Sopravvivenza & Patriottismo

[Kiri] | [Energia][Talento]

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  1. Aokawa Ryo
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    Sanbi no Isonade
    Alcune volte, non è il cuore a governare le nostre azioni,
    ma la paura.




    Avanzavo lentamente. Mi muovevo sicuro in quelle vie che conoscevo a sufficienza, il cappuccio a coprirmi il volto, il mantello bianco ad accarezzarmi gli stivali. Il tedioso e prolungato incedere era giunto ad una significativa svolta, la meta, che in passato tanto aveva avvampato il mio animo, contornava l'orizzonte sfumato dai tiepidi raggi di un ingenuo sole primaverile. Ne era passato di tempo dall'ultima volta che ero stato lì. Addirittura, un tempo ero perfino il cerbero di quelle mura; senza dubbio, ora la mia persona era stata spogliata di ogni carica e di ogni responsabilità che avevano contribuito alla forgiatura del mio carattere.
    Le stelle avevano avuto in programma per me un'altra strada da percorrere, ed io, non senza soffrirne, fui costretto ad abbandonare gli amici, la patria e l'obiettivo che sempre aveva adornato la mia esistenza. Sotto un certo punto di vista, era come se arrivassi in quel luogo per la prima volta. Molte cose erano cambiate, io ero cambiato. Sì, era la mia seconda prima volta.

    La guardia predisposta alla sorveglianza delle mura mi era sconosciuta. La sua figura esile, una muscolatura appena accennata non richiamavano alcun nome nella mia mente. I suoi occhi di un castano anonimo, di come se ne vedono tanti in giro, accentuarono la mia tesi. Non ero il solo ad essere cambiato, ma lo stesso villaggio aveva cambiato pelle.
    Una babilonia di pensieri mi oscillarono in testa. La morte di Godsan e il conflitto con il Villaggio della foglia, l'astio del mio sensei rivolto alla figura del Mizukage, il coccodrillo che sbranava un bovino. Mi scappò un sorriso, al ricordo di quella macabra immagine.

    « Identificati! »



    Le sue draconiane parole mi scossero dai miei pensieri. Dimenticai che fino a prova contraria potevo essere un nemico. Benché sapessi che quella era prassi, il solo pensare che quell'uomo potesse dubitare della mia buona fede, mi infastidì. Mi abbassai il niveo cappuccio cosicché potesse osservare il mio volto. Un ciuffo di capelli bianchi scendeva appena poco sopra gli occhi, mentre il resto della criniera era caratterizzata da un intenso e strano color blu notte.

    « Ryo dell'estinto casato degli Aokawa, ex guardiano delle mura di Kiri e... »



    ... e Jinchuuriki del Sanbi. Riuscii a fermarmi in tempo. Sentii un tremito vibrare dentro di me, un secolare ruggito che di tanto in tanto mi percuoteva. Non potevo rivelare quella parte neppure agli abitanti del mio villaggio; nessuno doveva saperlo, fuorché colui che mi aveva addestrato nel controllarlo. Sotto un certo punto di vista, al senso di ammirazione che mi suscitava la sua figura, si celava un leggero strato di odio. Nel remoto del mio cuore, lo incolpavo di avermi reso Jinchuuriki. Pensavo che se non me lo avesse detto, la possessione non sarebbe mai stata reale. Per una volta, era convinto che le menzogne mi avrebbero aiutato, avrebbero permesso il procrastinare eterno di quella tangibile realtà.


    « ... e basta. »



    Vidi il guardiano sgusciare via dalla sua postazione per prendere un fascicolo piuttosto spesso, in cui, per nome, erano catalogati i singoli ninja fedeli al villaggio. Si soffermò sulla prima lettera dell'alfabeto alla ricerca del clan che avevo nominato e che lui, probabilmente, non ne ricordava l'esistenza.


    « Anoki, Anojiko, Aokawa.
    Mmh, la foto segnaletica corrisponde, ma la vostra potrebbe essere benissimo una banale tecnica di trasformazione. Mi spiace dirle che qui lei risulta morto in missione. »



    Suonò l'allarme, ma non ci badai più di tanto. Più che altro mi soffermai sulla sua affermazione: possibile che..? No, impossibile. Allora, a cosa era dovuto quell'errore.
    Ero vivo, vegeto, tangibile.

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    « Morto? »



    Gli feci eco con un tono accorato.

    « Morto. »



    Ribadì lui con un'impassibile noncuranza.

    [...]



    Un turbinio di idee mi portò con la mente in un paesaggio desolato, ostile. Mi ricordavo molto bene quel posto che per poco non fu la mia lapide tombale. Avevo tutto il braccio destro paralizzato, ero stato costretto ad utilizzare un sovraccarico di chakra in quell'arto per renderlo inerme. Era un sacrificio necessario, se desideravo mantenere la mia integrità morale. Sentivo un dolore lancinante in prossimità dell'addome, come se qualcuno mi mordesse dall'interno delle viscere. Avevo scelto un posto isolato in modo tale da non nuocere a nessuno, qualora qualcosa in me fosse andato storto. Ed ora si verificava proprio quella mia indesiderata ed inevitabile previsione.

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    « Non te lo permetterò!!! »



    Urlai, conscio del fatto che non ve n'era il bisogno poiché quel parassita riusciva a carpire anche i miei pensieri più reconditi. Il mio corpo lo riuscivo a controllare con difficoltà, ero stato costretto a distruggermi un braccio per far sì che il dolore mi restituisse lucidità. Non era stata una mia scelta allontanarmi da Kiri: ero stato obbligato. Non riuscivo assolutamente a controllarmi, bastava un eccesso di innocua ira e lui usciva fuori, gettando la mia vera personalità nell'oblio. Non ero scappato dalle mie responsabilità, anzi, quello che avevo deciso di fare era stato proprio andare in contro ad esse per affrontarle.

    Il mio scopo era salvare Ryu, mio fratello gemello, caduto in un pozzo senza fondo denso di malvagità. Se non fossi riuscito a controllare il demone, sarei caduto nel suo stesso errore, e poi chi ci avrebbe salvati? Dovevo resistergli, non solo per me, ma anche per mio fratello. Sopratutto per mio fratello!

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    « VATTENE VIA! »



    Sentii uno strano ed assuefante silenzio che per un istante scacciò via tutti i pensieri che mi opprimevano la coscienza. Mi ritrovai solo in quell'agghiacciante natura bieca. Caddi a terra, privo di energie e, a breve, privo di sensi. Sapevo che se mi fossi riposato, il demone avrebbe potuto prendere il sopravvento sul mio corpo. Lo sapevo, ma non riuscivo a continuare quella perenne lotta portata con attacchi così veementi, subdoli e forti.
    Ero stanco.

    [...]



    I pensieri virarono nuovamente obiettivo.
    Questa volta era in un piccolo villaggio, nella stanza di un modesto ospedale a riprendermi dalle ferite subite durante la mia ultima missione. Ed era proprio in quella stanza, angustia e tenebrose, dove era cominciato tutto. Lì era da ritrovarsi la causa della mia partenza e del mio non ritorno a Kiri. Ero seduto sul letto, il mio volto coperto dal sudore. In un primo momento, il tempo era scandito dai miei ansiti. Di fronte a me, Itai con un viso sollevato e preoccupato al tempo stesso.

    « Hai vinto. »



    In quelle parole percepii una specie di sospiro di sollievo. Abbassai lo sguardo sul mio corpo, sulla parte bassa dell'addome vi era un sigillo di color blu intenso. Compresi che ciò che mi era successo in quella sorta di dimensione parallela, era accaduto realmente. Riuscivo a trattenere le lacrime a stento: tutta la determinazione che possedevo l'avevo perduta nello scontro con il demone. Era stata sigillata all'interno del mio corpo insieme allo squalo, che ora si stava cibando senza sosta e pietà di essa.

    « All'inizio, il Bjuu ti darà qualche fastidio perché proverà costantemente a prendere il sopravvento sulla tua personalità, ma con il tempo ci farai il callo e diverrà normale. »



    Normale? Avevo perduto tutto ciò che poteva essere definito tale dal momento in cui avevo incrociato lo sguardo con Isonade. Il prezzo da pagare per avere quel potere era troppo alto, a tal punto che considerai che il gioco non valesse la candela. Durante le missioni per il villaggio, non solo dovevo preoccuparmi delle varie insidie che queste proponevano, ma dovevo perfino preoccuparmi di me stesso e di cosa avrei potuto fare ai miei compagni. Ero un pericolo, una minaccia da sgominare.

    « Non credo di esserne all'altezza.
    Penso che per un po' sia meglio che non torni al villaggio. »



    Non sapevo come l'avrebbe presa, ma comunque non avevo intenzione di cambiare idea. Qualunque cosa avesse detto, non avrebbe avuto peso sulla mia decisione. Dopo poco, capii che l'avrebbe presa male. Eppure, Itai doveva riuscire a comprendermi, ci era passato anche lui. Doveva capire come mi sentivo. Il suo volto ostentò una quiete che non si sposava con quella situazione, a tratti imbarazzante. Alla fine, riversò su di me la sua rabbia.

    « Credi che scappare sia la soluzione?
    Pensi che se non ritorni al villaggio, il demone scomparirà nel nulla? Ormai è parte di te, devi accettarlo. Devi essere forte. »



    Le sue parole non riuscivano a scuotermi da quella trance in cui ero caduto. Era più forte di me, la malia che il Bjuu cominciava ad esercitare sul mio essere accresceva ogni istante. Sentivo come se il mio cervello volesse ribellarsi da tutto ciò, ma era intrappolato in quel involucro di carne schiavo della crudele entità. Prima di poter raggiungere il villaggio, dovevo riuscire a riprendere possesso del mio corpo, dovevo riuscire a placare la sua ira. E per fare questo, dovevo essere da solo.
    Nessuno poteva aiutarmi.

    « Dove è andato a finire il tuo assillante patriottismo?! »



    Quelle parole mi risvegliarono, ma solo in parte. Ero comunque deciso di affrontare il demone da solo e lontano da casa, ma ero convinto che ci sarei riuscito, che presto sarei tornato. Dovevo farcela.

    « Allora è così... hai preso la tua decisione. Spero per te che sia quella giusta. »



    Si allontanò, avvicinandosi alla porta. Aveva fatto tutto ciò che era in suo potere, ora non gli restava altro da fare che credere in me.

    « Arrivederci. »

    « Arrivederci. »



    Eppure, nonostante le parole utilizzate, quello scambio di saluti mi parve un addio.

    [...]



    La scena cambiò nuovamente.
    I miei pensieri si allontanarono finché non giunsero alla fonte di tutti quelle menzogne, di tutti quei problemi che mi avevano costretto ad allontanarmi da casa. In un primo momento, era tutto buio. Era come se un tenue ricordo di lacerante dolore si fosse reincarnato nel mio corpo. Avevo difficoltà ad aprire gli occhi, ero sfinito sia fisicamente che, a maggior ragione, psicologicamente. Il fuoco della grinta mostrata poc'anzi con il demone squalo si era notevolmente affievolito, ma non aveva cessato di esistere. Flebile, ma ancora presente, e proprio attingendo a quella mistica energia ebbi il coraggio di riaprire gli occhi. La luce cristallina mi graffiò la retina. Abituato a quel perenne buio, ora avevo difficoltà a riabbracciare la luce. Il secondo tentativo andò meglio. Leggermente socchiusi, provai a scrutare l'esterno minuziosamente, provando a ricordare dove mi trovasse e se quell'incontro-scontro con il demone fosse, finalmente, finito.

    « Non mi abituerò mai abbastanza al tuo volto così meschino e sadico. »



    In realtà, quelle parole non uscirono mai dalle mie labbra, furono qualcosa a metà tra un pensiero ed una considerazione. Più che altro, mentre pensavo a ciò, mi accorsi di ciò che stava realmente accadendo, questione che avevo sorvolato in un primo momento. Mi trovavo, praticamente, imprigionato in un involucro di spesso ghiaccio. Isonade nuotava sopra di me, la sua figura singolarmente distorta dall'effetto di diffrazione che la luce generava con il ghiaccio.

    « Caspita che dolore!!!
    Brutto Bastardo, liberami!!!! »



    Uscirono quasi involontariamente dalle labbra esangui, prima ancora che il mio cervello formulasse il pensiero. Il dolore che scuoteva le membra del mio corpo era più acuto e lancinante, come se realmente mi trovasse sepolto vivo in una prigione glaciale. Notai, con quel poco di lucidità che mi rimaneva a causa del dolore, che la struttura non scendeva più in basso, dunque eravamo giunti già al punto più basso dell'intera dimensione sottomarina.
    All'improvviso, in me rimbombò la sua voce millenaria.

    Sei in trappola stupido ragazzino.
    Intrappolato tra i ghiacci.
    Avanti, se vuoi il mio potere devi dimostrarmi che non sei come gli altri.
    Mostrami come sai affrontare la morte, mostrami come ti comporti quando la morte è certa, inevitabile e dolorosa.



    Ero in trappola ad attendere una morta inevitabile.
    Compresi che nelle sue parole vi era una vena scoperta di contraddittorietà. L'istinto di sopravvivenza, però, prevalse sulla ragione. Provai a dimenarmi in quello stato di paralisi fredda, provai a richiamare il chakra negli arti per aumentarne la forza o, semplicemente, per tentare di riscaldarli dall'interno. Ma quanto più il mio corpo si ribellava alla ricerca di una soluzione, tanto più i danni che subiva divenivano irreparabili e strazianti. Sentivo il freddo pungente penetrare nei pori nella pelle e raggelarmi il sangue che scorreva nei vasi sanguigni e sanguiferi. Sentivo il plasma ghiacciarsi, i globuli rossi, bianchi e le piastrine morire per il freddo. Il dolore si acuiva ogni secondo di più e intuii cosa sarebbe successo da lì a poco. Come in precedenza, il troppo dolore mi avrebbe portato allo svenimento. Bramavo quasi quella previsione; una volta che la mia vista si fosse neutralizzata, il dolore sarebbe cessato. Però, il verificarsi di questa situazione avrebbe avvalorato la mia sconfitta. Avrei definitivamente perso.

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    « Ehy, brutta faccia da squalo! »



    Quando il buio stava prevalendo sulla luce, quando il dolore stava prevalendo sul corpo, come un piccolo fuocherello che divampa nella foresta, il mio animo e la mia determinazione mi risollevarono dalla funesta sconfitta. Arrendersi, in quella situazione, sarebbe stato troppo facile. Arrendendomi, prima ancora di deludere il demone (del cui parere, francamente, m'interessava ben poco), avrei deluso me stesso. E questo non potevo tollerarlo.

    « Che senso avrebbe uccidermi?
    Non sei forse tu che ti sei preoccupato di invadere il mio corpo? »



    Domandai con voce asciutta e spezzata dal dolore.
    Dal momento che l'istinto aveva fallito, non mi restava di affidarmi alla ragione, e, seppur non mi considerassi questo gran genio della retorica, forse il procedimento logico avrebbe causato più danni della forza bruta. O almeno, ci speravo fermamente.

    « Un Bjuu senza il suo Jinchuuriki è come il soggetto senza il predicato verbale.
    Non ha significato. »



    Continuai, digrignando i denti per il dolore. Volevo continuare il discorso, ma non ne avevo la forza. Sentivo il corpo abbandonarmi, la mente allontanarsi, i sensi offuscarsi. Mi era rimasto poco tempo per convincerlo a lasciarmi stare, non potevo permettermi di sprecare altri secondi preziosi.

    « Tu hai bisogno del tuo significato.
    Vendicarti del Nibi, affermare la tua supremazia: non so quale sia il tuo reale obiettivo, ma sicuramente ne hai uno. Uccidendomi, non solo stroncherai le mie ambizioni, ma sopratutto le tue. »



    Sorrisi. Il mio non era un sorriso di scherno, non era mio desiderio prenderlo in giro né ero in condizione per farlo. I grandi uomini si distinguono dagli altri perché conoscono il proprio limiti, ed io avevo capito che ero giunto al capolinea. Ero sul confine che separava il mondo dei vivi da quello dei morti, la realtà dalla finzione, me stesso dal demone. Ero in procinto di attraversarlo, costretto da forze maggiori, ma ero conscio di cosa stavo facendo. Nella disperazione, avevo conservato il mio essere.
    Tutto sommato, ero soddisfatto di come avevo valutato le scelte da prendere.

    « Credi davvero che ne valga la pena? »



    Infine, il dolore prevalse e cancellò ogni cosa.





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    OT: Ho giustificato anche l'assenza di Ryo da Kiri durante la mia assenza.
     
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38 replies since 15/4/2009, 14:42   1147 views
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