[Primo Accesso] South Gate of Sound[Free GdR] [Macro GdR]

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    Stessi Obiettivi


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    Raizen in realtà non sapeva quanto fosse vera l’affermazione riguardo i Due Febh, lui infatti l’aveva fatta con l’intenzione di marcare la differenza tra il Febh pasticcione e il Febh concentrato, ma forse l’altro aveva inteso qualcosa di leggermente differente quando lui gli rimproverò di avergli detto solamente il suo nome, infatti Raizen si riferiva all’unico nome dell’amministratore che conosceva: Febh Yakushi, cosa che di fatto sottolineava quanto poco ne sapesse di quel personaggio che così tanta fiducia riponeva in lui.
    Pur non essendo a conoscenza di quel dettaglio però aveva fatto breccia e potè notare come quella frase colpì il suo ghigno, congelandolo.
    Non sapeva di preciso cosa fosse andato a colpire, ma colpire le incertezze dell’animo dell’Otese era l’unico modo che aveva per crearsi uno spiraglio tra i suoi aculei.

    Buona scusa.
    Non sai cosa sia quindi la cosa migliore da fare è affrontarla da solo.
    Mi ricorda qualcuno.


    Era inevitabile in quella situazione infatti mettere a paragone i due comportamenti.

    Quella una questione di famiglia?
    Inventatene un’altra, spargifrottole.
    La tua famiglia non c’entra un fico secco, sei l’unico Yakushi a cui ho visto fare quella roba.


    Certo non poteva pensare che ci fosse Un’Altra famiglia, una famiglia vera.
    Secondo lui lo Yakushi in quel momento gli stava mentendo, ma al contrario suo non ne era rimasto ferito, lo faceva arrabbiare, ma solo per una questione di equità, era infatti consapevole che le persone potessero avere dei segreti, ma sembrava che quello che lo Yakushi cercava fosse una specie di duello di scherma in cui solo quello capace di infliggere la morte con un singolo affondo avrebbe vinto.
    Inspirò.

    Diogene della tua fiducia non se ne fa niente, se non usarla contro di te, in modo da tenerti al guinzaglio come cane da guardia.
    Ma se non altro sappiamo che nella tua personalissima classifica sto dietro ad un terrorista… oh scusa, adesso è il Kokage, perdonami.


    Ma la questione Kokage era appena iniziata.

    Dimmelo tu cosa è più comodo fare, prendersi dei rischi, o pagare una volta e per sempre in modo da levarsi il pensiero?
    Sforzati a recuperare un briciolo di onestà intellettuale, un solo, piccolo briciolo.
    Prova a pensare a come mi muovo nelle missioni a come la penso generalmente sulla stragrande maggioranza degli individui con un coprifronte addosso e dimmi: secondo te volevo fare l’Hokage?
    Io?
    Pft!
    Konoha stava diventando una latrina, erano attive due mafie ed una terza su cui stavo lavorando prima che scoppiassero tutti i casini che stanno mettendo a ferro e fuoco il continente è ancora attiva e si occupa di armi.
    Credi di essere l’unico in grado di rendersi conto di che genere di persona è?
    Mi rigiro ancora nel letto pensando a quando per pura vanità ho accecato un kiriano, mentre lui aveva preso al posto mio qualsiasi cosa gli arrivasse addosso.


    Stringeva i denti in quel momento, forzando le mascelle a sufficienza da rendere evidenti i muscoli contratti sotto le guance.

    Non voglio più rifare simili errori.
    Ma devo convivere col mio passato e con le croci che mi costringe a trascinarmi dietro.
    Immaginati consapevole di tutto questo ma comunque costretto ad alzarti ogni singolo giorno e prendere decisioni, sapendo che ciò che ti è successo nel passato può farti mettere il piede in fallo e farti trascinare dietro ben più di ciò che le tue mani possono rimettere apposto.
    Comodo mettersi la coscienza apposto pagando una sola, singola volta.


    Non apportò ulteriori pensieri ed abbandonò il discorso.
    Era giunto alle mura di Oto con le migliori intenzioni, ma non era sciocco e sapeva che tutto poteva andare storto, che avesse potuto perdere una persona a lui cara, che un litigio avrebbe potuto trasformarsi in una scazzottata, magari non di quelle alla morte, ma qualcosa che avrebbe lasciato il segno.
    Aveva persino messo in conto lo scenario peggiore di tutti; sconfinare in uno scontro politico in grado di minare i rapporti tra le due nazioni.
    Era indubbio che Febh sapesse sempre sorprendere e l’ultima proposta ad arrivare gli tolse qualche battito.

    Un… mese?

    Ripeteva le due parole tra se e se scandendole lentamente per immaginare quanto fosse tutto quel tempo, a spaventarlo non erano tanto le prigioni e le torture, aveva discrete esperienze in merito, c’era qualcosa che veniva prima della paura: la delusione.
    Aveva sbagliato, nulla poteva discolparlo, magari avrebbe potuto fare ammenda ma un mese di prigionia, torture forse, era davvero qualcosa che non riusciva a credere, non era solo una mera questione di squilibrio tra colpa e punizione, andava oltre, e lo colpiva in più di un modo, aveva infatti la certezza che l’amministratore sapesse cosa voleva dire stare lontano dal proprio villaggio per un lasso di tempo così prolungato.
    Erano li a pugnalarsi l’un l’altro non perché ci fosse stata una particolare violazione da parte di Raizen ma perché tale violazione minava qualcosa di personale, ed a causa di una ferita era possibile arrivare ad una simile proposta?
    Quanto valevano le parole spese riguardo la fiducia se poi il primo spiraglio di accordo era un mese di prigionia, se si era così ciechi di fronte a ciò che questa poteva causare?
    Aveva davvero senso chiamare una simile ripicca amicizia?
    Seppure ci si impegnasse non riusciva a vedere il nesso tra quella delusione ed una simile punizione, per sua stessa ammissione Febh lo aveva slegato dal suo status di leader della foglia, lo voleva li come Raizen, qualcuno con cui aveva un legame.

    Un mese… Viscida anguilla.

    Avrebbe voluto dire in un primo momento, ma continuare a pensare allo squilibrio tra colpa e pena gli ricordò che tutto sommato Febh in materia aveva una sua visione e seppure stramba non l’aveva mai trovata priva di equilibrio.
    Mosse un passo verso di lui, molto più pesante di una mera minaccia scaturita dalla sola rabbia.
    In quel passo c’era molto di più.

    Io...

    Febh aveva una smodata passione per infliggere sofferenze al prossimo, l’aveva testato nella sua stessa pelle, ma per quanto potessero essere dolorose, faticose o semplicemente fastidiose non aveva mai superato un certo limite.
    C’era una cosa che sapeva per certo: lo Yakushi che conosceva non l’avrebbe mai fatto, quindi perché questo lo stava facendo adesso?
    Una volta separato il problema dalla sua natura politica, una volta dimostrato che l’importante non era punire il traditore del villaggio ma Raizen in quanto singolo cosa restava?

    … non ti credo.

    Quattro semplici parole, ed in quel momento era possibile che Febh riuscisse ad attribuirgli il loro reale significato, normalmente l’avrebbe presa come una sfida, ma a calcare quelle lettere non c’era supponenza bensì l’unica cosa che Raizen era venuto a dar prova di avere: fiducia.
    Aveva sempre fatto fatica ad accettare che a prescindere da quanto e come si scusasse la sua vittima poteva semplicemente decidere di non assolverlo, mettendo inevitabilmente la parola fine a tutto. Era quella la sua paura più grande, non l’errore, o la sofferenza portata dal rimorso ma la Fine.
    L’unica cosa contro la quale era del tutto impotente.
    Dal punto di vista di Raizen le scuse erano un meccanismo complesso e per poter funzionare, per essere produttive in quando volte alla continuazione di un rapporto, necessitavano di una visione condivisa da ambo le parti.
    Tuttavia, raramente la visione che aveva del mondo era condivisa dal prossimo, e non stentava a credere che anche quella non fosse un eccezione.
    Le scuse per lui erano tra i pochi regali per cui ci si aspetta sempre un ritorno, scusarsi per una persona sorretta dal proprio orgoglio come lo era Raizen non era semplice, significava comprendere e accettare il proprio errore ed il dolore da esso causato.
    Per quanto solitamente sembrasse distaccato dai rapporti umani da una densa cortina di supponenza, arroganza ed ironia quando comprendeva il dolore che aveva causato negli altri lo faceva proprio, per lui non c’era niente di peggio che vedere il suo prossimo soffrire inutilmente, ancor meno se a causa sua.
    Per questo faticava a comprendere perché il suo personale purgatorio venisse rifiutato, per quanto autoimposto era reale… ma restava suo e soltanto suo, gli altri non lo vedevano, o forse il metro con cui misurava i sentimenti altrui era quanto di più errato potesse esistere.
    Capire quanto lui stesso fosse vittima dei suoi errori però restava impossibile per chiunque, era totalmente incapace di mostrarlo al prossimo, persino lui riusciva a percepire gli errori nelle sue azioni solo quando si ritrovava dentro al vortice di problemi che queste si portavano dietro.
    Cosa poteva fare quindi una volta finito in quel vicolo cieco?
    Accettare le conseguenze, tutte, quali che fossero.

    Se davvero sei morto dentro però, dovrai prenderti le tue responsabilità.
    O userai la forza per portarmi li dentro, o la userai per passare oltre, di sicuro ne avrai meno per dopo.
    Non userai mezzucci da calcolatore codardo e scaricabarile per poter rabboccare il vuoto che ti senti dentro.


    Qualsiasi cosa ci fosse da fare l’avrebbero fatta in due.



    Edit piccolino picciò, l'ho usato per aggiungere la parte in grassetto:
    O userai la forza per portarmi li dentro, o la userai per passare oltre, di sicuro ne avrai meno per dopo.


    Edited by F e n i x - 12/2/2020, 22:52
     
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