Prigione di Suna

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  1. Youshi2
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    砂の牢獄

    Suna no rōgoku
    I


    Il suono generò lo spazio, prima di esso vi era il nulla.
    L'incalzare ritmico di quel suono basso e ancestrale permise a Hiashi di aprire gli occhi, no, permise a Hiashi di costruire un infinito spazio mentale nero e privo di luce. Il giovane shinobi si guardò le mani, quindi le braccia ed il corpo, alzò lo sguardo verso quella vastità di nulla e si rese conto che i suoi piedi si poggiavano su una struttura solida. Mosse un passo e non cadde, quel luogo era così buio da non riflettere alcun tipo di luce e il pavimento su cui aveva camminato aveva le stesse fattezze di ciò che lo circondava. Una fitta alla testa lo costrinse a portare le mani alla fronte, quindi un crampo allo stomaco e poi, nuovamente, quel suono. Il giovane Hyuga tentò inutilmente di identificarlo, di individuarne la provenienza, ma esso era tutto attorno a lui. Quando il suono ritornò, mentre era intento a comprenderne la provenienza, scoprì attonito l'origine: proveniva da lui. Riverberava nelle sue membra, pulsava nelle sue vene, era il suo cuore. La rivelazione lo lasciò attonito, gli occhi sbarrati cercarono nell'infinita e claustrofobica oscurità un contorno, una figura che lo potesse ancorare alla realtà e far sì che la sua mente non lo abbandonasse. Gli occhi bianchi si posarono nuovamente sulle sue membra, il suo corpo era l'unica cosa ad avere luce, ad avere sostanza.
    Il suono si trasformò in vibrazione, i suoi echi più profondi scossero il ninja fino a costringerlo in ginocchio. Il fiato era spezzato da un improvviso attacco di panico, compulsivamente tornò a scandagliare quel luogo, così come in precedenza quel luogo era stato generato dalla spazio il ragazzo urlò cercando di riempirlo:

    AAAAAAAAAAAAAAAAH!

    Si fermò unicamente quando i polmoni erano vuoti, durante l'urlo si era accartocciato su sé stesso e aveva spinto sulla pancia per emettere ogni briciolo di aria. Le lacrime scesero senza controllo, bagnarono le guance di un volto corrucciato dal dolore, dalla rabbia e dal fallimento. Riprese fiato e, poiché quella era l'unica sensazione che gli dava una parvenza di vita, urlò nuovamente il suo rifiuto a quella esistenza. Al suo fallimento. Quel pensiero arse dentro di lui fino a renderlo boccheggiante, completamente al suolo con lo sguardo appoggiato nel nero infinito pensò: Non ce l'ho fatta il suo corpo era immobile, scosso solo da alcuni battiti che si erano via via quietati Questo è il luogo della mia condanna, quivi passerò l'eternità socchiuse gli occhi, ma il nero che le palpebre gli proposero non era diverso da ciò che il suo sguardo gli mostrava. Deglutì a fatica e la sua mente vagò fin dove era in grado di ricordare. Tornò allora a quando era poco più di un bambino, quando la notizia della morte del padre venne portata alla famiglia, ricordò il volto del capo clan mentre impassibile parlava a sua madre, il pianto disperato di lei e le accuse che mosse verso gli shinobi più prominenti della casata principale. Tornarono alla mente gli anni successivi e la promessa che si fecero lui e sua madre di vendetta e di giustizia, quella notte di pioggia nel giardino zen illuminato dai lampi e scosso dai tuoni. Quindi i primi addestramenti, la promozione a genin e le prime missioni e poi... E poi solo quel suono ritmico, incessante e profondo. Come un fiotto caldo la rabbia lo pervase e lo animò.
    Si rese conto che l'unico modo che aveva per sentirsi vivo, per sentire nuovamente il proprio corpo era correre e così fece. Alzatosi di scatto iniziò una corsa perdifiato in quello spazio generato dal suono che era diventato nulla, poiché vuoto. Ad ogni rintocco il suo corpo si contorceva dagli spasmi, dalla vibrazione che si faceva sempre più forte e il ragazzo si rese conto allora che non vi era altra sensazione fisica diversa da quella: la corsa perdifiato non aveva modificato il suo respiro, la milza non gli doleva, i muscoli non si affaticavano. Solo quel ritmico boato mutò, divenne sempre più incalzante e accelerò il ritmo. Il ragazzo chiuse gli occhi e, senza fermare la propria corsa, urlò nuovamente fino a perdere il fiato. Li riaprì quando i polmoni ne erano completamente privi, li aprì quando quel martellare incessante sui timpani e sul corpo incespicò, li aprì quando qualcosa di ancestrale e divino gli disse che era il momento di farlo.
    Un viso gigantesco era di fronte a lui, non più distante di qualche metro, lo osservò attentamente con aria compiaciuta e, prima che Hiashi trovasse la forza di fare qualsiasi cosa, il vuoto infinito generato dal battito del suo cuore scomparì, così quel volto divino.

    A presentarlo nel mondo dei vivi fu un lungo rantolo, quel rumore agghiacciante che solo i polmoni vuoti che cercano aria possono generare. Il ragazzo sentì nuovamente quel ritmico pulsare a livello dei timpani, anticipato da un fulminante colore violaceo lo spazio si presentò a lui, questa volta, in una luce filtrata dall'aria stantia di quel luogo chiuso.
    Le voci che sentì catturarono immediatamente la sua attenzione, erano voci umane, voci di donna. Ci mise qualche attimo a comprenderne il loro significato, perché la testa si mosse intontita cercando di focalizzare i contorni dell'angusta stanza nel quale si trovava. A -a -acqua... la sua voce fu fievole e pastosa, la voce di chi non usava le labbra, la lingua e la faringe da molto, troppo tempo. Cercò di muovere lo sguardo verso l'origine delle voci e domandò, rendendosi conto che aveva sentiva il proprio corpo D-dove siamo? Che posto è questo?
    Inspirò ed espirò facendosi forza, quindi tentò di caricare il peso su un braccio e di alzarsi dalla posizione supina in cui trovava. Un'ombra, troppo distante per i suoi occhi non ancora abituati a tornare a guardare, attirò l'attenzione del ninja di konoha, verso quella figura fuori dalla cella in cui si trovava alzò un braccio e, indicandola con dita tremolanti, chiese l'unica cosa che gli venne naturale domandare: Aiutami ...





     
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