sempre che non accadesse un qualsiasi imprevisto che a dire il vero, potevano sempre succedere. Anzi, solitamente io era una calamita di insolita potenza per i guai stessi. Mi appiatti nella parte lontana della stanza, contro il muro, aspettando che si dirigesse verso la porta. Se fosse successo qualcosa mi sarei trasformato tempestivamente in una coperta abbandonata per terra, niente e nessuno si sarebbe mai potuto accorgere della mia presenza li.









     
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  13. Ayame•
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    Fuga..?
    19:48; Martedì 16-06






    Il tempo era decisamente volato, passando molto, troppo in fretta.
    Quando lui sentì i passi della donna anziana sulle scale, interruppe quei baci, e quando la nonna di Ayame bussò alla porta, lui lasciò andare la giovane, che, sospirando, innervosita all’idea di allontanarsi da lui per scendere con l’arpia, tentò di rubare qualche istante insieme a lui, prima di salutarlo.
    Si scambiarono un ultimo bacio, poi lui le promise di aspettarla, le promise di portarla fuori da quella stanza dopo cena: a quell’ora i due non sarebbero più venuti a romperle le scatole, dato che tendevano ad andare a dormire molto presto quando lei non usciva.
    E non l’avrebbero di certo lasciata uscire.
    Però un lato positivo c’era: poteva tornare all’ora che voleva, in ogni caso non l’avrebbero scoperta..o almeno così sperava.
    Si rassegnò quindi ad allontanarsi dal ragazzo, andando ad aprire la porta e seguendo sua nonna giu in sala da pranzo.
    Era un’ottima cuoca, ma Ayame non mangiò un solo boccone di quella cena: aspettava solo che le permettessero di tornarsene di sopra, e la sola presenza di quei due le faceva passare la fame.
    Inoltre sua nonna ci rimaneva male quando qualcuno non mangiava quello che lei cucinava: piccola infantile vendetta.
    Il risultato fu che, quando se ne tornò in camera, aveva una fame da lupi.
    Appena possibile, quindi, si dileguò dalla sala da pranzo, limitandosi ad avvisarli in tono molto scocciato.


    “Io me ne vado a dormire, niente controlli notturni per favore”



    Così erano sistemati.
    Lei non era così infantile da scappare da una finestra con un ragazzo mentre loro erano convinti che dormisse..figurati!
    Inoltre, se fossero venuti a romperle le scatole, avrebbero trovato la porta chiusa a chiave.
    Tornò quindi in camera, dal suo ninja, ma quando varcò la soglia e chiuse la porta dietro di se, a chiave, in un primo momento non lo trovò, non lo vide, e pensò per un istante che se ne fosse andato.
    Non l’aveva fatto aspettare troppo..vero?




     
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    Aria fresca




    Avevo sentito dei passi ma per sicurezza avevo preferito trasformarmi. Quando lei entrò rimase qualche attimo interdetta nel non trovarmi ma sciolsi subito dopo la tecnica della trasformazione, rivelandomi ad Ayame. Mi avvicinai a lei e le presi le mani, avvicinandola alla finestra. L’aprii cercando di non fare rumore e mi piegai sulle gambe, invitandola a salire sulle spalle. Una volta salita sulle mie spalle, facendo attenzione a non far rumori di qualsiasi tipo, posai una gamba fuori dalla finestra, poi subito l’ altra. Mi lasciai cadere nel vuoto per pochi centimetri, ancorandomi poi al legno della casa subito dopo.
    Non mi fu difficile scendere senza farmi notare ed in quattro e quattr’otto eravamo sui tetti di qualche casa una decina di isolati più lontani, ormai invisibili agli occhi della megera. Scesi in un vicolo e posai nuovamente i piedi sulla terraferma, lasciando che lei posasse i piedi per terra. Presi quindi una sua mano nella mia e finalmente, ormai fuori dal quartiere degli Shinretsu, fummo liberi di camminare in santa pace.

    « Ayame, tua nonna sa per caso chi sono? »



    Chiesi un momento perplesso. Su di me giravano molte voci, era innegabile. Un po’ perché ero un traditore di Konoha ormai stabile a Kiri, un po’ perché ero un Jinchuuriki e qualcuno qualche illazione la faceva su questa storia – seppur non avendo certezze del fatto compiuto -. Ma se per questo nessuna delle due cose poteva pregiudicare la storia tra me ed Ayame.
    Sospettavo che fosse per pura ripicca contro la nipote: il rapporto non era splendido e si notava. Chissà quali erano i motivi ma non volevo di certo saperli se lei non voleva ancora raccontarli. Non potevo insistere su un qualcosa che non riguardava me direttamente, magari rievocando chissà quali brutti ricordi.









     
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    Sguardo preoccupante




    Lei mi aveva detto, un po’ frettolosamente, di volermi parlare e di presentarmi a casa sua alle quindici. Io, un po’ scosso, avevo semplicemente annuito. Quel pensiero mi aveva rubato la mente per tutto il giorno successivo finché, alle tre, non fui davanti alla porta di casa sua. Quella mattinata avevo semplicemente svolto una missione di rango basso per avere il pomeriggio libero, quindi, tornato a casa, mi ero sistemato e mi ero preparato per incontrarla. Per qualche istante fui indeciso se prendere o meno le armi, ma alla fine optai per tenerle con me: se le avevo dietro potevo dire di averle trasportate inutilmente, se mi fossero servite però non avrei avuto troppi rimpianti.

    Lentamente percorsi la strada che separava casa mia da casa sua, prendendomi tutto il tempo che ritenevo necessario visto che ero uscito parecchio prima di casa. Ciò che importava che alle tre in punto posai la mano sul campanello della casa di Ayame, sperando che fosse sola: l’ ultima cosa che mi andava quella mattinata era trovarmi di fronte ai suoi nonni che, come avevo capito, non avevano poi una così grande considerazione di me.

    Attesi che lei mi aprisse quindi, restando in silenzio dietro la soglia e quando finalmente la porta si scostò dall’uscio io la guardai negli occhi per qualche istante, chiedendole con il solo sguardo che cosa stava succedendo.

    « Ciao Koishii-chan … che succede? »



    Non sapevo perché, ma rimasi bloccato, senza riuscire a baciarla per salutarla come facevo di solito: il suo sguardo me lo impediva, sentivo che c’era qualcosa che non andava.











     
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