Rinnovata sarà la lama che fu spezzata

[Kusa]

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    Rinnovata sarà la lama che fu spezzata

    Soryo, il Monastero del Sangue



    Oh, A-du-la-tore! Maki arrossì quasi con maestria, ma nei suoi occhi non c'era il benché minimo accenno di imbarazzo. Era una donna ben più navigata di quello che i suoi atteggiamenti lasciassero intendere. Conosceva il mondo ed i suoi aspetti, dai migliori ai peggiori. E riconobbe l'adulatore di Akira, curiosa fin dove lui volesse arrivare con le sue lusinghe: cercava qualcosa, non a caso gli stranieri giungevano ad Hinasho.
    La sorveglianza? Oh, niente di che. Siamo vicino a Taki e se non ti difendi quando il sole cala chissà chi può venire a visitare le tue case. Nessuna causa particolare oltre che quell'enorme caos che sta succedendo da qualche anno in quel villaggio. Fece un sospiro, quasi a voler ricordare ben tempi andati di tranquillità.
    Quello era sincero tuttavia.





    Il negoziante aveva annusato la possibilità, per cui speranzoso si ritrovò a raccontargli la sua storia ed il compito che voleva affidare a chiunque volesse. Lui ormai non poteva fare più niente col fisico malandato che si trovava.
    Oh quella statua, Yui, sai è mia madre? Yui Matsumoto. Io sono Oniji Matsumoto e mia madre oh se era forte, era forte! Sapeva fare vere e proprie meraviglie e mi ha insegnato un po' di quell'arte. Sospirò, ma era così nevrotico che quel sospiro parve carico di elettricità pura Circa vent'anni fa ho creato per quei monaci di Soryo due manufatti, sì. Un pugnale, letale, affilato, che beve il sangue delle vittime e si rafforza. Gran bell'oggetto, forse il migliore che abbia mai creato. E poi c'era una spada, bella anche quella, anche se meno. Buttava fulmini, oh si che lo faceva! A Soryo lì c'è una specie di Monastero, inquietante davvero. Gente pericolosa. Vent'anni o più, non ricordo, fa mi hanno fregato questi oggetti preziosi. Quando ho cercato di andare a riprendermeli mi hanno accusato di furto, mi hanno denunciato. Ho dovuto risarcirli e sono stato costretto a vendere i miei migliori artefatti. Ah, maledetti bastardi maledetti! alzò un pugno al cielo Senti ragazzo, Soryo è diventato un covo di vecchi smidollati. Anche io lo sono diventato. Non sono più pericolosi come una volta, per cui te lo devo chiedere: se sei interessato ad un po' di grana va a Soryo e ruba quei due manufatti e riportameli. Ah e non pensare di tenerli per te! Quella risuonò quasi come una vuota minaccia, ma chissà cosa intendeva dire. Per il tuo bene, non tentare di adoperarli. Torna con quei due manufatti e ti sgancio un bel po' di Ryo ok? Ormai sono solo vegliardi e rincoglioniti vivono a Soryo. Un giovane come te può farcela.





    Dopo Hinansho iniziava la scalata verso Soryo. La strada che si snodava per diversi chilometri sulla montagna curvava di continuo ed era costantemente in salita. Non una salita ripidisissima, fatta eccezione per alcuni tratti, ma era costante e sfiancante. Man mano che saliva inoltre Akira avrebbe notato la temperatura calare sempre di più così, dopo circa mezza giornata (senza alcuna traccia di Soryo) di cammino a velocità normale avrebbe iniziato a vedere il suo fiato condensarsi i nuvolette bianche davanti a lui.
    La strada giungeva dunque ad un bivio: a sinistra, indicato da un vecchio cartello, c'era la strada per Soryo. A destra si andava al passo di Akaga.
    La strada verso Soryo era evidentemente meno battuta: più stretta ed apparentemente sconnessa si inerpicava ancor più ripida sul fondo di una vallata tra due picchi molto vicini tra loro.
    La scalata non sarebbe terminata quel giorno.

    A meno di correre e non consumare tutte le sue energie ad un quarto della strada, Akira si sarebbe ben presto reso conto che era assai più conveniente camminare piano e con costanza. Il vento veniva accelerato dallo stretto passaggio tra i monti e soffiava gelido, congelando l'anima. Non era un bel posto. Diverse piante crescevano ai bordi delle strade e vi era persino un piccolissimo boschetto riparato. Dopo il boschetto però le pareti rocciose si facevano assai vicine alla strada e la vallata era così stretta che pur camminando tutta la notte non avrebbe incontrato ai suoi lati altro che roccia.

    Nel complesso ci volevano circa venti ore di cammino sul terreno duro ed accidentato per arrivare a Soryo. Alla fine le pareti si sarebbero allargate ed eccolo lì, il Monastero del Sangue. Si potevano vedere delle mura alte poco meno di tre metri, in solida muratura interrotte da un grosso cancello chiuso. Una campana ad uso dei visitatori stava al lato della porta, collegat ad una semplice corda.

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    Ciò che Akira poteva vedere ad una prima occhiata era però la vallata che lì aveva termine: l'erba cresceva rigogliosa tutto attorno e quando il sole illuminava la valle tutto sembrava incantato.
    La natura era incontaminata lì. Perché si chiamava il Monastero di Sangue allora?

     
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    Artefatti a Catinelle


    Bingo. E no, non mi riferivo alla possibilità di provarci con Maki.
    La bella donna, dopo essere arrossita, rispose tranquillamente alle mie domande. Sembrava che tutta quella sorveglianza fosse dovuta, principalmente alla vicinanza con Taki. Ma c'era qualcos'altro a turbarla evidentemente. E sembrava proprio fosse tutt'altro che preparata quella risposta, sospiro annesso. « Caos? A che caos ti riferisci? E in quale villaggio? » Chiesi incuriosito.


    [...]


    L'anziano tuttofare incominciò a raccontarmi la sua lunga storia. Da quel che diceva lui era il figlio della famosa kunoichi rappresentata dalla statua nella piazza, e anche lui, come la madre, sempre a suo dire, era in grado di creare dei potentissimi artefatti. Venendo al dunque, mi chiese di rubare dal Monastero del Sangue a Soryo due dei suoi meglio riusciti artefatti, che gli erano stati rubati a loro volta da quei monaci in passato. Secondo le sue informazioni anche i monaci erano diventati, oramai, anziani, e rubare quegli artefatti sarebbe stato un gioco da ragazzi per un giovane come me. Rubare per lui, ovviamente, non per me, infatti mi mise in guardia dall'utilizzare quegli artefatti. Un pugnale che beveva il sangue dei nemici e una spada che creava fulmini, dovevano essere sicuramente delle armi interessanti, ma a me non interessavano in alcun modo. Avevo iniziato quel viaggio con l'intento di riforgiare un altro artefatto, a cui ero ben più legato. Incrociai le braccia, e feci finta di pensarci un paio di minuti, mentre annuivo durante il racconto del vecchietto elettrico. « Quindi questi monaci sono proprio dei farabutti, eh? » Chiusi il mio pugno e lo sbattei sul palmo della mia mano aperta. « E allora va bene, non ti prometto niente, però se la tua storia è vera ti riporterò i tuoi manufatti! » Dissi in modo rassicurante. « Se sono veramente così smidollati come dici sarà un gioco da ragazzi! Cercherò di essere di ritorno in un massimo di 2 o 3 giorni... Tu preparati a sganciare questo bel sacchetto di Ryo! » Mica rischiavo di rubare degli oggetti da un posto chiamato Monastero del Sangue, da cui si diceva fosse originaria una donna che era in grado di creare potenti artefatti e, secondo le dicerie, una necrofila, solo per il mio buon senso civico. Con quei soldi sarei riuscito a ripagarmi tutte le spese del viaggio e, speravo, guadagnarci anche qualcosa. « Ah, prima che vado... » Sembrava che creatori di artefatti, in quella zona, crescessero come funghi, e la cosa mi sembrava abbastanza insolita. Anzi, mi puzzava proprio. « Sai per caso se c'è qualcun'altro, oltre a te, che sappia creare qualche artefatto del genere? Sarei in ricerca di una donna io... Ed uno come te sicuramente saprà se ci sono dei concorrenti in zona! »


    [...]


    La strada, a quel punto, diventava nettamente più affaticante e impervia da percorrere. Una lunghissima ed interminabile, per quanto costante, salita si snodava di fronte a me. E proseguiva a perdita d'occhio. Avevo iniziato il percorso da circa due ore che già stavo maledicendo quel luogo e la mia avidità, di ryo ed informazioni. Ma ormai ero in ballo, e non potevo fare molto altro.
    Giunsi dopo poco tempo al bivio che era presente anche sulla mappa. A destra sarei andato verso il passo di Akaga, a sinistra verso Soryo. Pensai un momento di fregarmene di tutto ed andare verso destra allo sbaraglio, senza informazioni, senza sapere quello che mi sarei potuto trovare davanti, e senza Ryo. Riuscii a tornare in me appena in tempo per scegliere la strada di sinistra. Ma, a quel punto, oltre che alla rocciosa strada, si aggiunse il vento. La temperatura sembrò calare drasticamente una volta imboccato lo stretto sentiero tra i monti. Decisi a quel punto di continuare camminando e non più correndo. La strada serpeggiava tra due picchi, e la pendenza non accennava a diminuire, anzi, sembrava proprio aumentasse. Il sentiero, evidentemente poco battuto, percorreva i fianchi di due montagne. Per ore camminai senza incontrare anima viva, e le uniche forme di vita presenti in quel posto sembravano essere la flora naturale del luogo, che cresceva quasi indisturbata sui cigli del sentiero. Con il passare delle ore cresceva la stanchezza, ma la temperatura calava più che proporzionalmente. Il freddo era talmente pungente che ti entrava nelle ossa e ti graffiava la carne. E con la notte la situazione non accennò sicuramente a migliorare. Per fortuna nella mia tracolla avevo un paio di magliette di ricambio che utilizzai per coprirmi il viso, eccezion fatta per gli occhi, e il collo, attorcigliandola sulle spalle intorno alla gola. Le mani erano perennemente all'interno delle tasche dei pantaloni, e gli occhi guardavano in basso, quasi non voler vedere quanta strada mancava ancora da compiere. In sostanza, fu una giornata tutt'altro che memorabile. Avanzai fino a quando non riuscii a trovare una piccola insenatura nella parete rocciosa alla mia destra, che mi riparava da gran parte del vento tagliente. Mi rannicchiai in quell'angoletto e tirai fuori il piccolo materassino che mi ero portato per il viaggio. Solo che, invece di metterlo tra me e il terreno, lo usai come riparo dal freddo e dall'umidità. Cercai di prendere sonno, o meglio, di riposare per qualche ora. Avrei ripreso la marcia all'alba.

    Dopo non so quante ore di viaggio, arrivai al vecchio Monastero di prima mattina accompagnato dalla luce del sole. Sembrava essere una struttura rettangolare, con delle mura alte poco meno di 3 metri che percorrevano l'intero perimetro e un grosso cancello chiuso con a lato una campana. La vallata, in quel punto, sembrava tutt'altro che quel luogo orribile che il nome del monastero poteva far immaginare. Il Monastero del Sangue, non riuscivo a immaginarmi del perché di quel nome, e non ero tanto sicuro di volerlo sapere. Però, non avevo altra scelta. Mi avvicinai al cancello e, con la mano sinistra, diedi due potenti tirate alla corda della campana, facendola rintoccare due volte. I gong furono ampliati nel suono dalla conformazione del luogo; sicuramente, per quanto vecchi fossero quei monaci, mi avrebbero sentito.

     
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    I Matsumoto



    Maki fece una faccia sorpresa con la più classica espressione di ma come non lo sai? Ma dove vivi, insomma! Qualche anno fa c'è stata una missione accademica a Taki, non so i dettagli ma è successo un caos tale...! Da quel giorno Taki è ostile verso di voi, non ti ci avventurare ragazzo, sul serio. Era evidente che la storia era ben più grossa della piccola trama del mondo nella quale si era immischiato. A Taki stavano succedendo cose ben più grosse e pericolose del normale.



    Oniji Matsumoto, alla domanda se "ci fossero altri" fece una faccia strada. Un'ombra incupì il suo sguardo, seguito da una rabbia che gli fece fare un movimento di scatto con la mano. Colpì il sacchetto di soldi con un colpo secco e fece un sospiro dispiaciuto Mi spiace. E' che l'altra persona è mia figlia e bé... non voglio parlare di lei, anche se volessi, sono quindici anni che non la vedo. E non importava quanto fosse convincente Akira, aveva detto la verità. Non sapeva più nulla di sua figlia da molto, molto molto tempo.



    Akira dovesse aspettare circa cinque minuti prima che la porta fosse aperta. Ci fu un cigolare mostruoso di cardini immobili da troppo tempo ed il pesante portone venne spostato da un vecchio con una folta barba grigia e grandi sopracciglia. Aveva uno sguardo antico. Non c'era aggettivo migliore per definire quell'uomo. Antico.



    oldman



    Parlò con voce vecchia, ma solida come il legno di una vecchia quercia. Indossava una tunica rossa ormai sbiadita e tra le dita stringeva un bastone nodoso dalla estremità superiore slargata. Strana è la venuta di visitatori da queste parti. Chi sei ragazzo. Cosa vuoi? domandò diretto. Ed Akira avrebbe fatto bene ad avere ottime argomentazioni per riuscire a penetrare all'interno del monastero dalla porta principale.

    Se avesse cercato indizi che potevano aiutarlo, non ne avrebbe trovati molti: tutto sembrava vecchio, quasi decadente, come se fosse trascurato da fin troppo tempo ormai. Non sembravano provenire voci dall'interno, ma tutta quella valle sembrava calata in un silenzio che sembrava innaturale. Akira aveva davvero poco in mano per riuscire a convincere l'uomo ad entrare. Eppure se avesse avuto l'ardire, poche parole potevano potarlo dentro assai rapidamente. Il segreto era osservare. Capire. Ed avere coraggio.

     
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    Rinnovata sarà la lama che fu spezzata

    Tentativi


    Avevo deciso che dovevo andarmene da quella locanda. Non era possibile che più continuavo a parlare con Maki, più vedevo le mie probabilità di uscire indenne da quella missione abbassarsi.
    A quanto pareva una missione accademica aveva raffreddato, per essere positivi, i rapporti tra quella serie di piccoli villaggi e Taki, ed il consiglio di Maki era una solo: non metterci piede. Purtroppo, i miei piedi avrebbero ben presto calpestato il territorio di Taki. « Ti ringrazio, Maki, sei stata gentilissima... E disponibilissima... Ci vediamo presto, o almeno lo spero... » Ammiccai nuovamente, quindi uscii dalla locanda, con la speranza di non uscire da Taki con le gambe davanti al corpo.

    Segreto svelato: nonna, padre e figlia. Ecco qui le tre generazioni al completo dei crea-artefatti. La figlia di Oniji Matsumoto era la ragazza che stavo cercando. Colei che poteva aiutarmi con Mizukami, colei che, eventualmente, avrebbe potuto insegnarmi la sua arte. O, in alternativa, avrebbe potrebbe uccidermi e abusare in chissà quale maniera del mio cadavere. Ma una cosa alla volta, meglio non pensarci. Se avessi pensato e collegato tutti i pezzi, probabilmente avrei fatto meglio a rimetter zaino in spalla e tornarmene a Kiri fischiettando tranquillamente. Ma non avevo fatto tutta quella strada per un fallimento di proporzioni epiche. « Capisco signor Oniji... Sappia solo che io sto cercando proprio sua figlia. Se al mio ritorno volesse che le recapitassi un messaggio o qualsiasi altra cosa, sono a disposizione... Ci pensi pure in questi giorni che starò via, mi farà sapere quando tornerò da lei con i suoi preziosissimi artefatti, va bene?» Detto questo sarei uscito dalla locanda e mi sarei incamminato per la mia via.


    [...]


    Aspettai fermo immobile per qualche manciata di minuti davanti al grosso portone del monastero. Stavo proprio pensando di incominciare a scavalcare le mura quando sentii un leggero rumore di cingoli provenire da dietro al portone. Il rumore di cigoli aumentò ben presto e, lentamente, il portone incominciò ad aprirsi verso l'interno. Dietro di esso c'era una mummia. O almeno pensavo fosse una mummia finché non incominciò a parlare. L'uomo anziano - a dir poco - che camminava grazie a un bastone di legno nodoso ed indossava una tunica rossa ormai logorata dal tempo quasi quanto il suo viso, aveva due folte sopracciglia e una ancor più folta barba bianca. La domanda fu secca: cosa volevo visto che mi spingevo in quel remoto posto? La domanda sembrava azzeccatissima, di sicuro non potevo raccontare di essere andato a funghi e di essere passato lì per caso. Chi si recava in quel luogo aveva sicuramente una valida motivazione. Ma quale sarebbe stata la risposta esatta? « Ehm... » Cercai di prendere qualche istante di tempo. Che cosa potevo dirgli? Cercai con lo sguardo di captare qualche informazione dall'interno del monastero, ma nulla: tutto appariva normalissimo, eccezion fatta per la solita usura del tempo su tutto quello che c'era lì dentro. Avrei potuto fare cenno alla figlia di Matsumoto? No, se quello che si diceva so fosse rivelato vero lei era scappata da quel posto e il padre li odiava e, probabilmente, loro odiavano lui altrettanto. Meglio non fare accenni a quella famiglia. Ma a cosa allora? « Io... » Il tempo stava per finire, dovevo dare una risposta. Alzai un sopracciglio e pronunciai una singola parola. Non suonava per niente bene, però non mi veniva nient'altro in mente. La mia voce fu flebile e, più che una risposta, sarebbe potuta apparire come una domanda. « ... Sangue...? » Tentai, incerto ma speranzoso.

     
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    L'idolo di Kami Senketsu



    Oniji non disse nulla. Non aveva più altri messaggi da recapitare a sua figlia. Non più ormai.





    L'uomo anziano fissò a lungo con sguardo inquisitore il giovinastro che gli si parava dinanzi, poi alzò lo sguardo al cielo e sospirò gravemente. Il peso dei suoi lunghi (davvero lunghi) parevano accumularsi sul suo viso affatto giovane. Per uno sciocco istante ho pensato che eri qui per unirti a noi ragazzo. Disse il vegliardo, stringendo con le lunga dita nodose il bastone legnoso. Immagino che tu sia qui per la Dea di Sangue, per venerare la meravigliosa Kami Senketsu. Avanti, seguimi.
    Con un tocco della mano aprì abbastanza il pesante portone per lasciar passare Akira salvo poi richiuderlo pesantemente alle spalle. Il cortile, straordinariamente ben curato, era vuoto fatta eccezione per piante, insetti ed un paio di cani che riposavano pigramente distesi di lato all'ombra. L'uomo camminò lungo il sentiero che attraversava il giardino e si portò presso il porticato. Lì aprì una porta e mostrò quella che era una grande stanza.
    Tra tutti i templi dedicati a Kami Senketsu il nostro è il più vecchio e remoto spiegò l'uomo, sponsorizzando vagamente la sua casa. Nel frattempo, ancora nessuno in vita. C'era un tempo, sempre qui a Kusa ma dall'altra parte del paese un Tempio. Il più grande e potente, i cui membri avevano dedicato tutta la loro vita a Kami Senketsu ed ai suoi doni in maniera molto più profonda rispetto a quanto si fa qui. Chi giunge qui però lo fa per vocazioni, nel tempio dell'est lo si faceva per costrizione: nati da donne senza volto, fecondate dai loro stessi fratelli, o padri, o zii che non sapevano chi si trovavano davanti. Nati in un tempio e costretti a vivere quella vita. Non mi sorprende che il seme della follia sia nato in loro e li abbia portati alla distruzione. Mentre parlava proseguivano camminando tra diverse stanze, con l'uomo che apriva continuamente porte scorrevoli finché non fece cenno ad Akira di fermarsi. L'ultima porta era di metallo, acciaio placcato in oro. Sulla sua superficie c'era scolpito un bassorilievo che raffigurava una donna inginocchiata col volto rivolto verso l'alto, in estasi. Le mani aperte e le braccia appena allargate lasciavano intendere che stesse provando un intenso piacere.
    Il che non sarebbe strano se la donna non avesse una spada conficcata nel petto.
    A lungo l'Idolo è vissuto nel tempio dell'Est. Ma ora è tornato qui, dove è stato creato. Inginocchiati dinanzi a Kami Senketsu, la Dea della Guerra l'uomo posò una mano sulla porta e senza che la spingesse essa si aprì. Venne rivelato un altare sul quale era presente una statua di puro oro raffigurante la stessa donna dipinta sul bassorilievo. Ed una spada, una vera spada dalla lama dorata, era conficcata nel suo petto.

    L'uomo si inginocchiò. L'idolo era luminoso, quasi abbagliante, ma non era l'unica cosa esposta su quell'altare. Sebbene la statua aurea occupasse la posizione d'onore sotto di essa - ai piedi dell'altare - in due teche di vetro riposavano due artefatti di aspetto pregiato. Se l'uomo avesse visto segni di interesse riguardo il pugnale di colore rosso cremisi ed il ninja-to dall'elsa finemente decorata da fulmini argentei, avrebbe parlato di loro.
    Sotto Kami Senketsu riposa suo figlio, Chinomu l'Ingordo a sinistra ed indicò il pugnale Ed il suo amante, Kaminari il Distruttore. La loro storia è travagliata, ma è con orgoglio che posso esporli nuovamente.
    Pessime parole per un ladro, no?

     
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    Non è tutto Oro quel che luccica


    Fortuna o coraggio? Chi lo sa, però ero riuscito a farcela. Ero dentro.
    « Certo, certo! E' la Dea di Sangue quella che sto cercando!» No, va bene. Era stata solo fortuna. Destino vuole, infatti, che all'interno di quel monastero sembrava esserci una specie di reliquia che aveva a che fare con il sangue. La fortuna premia gli audaci... Pensai, entrando nel monastero mentre il vecchio monaco chiudeva dietro di me il pesante portone. Troppo facilmente, a prima vista. Il cortile, comunque, era ben curato, sebbene deserto, eccezion fatta per un paio di cani e degli incuranti insetti. Attraversai il giardino, seguendo l'anziano con il bastone, mentre questo incominciò a narrarmi la strana storia di quel culto e dei suoi monasteri sparsi per tutto il paese, raccontando strane storie fatte di donne senza volto che venivano ingravidate da loro stessi parenti. Un posto perso nella follia, e quindi abbattuto dalla storia.
    Cercai di fingermi interessato, annuendo e facendo finta di ascoltare attentamente le parole del monaco. Entrati nella struttura, dopo aver superate diverse porte scorrevoli, arrivammo davanti ad una grossa porta in metallo, con quelli che sembravano essere proprio dei rilievi in oro. Non dovevano passarsela poi così male in quel vecchio tempio... Se non fosse per il fatto che incisa sulla porta c'era la figura di una donna che provava piacere con una spada conficcata nel petto. Tutto molto normale, insomma. « Chi è la donna lì raffigurata?» Chiesi.
    Dopo la risposta, cercai di agire, non sapendo cosa ci fosse dietro la porta, e approfittando del fatto che il monaco mi fece segno di restare fermo con la mano, mentre incominciò nuovamente a parlare, rimasi qualche metro di lui, e composi velocemente e in silenzio i sigilli, creando un clone d'acqua appena dietro l'ultima porta scorrevole che avevo superato. [Tecnica della Moltiplicazione Acquatica] [Tecnica Svincolata] Feci appena in tempo a concludere la tecnica, che la porta si aprì sospinta dalla vecchia mano. Il clone, al riparo dietro la porta. Immobile e silenzioso.
    O le porte sono tutte leggere, o questo vecchietto è ancora bello forte... Mi ricollegai anche a quanto ero accaduto poco prima nell'esterno del monastero. Ma i miei pensieri durarono ben poco, alla vista di uno splendente idolo raffigurante la stessa immagine che avevo precedentemente visto: completamente d'oro, sia spada che donna. « Wow...» Non avevo mai visto tanto oro tutto insieme. Se fossi stato un ladro, avevo appena trovato la mia gallina dalle uova d'oro, in tutti i sensi. Io però non ero un ladro. Cioè, forse sì, ma non così avido, e tutte le azioni che stavo per compiere erano solo per giustizia in nome di un povero anziano, o almeno così mi piaceva credere. Inoltre la storia del mondo era pieno di uomini che erano stati rovinati dalla loro avidità, ed io non avrei certo incominciato adesso. L'oro non poteva comprare quel che stavo cercando io.
    L'uomo mi chiese di inginocchiarmi e io, senza fare storie, lo imitai. Proprio mentre mi inginocchiavo notai i miei veri obiettivi: i due artefatti di Oniji. Entrambi ai piedi del brillante idolo. Chinomu l'Ingordo e Kaminari il Distruttore. Sicuramente avevano una bella fantasia. Fu allora che mi balenarono nella mente delle domande. « Signore, mi è in grado di dire chi è stato in grado di forgiare un tale artefatto?» Sapevo bene da dove venivano gli artefatti ai piedi della prima spada, ma di questa non sapevo nulla, oltre al fatto che era stata creata in quello stesso posto.
    Un'idea, però, me l'ero fatta anche da solo.

     
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    Le mezze verità



    Si dice che mezza verità sia anche mezza bugia. Alla domanda di Akira dunque l'uomo parlò con voce grave, ricordando eventi passati che mai avevano lenito il dolore dell'onta subita. In molti direbbero che Kami Senketsu, Chinomu e Kaminari siano doni del Cielo. Progetti divini donati da Kami Senketsu in persona. Oh, la mia fede è grande, ma non sono un cieco vecchio idiota... sebbene la mia vista ormai fatichi. Sospirò Ti vedo interessato ragazzo e non fingerò di non sapere perché sei qui. E qui ti ho condotto affinché tu compia una scelta. Che cosa centravano quelle parole con la domanda appena posta?
    Mi chiedi chi ha forgiato queste lame. Kami Senketsu è una lama antica, creata da Yui Matsumoto nella sua gioventù. Scorgi pure i suoi tratti scolpiti nell'oro: non è facile ma è così. Ella, incaricata dai miei predecessori di creare un artefatto straordinario ed una statua per contenerlo che si ispirasse ai nostri sacri testi mise il suo volto su Kami Senketsu. Quando vedemmo l'opera ed il bagliore dell'oro fu passato montammo in collera e chiedemmo un giusto risarcimento. Yui Matsumoto ci derise e così sconfitti attendemmo la sua fine. Non avremmo mai ucciso l'innocente gente del Villaggio per vendicare quel torto: la sua punzione la sta scontando nella sua vita. Quando ella morì chiedemmo ad Oniji suo figlio di risarcire i danni di sua madre. Egli era un uomo solo e codardo, con una figlia trovatella che non riusciva a crescere. Ci affidò sua figlia e ci promise che avrebbe riparato al torto di sua madre, pregando Kami Senketsu qui al tempio. E qui, ispirato dalla fede, creò Chinomu e Kaminari che nei nostri testi sono figlio e compagno della Dea.
    L'uomo fece un altro sospiro. Le dita si strinsero attorno al legno del bastone quasi fino a sbiancare. Evidentemente la parte più dolorosa della storia doveva ancora arrivare.
    Ne fummo convinti e considerammo il debito saldato. L'uomo passava qui ogni mese, venendo a trovare sua figlia, che cresceva nel rispetto delle leggi di questo luogo e nella fede della Dea. Finché un giorno lei andò via. L'uomo fece una pausa che durò a lungo. Doveva aver voluto bene a quella ragazza, poiché tra le ruga si poteva notare il dolore lancinante che ancora affligeva il suo cuore.
    Questa non è una prigione. È un luogo di preghiera. Siamo legati col Sangue a questo posto e ad esso siamo legati ovunque andiamo. Oniji non prese bene la notizia. Ci aveva affidato il suo tesoro più prezioso affinché lo proteggessimo e noi l'avevamo accettato sapendo che lui avrebbe ripagato il debito di sua madre finché la giovane fosse stata con noi. Ho provato a spiegargli più volte che è stata una sua scelta andar via, ma ha sempre creduto che una volta ottenuti i suoi artefatti avessimo perso interesse in lei e l'avessimo cacciata. Ce l'aveva offerta come ostaggio. Ma non l'abbiamo cacciata: è stata una sua scelta. Una sua scelta.
    Ripeté quell'ultima frase con costernazione.
    Oniji ci manda sempre ragazzotti impreparati su Kami Senketsu a sottrarci ciò che ritiene suo. Un giusto punto di vista. Aimé aveva un debito e l'ha saldato, l'affetto che sua figlia non prova nei suoi confronti non è affar nostro. So bene che tu sei qui per prendere ciò che Oniji ritiene suo, credo che sia così sciocco a tal punto? Sei solo il primo di una lunga lista. Sono estremamente dispiaicuto per Oniji, ma non è stata colpa nostra. E non è nemmeno colpa tua. Si avvicinò all'altare e sfiorò la pietra. Un cassetto di pietra uscì, come comandato da una forza estranea. Dentro c'era un pezzo d'oro puro che poteva pesare non più di dieci grammi.
    Dieci grammi di oro puro. Probabilmente valeva quanto la somma offerta da Oniji!
    Questo oro vale molto. E sono disposto a spenderlo per farla finita con questa maledetta faida tra il Tempio ed Oniji. Te lo offro se troverai la ragazza e la convincerai a tornare da Oniji. Sono vecchio, stanco, debole. Se volessi potresti riuscire a trovare un modo per rubare queste spade. Avanti, che decidi?
    In verità il mondo non era affatto un posto semplice. C'erano sempre mezze verità, mezze bugie ed azioni che non erano mai buone o cattive. Oniji era sinceramente convinto del torto subito. Quel vecchio monaco era sinceramente convinto di non aver fatto alcun torto. Dov'era la verità in quel mare di cose dette e non dette?

     
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    Rinnovata sarà la lama che fu spezzata

    Rivelazioni


    La domanda fu azzeccata. Quasi troppo a dir la verità.
    Avevo colto precisamente nel segno. Troppe coincidenze, troppe bugie, troppi falsi miti aleggiavano intorno a quella vicenda. Non potevano essere ignorati, non più. A furia di domande, mi feci largo nella verità. Probabilmente quella non era tutta la verità, ma sicuramente buona parte.
    L'anziano sapevo tutto, soprattutto il motivo della mia visita in quel luogo sperduto. Era stata la famigerata Yui Matsumoto a creare l'artefatto, prendendosi al contempo gioco dei monaci che, dopo anni, chiesero il conto ad Oniji il quale, un pò per codardia un pò per convenienza, creò per loro quei due artefatti e consegnò al culto della Kami Senketsu sua figlia. Lui riuscì a sdebitare il suo debito, la figlia no, e sebbene venisse ogni mese a trovarla questa, evidentemente risentita, un giorno lasciò il monastero. Senza un valido motivo, o almeno il monaco non me lo disse. Era ben visibile, però, anche senza che avesse detto niente a riguardo, il dolore sul suo volto.
    Anche lui, adesso, non mi sta dicendo tutto... Perché se ne sarà andata? Convincendomi nella mia testa che la noia non fosse una valida ragione.
    Non ero il primo ragazzo che Oniji cercava di mandare qui per recuperare i suoi artefatti, ormai solo per dispetto, e sicuramente non sarei stato l'ultimo se quella faida non fosse finita. Come ogni guerra che dura troppo tempo, i contendenti si scordano anche delle motivazioni, delle cause, dei risultati che queste portano nella vita di tutti. Un contenzioso nato solo per il cattivo gusto della famigerata Yui Matsumoto che, al contrario di tutte le grandi e belle voci che giravano sul suo conto, almeno in quel momento, non sembrava esser poi così degna da meritarsi una statua nella piazza principale di Hinansho. Non sapevo se la gente del luogo conoscesse quelle storie, anche se lo dubitavo fortemente, però non sarei stato io sicuramente a macchiare il buon nome di quella donna. La gente aveva sempre bisogno di qualcosa in cui credere.
    Ascoltai in silenzio tutto l'intervento dell'anziano monaco, arrivando perfino a far sciogliere il clone che avevo precedentemente creato. Di lottare non ce ne sarebbe stato bisogno. Anzi, forse avrei potuto fare solo delle buone azioni. L'uomo prese una bella manciata d'oro da un cassettino nascosto nell'altare: dubito fortemente che Oniji avrebbe potuto offrire di più del valore di quell'oro. Matsumoto non era veramente interessato ai manufatto, voleva solo provocare del dolore a dei monaci che ormai lo provavano e lo portavano con loro stessi da molto più tempo di quel che pensava. Rubare non rientrava nella mia indole, ma avrei potuto fare un'eccezione se fosse stato per un buon motivo; a quel punto, però, non avevo più nessuna voglia di derubare un povero vecchio. Soprattutto se la ricompensa ci sarebbe stata lo stesso.
    Ritrovare la ragazza e riportarla dal padre, tutto questo in cambio dell'oro. « Affare fatto! » Dissi, senza perdere tempo, mettendo l'oro al sicuro in una tasca interna della mia giacca. « Vecchio monaco, dopotutto sei una brava persona. Ti aiuterò, anche perché io stesso sto cercando quella ragazza... » Feci una piccola paura. « Che porta il nome di? » Dopo tanto tempo che la stavo cercando, mi resi solo adesso conto di non conoscerne il nome. « Detto questo, mi sai dire attualmente dove opera? Da qui adesso mi sarei mosso verso Sakane, attraverso il passo di Akaga... E' la via più breve? » Chiesi, prima di salutare e congedarmi dal monaco se questo non mi avesse rivelato una, seppur improbabile, strada più breve. « Parola di Akira Hozuki da Kirigakure, la faida tra questo tempio e i Matsumoto finisce oggi con la mia promessa. » Il viaggio di ritorno sarebbe stato pesante, seppur molto più leggero rispetto l'interminabile salita dell'andata. Il tempo di percorrenza sarebbe stato sicuramente inferiore, ma decisi lo stesso di non correre troppo; un passo celere sarebbe bastato. La sosta notturna sarebbe avvenuta nel piccolo boschetto che avevo visto all'andata, così da ripararmi dal vento gelido. Una volta disceso non avrei fatto sosta a Hinansho, ma sarei continuato dritto verso il passo di Akaga.
    Non chiedetti all'uomo il motivo del perché la ragazza se ne fosse andata da quel posto. Le ferite, dalla sua espressione mentre ne parlava, dovevano essere ancora aperte.
    Era giunto il momento di chiuderle.

     
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    Rinnovata sarà la lama che fu spezzata

    Hyori Matsumoto



    L'uomo annuì alle richiese del ragazzo, sapendo che il viaggio per la via presso Akaga e giù verso Taki non sarebbe stato affatto facile. Puoi tentare di scalare il fianco della montagna se sei pazzo e ci tieni poco alla vita. Sennò il passo di Akaga rimane l'unica possibilità di percorrere a piedi la strada fino a Sakane. poi, con calma risposte alla domanda sul nome della ragazza, rimembrandone il viso e l'allegria di un tempo.
    Hyori. Il suo nome era Hyori.




    Il viaggio di ritorno fino al bivio sarebbe stato meno duro dell'andata. La strada in discesa ed il graduale miglioramento delle condizioni climatiche, nonché il solito senso che riduce la percezione del tempo passato quando si torna indietro percorrendo la stessa lunga strada, avrebbero reso il viaggio decisamente più piacevole. Ma era una mera consolazione: il passo di Akaga. Il passo della Zanna Rossa.
    Akaga era il monte più alto di Taki ed il passo si inerpicava su di esso fino a metà della sua altezza. La strada diveniva sempre più gelida man mano che saliva verso l'alto e si dirigeva a nord finché non avrebbe trovato addirittura la neve perenne ad ostacolare il suo cammino. Impiegando tutte le sue forza Akira ci avrebbe messo non meno di un giorno intero senza riposo per scendere il passo fino a Sakane.
    Fortunatamente la via era battuta: c'era legna in abbondanza ai lati delle strade grazie a foreste che nascevano inerpicate sui lati poco ripidi della montagna e le foreste stesse erano un buon riparo.
    Sarebbe stata dura, ma alla fine quando la discesa avrebbe avuto inizio avrebbe potuto vedere in lontananza un limpido lago di grosse dimensioni con un mucchio di case vicino ad una riva. Aveva la forma allungata con l'estremità meridionale (dove riposava Sakane) un po' ristretta e man mano che scendeva il villaggio si arricchiva di diversi dettagli. C'erano molte case, per lo più in legna, disposte in file ordinate. I moli di legno del porticciolo avevano diverse navi all'ancora ma molte erano nel lago per la pesca.
    Il villaggio non aveva mura, per cui Akira avrebbe avuto libero accesso all'interno dello stesso.

    I cittadini di Sakane erano gente molto sospettosa. Vedevano qualsiasi straniero con occhi distante ed analitico e la loro indole curiosa li portava spesso a chiedersi il perché di una visita. Tuttavia era un villaggio di pescatori molto isolato, dove la cultura non regnava sovrana. Solo una manciata di persone sarebbe stata in grado di giungere a conclusioni logiche; gli altri, con stile bifolco, avrebbero potuto immaginale le cose peggiore di Akira... senza nemmeno avvicinarsi lontanamente alla verità.

    Chiedendo in giro avrebbe però ottenuto qualche informazione sul luogo. C'era una locanda che raccoglieva gli estranei per la notte ed un paio di locali dove la gente andava ad ubriacarsi. Il Suibara, un posto frequentato da pescatori e la più malfamata Bettola (così si chiamava) che raccoglieva poveri cristi ai quali vendeva alcool a basso costo.
    Se avesse chiesto di Hyori, nessuno gli avrebbe risposto. Anzi, l'avrebbero cacciato intimandogli di non farsi vedere. Evidentemente lì a Sakane qualcuno sapeva di Hyori.





    Scegli tu cosa ti da il vecchio, ma non puoi chiedere armi.
    Scegli tu dove andare. Mi raccomando, le interazioni che avrai liberamente con la gente del posto influenzeranno cosa accadrà dopo.
     
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    Rinnovata sarà la lama che fu spezzata

    La fredda strada per il progresso


    La domanda fu alquanto retorica. La strada era una sola, e niente mi avrebbe risparmiato da un'altra pesante salita. Sempre se non avessi voluto gettare via la mia vita lanciandomi dalla montagna.
    L'anziano fu però così gentile da darmi un buon numero di rifornimenti, al fine che io potessi superare i circa 3 giorni di viaggio che mi avrebbero permesso di arrivare a Sakane senza dover passare nuovamente da Hinansho. Insieme a questi, una vecchia e spessa coperta di lana grezza, uno sciarpone, dei guanti ed un paio di vecchie ed impolverate ciaspole. « E con queste che ci dovrei fare? Mica passo per Genosha... » Il monaco disse di fidarmi: anche se il monastero si trovava ad una quota nettamente inferiore rispetto al passo di Akaga, d'inverno le nevicate erano tutt'altro che insolite, ed era solo grazie a quelle racchette da neve che, almeno da giovane, riusciva ad arrivare fino ad Hinansho per prendere i vettovagliamenti necessari a sopravvivere all'inverno. Adesso, con l'avanzare dell'età, quelle non gli erano più di nessuna utilità. A quanto pare, sarebbero state nettamente più utili a me. Inoltre, mi fece la cortesia di farmi un ulteriore dono: il nome della donna era Hyori. Salutai e ringraziai l'uomo ancora una volta, quindi incominciai la discesa.
    Come annunciato, la strada di ritorno fu nettamente più leggera, e anche più rapida, rispetto all'andata. Le temperature erano sempre rigide, ed approfittai per questo fin da subito dei regali del monaco per proteggermi dal vento tagliente e dal freddo secco della sera, facendo sosta nell'unico piccolo boschetto che avevo già oltrepassato all'andata. In meno di un giorno di viaggio, considerando che partii il pomeriggio e non la mattina, ero tornato al fantomatico bivio: questa volta alla mia destra avevo la strada per Hinansho, alla sinistra la lunga salita per il passo di Akaga.
    Guardai il cielo, il sole era ancora alto, forse avevo superato da poco mezzogiorno, avevo ancora tante ore di luce da sfruttare. Decisi di non perdere tempo, incamminandomi subito per il serpeggiante sentiero tortuoso. Anche questo come quello che avevo già percorso, quasi come se fosse un deja vù, si snodava attraverso la nuda roccia della montagna di Akaga, che domani tra le altre vette, guardandole dall'alto tale era la sua maestosità. La pendenza era, tuttavia, quasi speculare all'altro percorso, forse per via della maggiore estensione della montagna e, quindi, della strada. In poco tempo ritornai ad ammirare il grigio e bruno paesaggio montano rispetto al rigoglioso verde che predominava nella valle. Ed, insieme al paesaggio, anche la temperatura si fece via via sempre più rigida. Fu dopo circa 4 ore di cammino che, insieme col venire del meriggio, incominciai a ringraziare veramente l'anziano monaco e i suoi consigli. Il vento che tirava in quel passo montano non aveva niente a che vedere con quello che soffiava nella strada per il monastero. Se quello era pungente, questo sarebbe stato capace di tagliare la carne nuda, fino a penetrare nelle ossa. Indossai nuovamente sciarpa e guanti, tirandomi più su che potevo la maglietta così da limitare l'entrata nei vestiti del freddo. Continuai a camminare finché pensai di non aver sbagliato strada: i miei piedi stavano affondando nella neve. « Forse non avevo ben presente il percorso, prima di partire... » Pensai ad alta voce, quasi confidandomi ad uno spirito invisibile. Ancora una volta, il mio sacro amico mi venne in aiuto. Presi dalla tracolla le vecchie racchette da neve in legno, e le misi una per piede, fissandole ben strette. Da quel che potevo capire guardandomi intorno, dovevo essere arrivato circa a metà strada, e con ancora un paio di ore di luce, seppur fioca, davanti a me non volevo perdere ulteriore tempo. Neanche ricordavo da quanto tempo, ormai, ero partito per quella folle avventura solitaria, e Kiri ormai incominciava a mancarmi. La sosta per la notte ci sarebbe stata solo quando la neve fosse terminata, decisi nella mia mente, quindi aumentai leggermente il passo; seppur goffo e imbranato con le ciaspole, sicuramente era meglio che finire dentro alla neve dopo ogni passo. Il tempo passò velocemente, o forse fu semplicemente nella mia testa, ormai estraniata dal corpo che andava avanti quasi per inerzia, fatto che sta che, proprio mentre l'ultimo barlume di luce scompariva dietro a degli altri monti in lontananza e il buio totale calava su quei luoghi, tornai a camminare sulla nuda terra. Esausto e tramortito dall'interminabile salita, cercai il primo boschetto riparato al lato del sentiero, ficcandomi in mezzo a degli alberi. Con il fuuma kunai tagliai velocemente qualche ramo più piccolo, poi un paio di rami grossi, ed infine straccai un bel pò di cespugli e di piante rampicanti lungo il fianco della montagna che costeggiava il boschetto. Con questi feci un piccolo falò per la notte, aiutandomi con una pietra focaia e i rami più secchi, e dopo aver consumato un lauto pasto a base di carne secca, frutta e del pane, tirai fuori la grossa e pesante coperta di lana e mi ci ficcai letteralmente dentro. A quel punto, mi lasciai andare tra le braccia di Morfeo, con il tiepido calore del fuoco al mio fianco che spezzava il gelido vento della notte.


    [...]


    Mi svegliai abbastanza presto, insieme alle prime luci dell'alba, e dopo aver spento quel poco che restava del fuoco ed aver consumato la frutta che mi rimaneva, sistemai il tutto e mi rimisi in marcia. Fu solo quando ritornai sulla strada che notai quel che non riuscii a vedere con il buio il giorno prima: in lontananza, nella valle, uno splendente lago si snodava ai piedi delle montagne, e a ridosso di questo, un gran numero di abitazioni in legno si potevano scorgere fin dalla sommità di Akaga. Rincuorato dal fatto che finalmente riuscivo a vedere con i miei occhi la destinazione finale - o almeno speravo - del mio viaggio, cominciai la discesa della montagna con il cuore e la testa più leggeri. Ci volle, però, quasi un ulteriore giorno di viaggio per completare la traversata. Saranno state infatti, all'incirca, le 18 quando arrivai a intravedere, a poche centinaia di metri da me, le prime case in legno di Sakane. Man mano che mi avvicinavo verso il centro del villaggio, fortunatamente sprovvisto di mura o palizzate di qualsiasi genere, potei notare come le persone, per lo più pescatori o contadini, o comunque bifolchi, mi guardavano con fare inquisitorio.
    Sarà per il colore dei miei capelli? Mi domandai. Improbabile. Sarà perché non vedevano nei viaggiatori nient'altro che una fonte di guai per il tranquillo villaggio? Probabile.
    Riuscii, quantomeno, ad ottenere qualche nome di luoghi comuni del posto da una distante donna che trovai per la strada, che sembrò rispondermi più per togliermi dai piedi che per cortesia: la Bettola, di nome e di fatto, il Suibara, un locale per i pescatori, e una vecchia locanda per i viaggiatori.
    Da quale incominciare? La locanda sarebbe stata sicuramente l'ultima tappa del mini-tour, così da poter passare almeno una notte di risposo prima di riprendere le ricerche se queste non fossero andate prima a buon fine. Una cosa, però, era sicura. Se fossi rimasto conciato così, ben poche persone avrebbero voluto parlare con me. Cercai un posto dove appartarmi, lontano da occhi indiscreti, quindi usai la Tecnica della Trasformazione per mutare il mio aspetto. Del un giovane ragazzo dai capelli blu e un ciuffo albino, non rimase niente. Al suo posto entrò in scena un uomo sulla trentina, con un grosso naso rosso, due folte sopracciglia, dei capelli neri lunghi fino al collo e vestito quasi di stracci di color marrone.
    L'odore da barbone, però, non lo imito... La dignità prima di tutto.
    Con quella trasformazione decisi quindi di incominciare la ricerca di Hyori dal locale più in del villaggio: la famigerata Bettola. Entrai nella locanda, che si trovava in una via secondaria della città, sebbene non lontana dal centro. Era un luogo angusto, viscido, e a quell'ora già pullulava di ubriaconi, sporchi e molesti. Mai uso della trasformazione fu più azzeccata. Sembravo essere veramente una persona del luogo. Adesso però veniva il bello. Da dove partire per la ricerca della donna? Se veramente Hyori era così pericolosa come dicevano le voci, se fosse arrivato al suo orecchio una voce sbagliata da parte di una persona sbagliata, riguardo al fatto che qualcuno la stava cercando, le cose potevano anche non mettersi bene. Decisi quindi di puntare su chi raramente tradiva la fiducia di qualcuno che si dimostrava loro amico, offrendogli ovviamente da bere: gli ubriachi. Adocchiai subito un paio di uomini al bancone intenti a bere un'intensa bevanda di non so bene cosa, paonazzi in viso e ben sorridenti. Mi avvicinai a loro, fingendomi ubriaco fin dalla camminata, urtando un paio di sgabelli. « Un altro paio di... Di quelle cose ai miei amici! Slurp! » Dissi ad alta voce, inserendomi tra i due uomini e facendo il gesto del numero "3" all'oste poco lontano. « Tre ovviamente con il mio! Offro io il giro! » Aspettai che arrivassero i bicchieri prima di continuare, « E adesso br-brindiamo! A chi è come noi! A chi nella vita sua non farà mai un cazzo oltre a bere! » E buttai giù tutto d'un sorso il liquore. O la benzina. « D'altronde qui che altro possiamo fa-fare? Tirare a campare e bere! La vita è sempre la stessa per tut-ti-ti qui! Si sopravvive! Mai una novità! Mai un brivido! » Cercai di gettare l'esca, forse partendo da un pò troppo lontano. Nel caso i miei nuovi amici non avessero abboccato, avrei rincuorato la dose. « O magari dovremmo dire grazie alla ragazza per quel poco di novità che è riuscita a portare qui... » Questa volta fui molto più indiretto. Nel caso avessi percepito qualcosa di strano nelle espressioni o nelle parole dei due uomini, sarei uscito dalla locanda con la scusa di andare a pisciare, quindi avrei sciolto velocemente la tecnica della trasformazione per evitare eventuali brutte conseguenze. In qualunque caso, avrei dovuto innescare un qualcosa, e da quel qualcosa avrei avuto ulteriori informazioni per poi procedere ulteriormente le mie ricerche, al Suibara o alla locanda. O magari avrei attirato la sua attenzione su di me.
    Sperando che l'attirassi più da vivo che da morto.

     
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    Rinnovata sarà la lama che fu spezzata

    La Volpe del Lago



    La scenata di Akira ebbe un certo effetto. In molti lo ringraziarono per il giro che aveva offerto, uomini disperati dalle papille gustative ormai arse dal liquore che ingurgitavano ed il fegato spappolato e prossimo alle premature dimissioni dal ruolo. Uno degli uomini al bancone, un'uomo di mezza età con una giacca malandata ed il naso rosso pieno di vene letteralmente esplose alzò la mano con il dito indice protruso, quasi con fare saccente.
    Iooo non ti ho mai visto qui. Tu non ti ricorderesti nemmeno tua moglie se decidesse di trombarti di nuovo. Sei andato! Ah, hai ragione. Per questo che se ne è andata. Ahahahaha.
    In molti risero. L'altro che aveva risposto era un ragazzo sui trent'anni vestito di nero. Fumava una sigaretta con assoluta calma e lanciò un'occhiata ad Akira lunga ed inquisitoria.
    Hai ragione, la cara Artista ci ha portato un sacco di novità. Soffiò il fumo E di guai. Ma che ne volete sapere voi, maledetti briaconi del cazzo.
    In tutta risposta risero ancora. L'uomo in nero lasciò una banconota sul tavolo e si accese una seconda sigaretta, uscendo dalla porta principale.


    Se Akira avesse deciso di seguirlo avrebbe notato come l'uomo spesso si voltava ad osservarsi le spalle. Si muoveva velocemente e fin troppo fluidamente per essere sotto il flusso dell'alcool. Si inoltrò nelle stradine della città ed a meno che Akira non avesse causato qualche rumore avrebbe potuto seguirlo tranquillamente. Fumava senza sosta, nervosamente.
    Alla fine si fermò dinanzi la porta di una casa identica alle altre: in legno, ben piantata, nemmeno così nuova. Bussò più volte, finché non si udirono rumori di catene che venivano spostate. La porta si aprì, una luce rossastra proveniva dal suo interno. Ad aprire era stata una donna vestita succintamente.
    Molto succintamente.

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    Oh, Masashi. disse la donna, appena sorpresa di vederlo. Che ci fai qui?
    Sono qui per Hina. Dimmi che c'è. Masashi, smettila ti prego. Hina non vuole vederti. Masashi digrignò i denti, quasi furiosamente.
    Ma perché cazzo deve ridursi a far questo! La donna fece una faccia triste, dunque mollò un ceffone all'uomo. Oh, immagino di essermelo meritato.
    Hina-chan lo fa per te. Che fratello ingrato, capace di spappolarsi il fegato alla Bettola ogni sera mentre sua sorella vende il suo corpo per ripagare il suo debito. Masashi sputò per terra.
    Non glie l'ho di certo chiesto. Fammi parlare con lei, me la vedrò io a ripagare l'Artista. La donna sospirò.
    Hina mi ha chiesto di ignorare questa tua richiesta, ed intendo farlo. Va via Masashi e ringrazia tutti i Kami di avere una sorella che è disposta a guadagnare Ryo così solo per evitare che il suo fratello deficente venga ucciso o peggio. e chiuse la porta.
    Masashi imprecò e batté i pugni contro il legno, chiamando più volte il nome di Hina ma arresosi dopo un po' girò i tacchi ed andò via, lento e sconsolato.
     
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    Rinnovata sarà la lama che fu spezzata

    Artista... dei Ricatti?


    Offri da bere a degli uomini e sicuramente non gli risulterai mai antipatico.
    Gli uomini al bancone sembravano aver più che apprezzato il mio gesto. Ora capivo da cosa veniva tale euforia. Se stavano bevendo quel liquore dalla mattina era facilmente comprensibile, anzi, mi sembrava strano che ne avessero ancora per bere. Eppure, anche se immersi nell'alcool, capii proprio quanto poteva essere isolato quel posto quando un uomo avanzò l'ipotesi di non avermi mai visto prima in città. Non parlai nemmeno, al mio posto ci pensò un uomo sulla trentina, vestito completamente di scuro, il quale rispose poi, seppur non approfonditamente alle mie domande. L'Artista. A quanto pareva era quello il nome con cui era conosciuto la mia tanto cara ragazza prodigio. Ma non era tutto: oltre a novità, aveva portato anche guai. Almeno all'uomo di nero vestito che, terminato di pronunciare quelle parole, uscì dalla Bettola. « Ma che ne sappiamo noi! Siamo solo degli 'mbriaconi! Ahahahah! » Fomentai ancor di più le risate. « E da bravo ubriacone, vado a fare una pisciata! Non scappate voi eh! Ahahah!. » Col cavolo che avrei pagato il conto: le mie intenzioni erano ben altre.

    Uscii dalla bettola ed osservai l'uomo accendersi un'altra sigaretta mentre, con i tipici movimenti ondulatori di un ubriaco, feci finta di spostarmi sul retro per andare ad espellere i fluidi corporei. Con un occhio vigile, appeni vidi l'uomo incamminarsi, sciolsi la mia trasformazione ed incominciai a seguire l'uomo da una buona distanza. Il comportamento era però fin troppo strano: sembrava essere troppo nervoso e troppo poco ubriaco. Con frequenza quasi regolare controllava di non essere seguito da nessuno, ma per fortuna una vita passata nel Villaggio della Nebbia mi aveva insegnato ad essere più cauto di quel che ci si poteva aspettare, oltre al fatto che, senza la tecnica della trasformazione attiva, il mio aspetto era a lui completamente sconosciuto. [Furtività (Base)] Tenendomi sempre a debita distanza, ed aiutato dalle strade irregolari del villaggio, che formavano numerosi vicoletti e punti ciechi di passaggio, oltre alla scia lasciata dal suo fumo, seguire il nevrotico vestito di scuro fu tutt'altro che difficile.

    In pochi minuti di cammino a buon passo, l'uomo si arrestò dinanzi ad una casa uguale a molte altre. Se le ragazze che abitavano quelle case erano uguali quanto le loro dimore, mi sarei sicuramente trasferito in quel luogo. Sull'uscio della porta, una ragazza più che graziosa in abiti succinti, incominciò una concitata discussione con Masashi, il fumatore, che terminò ben presto con tanto di schiaffo annesso. Non riuscii a sentire bene tutte le parole, ma sembrava che la sorella di Masashi, una certa Hina, si rifiutava di vedere il fratello dopo che questo si era cacciato nei guai con l'Artista. La povera Hina era costretta a vendersi per evitare il peggio a suo fratello. Terminata la discussione, l'uomo incominciò ad allontanarsi.

    Cosa fare? Seguire l'uomo o cercare di parlare con la sorella? Il cuore, ancora una volta, vinse contro la testa. Il richiamo del gentil sesso era troppo forte. In men che non si dica, già stavo bussando alla porta della casetta in legno. Quando e se la porta si fosse aperta, la richiesta sarebbe stata una sola. « Ciao cara... Starei cercando Hina. » Se fossi riuscito ad entrare e vedere Hina, una volta soli, avrei cercato subito di prendere l'iniziativa. « Hina, purtroppo, e credimi, dico purtroppo, non sono qui per quello che pensi te. Sono qui per aiutare te e tuo fratello. Sto cercando l'Artista... Dimmi qualsiasi cosa... Puoi aiutarmi? » Dissi, andando a toccare le sue spalle con entrambi le mani e guardandola negli occhi profondamente.
    Speravo proprio di si.

     
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    Il covo dell'Artista



    La donna che aprì apparve seccata, ma si rilassò quando vide che l'uomo che le si parava dinanzi non era lo scocciatore disperato che aveva cacciato poc'anzi. Fece un sorriso languido affinato con l'esperienza e passò una mano sul volto di Akira, passandola poi sul suo petto. Hina dici? È occupata ora, ma abbiamo altre splendide ragazze in grado di soddisfare qualsiasi tuo desiderio. Se Akira avesse rifiutato la donna avrebbe alzato le sopracciglia sorpresa.
    Oh, capisco. Aspetta allora. Fece un sorriso che forse apparve un po' sinistro e fece accomodare l'Hozuki su comode poltrone morbide foderate di satin rosso. Passarono venti minuti buoni conditi da botte contro il muro, gemiti di donne esagerati e gemiti di uomini sicuramente più sinceri. Ad un certo punto si udì una porta aprirsi al piano di sopra ed una voce soffusa provenire da lì.
    Splendida come sempre, Hina-chan. Un vero piacere rispose una voce languida.
    L'uomo scese le scale e passò dinanzi ad Akira senza nemmeno guardarlo, decisamente soddisfatto. Doveva avere cinquant'anni ed era muscoloso ma di bell'aspetto, con la pelle arsa dal sole e dal vento. Indubbiamente un marinaio.
    Ragazzo, Hina-chan è libera. disse quella che evidentemente era la matrona di quel posto.

    Una volta nella camera Akira non avrebbe trovato Hina, intenta a lavarsi di dosso il sudore e l'odore del precedente cliente. Un momento tesoro! disse la donna e dopo cinque minuti uscì. Era un angelo dai capelli biondi, quasi platino. Gli occhi azzurri irradiavano innocenza e le lentiggini che le coloravano il viso le davano un'aria angelica che rendeva impossibile credere che fosse una prostituta.
    Eccomi qui caro... disse avvicinandosi piano ad Akira. Il quale si dimostrò tutt'altro che propenso ai suoi servigi.
    L'Artista? Per tutti i Kami, che centra quella donna ora? i suoi occhi si riempirono di lacrime. Oh, avrai parlato con mio fratello. Un brav'uomo tutto sommato, certo, ama bere ma non ha creato mai problemi. L'Artista l'aveva incaricato di recuperare un pezzo di un certo metallo dal fondo del lago - mio fratello fa questo genere di lavori di recupero - e lui ottenutolo ha ben pensato di venderlo, viso che l'acquirente offriva circa due volte quanto offrisse l'Artista per il recupero. Sì è sentito ingannato! sospirò Lei ora gli chiede quel metallo, o la somma per acquistarlo. Ed il compratore lo rivede a dieci volte tanto ora... sono Seicentomila Ryo! scosse il capo, dunque da quella sua bocca angelica uscì una volgarità vera e propria, frutta della frustrazione che stava provando Dovrò aprire le gambe altre migliaia di volte almeno! Mio fratello non vuole, lui non vuole, ma l'Artista è pericolosa e non voglio che muoia... Comunque, dubito che tu possa aiutarci e ti consiglio di metterti nei guai con lei. Ma se vuoi provare a piantarle un coltello in gola eviterò di farmi piantare cazzi altrui dentro. Altra volgarità.
    Forse Hina-chan era semplicemente meno angelica di quanto il suo aspetto lasciasse intendere.
    Va fuori il villaggio, verso nord. Circa due chilometri, troverai una villa. Lì sta condicendo i suoi affari.


    Una volta fuori dal bordello Akira non avrebbe potuto notare una figura oscura che lo seguiva ad una certa distanza e che l'avrebbe seguito fino a destinazione. La villa era costruita in riva al lago su un crinale alto una trentina di metri. Aveva un'inferriata nera e spartana. Dalle finestre non si vedevano luci ed attorno sembrava non esserci nessuno.
    Sembrava.
    Dal suolo all'improvviso comparve un figuro al di la del cancello. Era grosso, nerboruto e pelato. Indossava solo un paio di pantaloni marziali ed il suo torso era atletico come quello di una statua. Il suo occhio destro ero bianco, privo di pupilla e tutta la parte destra del suo viso rovinata da un'orrdina e larga cicatrice.
    Chi sei. Cosa vuoi. Avanti. E sii sincero. O sei qui per affari o smamma, non ci interessa di altro. la sua voce era ruvida, pericolosa. Non aveva armi in vista ma sembrava essere il genere di uomo in grado di far male solo con le sue mani.
    Nel mentre, nascosto dalla rada vegetazione a qualche decina di metri di distanza, l'oscuro figuro continuava ad osservare la scena.

    Ad Akira la parola.
     
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    Rinnovata sarà la lama che fu spezzata

    Angeli e Demoni


    Quel posto stava cercando di minare tutta la strada che avevo faticosamente percorso. Le mie certezze, il mio denaro.
    La mano della ragazza sfiorò leggermente il mio viso, poi passò sul suo petto, muovendo con se la morbida, e poca, seta che lo copriva. Santo cielo, stavo per sentirmi male. « No, no... Vorrei Hina...» Risposi in un sussulto, paonazzo in volto.
    In verità vorrei te. Anzi, anche te. O qualsiasi altra ragazza lì dentro. O una sedia, si andava bene anche una sedia in quel momento. Pensai, mentre la donna mi fece segno di entrare. Mi accomodai su una morbida poltrona color rosso, in perfetto abbinamento con il resto dell'arredamento. Sprofondai nella sedia, chiudendo gli occhi e facendo finta di non ascoltare tutti i rumori che provenivano dalle stanze adiacenti o meno. Poggiai la testa nelle mani aperte, cercando di pensare a tutt'altro, ma con scarsissimi risultati. Più tempo passava, e più l'uomo che era in me prendeva il sopravvento. Per fortuna il tempo sembrò passarmi velocemente, e la camera di Hina si liberò. L'uomo che era stato occupato con lei fino a quel momento scese le scale, senza badare troppo a me. Era un uomo anziano molto abbronzato, ma ancora in forze e salute: sicuramente, malgrado la sua età, non aveva niente da invidiare a un uomo più giovane. Lo guardai per qualche istante, prima che la matrona mi richiamò, annunciando che Hina era finalmente disponibile. Salii le scale ed entrai nella sua stanza, richiudendo la porta dietro di me. Da una piccola stanzetta a destra, da cui sentivo provenire del rumore d'acqua che scorreva, Hina si stava rinfrescando per essere linda e pinta per il prossimo cliente. Purtroppo, non sarei stato io. « Tranquilla, cara, ti aspetto qui... » Dissi, mentre mi appoggiavo sul letto semi sfatto. Respirai profondamente, non sarebbe stata una passeggiata.
    Si rivelò essere, però, perfino più dura del previsto. Hina non era una ragazza. Era la ragazza. Un angelo in un mondo di mortali e peccatori. Occhi color del mare e capelli che avrebbero fatto invidia al sole stesso. « Per tutti i kami... » Esclamai, a bassa voce, estasiato, mentre tutte le mie forme maschili si risvegliavano dal torpore. « Non sai quanto mi dispiace non essere qui per questo... » Misi una mano sotto il cuore, toccando l'oro che avevo rigorosamente riposto in una cucitura interna della maglietta, tentato da tirarglielo contro, prenderla e farla mia fino alla sera. Ancora non so come riuscii a trattenermi dal farlo. Hina, dopo un momento di debolezza, in cui i suoi occhi si inumidirono di lacrime, sembrò riprendersi e mi raccontò la sua storia, e quella di suo fratello. Lo sciocco si era fatto abbindolare da un mercante che aveva comprato del metallo che aveva recuperato per l'Artista e, adesso, gli chiedeva dieci volte tanto per riaverlo. L'Artista, a sua volta, si sentiva giustamente in credito nei suoi confronti. Una spiacevole situazione, e Hina non mancò certo di farlo presente senza mezzi termini. Se mai fossi tornato in quel posto, mi sarei dovuto ricordare di chiederle di non parlare troppo. La volgarità offendeva tanta bellezza. « Capisco, Hina... No, non ho intenzione di fare del male all'Artista... » Anche perché non pensavo affatto di esserne in grado. « Ma la sto cercando e, quando la troverò, cercherò di ripianare la vostra situazione. Grazie per le informazioni, tesoro. Ultima cosa, questo strozzino di un mercante a cui tuo fratello ha venduto questo metallo, dove si trova esattamente? » Non ero intenzionato, almeno per il momento, ad andare a recuperare tale metallo, ma pensai che in qualche modo mi sarebbe potuto essere utile in un futuro. Era comunque un'informazione aggiuntiva se mai ne avessi avuto bisogno. « Mio splendore, adesso vado... » Le presi le mani e le baciai delicatamente. « Quanto mi piacerebbe portarti via di qui, purtroppo il destino è crudele! » Esclamai, esasperando un pò. La bellezza non era tutto nella Hina: una donna da una notte o poco più. Una gran notte, ma per una vita non sarebbe bastata.

    Uscito dal bordello, intrapresi la strada del villaggio che portava a nord, direzione del lago. Le strutture del villaggio terminavano un chilometro abbondante prima della villa dove sembrava avere il covo l'Artista. Si era fatta una gran fama nel villaggio, e sembrava essere veramente pericolosa se arrabbiata, ma, per fortuna, di strane storie riguardo cadaveri, almeno lì a Sakane, non sembravano esserci. Dopo meno di dieci minuti di cammino, costeggiando lo splendido lago quasi al calar del sole, arrivai dinanzi ad una grossa abitazione molto spartana, circondata da un'inferriata color nero. la casa, apparentemente disabitata, era costruita sopra un crinale, a ridosso del lago stesso. In guardia da possibili pericoli, mi apprestai a superare il cancello aperto. Appena misi il primo passo nel terreno della proprietà, a pochi metri da me, un uomo pelato e nerboruto apparve dal terreno. Scorbutico, sicuramente, e pericoloso, probabilmente. Non avevo niente da nascondere, per fortuna. Anzi, per dirla meglio, non ero sicuro neanche di quello che mi aspettavo di trovare una volta incontrata l'Artista, ma, finalmente, ero arrivato. « Sono Akira Hozuki, da Kiri! Ho fatto molta strada per molti giorni per incontrare l'Artista. Sono qui per affari, sicuramente... Ma non solo! » Davvero? Chiedere a un'Artista i segreti della sua arte si poteva definire un affare? « Se fossi talmente gentile da accompagnarmi da Hyori Matsumoto, mi faresti un gran piacere... » Dissi al grosso uomo, con un sorriso sul volto.
    Non sapevo se pronunciare il suo vero nome fosse stata una scelta avventata o meno, ma ormai ero in ballo, e mi ero stufato di perdere altro tempo in chiacchiere inutili.

     
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    九代目水影 - Kyuudaime Mizukage

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    Rinnovata sarà la lama che fu spezzata

    Hyori Matsumoto



    Come ogni storia che volge al termine, le sorprese migliori aspettano la fine per rivelarsi. Ma questo non è che l'inizio della fine e non è forse ancora giunto il momento di spalancare occhi e bocca per la meraviglia dell'arte di Hyori Matsumoto.
    La guardia dall'aspetto butterato fissò Akira per un istante. Un lunghissimo istante. Non sono molti quelli che conoscono il nome dell'Artista. Hai fatto le tue ricerche immagino. Il tono era indecifrabile, non era possibile capire che quell'informazione fosse positiva o negativa. L'uomo prese una grossa chiave dalla tasca ed aprì il cancello, lasciando che Akira entrasse.
    L'Artista è sempre pronta a discutere di affare, Hozuki. Non so quanto ama discutere del suo passato però.
    Condusse Akira lungo il vialetto che attraversava un giardino affatto curato, dove l'erba cresceva quasi selvaggia. La casa poteva anche sembrare abitabile, ma quella vegetazione incolta conferiva a tutto un'aspetto ferale e pericoloso, quasi spettrale. Con un'altra chiave l'uomo aprì la porta e cedette il passo all'Hozuki.
    Va sempre dritto, troverai una rampa di scale. Sali al piano di sopra, prima porta a sinistra. Bussa ed attendi. Non andare da nessuna altra parte se ci tieni alle gambe. Ruvido e diretto. Quella non era una minaccia, era una certezza, l'enunciazione di una legge universale che diceva chiaramente "se vai in un'altra stanza che non è quella indicata, torni a casa senza gambe".

    La casa era buia, ma aveva un buon profumo. L'arredamento era curato sebbene anch'esso tendente a colori scuri e non sembrava esserci alcun segno di macabri esperimenti. Giunto dinanzi alla porta, una volta bussato, l'Hozuki avrebbe udito una voce femminile estremamente aggraziata rispondere.
    Entra pure, Akira Hozuki.
    La porta era aperta. La stanza in cui l'Artista si trovava era una spoglia ma ampia camera con un tavolino da te al centro. Un ordinato futon giaceva vicino ad un muro. Sul tavolino c'era una tazza di te dalla quale beveva ed una teiera fumava ancora.

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    L'Artista era una donna ancora giovane, nel fiore degli anni. Aveva la pelle chiara, quasi diafana, gli occhi scuri ed i capelli neri. L'espressione era pacifica eppure profonda ed intrigante. Le mani delicate non mostravano alcun segno di usura per il lavoro che diceva di compiere con tanta maestria. Quella donna non rassomigliava minimamente a quella specie di demone con tendenze necrofile, quella spietata donna d'affari snza scrupoli che Akira aveva immaginato con ogni probabilità lei fosse.
    Ma le apparenze ingannavano di certo.
    Gradisci del tè verde? domandò la donna. Se Akira avesse accettato ella avrebbe versato con cauta attenzione la bevanda nella tazza e dunque con gentilezza l'avrebbe porta al ragazzo. Il tè era squisito, quasi celestiale, sopratutto per chi se ne intendeva.
    Sono a conoscenza che vuoi parlare di affari, Akira Hozuki. Dunque, parliamo. non fece alcun riferimento al fatto che lui prima avesse pronunciato il suo nome. Con ogni probabilità lei sapeva, ed aveva deciso di ignorare. A che pro?

     
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