Sopravvivenza & Patriottismo

[Kiri] | [Energia][Talento]

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  1. Aokawa Ryo
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    Panta Rei
    Tutto scorre.




    Cominciai a grattarmi il capo, come se fossi alla ricerca di una soluzione di un'improponibile enigma. I capelli, stranamente, erano allo stato brado, naturale; fuori da Kiri, non avevo avuto l'opportunità per aggiustarmi i capelli con tutti i prodotti gelatinosi che, invece, a casa disponevo. La notizia della nuova amministratrice era alquanto bislacca e singolare: evidentemente, dietro le quinte c'era qualcosa che il Mizukage desiderava tenere nascosto ad ogni costo. Anche la più alta carica del villaggio, dunque, aveva degli scheletri nell'armadio.

    « Da un lato, devo ammettere, comprendo la tua diffidenza nei confronti della nuova amministratrice. D'altra parte, però, non posso credere che il Mizukage agisca contro il bene del villaggio. Per quanto indubbiamente abbia gusti discutibile, è pur sempre l'emblema del villaggio. »



    Inoltre, per quanto concernesse la sfera privata e politica del Mizukage, non tenevo in gran considerazione ciò che dicesse Itai; il motivo era semplice: dopo quanto era accaduto al suo Sensei, era impossibile che il Nara riuscisse ad affrontare le questioni riguardanti il Kage con raziocinio e con distaccata oggettività. Probabilmente, lo odiava per ciò che aveva fatto. Non sopportava l'idea che il suo maestro fosse morto per mano sua. Proprio per tutte queste ragioni, non potevo considerare veritiere le sue parole. Tuttavia, era evidente che ci fosse sotto qualcosa: l'amministratore è un ruolo secondo solo alla figura del Kage e non si può assegnare questo carico con leggerezza e faciloneria.

    Tuttavia, questa recondita digressione ritornò in secondo piano, e nuovamente l'attenzione fu rivolta a me e, sopratutto, a Isonade. In pratica, Itai non si fidava di ciò che ero diventato e della mia capacità di tenere a bada me stesso. Le sue parole m'infastidirono non poco, non capii se mi sottovalutasse fino a tal punto o se non credesse che ce la potessi fare.
    Ero tornato a Kiri perché ero sicuro di riuscire a frenare gli impulsi animaleschi di Isonade: se ci fosse stata soltanto una remota possibilità, se avessi avuto soltanto qualche dubbio sulle mie capacità, allora non sarei mai ritornato.
    Preferivo morire anziché mettere in pericolo Kiri ed i suoi abitanti.

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    « Non devi preoccuparti.
    Se sono tornato solo adesso, significa che sono sicuro di potercela fare. »



    Battei il pugno contro il tavolo. Riuscii a scaricare la rabbia soltanto parzialmente; ripensavo a tutto ciò che avevo passato, a tutti i dolori e le sofferenze che avevo dovuto patire. Pensai a quanto era stata dura farcela con le mie sole forze, pensai a quanti sacrifici dovetti sostenere per riacquistare la mia umanità. Battei anche l'altro pugno contro il tavolo.
    Sapevo di essere diventato un mostro, un'arma. Sapevo che nulla sarebbe stato più come prima. Eppure, anziché darmi per vinto, ho lottato. Ho combattuto contro il demone e contro una parte di me che voleva farla finita. Ho combattuto ed, dopo un'innumerevole serie di vicissitudine, ho vinto.

    Il demone approfittò di quel momento per venire fuori. Sentiva che ero vulnerabile, che ero una facile preda. Ma mi sottovalutò. Un'altra volta.

    «Non puoi neanche immaginare quante ne ho passate. »



    Il mio tono di voce era cambiato, i canini si erano allungati. Gli occhi, di un vivace color nero, era diventati blu e l'intera criniera bicolore si era coperta sotto il medesimo peculiare colore. Tuttavia, conservavo ancora un po' di lucidità, il demone non riusciva a sconfiggermi del tutto.
    Non riusciva ad abbattermi.

    « In questi nove mesi, ho combattuto contro me stesso un miliardo di volte. All'inizio, perdevo sempre. Non riuscivo a bloccare l'enorme afflusso di chakra del demone. »



    Attorno al mio corpo si materializzava il chakra del demone. Così fitto, denso, spaventoso. Nonostante quello che stava accadendo, però, non mi diedi per vinto. Continuavo a lottare senza sosta, convinto che potessi farcela.
    Se nessuno crede in te, tu credi in te stesso.

    « Una volta, però, vinsi quello scontro.
    Probabilmente fu soltanto un colpo di fortuna, ciò nonostante ripresi coraggio. Continuai a lottare intensamente, finché accadde un'altra volta.
    Vinsi ancora. »



    All'improvviso, i capelli ripresero il proprio colore, gli occhi tornarono a risplendere di quel nero ebano e cristallino. Il chakra lentamente si disperse nell'aria, e il demone tornò a dormire nella propria tana. Sconfitto.

    « Capisci?
    Compresi di potercela fare.
    Compresi che il mio futuro era ancora nelle mie mani. »



    Alzai le mani dal tavolo, mostrandole a Itai. Un turbinio di emozioni contrastanti mi pervadevano, alcune residue dall'incompleta possessione del demone.

    « So bene che hai paura per l'incolumità degli abitanti. Anch'io ho paura, non ci dormo la notte. Eppure, sentirtelo dire così apertamente mi fa stare male, ridicolizza tutte le fatiche che ho patito. Non dirlo mai più così apertamente.
    Non ti riuscirei a perdonare. »



    Tutto era tornato alla normalità. Dalle stanghe della finestra soffiò una folata fredda, probabilmente originaria di Genosha. Ansimavo leggermente a causa dello sforzo psicofisico causato dalla volontà di sopprimere Isonade. Quel bastardo; aveva detto che non aveva motivo di andarmi contro qualche minuto prima... presumibilmente, era nella sua natura essere così malvagio e opportunista. Mi dispiaceva quasi per ciò che era costretto a subire: al contrario di me, che potevo ancora plasmare il mio futuro, esso era costretto a quella vita demoniaca. Isonade: dio dell'acqua. Freddo come lo stato solido del suo elemento.

    « Un tempo avevo una casa vicino alla periferia... ma, sinceramente, non so se l'abbiano abbattuta perché mi credevano morto. Spero di no, altrimenti dovrei abituarmi a vivere come un barbone. »



    Quel pensiero mi raggelò il sangue.
    La mia casa, piena di ricordi, di immobili e di oggetti preziosi, rischiava di essere stata distrutta. Se solo avessero provato a sfiorare con un dito la Mizukami, l'arma che mi avrebbe reso famoso e che da secoli apparteneva al clan Aokawa, avrei raso al suolo l'amministrazione pur di vendicarmi. Avrei picchiato selvaggiamente tutti gli addetti di quel maledetto centro burocratico.
    Anche se, al momento, il problema principale era trovare un posto dove dormire.
     
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