Nuove ali per il Vento

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    Y Danone
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    Amministrazione Konoha
    ..Un Mondo fatto Apposta per Me..
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    Era tutto bianco attorno al rosso. Un immenso ed infinito spazio bianco che non lasciava modo di capire se vi fosse una vera e propria dimensione. Il Chikuma aveva riaperto gli occhi in quel mondo sentendosi quasi galleggiare, non sapeva se si stava muovendo o se il suo corpo fosse bloccato li, sentiva di poter muovere braccia e gambe ma tutto era inutile in quello spazio, non vi erano delle vere e proprie dimensioni attraverso le quali spostarsi -Ehi.. ma dove sono?!..- non sapeva nemmeno perché si trovasse li.



    -Forza Hoshi!.. non ti sarai mica già arreso?!..- la scena era cambiata all’improvviso lasciando un Hoshi appena undicenne piuttosto stupito a terra, tra la terra battuta del giardino di casa sua -Gensho?!..- -Si.. è così che mi hanno chiamato i nostri genitori.. allora che fai?!.. resti li con il culo per terra?!.. non diventerai mai più forte di me se non migliori almeno un po’..- il piccolo Chikuma era a terra spaesato, ma quelle parole bastarono a scatenare in lui la voglia di rialzarsi -Tsk!.. non credere di avermi sconfitto così facilmente stupido fratello!.. preparati a prenderle questa volta!..- il piccolo Hoshi si era rialzato nonostante le botte che gli dolevano il corpo. Seppur tremante e sfinito era ripartito all’attacco per tentare di rompere il muso a quello stupido di suo fratello maggiore, il suo sguardo era lo stesso che molti altri avrebbero visto molti anni dopo. Quello di un guerriero fiero e sicuro di se.



    All’improvviso il rosso era tornato nuovamente nel suo mondo vuoto mentre i ricordi lentamente riempivano la sua testa vuota -Gensho.. mamma.. papà.. dove siete?!..- il rosso stava sussurrando i nomi delle persone a lui più care cercando di ascoltare il suono dei loro nomi mentre fissava il vuoto. Non sapeva nemmeno lui da dove nascevano quei nomi che stava sparando a raffica, semplicemente li stava pronunciando uno dopo l’altro senza sosta collegandoli ad immagini e bei momenti di un passato davvero lontano -Shinodari.. Yami sensei.. Ledah..- la scena era nuovamente cambiata trascinandolo all’improvviso all’interno della classe Accademica che aveva frequentato da studente per diventare finalmente un ninja. Ledah sensei aveva portato una sostanziosa merenda a base di schifezze otesi eppure il rosso non aveva mai gustato nulla di più buono in vita sua. Tutti ridevano mentre Yami spiegava le basi della vita dei ninja e Shinodari sorrideva felice abbracciando Ys il suo tenero gatto. Erano ricordi felici quelli che il rosso stava rievocando, ricordi che ormai da anni erano rimasti sepolti sotto a tanti altri, sotto alle innumerevoli battaglie che aveva sostenuto.



    -Sono un.. ninja!..- il rosso era tornato nel suo mondo fatto di nulla cosmico riscoprendo una grande verità su se stesso, lui era un ninja, lo era sempre stato e avrebbe continuato ad esserlo fino alla fine dei suoi giorni -AAARGHH!!!- all’improvviso un esplosione nel bel mezzo del deserto lo aveva colto alla sprovvista mentre dietro la coltre di sabbia si mostrava un giovane dal sorriso accattivante -Avanti Hoshi!.. che diavolo fai li impalato?!.. datti una mossa o li perderemo!!!- -Eh?!.. Hohenheim..- il rosso non era riuscito a rimettersi in piedi che un piccolo piede gli piombò addosso gettandolo nuovamente con la faccia nella sabbia -Si si chiama Hohenheim stupido di un Chikuma!.. ehi ti sembra questo il momento di dormire.. non vorrai mica farmi arrabbiare come al tuo solito..- Deidara Yagi lo stava calpestando mentre puntava le sue spade verso il Chikuma, era tutto così nostalgico -Hei Deidi lascialo perdere.. concentriamoci sulla missione!!!- anche Hamano era con loro. Il rosso era assieme ai suoi amici, i migliori che avesse mai avuto nella sua infanzia e gli stessi che dopo quella missione sarebbero stati nominati Sand Scorpion da Shaina Otori, l’amministratrice di villaggio. Il flash, o il ricordo non era durato che un istante anche se per il cervello di Hoshi tutti i ricordi erano tornati al loro posto. Il Chikuma stava rivivendo la sua vita passo dopo passo, stava rivivendo l’incontro con Yashimata alla spiaggia, stava rivivendo il dolore provato dopo aver subito un suo calcio e stava ricordando anche Keita Kitase, il ninja che lo aveva aiutato a riprendersi diventando subito un grande amico.



    -Io.. sono già stato qui.. e in tutti questi posti..- un raggio di energia lo aveva colpito in pieno petto mentre una giovane ragazza dai capelli biondi si lanciava verso di lui con sguardo deciso anche se per nulla malevolo -Mi dispiace Hoshikuzu!.. sei un tipo simpatico.. ma non ho intenzione di perdere contro di te!.. non durante l’esame per diventare una Chunin del mio villaggio!!!- Nussha del villaggio di Aurora lo stava attaccando con furia grazie alle sue braccia meccanizzate, mentre lui si difendeva con il gigantesco boomerang. Il piccolo atollo sperso tra le onde del mare stava soffrendo per le profonde ferite inferte da entrambi i contendenti. Era la prima volta che Hoshikuzu stava lottando strenuamente con tutte le sue forze per vincere una battaglia, che infine si concluse con un pareggio e con la nascita di una grande e bellissima amicizia -..Nussha.. chissà come sta!..- di nuovo la sua mente lo aveva trasportato in quel mondo privo di significato e delle più basilari leggi fisiche. Moltissime altre immagini ed esperienze si susseguirono una dietro l’altra ricordando al rosso chi fosse veramente, più osservava e riviveva la sua intera vita più riconosceva il se stesso che un tempo era stato. Innumerevoli erano le missione che aveva affrontato e ancor di più le persone che aveva affrontato oppure incontrato come sue alleate o con cui aveva stretto una grande amicizia. Aveva visto le più disparate terre del continente, da nord a sud, da est ad ovest eppure aveva ancora così tanto da imparare, ancora così tanto da scoprire di quel mondo che tanto amava.



    -Sembra che affronteremo un’altra missione insieme.. Hoshi!- il Kaguya lo sovrastava di diverse spanne mentre lo guardava con sguardo serio e allo stesso tempo amichevole -Shiltar!!!..- il Kaguya era li a pochi passi da lui mentre si dirigevano con Brando verso il villaggio di Iwa. La sua gigantesca falce d’ossa era allo stesso tempo terrificante quanto rassicurante, sempre che non fosse rivolta verso la propria persona. Il rosso stava rivivendo la missione affrontata ad Iwa, l’incontro con i ninja della Zanna e la lunga corsa verso la Roccia degli Spiriti. La battaglia vissuta quella volta aveva fatto capire al rosso chi fossero realmente i mostri che abitavano le terre battute dai ninja -..sono forti.. mostruosamente forti!..- il Chikuma tremava mentre ripensava alla battaglia, se ne era uscito vivo era solo grazie al potente Mizukage e non certo alle sue abilità. La sua mente continuava a volare e volare, non si era mai sentito così leggero e appagato, in totale pace con se stesso. Era dunque quella la morte, un eterna sensazione di benessere e appagamento. No, non poteva finire tutto così, lui non aveva alcuna intenzione di morire, non ora che cominciava a riscoprire se stesso. Aveva troppe cose importanti da fare, troppe persone care da proteggere ad ogni costo. Cominciava ad agitarsi il rosso mentre cercava con in ogni modo di liberarsi da quella condizione, più cercava di uscire, più la sua anima si stringeva in se stessa soffocandolo -..devo.. andare.. via!.. da qui.. io devo..- il rosso stava per perdere il controllo quando una mano si poggiò sulla sua spalla trasportandolo in un istante sulla cima del Tempio del vento Glorioso.



    -Ehila tappo?!.. che c’è?!..qualcosa ti preoccupa?!..- Gin “Tatsumaki” Chikuma era giunto alle sue spalle con il suo solito sorriso spavaldo e una birra tra le mani -Gin?!.. ehm cioè.. dannata distilleria ambulante.. che diavolo ci fai qui?!..- il Kazekage si era sparato un sorso di birra prima di ricominciare a parlare -Come che diavolo ci faccio?!.. sei il mio pupillo.. ultimamente ti ho visto piuttosto teso quindi è normale che mi preoccupi per te..- il rosso sembrava piuttosto turbato da quelle parole di conforto, la distilleria non era certo il tipo di persona che si preoccupava degli altri, soprattutto se questi erano suoi subordinati -..ma che?!.. piuttosto tu.. sei sicuro di stare bene?!.. io.. io non ho paura di niente.. è tutto ok!..- -Oh.. quindi è vero che c’è qualcosa che non va..- -Ti ho detto di no.. ma mi ascolti?!..- -Certo!.. hai appena detto di non aver paura.. ma io non ti ho mai chiesto se qualcosa ti spaventasse..- il rosso era rimasto a bocca aperta senza riuscire a dire altro prima di incupirsi voltando lo sguardo -..no è che.. tu.. il Mizukage.. quel gigante!.. come si chiama?.. Diogene.. e poi Itai.. e Raizen.. e tantissimi altri.. siete così forti.. mentre io..- il rosso si era messo a guardare oltre la gigantesca statua all’interno della gola che formava il Polmone del Deserto con sguardo preoccupato -..certo lo siamo.. ma non capisco quale sia il punto?!..- il rosso aveva stretto i pugni digrignando i denti -..il punto è che voglio.. anzi no.. devo diventare forte come voi!.. troppe volte sono stato salvato dagli altri.. da te.. da Shiltar.. ogni volta che affronto una missione o un avversario vengo sempre salvato da qualcuno.. invece io.. io voglio proteggere gli altri e per questo voglio diventare forte come voi!..- il rosso era serio mentre puntava il Kazekage che terminava di scolarsi la bottiglia. I due sarebbero rimasti li a guardarsi per un po’ prima che Gin buttasse giù dalla statua il vuoto di vetro lasciandolo portare via dal potente vento del canyon -Ahahah.. ma senti te questo nano arrogante!.. vuoi diventare forte come me.. o come il Mizukage.. ne hai di strada da fare!- -Tsk!.. sta a vedere dannata distilleria!.. io un giorno sarò il più grande e potente ninja del continente!..- lo sguardo del rosso non mentiva sulle sue intenzioni.



    Questa volta la sua mente non era tornata nel mondo fatto di nulla, ma lo aveva direttamente trasportato nel mondo del più grande e potente abominio che avesse mai affrontato in vita sua. La Divinità Spezzata stava lanciando i suoi attacchi prendendo di mira Shiltar, il Colosso dei Mikawa e i ninja della Zanna. In mezzo a tutte quelle divinità della guerra il piccolo rosso non aveva mai mollato un istante mentre sentiva il corpo letteralmente esplodere dal dolore e dalla fatica -..Anf.. anf.. ancora un po’.. anf.. anf.. non abbandonarmi proprio adesso..- i fasci di energia e le devastanti tecniche della divinità esplodevano su tutto il campo di battaglia, ma nonostante questo il rosso, imperterrito la stava puntando senza tirarsi indietro -..anf..più forte.. più forte.. anf..- era quella la promessa che aveva fatto a Gin, la promessa che aveva fatto a se stesso. Mentre Shiltar teneva impegnata la Divinità e Diogene i ninja della Zanna il rosso si era arrampicato sulla gigantesca figura della divinità senza badare alla sua incolumità. La stella di Iwa, l’artefatto per il quale erano stati chiamati a combattere, stava li a pochi metri -..anf.. un ultimo.. anf.. sforzo!!!- senza pensare alla conseguenze il ninja di Suna si era lanciato afferrando la preziosa pietra con i denti mentre il suo braccio destro volava lontano dal suo corpo e le budella gli uscivano dalla pancia. E poi più niente.



    Immerso di nuovo nel nulla sulla guancia del rosso era apparsa una piccola ma luminosa goccia, una lacrima che era finita per rigargli il viso fino al mento. Non era triste, non era nemmeno spaventato, in mezzo a quel nulla era semplicemente, niente.


    CITAZIONE
    Hoshi
    Vitalità: 7.50
    En. Vitale: 22.50/30 (Braccio Destro disintegrato / Gamba Destra disintegrata / Dolore Grave / Sanguinamento Grave / Ustione Grave)
    Chakra: 83/100
    Recupero Abilità: Tec. Eco. 1

    Difesa1: /// Azione 1: ///
    Difesa2: /// Azione 2: ///
    Difesa3: /// Azione 3: ///
    Difesa4: /// Azione 4: ///
    Azione Bonus: ///
    Tecnica Base: ///
    Tecnica Avanzata: ///
    Tecnica Bonus: ///
    Equipaggiamento consumato: ///


    OT/ Waaawh quanti ricordi!!! :sisi:
     
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    Ascoltò Shizuka con la stessa impassibilità di una maschera di sale, lasciando che le parole gli filtrassero attraverso e dopo che lei terminò passò qualche secondo prima che il colosso alzasse il braccio destro, esattamente al centro del petto della chunin, indicandogli la cicatrice, indicandogli ciò che l’aveva causata, indicandogli un errore che Raizen non gli aveva fatto pesare, ma che pareva avesse dimenticato, forse proprio per quel motivo.
    Chiedere di venir ripagati con la stessa potenza era sempre una richiesta troppo grande a quanto pareva.

    Sicura di poter scagliare la prima pietra?

    Abbassò la mano, senza insistere oltre, rimarcando la differenza che intercorreva tra i due.

    Devo farti notare che nessun palazzo oltre quello distrutto da Hoshi è crollato?
    Che la mia bijudama non ha spostato nemmeno un filo d’erba?
    Credi che sia un caso?


    Sorrise comprensivo più che bonario.

    Povera piccina, magari facessero tutti quanti un lavoro così fino.
    So chi sono, la faccia sulla montagna me lo ricorda ogni giorno: l’Hokage.
    E questo è il mio villaggio, Ospedale compreso, non farmi aggiungere altro.


    Voltò le spalle a Shizuka, per l’ennesima volta saccentemente inadatta.

    Ricordatelo che sono l’Hokage, Shizuka.
    E non cancellare la memoria di nessuno, ho buone ragioni per credere che non ci siano mele marce qui dentro, se ci sono, se si saprà cosa è successo ad Hoshi sapremmo dove cercarle.
    Prova a fare un passo oltre il primo, magari scoprirai che della tana del coniglio non hai visto che l’entrata.


    La guardò dall’alto in basso e si allontanò.


    Nel laboratorio



    Dentro alla tenda Raizen non riuscì a rimanere stupefatto per ciò che vide, quanto per chi lo stava facendo, si voltò verso Shizuka guardandola per dei lunghi secondi.

    È un modo velato per dirmi che vuoi innestare questa robaccia ad Hoshi?
    Spero di no.


    La guardò ancora.

    Anche perché, per quanto io possa saperne poco mi sembra che il nostro caso sia differente.
    Ma se mi sbaglio illustrami pure, non sottovalutare la mia conoscenza.


    Sorrise amabilmente mentre prestava orecchio a Shizuka.

    Intanto fai un clone e fai disporre tutta quella roba che ti ho portato, sarà necessario del tempo a connettere tutte le strumentazioni immagino, studierai più rapidamente e non perderai tempo.

    Consigliò senza supponenza.


    Fuori dal Laboratorio



    Raizen sospirò pesantemente alle parole di Itai, aveva preso a mordersi le guance dall’interno della bocca per sfogare un po’ di tensione.

    Il Colosso di sangue non riuscirà nemmeno a comprendere cosa gli si abbatterà sulla schiena.
    Ma non dobbiamo essere frettolosi, Hoshi va rimesso in sesto, è il testimone più completo che abbiamo.
    Quando verrà fatto rinsavire una visita ad Oto sarà prioritaria.
    Ed a proposito di testimoni…


    Uscì dall’ospedale a fronteggiare la piccola folla che si era radunata dinnanzi ad esso, non troppe persone ad uno sguardo più attento, forse una trentina, attirate oltre che dal caos dalla concitazione stessa con cui le operazioni erano state portate a termine.
    Macerie, cloni, ferite, sangue rappreso, ed un attacco fin troppo veloce perché potessero anche solo vederlo… tanti elementi avevano impedito a tutti loro di imprimere correttamente il volto di Hoshi nelle loro menti e generalmente di renderlo riconoscibile, ed il vomito pure aveva dato una mano, istanti di paura e agitazione avrebbero reso qualsiasi stralcio di viso pulito mera carta straccia. O almeno così gli riferì un esperto della polizia di Konoha qualche tempo prima, un vecchio navigato esperto in interrogatori mentalmente non invasivi che pareva avesse provato sulla pelle quale tipo di tortura fisica fosse la più efficace. Da ciò che riportava in ogni suo interrogatorio raramente i civili dopo uno shock o un trauma di quell’entità riuscivano a fornire dati utili, le versioni e i particolari erano infatti tutti discordanti e tutti falsi in quanto la mente processava gli avvenimenti secondo gli stimoli ricevuti ed anch’essi erano del tutto personalizzati in base alla quantità di stress provato, e da che aveva visto ben poche persone sarebbero state in grado di tenere qualcosa in bocca quando era Heiachi a porgere le domande.
    Per questo il colosso non si era occupato della folla, semplicemente era crollata nella scalinata delle sue priorità.
    Quando uscì dalle porte tanti erano ancora scossi, e tra di loro serpeggiavano i più svariati sussurri, pettegolezzi da vecchie comari li avrebbe definiti Raizen se si fosse preso la briga di ascoltarli.
    Solamente quando prese coscienza di quel muro umano di bisbigli gli camminò incontro, opponendogli il petto senza lasciarsi intimidire, forse i suoi modi non erano tra i più gentili, ma era indubbio che la stazza e il portamento dessero al Colosso una parvenza verso cui era difficile non provare un timoroso rispetto.

    Come avete potuto sentire stanotte, che il cielo sia illuminato dal sole o dalla luna, poco importa.
    Il villaggio, le nostre case, e le nostre vite sono costantemente in pericolo.
    A volte, il pericolo è dove meno ce lo aspettiamo, dietro volti che non vorremmo avesse, dietro errori che non avremmo voluto commettere.
    A volte, ci portano ad azioni estreme, ma di certo queste non ci impediranno di giungere ad una lieta conclusione.
    Stanotte un potente shinobi del clan Uchiha è stato risvegliato da un inganno che ha ottenebrato la sua mente così a lungo ed a fondo da contaminarla nella sua natura più intima e pura, ed un simile potere senza controllo spesso non fa che aggravare la situazione.
    Tuttavia.


    Prese fiato, respirando a fondo.

    Nessuna vita è andata persa.

    Il suo sguardo, fisso sugli occhi di chi incontrava mentre dardeggiava tra il pubblico trasmetteva sicurezza.

    Niente è stato irreparabilmente leso.

    Quella frase non nascondeva solamente una palese menzogna, anzi, la negazione stessa della realtà era quasi una sfida alle avversità della realtà stessa e quell’opposizione così ferma e inamovibile gli si poteva leggere nel volto intatto e senza ferite.

    Ma per quanto possa essere triste o stupefacente devo chiedervi fiducia, e comprensione.
    La mia vita è stata promessa alla salvaguardia del villaggio e se sono qui, a parlare, se ho ancora fiato in corpo è perché questa non è in pericolo.
    Niente. Niente. Niente che possa nuocere al villaggio riuscirà a passare oltre il mio corpo.
    Tornate alle vostre case e fatelo a cuor leggero, Konoha è al sicuro.


    In tanti alzarono lo sguardo verso di lui, lesse speranza, fiducia, in alcuni ancora un velato timore, in altri la consapevolezza di vivere in un villaggio in cui alcune informazioni sarebbero rimaste segrete ed in altri ancora l’ambizione.

    Itai.

    Chiamò quando la folla si fosse dispersa.

    Ci vorrà qualche giorno prima che Hoshi sia rimesso in sesto, se vuoi restare prendi pure un hotel, le terme offrono buoni servizi, ci sto andando pure io visto che probabilmente l’unica cosa intera dell’amministrazione è l’arredo del mio ufficio.
    Ma se hai necessità di rientrare in patria non temere, ti farò chiamare prima del risveglio.
    Ho intenzione di riposarmi, durante la notte verranno analizzate le ossa di Hoshi e da domani lavorerò su di esse per riprodurle per cui devo essere attivo.
    Senza contare che dobbiamo capire come avvertire il mondo di questo disguido.


    Pose una mano sulla spalla del Mizukage e dopo averci battuto due volte si accomiatò.
     
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    ASYMPTOTE

    Why they get closer and closer but can never be together?



    [Intermezzo Raizen - Shizuka]

    «Stai paragonando quello che accadde allora… con la situazione attuale?»


    Non si mosse quando l’Hokage le diede le spalle. Con stupore, prima di tutti suo, non avvertì niente di quello che sarebbe stato lecito provare in quel momento. Né rabbia, né dolore.
    Solo una profonda delusione.
    Si sentì improvvisamente sciocca, davvero inadatta, ma non nel modo in cui Raizen credeva dovesse essere. Inadatta per aver giocato tutta la sua vita per lui.
    Si rese conto, mentre l’amaro le saliva in bocca, che era stata così impegnata a muoversi nella scacchiera del “io voglio” di quell’uomo, che non si era resa conto di giocare da sola.
    «Stai forse paragonando un attacco terroristico su larga scala ad opera di una delle maggiori associazioni criminali del Continente, in cui io, misera Genin, fui lasciata sola contro un Jonin traditore Uchiha, a causa della mala amministrazione di chi ti ha preceduto…» Non c’erano espressioni sul suo volto mentre parlava. La cicatrice che la segnava, però, bruciò. «…con la tua inutile dimostrazione ad essere il più forte Jinchuuriki della Volpe a nove code, sparando una Bijudama dentro il tuo stesso Villaggio, contro un uomo ferito e disarmato in preda al panico?» Esitò. Per un attimo si rese conto che la situazione era così allucinante che non sapeva nemmeno da dove partire. «Tu stai pretendendo che non sia accaduto nulla, che nessuno abbia visto niente, e stai biasimando me perché voglio sedare il panico, cancellare la memoria di chi ha visto, mettere in giro una versione dei fatti accomodante perché quando la notizia filtrerà all’esterno non ci leda più di quanto non abbia già fatto… e in tutto questo, la persona ridicola sono io?» Si grattò la testa, adesso apertamente interdetta, poi però, stupidamente, si mise a ridere. «Ah, ho capito. E’ un’altra di quelle volte in cui le mie idee finiscono in bocca a te: tu diventi l’Eroe e io solo la poveretta che ti segue. Come accade da anni, del resto.» Come era sempre accaduto: quante idee aveva dato, ma era stata fermata perché “non poteva” e subito dopo quegli stessi progetti erano attuati da Raizen. Che diventava grande. Diventava famoso. E lei, intanto, puliva i cessi del Villaggio. «Andrai fuori a parlare alla nostra gente, Raizen? Li calmerai come ti ho suggerito? Finalmente farai l’Hokage, prendendoti le responsabilità dell’accaduto? Rendendoti conto che tutti hanno visto?» Sorrise, ed era ironica ora. «Non mi interessa.» Ed era vero, non le interessava. Non aveva mai voluto essere chiamata Eroe, camminare in pompa magna accolta tra ammirazione e vezzi lo faceva già da quando era piccola. Non cercava gloria, nell’essere Shinobi. Non cercava nulla. Faceva solo ciò che sentiva di dover fare, nel modo migliore che poteva: proteggere chi e cosa amava. Compreso Raizen. «Sono praticamente un membro della Squadra Speciale, chiamata Primario per comodità tua, mentre in apparenza siedo su comodi cuscini di piume giocando con l’economia del Continente da Principessa Kobayashi quale sono. Vivo la mia vita in funzione tua e di questo Villaggio...» Non esagerava. Era così. Lo sapeva lei, e lo sapeva anche lui. Purtroppo, nessuno oltre loro due. «...E devo sentirmi rispondere in questo modo…?»
    Arrivati a quel punto la donna sorrise, allargò le braccia di fronte a sé, reclinò allegramente la testa di lato… e scoppiò a ridere. Avrebbero potuto esserci molti sentimenti in quell’espressione di ilarità, e in tanti avrebbero forse errato leggendovi odio, invidia, stanchezza. La verità era che, dopo tanto tempo, quella era una risata assolutamente vuota. Non aveva niente, dentro. Se non forse il senso di costrizione.
    Come un uccello chiuso in una gabbia le cui grate si restringono sempre più. E l’animale, a lungo costretto, inizia a soffocare.
    «La tua Bijudama non ha spostato nemmeno un filo di erba, ma ha tagliato a metà un uomo.» Riprese a parlare con gentilezza. «Hai sbagliato.» Fu netta. «Non credo che sia un caso.» Sorrise ancora. «Credo che tu abbia sbagliato.» Stavolta fu, se possibile, ancora più caustica. «Paragoni me a te.» E ancora una volta la sua cicatrice bruciò. Arse come il ricordo del suo Villaggio in fiamme. Dei morti ai bordi della strada. Della banca centrale svuotata. Del terrore. Delle grida. I tumuli nel cimitero. I vestiti neri dei presenti. La sua schiena che doleva per tutte le volte in cui si era inchinata. I suoi occhi che aveva cercato di strapparsi a mani nude. «Il mio lavoro non fu fino, è vero.» Konoha venne distrutta a causa sua. E lei si sventrò, da una parte all’altra, per uscire da un Genjutsu che altrimenti le avrebbe annientato la mente… e tutto pur di catturare quell’uomo. «Ma io non sono l’Hokage.» Era morta, allora. E ripresa dall’inferno da colui che la crebbe come il medico che ora era. «Io non sono nessuno.» E non mentiva. Era un’ombra, nessuno sapeva chi era e cosa faceva. Nessuno conosceva le sue abilità, neppure la sua stessa famiglia. «Proprio perché non sono nessuno porto questa cicatrice su di me. Che tu non hai mai compreso, né accettato, ma anzi, frainteso.» A quel punto sorrise di nuovo, più comprensiva che bonaria. «La porto per ricordare che le mie azioni hanno delle conseguenze e per non dimenticare il mio errore, certo. Ma non è odio, questo, è amore. Per le persone che sono morte, per il mio Villaggio e anche per me stessa. E’ una parte di ciò che sono, qualcosa che mi ha reso la donna di ora. Gli errori non si eliminano, Raizen, e anche se cancellassi questa cicatrice come tu vuoi, le lapidi nel cimitero rimarranno lì. E io continuerò a fare incubi su quel giorno.» Sorrise, gentile. «Io, a differenza tua, non impongo me stessa sugli altri pretendendo che tutti mi ubbidiscano, ordinando che nessuno veda e senta oltre ciò che io voglio. Che nessuno pensi fuori dal seminario imposto. Io, a differenza tua, so che l’errore risiede nell’eccessiva sicurezza –di fare sempre la cosa giusta, o di non farla mai– e per questo io sono qui a parlarti, mentre tu mi dai la schiena.» Abbassò la mano, senza insistere oltre, rimarcando la differenza che intercorreva tra loro due. «Il mio essere coniglio ha salvato la pelle molte volte a me, a te e a Konoha. Stimo ogni minima possibilità perché ne temo le conseguenze. Perché so che esistono serpi in seno anche ai propri stessi familiari, e a maggior ragione dentro il proprio stesso Villaggio…» Era necessario andare molto indietro, per fare un esempio? «…so che esiste chi non fa altro che tendere le orecchie per cercare un buon pretesto per distruggere anziché creare…» Era il caso di fare nomi? «…e so che chi si scherma con la propria posizione per non accettare di aver sbagliato, per non ammettere di non aver gestito male una situazione, incolpando sottoposti a cui ordina di pensare secondo un quadro stabilito, non merita di essere dov’è.» Alzò gli occhi sulle spalle di Raizen. «Il peso delle tue azioni è diverso rispetto a quello di chiunque altro. Tutto ciò che fai, è diverso. Tutto ciò che sei, è diverso.» Esitò, chiudendo infine gli occhi. «Non hai ancora capito che essere un Capo non significa essere solo il più forte…» E quelle parole parlavano chiaro. “Tu non sei degno”, dicevano. E a gran voce. «Se non hai ancora compreso perché l’Hokage non può rapire donne ai Gate, strappare braccia a diplomati stranieri, vomitare tecniche superiori addosso ad altri Kage in visita, allora…» Scosse la testa, ma non aggiunse altro, preferendo lasciare il discorso in sospeso. «Esci, Raizen. Va dalla nostra gente e calmala, seda la folla come puoi. E lascia il mio ospedale.» Stavolta fu semplice dirlo. «Tu non meriti di stare qui dentro. Non ne capisci il valore.»

    Non lo avrebbe guardato dall’alto in basso. Non lei.
    Intrecciando le mani in grembo, si sarebbe piuttosto inchinata profondamente, lasciando che l’altro se ne andasse.

    Shizuka Kobayashi non era mai stata la migliore degli Shinobi e probabilmente non lo sarebbe stata mai. Il mondo era così ricco di anime, che non aveva mai avuto la presunzione di essere l'unica. Ma sapeva di poter raggiungere i picchi più alti di alcune cose. Lei, in realtà davvero la sola.
    La prima di queste era la fedeltà.

    A se stessa.
    E ai propri ideali.
     
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    Discordanze








    Si arrestò quando Shizuka riprese a parlare, ma non si voltò.
    Ascoltò, ma sempre dandogli le spalle, era evidente che il suo respiro si era fatto più pesante mentre stringeva i pugni.

    Non preoccuparti, farò in modo che anche tu venga visitata, è evidente che lo shock ti abbia colpito così a fondo da farti travisare la realtà.

    C’era un'unica ragione per cui non si voltava a guardare Shizuka: il suo volto. Ne conosceva ogni singola espressione e piega, poteva riuscire a dedurre dalla sua voce che faccia avesse, e sapeva che se avesse badato al volto anziché alle parole ne avrebbe travisato la metà, lasciandosi convincere a dimenticare cosa gli era stato detto qualche secondo prima.

    Si ha bisogno di ricordare il proprio titolo a due tipi di persone.
    Agli stupidi e ai traditori, con tutti gli altri non ho mai avuto problemi.


    Interloquì secco.

    Hoshi ti sembrava disarmato, davvero?
    Beh, allora devo esser proprio stato io a radere al suolo l’amministrazione, non me lo spiego altrimenti.
    Un uomo in stato confusionale, ecco cosa era, ma come hai visto questo non lo rendeva indifeso.
    Sarebbe bastato un salto, o una piccola corsa, e un quartiere sarebbe stato raso al suolo da Hoshi.
    È necessario paragonarlo quindi ad un attacco terroristico?
    Si, la differenza tra i due è che io ho chiuso rapidamente la questione.
    Vittime dell’accaduto? Un edificio.
    Accidenti!
    Se è così importante lo tumuleremo e gli piazzeremo sopra una lapide!
    In memoria di un fedele edificio, sei stato per noi fonte di ispirazione.
    Ti piace l’epitaffio?
    Ti ho detto che non potevi scagliare la prima pietra perché ciò che ho fatto io, i miei errori come ti piace definirli, mi hanno permesso di non perdere neanche una vita, anzi, se consideriamo da cosa ho salvato Hoshi chiudiamo in vantaggio, e non fare la vittima, dopo quello che hai detto, dopo ciò di cui mi hai accusato sono ancora ben lontano dal renderti indietro il tutto, e credimi, sono abbastanza lontano da non vedere ancora la fine.


    Si voltò, sorridendo senza reale felicità.

    Quando sarai in grado di osservare obiettivamente ciò che ti circonda forse potrai iniziare a contarmi le briciole, ma fino ad allora credo sia meglio concentrarti sulle pagnotte che ti perdi per strada.
    E lasciatelo dire, mi muovevo così velocemente e potevo continuare a farlo in maniera tale che nessuno di loro fosse in grado di distinguermi la faccia dalla suola delle scarpe.
    Nessuno ha visto, coloro che hanno visto potrebbero a stento aver individuato un ragazzo di media statura in braccio all’Hokage, durante i due metri che ho fatto a piedi per arrivare dall’ultimo teletrasporto fino all’ingresso.
    E avevano pure occhio fino per farlo, parecchio fino, visto che ho fatto qualche centinaio di metri in una frazione di secondo.
    Già, perché nel resto del tempo il clone di itai e le mie spalle coprivano l’intera scena, non hai forse notato dove era posizionata la testa di Hoshi?
    Sopra le mie gambe, forse?
    Facile vederla in quel trambusto, già.


    Affilò lo sguardo.

    Vedi troppi mostri, troppi spiriti, troppi pericoli: spesso occorre agire per non fallire.
    Cresci Shizuka, e fallo alla svelta, la tua lingua ti è passata avanti da un pezzo e di questo passo sarà facile tagliarla, e considerando quanto è grossa non temo riusciresti a sopravvivere. Parli troppo di eventi di cui non conosci che l’esito, o non hai notato che il braccio che ho tagliato era di un kiriano e che fuori da questa porta ci sta il suo kage?
    Evidentemente non era proprio un errore, che dici?
    E poi, di quali idee[L’affermazione non ha fondamento GDR] staresti parlando, scusa?
    Iniziamo ad immaginare le cose? Ricorda che le illusioni vanno fatte agli altri signorinella, quando ti immagini le cose da sola non è nient’altro che fantasia.
    Secondo te ordino ai miei sottoposti di pensare come me?
    Mmmhhh… errato, lo faccio solo con gli incapaci che non sono in grado di provvedere a se stessi.
    È il mio dovere provvedere a loro, dopotutto.
    Mi volterò nuovamente, e uscirò da questa stanza.
    Tornerò qui Domani, nel mio ospedale e verificherò che gli infermieri che mi hanno preso Hoshi dalle mani siano ancora al corrente di ciò che hanno fatto assicurandomi che il MIO primario abbia seguito il consiglio che gli ho caldamente suggerito.
    Prega che non vengano colpiti da qualche malore.
    Io non do opinioni, do ordini.
    Non… costringermi a dubitare della tua fedeltà.


    Non avrebbe ascoltato altro, era un ordine, e Shizuka per quanto potesse sentirsi oltraggiata non era stata la prima a riceverne, seppur in contrasto con la propria filosofia, Atasuke stesso era passato per lo stesso trattamento, e nonostante Raizen non l’avesse mai creduto, riuscì a passare al suo severo vaglio.
    Aveva fiducia in Shizuka, meno sulla sua testardaggine, e ad ogni rimbrotto immotivato, al suo continuo ricordargli che la fedeltà non gli era dovuta, al contrario di ciò che era in realtà, qualcosa in lui si incrinava ed era qualcosa di più profondo delle semplici emozioni, del semplice cuore.
     
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    LISTEN TO ME

    Courage is what it takes to stand up and speak; courage is also what it takes to sit down and listen.



    [Intermezzo Shizuka & Raizen]



    «Metti in dubbio la mia fedeltà, Raizen?»

    Heiko Uchiha era solita dire che l’essere sfacciate era prerogativa delle donne Kobayashi, sempre così pretenziose e autoritarie.

    «Tu…»

    Era il sangue dell’aristocrazia, diceva. Chi è abituato a comandare, del resto, cede mal volentieri il proprio scettro. Ecco perché l’Airone era civile e non Shinobi. Una gerarchia in cui la vetta non era occupata dall’emblema smeraldo non poteva essere vissuta da un Principe del Fuoco.

    «…riesci a capire cosa ti esce dalla bocca?»

    Shizuka Kobayashi era una Principessa. L’unica Erede del suo Clan.
    Ma era molto di più. E questo da tanto tempo, ormai.
    Era una kunoichi, e avrebbe forse potuto definirsi “la più fedele” –quella che non avrebbe abbandonato la Foglia a dispetto di tutto ciò che aveva e avrebbe visto o fatto– se qualcosa le fosse importato dei titoli.

    «Ritira quanto hai detto.»

    Gli anni per lei erano stati scanditi sull’orologio degli ordini di Raizen Ikigami.
    Nella sua presenza, piccola e poi progressivamente sempre più grande, aveva ubbidito ai suoi comandi, sottostato al suo volere, ascoltato le sue parole, senza mai mettere in discussione la sua posizione.
    E nemmeno ora dubitava di lui. Mai. Mai, nemmeno per un secondo il suo cuore non aveva vibrato con forza per la Volpe.
    …ma era pur vero che i tempi cambiano, e l’esperienza si accresce: Shizuka Kobayashi non era più la bambina dai grandi occhioni che non sapeva neanche impugnare un kunai.
    Le cose cambiano. Sempre.

    «Ritira quanto hai detto, Raizen.»

    Anche i bambini, prima o poi, crescono.
    E anche gli allievi, prima o poi, si avvicinano al livello dei maestri.

    «Non ti ho dato dell’idiota, né ho dubitato della tua lealtà a Konoha. Quindi non osare farlo con me.» Non era perentoria. Era più di questo: era autoritaria. «Ho messo in dubbio il tuo metodo di condotta, esagerato e non appropriato. E non venirmi a dire che è la stessa cosa, perché non lo è.» Lo prevenne, sapendo già cosa avrebbe detto. «Avevi altri modi per fermare Hoshikuzu, e lo sai. Perché una Bijudama?» Primo colpo. «E’ la stessa questione di tempo fa: punire un messo ingannevole può essere corretto. Staccargli un braccio per ribadire il suo errore, no. Oppure vuoi dirmi che Itai condivideva –non comprendeva, che è diverso– la tua condotta?» Secondo colpo. «Rimettere in riga un sottoposto va bene. Mettere in dubbio la sua cieca fedeltà perché ha dato un punto di vista diverso dal tuo, no. Ed è quello che stai facendo con me.» Terzo colpo. «Tu neghi le evidenze, Raizen: se credi che nessuno abbia visto nulla, ti sbagli. Non decidi tu cosa gli altri vedono o come gli altri elaborano le proprie idee, ecco perché avrei voluto gestire la notizia. Ma come al solito dimostri di sopravvalutare la tua rete di caduta credendo che nessuno, in casa tua, potrebbe mai rivoltarsi contro… ma devo ricordartiLe affermazioni hanno invero fondamento, si invita il player a ricordare le sue stesse ruolate Hayate? Devo rammentarti il pericolo imminente di Diogene Mikawa e cosa ha fatto credendo di potervi riuscire? E gli Dei sanno solo se abbiamo altre serpi nei nostri giacigli.» Se a questo punto avesse solitamente sorriso, stavolta si astenne dal farlo. «Ti ho solo chiesto due cose: gestire l’informazione e tenere la faccenda solo tra me, te e Itai Nara. Non vedo troppi mostri, vedo la riservatezza di un caso delicato che avrei piacere non diventasse oggetto di chiacchera pubblica, perché le voci viaggiano, Raizen, si ingrandiscono, e allora sì che diventano mostri. E sono brutti mostri.» Lo guardò dritto negli occhi, senza indietreggiare di un passo. «Non credo di aver preteso più di quanto mi era lecito, né di aver detto idiozie senza posa per le quali essere trattata a questo modo.» A quel punto allargò le braccia di fronte a sé ancora una volta. «Il punto è che ti sei sentito aggredito, vero? Poverino, credi che ti abbia dato del coglione e ti sei arrabbiato. Questo è il tuo più grande terrore: che qualcuno ti consideri stupido e non idone, perché adesso sei l’Hokage, e l’Hokage non sbaglia mai. In verità non hai ascoltato una sola parola della mia presa di posizione, né hai capito cosa ho detto, altrimenti non ti saresti rigirato in questo modo.» Solo a quel punto sorrise. Ironica. «Non sono Atasuke. Non sono qui a pretendere che tu indossi un doppiopetto a fiori ricamato. Sono qui a chiederti di pensare al tuo comportamento, che adesso ne rappresenta centinaia di altri. Di farlo per il tuo Villaggio.» Alzò i suoi occhi in quelli di Raizen. «Di farlo insieme a me.»

    C’era una sottile linea che divideva ciò che la Volpe e la Principessa erano. Quella linea era un filo, quello della fedeltà e reciproca fiducia. Ed era meglio che non andasse mai rotto.
    Per il bene loro. E del Fuoco.

    «Non sono la più potente Kunoichi al mondo, ma sto facendo l’impossibile per essere quantomeno quella più valorosa del nostro Paese.» Gli occhi si socchiusero. «E ci riuscirò.» Non era un auspicio, era una previsione. «Però non sono più nemmeno la bambina di un tempo: forse le mie mani non saranno mai pesanti come le tue, è vero, ma la mia esperienza aumenta, Raizen. E si accresce per avvicinarsi alla tua, affinché il nostro divario diminuisca.» La sua voce non tremava più, ormai. «Ti ho corretto perché è giusto che tu abbia un parere diverso. Perché ti sembrerà incredibile, ma anche tu sbagli. E sì, non ti stai comportando bene, ed è giunto il momento che tu capisca che esiste anche una noiosa veste ufficiale che è necessario indossare e che non consiste solo in Kimono costosi e capelli impomatati.» Avrebbe atteso che lo sguardo della Volpe fosse suo, prima di continuare. «Sono qui a dirti queste cose, proprio perché il mio amore per te e Konoha è tale che non chiuderei mai la bocca di fronte ad una mancanza che potrebbe costare cara. Eppure…» E a quel punto alzò il dito indice contro il viso dell’interlocutore. «…se parlo in questo modo lo faccio a ragion veduta. Non vedo spiriti, vedo valutazioni, che lungi dall’essere impeccabili –come le tue del resto–, stimano possibilità. Possibilità stancanti e spesso eccessive, è vero, ma che molte volte ci hanno salvati anche per il semplice fatto di averle valutate, nella loro esagerazione, quando nessuno le avrebbe prese in considerazione.» Scosse la testa. «Un tempo mi dicesti che non bastava che decantassi le mie intenzioni, era necessario che le attuassi. E’ quello che sto facendo.» Solo a quel punto, sorrise. «Sono ciò che tu hai creato, Raizen. Il frutto dei tuoi insegnamenti. Ed è proprio perché io non posso allontanarmi da te e la Foglia che sono qui a parlarti.» Socchiuse gli occhi. «Quindi cambia, Raizen. E smettila: smettila di trattarmi come una bambina, smettila di non prendermi in considerazione, di offendermi senza ragione. Stai dimostrando male la tua leadership, e la stai dimostrando alle persone sbagliate, nel modo peggiore. Sono in grado di provvedere a me stessa, non ho bisogno che ti occupi di me. Ho bisogno che stai con me, ed è diverso.» Stava semplicemente ripetendo ciò che aveva già detto, con diverse parole e diverso tono, sperando che stavolta il significato del suo intendere giungesse.

    «Sono anni che cerco di dimostrarti il mio valore.»

    Ed era sempre così…

    «Sono anni che sto al tuo fianco, che guardo nella tua stessa direzione.»

    …era sempre necessario ripetersi più volte…

    «Hai stima di me, Raizen? Tu, solo per qualche istante alla settimana, magari per errore… pensi di tenere a me? Di nutrire per me una qualche forma di attaccamento e rispetto?»

    …perché la verità era che, dopotutto, un Re non avrebbe mai abbassato la testa di fronte ad una Regina…

    «Se è così, cambia. E non è un ordine il mio, perché tuo contrario non ho bisogno di darne: è un consiglio.»

    …ma del resto una Regina…
    .
    «Io vedo ciò che tu non vedi, e tu vedi ciò che io non vedo. Questa è sempre stata la nostra forza, Raizen: muoverci insieme.»

    …non avrebbe mai potuto abbassare la fronte di fronte ad un Re più potente.

    «Muoviamoci ancora insieme, Raizen. Perché se smetteremo di farlo, ho paura che le nostre strade si divideranno in modi imprevedibili. Nessuno di noi due, del resto, è abituato ad avere catene al collo.» Esitò. «Non voglio questo.» Ed era sincera. «Ma non puoi aspettarti che tutti siano sempre d’accordo con te, che ogni idea diversa sia sinonimo di infedeltà, che ogni orizzonte più lontano dal tuo sia sovversione, che ogni ombra da te non adocchiata non sia reale.» Guardò nuovamente la Volpe. «Non puoi fare tutto da solo.» I suoi occhi nuovamente in quelli di lui. «Tutela questa situazione, Raizen. E proteggi Hoshikuzu, Itai e la Foglia.» Le labbra si serrarono. E stavolta, era l'ultima.


     
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    Il Nocciolo







    In un altro mondo Raizen avrebbe definito Shizuka un motore diesel. Lento da avviare, ma affidabile quando si riusciva nell’impresa.
    Nel proprio, semplicemente la definiva testarda.
    Sospirò, non col fare di chi sopportava, ma di chi comprendeva.

    Quel messo, Shizuka, mi ha nascosto la sua identità, nel mio villaggio, nonostante fossimo alleati, e poi mi ha sfidato alla morte e se Atasuke non gli avesse sequestrato la sua roba si sarebbe fatto esplodere nel mio ufficio, io sono un leader militare, non solo civile. Non posso permettermi simili leggerezze, nel mio villaggio non si può e non si deve sgarrare
    Mentre Hoshi già ti ho detto cosa è in grado di fare.
    Ho detto che non nego l’evidenza, l’affronto per ciò che è, ma ingigantirla, questo no.
    Io DEVO credere nel mio villaggio.


    La guardò a lungo.

    Così come credo in te.
    Nonostante io creda in te però ci sono dei limiti oltre i quali non è possibile andare, ne in privato e tantomeno in pubblico, semplicemente.
    Io adesso non sono più solamente il tuo maestro, amico o… quello che vuoi che io sia.
    Io sono l’Hokage.


    E su quelle parole mise un accento che lo costrinse a fermarsi per dare enfasi a quelle parole.

    Perché una bijudama?
    Perché lo scontro non poteva durare oltre.
    Abbiamo le possibilità di ripristinare tutto grazie a ciò che il nostro villaggio è.
    Abbiamo al momento l’ospedale più avanzato dei quattro villaggi: sfruttiamolo.


    Si grattò la testa.

    Onestamente non credevo che Hoshi si sarebbe lasciato colpire in quel modo, ho testato la potenza del suo vento e pensavo l’avrebbe evocato per difendersi in qualche modo.
    Ma non l’ha fatto.
    Tuttavia non potevo prendere questo in considerazione, devo prendere in considerazione l’eventualità peggiore, ed in questo caso sarebbe stata la sua fuga.


    Si sedette nella prima sedia a portata di mano, lasciandosi andare quasi come se fosse esausto, mentre ancora era di fatto ben lontano dall’esserlo.

    Non sto dicendo che non ci sia un danno, sto dicendo che non è irreparabile o definitivo.
    Non tenere l’informazione tra di noi ha un intento ben preciso e già te l’ho spiegato, so chi ha visto in faccia Hoshi: lo staff del tuo ospedale. Se qualcosa si venisse a sapere di tale informazione sapremmo quindi dove andare a cercare in quanto ne tu ne Itai sareste così sciocchi da aprire la bocca.
    Se ci sono delle serpi è meglio tirarle fuori dalla sabbia anziché aspettare che ti mordano dal di sotto, no?


    Prese nuovamente fiato.

    Per cui i miei ordini rimarranno tali.
    Nessuno all’ospedale dovrà avere la memoria cancellata, ma tutti avranno l’ordine di non divulgare niente, questo si, così da poter scoprire eventuali talpe, anche perché, se non prendi al primo colpo l’interessato quanto pensi che ci voglia per lui a trovare una soluzione?
    Basta un foglietto di carta e una penna, e i tuoi metodi vanno in fumo.
    Per questo è meglio che creda di essere al sicuro, abbasserà la guardia e gli salteremo al collo, non aver fretta di usare ciò che hai appreso, sbaglio o pazientare è una delle cose che ti ho insegnato?
    OVVIAMENTE supponendo che tu abbia ragione riguardo la presenza di spie che io escludo totalmente.
    Per i civili, non hanno visto nulla, non possono aver visto, è impossibile.
    Per cui mi occuperò di loro in maniera differente.
    E ora non venirmi a dire “si ma tu non hai pazientato” invece no, ho pazientato fino ad ora, fino a questa occasione per avere Hoshi a portata di mano, in una situazione controllata in cui nulla poteva andare troppo storto.
    Questo combattimento, all’esterno, avrebbe potuto significare la sua morte.


    La guardò a lungo.

    Mi chiedi di vederti come un adulta, ma tu Shizuka mi stai sottovalutando, e lo stai facendo in maniera sufficientemente errata da dimostrarmi che necessiti ancora di crescita, mi parli come se non avessi preso in considerazione delle variabili che invece ho considerato.
    Al contrario tuo però sono andato oltre il problema.
    E se mi dimostri di non essere in grado di vedere in che modo l’ho fatto non mi resta che ordinarti di seguire la mia strada.


    Batté accanto a se indicandole di sedersi.

    Mettiti seduta, e ragiona per qualche secondo sulle tue stesse parole.
    “ho paura che le nostre strade si divideranno”
    Non definiamola una minaccia, ma diamo alle parole il loro peso, mi stai prospettando un calo di fiducia nei miei confronti -chiamiamolo così per indorare la pillola- per degli errori che non ho commesso?
    Io non ho poca fiducia in te è che la tua rabbia, o il tuo carattere, non so cosa tra i due va tenuto sotto controllo prima che faccia queste uscite in maniera seria, costringendomi ad importi le cose.
    È proprio perché non posso fare tutto da solo che tu sei qui, che Itai è qui.
    “esci dal mio ospedale”
    Qui, non c’è niente di tuo, ne di mio, tutto è in prestito, e se vogliamo stabilire cosa sia di chi, ti direi di guardare la faccia che sta sulla montagna per darti una risposta. E permettimi di sottolinearti che questa è una rivendicazione, proprio come quelle che mi hai suggerito di non fare.


    Tornò sugli occhi di lei, dopo aver smesso di guardarsi le mani.

    Questa storia è sotto il mio controllo fin da quando è iniziata, e tale resterà.
    Ho ascoltato il tuo consiglio, l’ho sentito, l’ho analizzato e ho reputato che non fosse necessario, in parte quantomeno.
    Io sono il giudice ultimo e la legge stessa, mi dispiace.
    Se questo non ti piace vuol dire che ti sta stretta la gerarchia, o che io ne ricopra l’apice, ma in entrambi i casi è un problema soltanto tuo.
    Non ho dubbi su di te, e se la rabbia mi ha tradito perdona le mie parole, ma i miei ordini restano immutati.
    Ti ho dato le mie ragioni, esponendotele in tutte le loro sfaccettature che le rendono più efficaci di quelle da te esposte, se vuoi ancora dirmi che ho sbagliato fammi notare qualcosa di diverso, ma fino ad ora, hai soltanto analizzato problemi già considerati e sorpassati per un motivo o per l’altro… priorità, scarsa importanza, soluzione già trovata e altro ancora. Il mio mi sembra un discorso fondato sulla logica, se tu puoi fornirmene uno che non sia fondato sui timori che hai riguardo i traditori esponimelo e potremmo parlarne, ma in questi casi è la logica a vincere, per questo ti chiedo esclusivamente di essa.


    Strinse le labbra, allungando la mano verso il volto di lei.

    Se non avessi stima verso di te non staresti qui. Sei il primario dell’ospedale del villaggio che ho scelto di proteggere, ci sarà un motivo, o sbaglio?
    Ci sarà un motivo se ti permetto di essere al mio fianco, no?
    Reputo le tue capacità indispensabili , ma al contempo ci sono volte in cui reputo che non sia un bene usarle.
    Mi chiedi se sono attaccato a te, Shizuka?
    Prova a pensarci, prova a dirmi se ti ho mai lasciato sola o senza protezione, o senza un occhio, un occhio fidato e vigile addosso.


    Sorrise, e senza aggiungere altro si alzò.

    Cerco di fare del mio meglio per non venire meno a nessuno, abbi fiducia in me, come io ne ho in te, e ricorda che se tu ne avessi avuta questa discussione non sarebbe stata necessaria.
    Io non sto facendo tutto, ma tu non desiderare di poter fare tutto, cadresti nell’errore che così tante volte mi hai accusato di compiere.
    Io li fuori ho fatto il mio dovere, tu fai il tuo qui dentro, e nulla potrà andare storto.
    Ok?


    Alzò il mento di lei, facendo in modo che lo guardasse dritto negli occhi.

    Non dubito e non voglio dubitare di te, ma non farti prendere dall’ira, è un pozzo che non esita ad inghiottire anche me, facendo dire ad entrambi cose sbagliate.

    Il suo tocco si alleggerì, fino a sparire, mentre la mano gli ricadeva lungo il fianco.
     
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    SCIENCE

    To raise new questions, new possibilities, to regard old problems from a new angle, requires creative imagination and marks real advance in science.




    «…Ma quanto diavolo parli?»
    Essere una Principessa era piuttosto complicato, ma essere il braccio destro di Raizen Ikigami era, se possibile, anche peggio. C’era un sacco di roba da tenere in considerazione. E un sacco di sassi da ingoiare. Non importava un granché il perché e il come, o se il sacrificio valesse il desiderio di legame e devozione. Erano comunque sassi. E i sassi non piacciono a nessuno.
    E dire che c’erano anche cagnette in calore, a Konoha, che lo guardavano con occhi sognanti e auspicavano ad essere al suo fianco, ignare di che caratteraccio avesse. Di quanto cocciuto fosse. E purtroppo, spesso (ma non sempre), di quanto avesse ragione.
    Era irritante, presuntuoso, arrogante, testardo e incauto. E impulsivo. E anche vagamente bipolare. Ma quanti guardavano a lui…!
    Dei gloriosi, povere ciabatte. Avrebbero dovuto dare via molto più del culo per essere dov’era lei.
    E non ci sarebbero comunque mai arrivate. Mai.
    «Non è importante quanto io tenga a te, non possiamo proprio andare d’accordo noi due. Sei testardo come una roccia. Proprio come me.» Ringhiò l’Erede del Fuoco, mentre la mano dell’Hokage le sfiorava il viso, prendendolo con delicatezza tra le dita. Sospirò, corrucciando la bocca in una smorfietta. «Io posso anche essere paranoica, ma lo faccio per proteggere te e questo posto del diavolo. Io Borbottò, puntandosi un dito indice sul petto e battendolo un paio di volte. «Ho lavorato sodo per essere così, sai. Non era mica una dote naturale, la mia. Tu mi hai fatta diventare in questo modo.» Protestò, lamentosa. Tirò su con il naso in modo vagamente offeso. «“Shizuka qui”, “Shizuka lì”. Mi usi in tutti i modi in cui puoi usarmi, e nemmeno una volta in cui mi fai i complimenti, o lo dici a qualcuno, o mi dici cose.» Piagnucolò, gesticolando. «Cose!» Rimarcò, pretenziosa. Ma cosa fossero queste “cose” era un mistero. «Se tu fossi solo un poco più comprensibile, un poco così.» Avvicinò l’indice al pollice della mano sinistra, fissando male Raizen quando questo condusse lo sguardo di lei in quello di lui. «Io sarei meno portata a cercare di capirti facendo congetture e arrabbiandomi da sola.» Esitò un attimo. «Mi fido di te più che di chiunque altro, Raizen. Se mi dicessi di buttarmi dalla rupe più alta del Fuoco, lo farei. Ma sono una donna testarda, spero vivamente intelligente, e anche indipendente. Prima guarderei di sotto.» Abbozzò un sorriso, alzando la sua mano su quella del Kage. «Non perché non mi fido di te, ma perché ragiono con la mia testa, ed è diverso. Ho bisogno di farlo, ed è per questo che insisto a darti il mio punto di vista. Che può essere non applicabile, ma necessario.» Sospirò, sperando di essere capita almeno stavolta. «Non voglio che tu sia il mio eroe, o il mio Hokage. Non ho bisogno di essere salvata, né guidata. Credo.» Aggrottò la fronte. Non sapeva bene cos’altro dire, e soprattutto come dirlo, quindi lasciò perdere. Si rendeva conto da sola che fare quel genere di discorsi in quel momento non era proprio il massimo della professionalità da parte della Primario dell’Ospedale più avanzato dei Quattro Villaggi.
    Mettendosi a braccia conserte con aria tronfia di orgoglio, Shizuka sorrise gongolante verso Raizen quando questo abbassò il braccio, facendo poi una piroetta con la mano prima di inchinarsi: ovvio che era il miglior ospedale. Lei era la migliore scienziata e medico di tutto il continente, fino a prova contraria.
    E non lo era diventata solo per se stessa.

    [...]


    «CHI DIAVOLO IMPIANTEREBBE IL PROPRIO FIGLIO SUL CORPO DI UN SUDICIO SUNESE?»
    Il ceffone che sarebbe calato sul collo di Raizen Ikigami sarebbe stato un po' troppo scoppiettante. Abbastanza da far calare il viso del Kage in avanti, qualora fosse andato a segno.
    Nell’ultimo periodo, del resto, Shizuka Kobayashi stava sviluppando una preoccupante quanto distruttiva forza. Da che aveva accesso agli archivi proibiti biomedici e storici, la velocità del suo cambiamento stava effettivamente diventando preoccupante.
    «“Robaccia” un corno, Raizen. Chiedi subito scusa!» Gemette la Principessa, posando ambo le mani sul cilindro di acqua in cui il piccolo feto galleggiava sereno. Fece qualche scongiuro, melodrammatico come il caso richiedeva. «QUELLA è robaccia!» Abbaiò a quel punto, indicando in fondo alla sala nascosta dal drappo dietro il quale lei e il Jonin si erano rifugiati –lasciando Itai e Hoshikuzu alle premurose cure di Makuramon, che da bravo donnino di laboratorio aveva fatto il tè, offerto i biscotti, e controllato le cinghie che assicuravano il (mezzo) corpo del sabbioso al suo lettino ospedaliero.
    Laggiù, su un altro lettino sgangherato, vi era un corpo di un uomo adulto. Moro. Prestante, benché un poco rattoppato.
    E vestito da Majorette. Minigonna con fantasia di note musicali, bustier e capellino a tuba con pennacchio, tutto compreso. C'era persino una piccola tromba di plastica lì accanto. Color dell'oro.
    Ci fu un secondo di silenzio.
    «Pochi lo ha richiesto espressamente.» Si sarebbe giustificata la donna, guardando l’Hokage. Come il poveraccio avesse fatto a chiederlo, visto il coma farmacologico indotto, era un mistero. Come molte cose che ruotavano attorno a Shizuka Kobayashi, del resto. Compreso quel nuovo esperimento. «Gli archivi proibiti che mi hai permesso di leggere: ho imparato tutto da lì. Molti tomi biomedici erano interessanti, ma è negli appunti che ho trovato il meglio di quanto offre quella collezione segreta.» Avrebbe iniziato a spiegare la medico, sorridendo nell’intrecciare le mani dietro la schiena. I suoi profondi occhi verdi scivolarono sui cilindri di liquido amniotico. «Gli scritti di Mito Uzumaki erano innovativi. Quelli di Tsunade, la Quinta Hokage, illuminanti. Molti di quella della donna che ne ha ereditato il posto, la seconda capostipite della nuova linea di sangue Uchiha, erano altrettanto incredibili. Ma con la tecnologia di oggi, erano tutti reperti storici.» Osservò, reclinando la testa di lato. «Invece ne ho trovati altri, non firmati invero... quelli sono su tutta un’altra scia di pensiero. Attuali, a discapito della loro redazione.» E così dicendo, sorrise. Il suo sguardo brillò di entusiasmo. «Non ci sono catene di etica o morale. Si studia il totale annullamento tra la vita e la morte. Non ci sono confini. Tutto è possibile. Tutto impossibile. Puoi avere tutto. O niente. Dipende solo da te.» E questo era quello che lei voleva. «E da quanto sei bravo.» Lanciò un’occhiata alla Volpe, soffermandosi sul suo viso per scorgerne ogni sfumatura. «Non ho mai studiato niente di così geniale, Raizen. Va molto oltre tutto quello che ho mai sperimentato, che il continente ha mai accettato… ma ovviamente, io posso fare meglio.» E così dicendo, sorrise. Non vi era presunzione, nella sua voce, ma certezza. «Molte persone storcerebbero il naso di fronte a questo sapere, e ritengo che abbiano le loro ragioni: il limite che divide questo mondo da quello della perversione è assai labile…ma se riuscissi ad usare le verità che sto imparando a padroneggiare per cause nobili, potremmo fare grandi cose.» Sentenziò, portando i suoi occhi nuovamente sul feto. Passò con premura la mano destra sotto il nome del piccolo, scritto a pennarello grosso: “Hotaka”. «Potremmo cambiare le cose.» Purtroppo merdate come “nindo”, “amore” e “pace eterna e di buona volontà” valevano poco in quell’ambiente. In quello Shinobi. Dietro ad un grande ideale, c’era sempre qualcuno che si era lordato le mani. «L’idea è questa: posso prendere i tessuti di Hoshikuzu, crescerli in vitro come ho fatto per questi esperimenti e ripristinare tutto, dall’epitelio, ai muscoli, fino ai nervi. Tutto, meglio cioè di quello che volevi tu. Usando una combinazione chakrica ad alto consumo e il materiale che tu hai portato dal Covo della Radice, inoltre, posso sia duplicare il simbionte perché non vada mai esaurito, sia attribuire potenzialità estrose ai nuovi arti dell’ospite. L’upgrade che ho in mente io supera un pochino quello concesso dall’immaginazione comune.» Disse, esitando poi un attimo nel vuoto. Sembrava pensare a qualcosa, impegno che le prese qualche attimo, al termine del quale annuì estasiata. «Decisamente fattibile, se lavoriamo in due.» Concluse. «Posso imparare da te la tua arte, e potenziare le mie conoscenze in bionanotecnlogia. In effetti potremmo creare qualcosa di incredibile… e posso lavorare sulla psiche di Hoshikuzu per evitare che smatti. Quindi non preoccuparti. Ho qualche nuova idea da far fruttare nell'arte del sigillo, che potrebbe fare al caso nostro.» Disse, girandosi poi a guardare Raizen, cui sorrise con dolcezza. «Al limite posso amputarmi un braccio e provare prima su di me!» Cinguettò, amorevole, come se stesse ventilando la possibilità di andare a mangiare fuori e non di infliggersi un danno pseudo-permanente, il che la diceva lunga sull’assenza di limiti dei suoi metodi. O semplicemente dell’eccitazione che le metteva addosso il simbionte portato dalla Radice e tutto quello che poteva farci. «In ogni caso, se lavoro senza sosta, straordinari lautamente pagati ovviamente, e una cena elegante fuori al miglior ristorante di sushi di Konoha alla fine della commissione, spesata da te, s'intende; posso terminare entro tre giorni. Ma tu rimani qui, ho bisogno di una fonte di chakra per non morire. E tonici. Molti tonici. E qualcuno che convinca Itai Nara che non sto facendo niente di così peccaminoso.» Fece l’occhiolino alla Volpe.

    Stabilita la linea di condotta con Raizen, si sarebbe messa subito a lavoro.
    Dopo aver sottratto un campione di ogni tipologia di tessuto corporeo di Hoshikuzu –compresa una fiala di sangue e capelli, che dopo aver preso ripose con cura dentro uno dei cassetti dell’enorme cassettiera soffitto-pavimento del suo laboratorio, accanto a molte altre fiale oblunghe accuratamente etichettate–, aver controllato le condizioni del paziente e il suo coma indotto, la scienziata del Fuoco si sarebbe seduta ad un grande piano di lavoro illuminato da quattro lampade operatorie arrugginite.
    I lunghi capelli, raccolti in una crocchia fermata da tre penne, un paio di grossi occhiali dalla montatura scura sulla punta del naso, e il camice bianco macchiato in più punti. Microscopi, provette, alambicchi, tre registri pieni di appunti, due ciotole di ramen vuoto pieno di provette etichettate con disegni di parti del corpo umano.
    Lì accanto, tre manichini anatomici: uno scheletro vestito con un boa di struzzo e un cappello a tesa larga, un modello muscolare con un mantello ricamato, e un mezzobusto posto sopra una pila di libri medici sulla chirurgia.

    Shizuka Kobayashi non avrebbe più alzato la testa.
     
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    L'ingegno per Icaro








    Quando Shizuka finì di parlare Raizen alzò le spalle scuotendo lievemente la testa.

    Non è nelle mie corde.

    Sospirò

    Non riesco ad essere quel genere di persona tutta lusinghe, preferisco i fatti alle parole, lo sai.
    Continua a darmi il tuo punto di vista, ma non essere aggressiva o supponente nel farlo, purtroppo lo sono pure io, e se il primo che interagisce fa il passo falso l’altro lo segue.
    Di base, è il primo che parla a sbagliare.


    Sorrise.

    Ma non credo si possa parlare di incompatibilità, gli incastri più perfetti necessitano di una buona spinta per connettersi, non potrebbe essere altrimenti, in caso contrario giocherebbero e col tempo si consumerebbero.

    Strinse la mano, sfregando il pollice sull’indice serrato, nonostante tra i due non ci fosse nulla, un gesto di disagio, o di nervosismo o un semplice calo di tensione.

    Tutti hanno bisogno di un eroe.
    Il problema è conoscerlo, gli eroi non sono mai come ci si aspetta, sono umani, e quando si prova a fare il loro lavoro sembra sempre che sbaglino, per questo bisogna guardarli un po’ da lontano, per lasciare quel vetro intatto.
    Mai mostrare un lavoro inconcluso.


    Gli battè sulla testa.

    E tutti hanno bisogno di un Hokage.

    “Meritevole o meno che sia del suo posto”, uno stralcio che evitò di pronunciare, mentre tornavano al laboratorio.



    Bambini in Vetro






    Deglutì vistosamente mentre spalancava gli occhi guardando il bambino depositato in quella provetta troppo grande.

    Co-co-cosa?

    Guardò più volte Shizuka e poi il feto, con un ritmo sempre più elevato per poi fissare la Chunin.

    Da chi proviene il dna?

    Disse stringendo gli occhi.

    Se per errore quella scorreggina che fermenta in acqua sviluppa un innata lo sai QUANTE grane passerai?
    E saprai altrettanto bene che non posso difenderti, spero.
    Sto iniziando ad avere con i clan un rapporto più amichevole di quello che si aveva in passato, i vari caproni che si incoronano capiclan sono sempre delle teste calde, e se anche uno solo di loro si lagna gli altri lo seguono a ruota.


    Era ancora accigliato mentre osservava l’infante sotto vuoto.

    Immagino tu non lo stia facendo, ma voglio averne le certezza, puoi studiare e sperimentare quanto vuoi, ma questo è il primo e ultimo bambino.
    Solo nukenin già morti.
    Se sono ancora vivi devono avere sulla testa una condanna a morte.
    E acqua in bocca nonostante tutto.


    Quando uscirono dalla porta guardò Eiatsu, riposava ancora, mantenendo un buon tono muscolare, pareva in buona salute, eccezion fatta per i vestiti.

    Già, di sicuro, gli sarà venuto a noia il camice da ospedale.
    Ma piuttosto questo posto non è troppo arrabattato?
    Per l’ospedale ci sta roba decisamente migliore! Usala!
    Non sarò un esperto, ma con tutta questa robaccia a giro avrai così tante contaminazioni e virus iper resistenti che probabilmente quella scimmia avrà inoculato tutto l’alfabeto delle epatiti!
    “signora Shizuka la sua epatite sta camminando di nuovo”


    Gesticolò mentre scimmiottava un infermiera risultando particolarmente ridicolo visto che non era facile commutare il suo vocione in un falsetto mentre si ingobbiva per interpretare un infermiera delicata e dondolante.

    Non devi trasferirti, devi pulirci.

    Ammise con un tono ed una verità a cui era difficile potersi opporre.

    Ma tornando al sodo.
    Certo, si potrebbero fare grandi cose, ma ricorda, non farti trasportare troppo, ci sono dei limiti.
    Non puoi semplicemente sederti su un demone e prenderlo per le orecchie sperando che ti conduca dove gradisci.


    Serrò le labbra in un ulteriore segno di intesa.

    Oh, grazie.
    Pensavo avessimo risolto questo malinteso del destriero.


    Oh che palle!
    Lo sapevo che ti lagnavi!
    Era un esempio coerente, che diavolo c’è di più potente e rischioso un demone?
    Mica è colpa mia se la maggior parte del tempo la passate come cani rognosi a sbavare di furia!


    Lo sguardo con cui il Kyuubi lo fissò per poco non riuscì a trafiggerlo.

    Come siamo permalosi!

    La marmocchia non ha tutti i torti, sei così cazzone che se non ti fermi una decina di minuti a pensare ti escono di bocca idiozie così grandi che a trasformarle in chakra il paragone con i demoni non sarebbe più così d’effetto.
    “non puoi semplicemente sederti sulle idiozie che spara Raizen e sperare che ti conducano ad un lieto fine!”


    Il rosso demone ridacchiò sommessamente sconquassando il mondo interiore.

    Beh, conosco i miei punti deboli!
    E poi non dico idiozie… diciamo che mi frega un pochetto la dizione.


    A quel punto la volpe esplose.

    PUHAHAHAHAHAHAH!
    POCHETTO?
    POCHETTO?
    Aspetta aspetta!
    Sfoglio tra i tuoi ricordi!


    Una di quelle occasioni in cui la plasmabilità del mondo interiore era scomoda, e permise al Kyuubi di interpretare al meglio la sua parte, impugnando un grosso e vecchio libro, quanto Raizen più o meno, e degli occhiali di corno a chiudere la pagliacciata.

    Ah! Me lo ricordavo bene, quando masamune stava per friggerti le chiappe!
    “ma io volevo andare a salvarlo, avrei finito il percorso e portato in salvo etsuko gni gni gni sono bravo e non un povero bastardo”
    AHAHAHAH eri così convincente che dal giorno ti cacavi sotto persino quando quel paraplegico di Xander si accendeva le sigarette!


    Battaglia persa, miseramente.

    E pensare che quello stronzo mi ha lasciato DUE volte, DUE col culo a terra.
    Altro che occhio, la prossima volta che lo vedo gli faccio una cravatta con la sua stessa lingua.


    Comunicazioni chiuse.
    Quando Shizuka espose il piano Raizen si fece dubbioso, non le sembrava in linea con ciò che aveva compreso degli esperimenti scoperti alla radice.

    Beh, ma se hai il simbionte a che ti serve una coltura di organi?

    Disse con sincera curiosità.

    Non è più conveniente comprendere come usarlo e lasciare che lui faccia il resto?

    Si strofinava il mento mentre parlava, scarsamente convinto di ciò che aveva appena formulato.

    Mmhhh anche se in effetti immagino che ti serva una base che gli permetta di integrarsi dopotutto.
    Potresti partire direttamente dal simbionte?
    Se dessimo al simbionte una forma, quella di un muscolo dovrebbe essere lui ad adattarsi al corpo in cui vivere…?


    Scosse la testa, ormai del tutto disorientato dalle sue stesse proposte.

    Vabè, fai te.
    Attenta però.
    Non si tratta di appunti, ne esperimenti a fondo perduto, dobbiamo andare a colpo sicuro.


    Finita l’organizzazione avrebbe lasciato Shizuka a studiare.

    Ti lascio uno dei miei cloni, ti darà una mano nei lavori pesanti, eventualmente, ed in caso sarà in grado di comunicarmi tempestivamente eventuali messaggi.



    Macerie






    L’indomani, dopo una notte fin troppo breve avrebbe dovuto occuparsi di più di un grattacapo.
    Le macerie dell’amministrazione giacevano al loro posto testimoni di una battaglia che il villaggio avrebbe preferito non ospitare al suo interno.
    Aveva fatto allestire all’esterno un piccolo palco, in realtà più un podio sopraelevato, per poter parlare ai cittadini, chi non aveva domandato la notte scorsa dopotutto l’avrebbe sicuramente fatto in quel momento constatando che uno dei simboli del villaggio non esisteva più.
    Quando salì nel posto che gli spettava lo fece con una velatura di colpevolezza nel viso, lievemente accigliato, ma sicuro, indistruttibile. Doveva essere tante cose in quel momento, e la plasticità del suo viso in quelle occasioni gli tornava particolarmente utile.
    Colpevole per non essere riuscito a concludere tutto alla perfezione, per aver messo a repentaglio la vita dei cittadini con una lotta che si sarebbe potuta espandere, e per aver permesso che uno dei simboli del villaggio venisse distrutto, ma nonostante tutto forte, nonostante i colpi che gli calavano sulle spalle avrebbe dovuto reggere e non piegare le ginocchia. Mai.

    L’amministrazione, è stata distrutta.

    Disse constatando l’ovvio.

    Ieri notte, intorno alle due.

    Continuò aggiungendo particolari.

    Io e due miei fedeli collaboratori, Shizuka dei Kobayashi e Itai Nara, l’attuale Mizukage, siamo stati impegnati in una lotta necessaria.
    Un valoroso shinobi della foglia, uno specialista delle infiltrazioni a durata indefinita, è tornato definitivamente alle nostre fila.
    Queste missioni comportano nella maggior parte dei casi la manipolazione dei ricordi soggetti, ricordi che, tornando al loro posto, possono portare a status confusionali di entità indefinita e grave, scatenando quel genere di emozioni e processi emotivi in grado di svegliare poteri incontrollabili in quei determinati momenti.
    Nel caso di Riuji –un nome di fantasia ideato per poter tenere l’identità dell’infiltrato al sicuro- Uchiha lo shock è stato sufficiente a risvegliare uno dei poteri più devastanti del suo valoroso clan.
    I risultati potete vederli alle mie spalle.


    Indicò le macerie senza voltarsi.

    Ryuji e tutti gli shinobi coinvolti sono salvi, seppure ammaccati in quanto io stesso mi son dovuto occupare di sedare il ninja, la sua furia e la vicinanza al centro abitato mi hanno costretto ad un’azione repentina che potesse chiudere il confronto senza danni irreparabili ad alcuna delle part e tantomeno a degli innocenti.

    Restò qualche secondo in silenzio.

    Tuttavia, la missione è andata a buon termine, Riuji ha saputo concluderla per il meglio nonostante il rischioso finale.
    Attualmente versa in condizioni stabili all’ospedale cittadino, nel riposo più totale che gli permetterà di riordinare i ricordi ed evitare la distruzione di un altro palazzo.


    Concluse con l’accenno di un sorriso.

    Scontrarsi tra compaesani, rischiare la vita contro un valoroso shinobi soltanto per il suo bene non è piacevole ma come ho detto ieri notte ai primi di voi che mi si sono presentati:
    Per quanto possa essere triste o stupefacente devo chiedervi fiducia, e comprensione.
    La mia vita è stata promessa alla salvaguardia del villaggio e se sono qui, a parlare, se ho ancora fiato in corpo è perché questa non è in pericolo.
    Niente. Niente. Niente che possa nuocere al villaggio riuscirà a passare oltre il mio corpo.
    Tornate alle vostre case e fatelo a cuor leggero, Konoha è al sicuro.
    I Senju si occuperanno al più presto e sotto la mia supervisione, di erigere una nuova amministrazione.
    Informazioni riguardo la disposizione dei nuovi uffici vi saranno forniti dai miei collaboratori.


    Fece un piccolo cenno con la testa.

    Arrivederci.

    Concluse allontanandosi dal palco a piedi, quel discorso era necessario, le parole e le spiegazioni lo erano, una bocca affamata, una mente affamata, avrebbe sempre cercato soddisfazione, e se non fosse stato Raizen a fornirla chiunque avrebbe potuto, travisando, inventando o chissà ancora cosa.
    Il piccolo discorso venne registrato e mandato su tutti i notiziari ai tre orari comuni in cui questi venivano trasmessi, in modo che nessuno rimanesse deluso.
    La sua lunga giornata purtroppo era a malapena cominciata, le lastre delle ossa di Hoshi erano infatti complete e la forgia già messa in caldo da un suo assistente. Non restava che mettersi all’opera.
    Aveva un unico problema, che constatò solamente quando fu davanti alla forgia: le ossa richiedevano una precisione fuori dal comune, lui al momento di preciso aveva unicamente le immagini fornitegli dall’ospedale, generate da apparecchiature che non rendevano al meglio la conformazione dell’osso. Per questo si recò una seconda volta nell’edificio con una richiesta più particolare: uno dei costosissimi scheletri che venivano usati dai tirocinanti per apprendere al meglio forme e anfratti del sistema scheletrico.

    Eccellente.

    Era riuscito a portarlo sano e salvo nel laboratorio, cosa di cui non era stato sicuro fino al suo arrivo, non aveva voglia di sborsare anche per pagare quello stupido manichino dopotutto.
    Grazie all’amico perennemente sorridente, chiamato simpaticamente Jerry Stecco il suo compito fu estremamente più semplice, misura e forma principale vennero eseguiti per primi, tenendo di conto la dilatazione termica che avrebbe potuto rovinare la precisione e l’oculatezza che stava dedicando a quel lavoro.
    I campi magnetici che aveva imparato a generare grazie alla sua tecnica di teletrasporto gli tornarono utili permettendogli di modellare con più facilità il metallo alla giusta temperatura, senza doversi affidare a degli imprecisi colpi di martello, a lavoro ultimato avrebbe dovuto privare il metallo del campo magnetico certo, ma finchè poteva era un comodo alleato, senza contare che nella giusta misura avrebbe aiutato ad eliminare l’attrito, cosa che tenne di conto.
    Riuscì ad ultimare relativamente in fretta il primo osso, aveva scelto l’indice del metacarpo, ma solo a tenerlo in mano una volta finito si accorse che era estremamente spiacevole, per quanto affascinante alla vista per via della superficie perfetta e dal colore singolare era freddo, terribilmente, una sensazione sicuramente spiacevole.
    Scartò quindi il metallo come materiale principale, optando per un polimaterico che avrebbe richiesto certamente meno fatica.
    Stava scegliendo il nuovo materiale quando si accorse che il metallo non era un idea del tutto errata, doveva solamente legarlo al concetto di simbionte, inizialmente infatti, grazie alle stimolazioni di chakra, avrebbe avuto un potere rigenerante non da poco.
    Doveva solo scegliere un materia leda magnetizzare in grado di attirare a se il metallo, ma con un punto di fusione minore rispetto a quello della lega definitiva in quanto l’espulsione sarebbe avvenuta mediante trattamento termico.
    L’idea era quella di inserire del metallo tra delle bolle di un secondo meteriale che una volta rimosso avrebbe lasciato una struttura perfetta per accogliere una ricrescita ossea senza intaccare alcuna funzione dello scheletro.

    Sono un genio.

    L’intero processo gli richiese qualche giorno ma ad operazione conclusa il lavoro era così perfetto da mettere addosso al Colosso un certo senso di divino potere.
    Le articolazioni mancavano ancora di supporti adatti al continuo sfregamento generato dai più comuni movimenti, ma le sedi erano pronte, non gli restava che trovare qualcosa di sufficientemente liscio da non creare attrito durante i movimenti, tutto l’opposto del materiale che era appena riuscito a creare.
    Gli sarebbe infatti servito qualcosa di estremamente duro per una lucidatura sopraffina e duratura.
    L’ultimo passo fu l’assemblaggio, aveva infatti legato lo scheletro con dei piccoli fili biodegradabili in modo da ottenere una struttura coesa e non un puzzle disordinato.
    Lo riguardò più di una volta per assicurarsi che l’errore rispetto alle lastre originali fosse contenuto, la prova finale fu una lastra sul sostituto dell’osso che confermò la totale compatibilità con quelle di Hoshikuzu, erano lievemente più fini, ma l’integrazione ossea avrebbe sopperito egregiamente ricoprendo gli spazzi che gli erano stati lasciati.
    Mise tutto dentro uno stampo di gomma protettivo e si diresse all’ospedale.
    Il Colosso intanto non era l’unico ad aver avuto dei problemi infatti, se le sue difficoltà derivavano dalla scelta dei materiali infatti Shizuka ne trovò in quella del metodo, gli appunti e gli studi infatti riportavano notizie su come creare il simbionte, ma nozioni riguardanti la creazione del muscolo da zero sfruttandolo erano a malapena accennate, si poteva infatti dire che il simbionte avesse in memoria o in generale la possibilità di mutare in qualsiasi cellula specializzata presente nel corpo umano, una funzione utilissima quando si trattava di riparare un danno, dopotutto bastava connettere due estremità separate, o ripristinare porzioni, ma creare qualcosa da zero non era semplice.
    Se avesse trovato un supporto su cui il parassita avrebbe potuto ricostituirsi successivamente avrebbe dovuto implementare il DNA di Hoshi, rendendo la sua creazione a tutti gli effetti una parte del sunese, con l’unico problema che per quanto il simbionte fosse fedele al DNA del jonin tendeva a fagocitarlo, conformandosi alle esigenze, ma soppiantando del tutto i processi naturali più comuni e sostituendoli con i propri. Era quasi osservabile al microscopio un espansione meticolosa e volontaria che una volta completa avrebbe portato alla contrazione del tutto autonoma del muscolo prima di un accrescimento incrementato di svariati punti percentuali che avrebbe mandato in malora i primi esperimenti, originando fasci muscolari degni di un cavallo più che di un essere umano.
    Come contenere la natura evolutiva di quell’essere per piegarla ala proprio volere?
    Nel mentre il riposo di Hoshi stava mettendo ordine nei suoi ricordi, caricando nella sua mente esperienze che non ricordava, fino a quel momento di aver vissuto, i giorni e le esperienze assumevano parvenza di nuove avventure più che di esperienze vissute. Stralci di vita che venivano vissuti nuovamente e nuovamente ricatalogati e reinseriti al loro posto.
    Come sarebbe stato rivivere la sua morte e scoprire che il Colosso otese l’aveva sfruttato unicamente per i suoi scopi, ingannato e rinchiuso in una prigione di indottrinamento senza il minimo consenso, ma anzi, con la totale consapevolezza di fare qualcosa di sgradito!
    E la stella? Dov’era finita la stella che per essere ghermita aveva richiesto la vita del Rosso?




    CITAZIONE
    Hoshi, ti direi di dare il primo post ad Arashi, così hai da raccontare anche dell'eventuale primo approccio col nuovo braccio :guru:
     
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    九代目水影 - Kyuudaime Mizukage

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    Nuovi Ali per il Vento

    IV



    Il laboratorio di Shizuka era incantevole. Se in quel momento la Kobayashi avesse scavato nella mia mente per cercare di capire cosa pensassi di quell'intruglio di alquanto esoteriche stranezze (così scientifiche da sembrare magiche) unite alla moltitudine di particolarità che Shizuka aveva posto in quel posto come suo "segno personale", quasi a dimostrazione del suo carattere così acceso e variegato, non vi avrebbe trovato paura o disgusto. Non era nelle mie corde. Spesso, anzi sempre, si tendeva a pensare che la bontà di Itai Nara sfociasse nella estrema etica in qualsiasi campo. Niente di più sbagliato. Ero disposto a torturare i miei nemici, ad ucciderli se serviva. Ero disposto ad accettare abomini peggiori di quelli lì presenti, preparati in laboratori ben più oscuri di quello in cui ci trovavamo a cercare di salvare la vita di Hoshikuzu. Ero impressionato da Shizuka, ma in maniera ben più positiva di quanto lei potesse immaginare. Così presi un biscotto, senza pensarci o particolari disgusti (avevo aperto più pance a colpi di spada di quanto fossi disposto a ricordare, non ero di stomaco gentile) e lo addentai senza troppi complimenti. Mica sono avvelenati, vero?, ovviamente scherzavo, dato che avevo parlato quando il primo boccone era ormai stato ingoiato. In ogni caso, complimenti Shizuka, ammetto che sono davvero affascinato da questo posto, ero sincero. Anche se avessi scoperto dei suoi esperimenti con i feti probabilmente non avrei fatto una piega. Forse per ignoranza, non la ritenevo una cosa così scandalosa. Certo, forse sarebbe stato meglio utilizzare il materiale umano - anche se in epoca prenatale - con una certa oculatezza.
    Rimettio in sesto, Shizuka, dissi prima di uscire È mio amico. Quello era il secondo favore che gli chiedevo quel giorno. Ero certo che me l'avrebbe fatta scontare, prima o poi.




    Quando il discorso di Raizen alla popolazione di Konoha fu terminato e potemmo parlare ancora in privato, senza l'interferenza di altri, decisi di tirar fuori lo stesso argomento che Shizuka aveva tirato fuori precedentemente (a mia insaputa). Solo che, per fortuna dei nervi di Raizen, non intendevo minimamente fare inutili scenate. Una Bijuudama, eh?, dissi senza riuscire a sopprimere un'ironica risatina. Mi sorprende che Hoshi sia stato danneggiato così tanto da una sola Bijuudama. C'era bisogno di utilizzare la versione grossa?, dopotutto sapeva anche lui che al pieno dei nostri poteri la BIjuudama poteva assumere una potenza ancora più devastante. Raizen, è il tuo villaggio e sei libero di sparare tutti i Jutsu che vuoi qui dentro. E non so la dinamica dell'incidente. Però non ho visto crateri al suolo, quindi deduco che tu l'abbia colpito al volo, bella mossa, ma lui avrebbe potuto schivarla. Ed una Bijuudama che viaggia nel villaggio potrebbe rovinare la serata a qualcuno. A Konoha vivono mio fratello e mia sorella, ed Ayame e le mie figlie sono qui. Tu sei libero di fare ciò che vuoi Raizen, è vero, sospirai Ed i fatti ti hanno dato ragione. Ma se fosse andata male? Non era necessario, è un Jutsu pericoloso e rumoroso. Più gonfiato di quello che ci fanno credere, ma abbastanza potente da uccidere una manciata di persone indifese. Fa attenzione, è solo un consiglio, data la direzione della fuga di Hoshi e la posizione dei quartieri Nara e della Magione dei Kobayashi ero certo che Ayame, Hanako o Maku non erano stati messi in pericolo. Il mio tono non era acceso o accusatorio, ma potevo davvero tacere del tutto in base a ciò che avevo visto? Io torno da Ayame, rimarremo da mia sorella quasi sicuramente, ama avere le nipoti attorno. Se c'è bisogno di me, o di una smodata quantità di chakra per qualcosa, sai dove trovarmi Raizen, mi voltai e lo salutai, saltando subito dopo via per tornare dalla mia famiglia.


    Quando raggiunsi Ayame alla Magione lei mi saltò al collo, evidentemente preoccupata. Ehi, mormorai, accarezzandole piano i capelli.
    Ti allontani un attimo ed esplode un palazzo. Perché mi fai questo? Sono una donna incinta! Non usi mai questa scusa, lo fai per farmi sentire in colpa?, passai le mani fino sulle sue spalle. Scusa, non era previsto, ma va tutto bene. Cos'è un palazzo che esplode dopotutto, dissi con tono leggero. Qualcosa che mi terrorizza, idiota, lei sospirò, scutendo il capo. Sopratutto se ci sei tu dentro. In ogni caso, che accade? Ho sentito delle voci...
    Sì, sono vere, ma in ogni caso va tutto bene Ayame. Le bambine? Sono dentro, sono spaventate Lo capisco. Dobbiamo restare a Konoha per qualche giorno Ayame, dissi allora. Lei non indagò sul motivo, sapeva benissimo che se avessi potuto rivelarglielo, l'avrei fatto. Andiamo da Hanako?, disse ed io annuii. Ehi, dissi dopo una piccola pausa di riflessione, prendendo una sua mano nella mia. Sei preoccupata?
    Io sono sempre preoccupata, mi disse, mentre sulle sue labbra si dipingeva un sorriso triste. A volte vorrei che smettessi e che facessi un lavoro meno pericoloso... poi mi ricordo che non sono più l'Ayame che hai salvato dal vicolo, sono la moglie del dannato Mizukage. Sono sempre preoccupata, ma non vorrei che tu facessi altro per nulla al mondo.
    Ero spesso costretto a nasconderle ciò che facevo. Non potevo rivelarle tutto. Il dubbio di azioni pericolose era sempre presente in lei, ed in passato le avevo dato tutti i motivi per dubitare del fatto che il mio mestiere potesse essere privo di rischi. Sentendo quelle parole mi sentii realmente fortunato. Non sarei potuto essere la metà di ciò che ero senza averla al mio fianco. Lei era la mia debolezza, secondo molti. In realtà era la mia forza. Lei, Jukyu e Nana. E quel bambino non ancora nato. Mi avevano sempre dato la forza di lottare nelle situazioni peggiori, ed uscirne vivo, in un modo o nell'altro.

     
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    Research is creating new knowledge.





    «Ah, questo è un bel problema.»

    Quando la Volpe parlò, sentenziando circa la nuova condotta di sperimentazione della donna dell’Airone, Shizuka Kobayashi stava dando le spalle al cilindro di liquido amniotico in cui ciò che aveva definito come “suo figlio” cresceva serenamente. Gli occhi di lei, verdi e splendenti, si socchiusero nella perplessità: a quanto pareva il commento sul “primo e ultimo bimbo” e anche sul “filamento di dna usato” l’avevano interdetta un poco.
    «Nel senso…» Riprese infatti a dire la scienziata, alzando una mano ad indicare l’etichetta attaccata al vetro del cilindro. «…Hotaka è il settantreesimo esperimento. Quello buono, intendo: l’unico uscito bene.» Fece presente, indicando un numero scritto sul foglio: #73, appunto. «E l’ho creato usando il DNA mio, tuo, e del primo Hokage: Hashirama Senju.»

    Silenzio.

    «Quindi sì, abbiamo un problema.»

    Silenzio.

    «Ho creato Hotaka per essere il fior fiore del corredo cromosomico di Konoha: ha sangue Uchiha, Senju e un pezzo di filamento del Jinchuuriki della Volpe a nove code.»

    Silenzio.

    «Questo figlio è tanto tuo quanto mio.»

    Silenzio.

    «E del primo Hokage, ovviamente, ma lui non può avanzare nessuna pretesa visto che è morto, e io ancora non sono capace di resuscitare i morti. Per ora.»

    Arrivati a quel punto non si seppe più se ad essere più agghiacciante fosse la puntualizzazione del “per ora” in merito al resuscitare i cadaveri, se il bambino di due mesi in provetta che conteneva il sangue più potente della Foglia, o se Shizuka Kobayashi sorridesse gentilmente mentre diceva quelle cose.
    «Lascia che ti spieghi…» Iniziò rapidamente a dire la dottoressa, strappando il foglio dal vetro e avvicinandosi per metterlo in mano a Raizen Ikigami. «…ovviamente avrai già capito perché ho insistito tanto a tagliarti i capelli tre mesi fa, e a farti il check-up sanitario completo il mese ancora prima. Ma andiamo con ordine.» Sorrise, e sembrò quasi bella in quel momento. Quasi una ragazza normale, con normali interessi e normali sogni, che non includessero il diventare la Kunoichi più potente del continente, con primati ancora tutti da capire. «Gli appunti che sto seguendo sono senza firma. Non so chi li abbia scritti, anche se comincio ad avere qualche idea, ma per quanto geniali siano qualche cane ha strappato dei fogli. Mancano intere parti, il che renderebbe incomprensibile il contenuto del documento a chiunque non abbia il mio cervello.» Ostentò nochalance (omettendo che per capire quella roba aveva dovuto sprecare tre mesi di studio in solitaria e diverse gocce di calmante). «All’inizio non sapevo davvero cosa stessi andando a fare, credimi. È stato qualcosa che mi è capitato tra le mani, e non sapevo come fare a gestire tutto.» Spiegò allora di come prima di Hotaka ci fossero stati molti “esperimenti falliti”; raccontò della sua disperazione, l’agonia della solitudine e il peso di ciò che stava facendo. Benché nessuno dei primi abomini potesse considerarsi nient’altro che un pezzo di carne putrida, aveva continuato sapendo che se fosse riuscita nel suo intento avrebbe ottenuto un traguardo importante per Konoha e per tutto il continente: non era infatti solo questione di fecondazione in vitro per tutte quelle donne che non potevano avere figli, quelli che lei intendeva erano raggiungimenti ben più importanti, che prevedevano la coltivazione di organi e interi arti, la possibilità guarire persone date per spacciate a causa di malattie, malformazioni o ferite mortali. Con ogni probabilità sarebbe arrivata anche a clonare. A riportare allo stadio originale, o a quello finale. C’erano così tante cose che avrebbe potuto fare se solo fosse riuscita in quello scopo… cose ancora tutte da scoprire. Tutte da conquistare. «Purtroppo il mio solo DNA creava cloni. Il conflitto genetico era troppo forte. E così ho iniziato ad usare un secondo esemplare di filamento.» Ma nessuno di quelli si era rivelato abbastanza stabile ed efficiente. Ci voleva qualcosa di forte, che resistesse alla sperimentazione, allo stress scientifico, qualcosa di potente, che non crollasse, che non si distruggesse. Ci voleva il meglio del meglio. «Ricordi l’albero del primo Hokage, no? Me lo hai fatto vedere tu, e tu mi hai dato libero accesso alle serre: ho usato quello, assieme al tuo corredo cromosomico, e al mio. Il meglio del meglio, insomma.» Non esagerava, purtroppo: il sangue di Shizuka e Raizen era probabilmente l'eccellenza del loro Villaggio, e quello di Hashirama Senju lo era altrettanto. «Non mi aspettavo che funzionasse, ero pronta a rinunciare dopo questo tentativo… ma tant’è.» E indicò il feto. «Lui è geneticamente perfetto. Fisicamente sano. Sta bene sotto ogni aspetto, la sua crescita è regolare.» Osservò, senza distogliere lo sguardo dalla Volpe. «"Hotaka Kobayashi", lo terrò con me, come mio figlio, e mi prenderò cura di lui: creerò delle memorie che giustificheranno il suo passato e il suo inserimento a Konoha, seguirò la sua crescita e ogni sua possibile evoluzione. Vorrei in questo modo dare un significato alla sua vita, che io ho creato, ed aprire un possibile nuovo orizzonte in merito a questo genere di sperimentazione anche in campo bellico, oltre che medico.» Non era necessario elencare quante cose si potesse fare con competenze di quel tipo, e sicuramente Raizen Ikigami avrebbe avuto modo di capirlo in un solo attimo. Nonostante ciò, a quel punto la donna esitò. Per un attimo, nei suoi occhi verdi, una cortina di fumo si levò, addensandosi nel dubbio. «Non lo ucciderò, Raizen. Se anche me lo ordinassi, non lo farei. Per quanto non sia altro che un feto in provetta...questo bambino è sano e io sono responsabile del suo esser stato creato. Il sangue che scorre nelle sue vene è anche mio, dopotutto. Quindi, ti prego, non...» Era evidente perché parlasse in quel modo: si era spinta troppo oltre, ormai, per rinnegare il punto in cui si trovava.

    Hotaka “passi segreti verso le stelle”. Questo era il significato dei Kanji usati.
    Nessun nome era mai stato più idoneo per un neonato.

    […]


    «Il mio laboratorio è pulito, Makuramon si occupa delle pulizie ogni giorno.» Non distolse gli occhi dal suo microscopio quando passò un dito sopra il primo mobiletto che le capitò a portata di mano: non c’era nemmeno un granello di polvere, in effetti. «Ho problemi di spazio, ma ho già una mezza idea di allargarmi. Sto sperimentando dei Fuuinjutsu interessanti.» Quando Shizuka Kobayashi diceva di “sperimentare” qualcosa di “interessante” c’era sempre da preoccuparsi, e quando lo diceva in merito all’ambiente medico, o con riguardo a Konoha, il problema era se possibile maggiore. «Beh in ogni caso, rispondendo alla tua domanda: capire come funziona il simbionte è la prima cosa da fare. Da quello che ho capito solo quell’Aburame di cui mi dicevi ha sperimentato su di sé questa roba, e con tristi risultati.» Oh, come avrebbe voluto analizzare anche quella femmina… «Non intendo infilare nel corpo di Hoshikuzu qualcosa che non posso gestire. In linea di principio, però, l’idea è quella di prendere un campione e vedere come fare a duplicarlo. In questo modo la materia primaria non andrà mai esaurita.» Spiegò, grattandosi la gola. Era un elemento troppo prezioso per rischiare di “finirlo”, dopotutto. «Conclusi questi esami istologici sui tessuti dell’habanero, poi, vedrò come legare il simbionte al suo corpo. Vorrei che questo rimanesse però solo all’interno del corpo, all’esterno farò in modo che ci siano i suoi nervi, le sue articolazioni, i suoi muscoli, la sua carne e la sua pelle…tutto, insomma. Nessuno deve capire che c’è qualcosa che non va, altrimenti il gioco non vale la candela.» E detto ciò tornò a lavorare sul suo materiale.

    I fascicoli che Raizen le aveva portato erano accurati, ma non così tanto da permettere di essere capiti. Sembravano più gli appunti di chi li aveva scritti, piuttosto che documenti per i posteri. Ragionevolmente, chiunque avesse lavorato a quella roba non aveva interesse a che qualcuno, ad eccezione di se stesso, potesse capirci qualcosa. Dopo tre ore e quaranta minuti, dunque, Shizuka Kobayashi comprese che qualsiasi ulteriore impegno da parte sua sarebbe stato vano e così, a malincuore, si limitò ad arrendersi.

    Già. Ad arrendersi.

    Togliendosi gli occhiali dalla punta del naso, che strofinò un poco tra indice e pollice per cercare sollievo, alzò le mani verso l’alto e sospirò.
    «Non ci capisco assolutamente un cazzo.» Cinguettò, in quel suo modo affabile che trasudava compostezza e nobiltà. «Non è questione di ricomporre questo tizio e rimandarlo a casa… è questione che il maiale laureato che ha scritto questa merda era proprio intenzionato a non lasciar trapelare i suoi segreti.» E la sua voce, così dicendo, si ruppe. Anche qualcos’altro si ruppe, e cioè il vassoio pieno di biscottini per Itai Nara che la scimmia da laboratorio teneva in mano. L’animale, infatti, ben conoscendo l’inclinazione di voce della sua padrona, e sapendo cosa succedeva quando l’udiva, non poté fare a meno di fermarsi, presa da qualcosa che non si capiva se essere eccitazione o paura. «Makuramon.» Puntualmente la donna si girò, fissando la bestia. «Cosa diavolo stai facendo?» Era perplessa. «Ti prego, non spaventare Itai. È un tipo che si impressiona facilmente, sai, non vorrei che pensasse male di questo posto.» E così dicendo si girò a guardare il biondo di Kiri, cui sorrise dolcemente. «Perciò pulisci tutto. E appena hai finito vieni qui.» Continuò a quel punto, girandosi di nuovo verso la sua scrivania. Con la punta degli stivali, la ragazza spinse le rotelle della sedia su cui sedeva fino ad un tavolo vicino, da cui prese alcuni contenitori pieni di strane polveri: alcune di queste erano bianche, altre colorate. Le osservò bene, anche in contro luce, e dopo aver sniffato un paio di volte da alcune boccette, iniziò a infilare il contenuto delle stesse in alambicchi in vetro, sotto ai quali accese poi piccole fiammelle blu. Tempo qualche attimo e il miscuglio strano da lei creato prese a bollire, rilasciando nell’aria un delizioso odore di fiori. «Ah sì.» Aggiunse solo allora Shizuka Kobayashi, passandosi il dorso della mano sul naso umido. «E tagliati un dito della mano, per favore.» Silenzio. «Ne basta uno, stavolta.» Puntualizzò gentilmente. «Tranquillo, stavolta credo che questa roba funzionerà. Nel senso, te la mangi e credo che la ferita e la vitalità si ripristineranno.» Sorrise. «Credo

    Benché la ripetizione della parola “credo” sarebbe stata sufficiente a indurre nel più stolto degli interlocutori la consapevolezza che persino quel tentativo di creare tonici non era nient’altro che l’ennesimo esperimento di una mente che sembrava giocare con tutto ciò che era vivo e si muoveva, Makuramon era una scimmia fedele e volenterosa. E con un grosso Fuuinjutsu di obbedienza dentro il cervello. Ragion per cui, senza pensarci minimamente, afferrò il primo coltellaccio che trovò in giro (impresa assai facile, tanto per dire che posto sicuro era quel laboratorio), e si amputò di netto due dita. Il sangue prese subito a zampillare, schizzando il pavimento.
    «Avevo detto uno, non due!» Ruggì la dottoressa, furiosa, e così dicendo tirò (oltretutto) un ceffone in capo alla bestia che, borbottando, scimmiottò chissà quale commento. «Non direi.» Rispose per tutto contro la ragazza, facendosi torva. L’animale insistette, gesticolando con la mano buona. «No, no... se dico uno è perché me ne serve uno, che me ne faccio di questo, ora? Eh?!» Replicò ancora la medico, sventolando il dito superfluo di fronte agli occhi della scimmia. Questa commentò ancora, nella sua lingua o presunta tale. «E va bene, come vuoi tu... Certo che sei particolare, eh.» Sospirò allora la Primario, mettendosi a braccia conserte e sospirando sonoramente per poi scuotere stancamente la testa.

    […] E quindi c’era un laboratorio eccentrico, una donna che creava bambini in provetta e parlava con gli animali, e scimmie masochiste che si infliggevano ferite e sembravano goderne.
    “Particolare” non era forse il termine più adatto per descrivere quella scena, ma tant'era che Konoha ormai era la nuova Oto. O un circo. C'era ancora da capirlo.

    Quale che fosse la situazione Shizuka Kobayashi non si fece distogliere dalle osservazioni della sua cavia da laboratorio, e prelevato il simbionte con accuratezza degna del miglior medico del continente, impiantò la siringatura in una delle due dita mozzate.
    In appena un attimo la materia intelligente prese a reagire.
    Non fu necessario usare lenti di ingrandimento o altra attrezzatura da laboratorio per capire l’eccezionalità di quella roba: codificato l’assetto genetico e cromosomico dell’ospite, si impiantava all’interno di esso per poi riprodursi velocemente, ricreando ciò che era andato perso.
    Purtroppo, però, lo faceva “infettando” la nuova creazione con l’algoritmo del suo essere. E ciò che ne usciva, dunque, per quanto apparentemente simile all’originale, non era altro che una riproduzione alterata.

    Agiva esattamente come un virus.

    Iniziando a scrivere su un grosso registro alto tre dita e dalla copertina di cuoio rigido, la Primario di Konoha si piegò a terra. In mancanza di superfici libere su cui appoggiarsi, infatti, non si fece problemi a calarsi e scarabocchiare sulle sue stesse ginocchia: appunti, annotazioni, calcoli, congetture… tutto quello che le veniva in mente.
    «Come credevo.» Concluse alla fine della quarta pagina di numeri e colonnati scritti fitti. Rilesse tutto, da capo, in un religioso silenzio che solo il gocciolare dell’altro dito monco della scimmia osava interrompere. A quel punto arricciò il naso: sembrava irritata.
    Qualsiasi cosa credesse, non era bella.
    «Makuramon, l’altro dito per favore.» Ordinò la donna, e presa un’altra siringatura di simbionte la iniettò nel secondo dito mancante.
    Stavolta, a differenza della prima, non si limitò ad osservare: mentre il liquido che contenente il simbionte veniva spinto dallo stantuffo dentro la carne livida della bestia, la scienziata richiamò a sé una dose spiazzante di chakra, che avvolse la sua mano in un ruggente e sfrigolante alone blu elettrico. Subito appose questa sopra quella della scimmia, che iniziò a urlare. Se urla si potevano definire quelle graffianti grida di dolore e terrore puro. «Resisti.» Si limitò a dire Shizuka Kobayashi, ma sapeva che non era semplice farlo.
    Perché quello che stava usando non era chakra medico, o meglio, lo era. Ma usato in altro modo. In un modo diverso.
    Non per aiutare, ma per imporre.
    Non per guarire, ma per piegare.
    E mentre medicava, mutava. Mentre supportava, ordinava.

    Se era pur vero infatti che il simbionte agiva autonomamente, lo faceva perché non c’era niente che gli si opponesse: ricreava qualcosa che non c’era e si riproduceva a grande velocità, cambiando ciò che trovava secondo il proprio ordine. Era un virus. Un virus buono, si poteva dire, ma sempre un corpo estraneo intelligente inserito in un altro corpo, un po’ meno intelligente e troppo debole per opporsi.
    Le regole del gioco però cambiavano se durante il processo di ricreazione, il virus era tenuto sotto controllo da qualcosa di più potente e più affamato della sua capacità di fare miracoli. Quel qualcosa, era il suo chakra: riprogrammando simultaneamente il corredo cromo-genetico del simbionte, poteva imporre a questo di adeguarsi alle sue esigenze, diventando quello che LEI voleva, pur conservando però la sua innata intelligenza e le sue originarie doti, utili ad ottenere un risultato finale invidiabile.

    E allora, quando Raizen Ikigami fosse ritornato, avrebbe trovato, oltre ad un pavimento impregnato di sangue fresco e una scimmia con due dita diverse – una troppo grande e l’altra perfetta, ma dalla pelle nuova come quella di un cucciolo –, la giovane donna dalle mille facce che, accasciata al suolo, ansimava affannosamente.
    Aloni di chakra blu elettrico ancora guizzavano tenuamente intorno alla sua mano destra, per qualche motivo livida, mentre la sinistra era stretta attorno ad una siringa vuota. La fronte imperlata di sudore lasciò precipitare brillanti gocce sferiche al suolo, dove impattarono, frammentandosi.
    «Mi mangio un po’ di questa roba...» Indicò con un cenno della testa una specie di pappa rossiccia, la stessa che aveva preparato in precedenza. «...O comunque mi prendo un po’ di riposo.» Non era ancora sicura che quella sbobba funzionasse, del resto. «Poi, possiamo iniziare.» Annunciò, passandosi un braccio sopra il volto. Si rese conto che stava iniziando a tremare: la stanchezza le giocava sempre quel genere di brutti scherzi. «Hoshikuzu uscirà di qui che sarà perfettamente nuovo. Cosa pensavate, che una robetta come questa mi mettesse in difficoltà?» Avrebbe voluto ridere, ma aveva la bocca secca. «Sono o non sono il miglior medico del continente?» I capelli sciolti cadevano dalle sue spalle, incurvate in basso, a coprire il suo viso; ma non era necessario vederlo per sapere che stava sorridendo. «Sarà doloroso come l’inferno, per lui, e a me servirà tutto il chakra possibile. Ma dopotutto questa faccenda non è mai stata piacevole, no?» Deglutì, esausta. «Iniziamo quando volete.»

    Avrebbe passato i primi minuti dopo essersi ripresa, e mentre Raizen e Itai discutevano sul da farsi, a carezzare la fronte di Hoshikuzu Chikuma, sussurrando piano qualcosa nell'orecchio di lui.
    "Va tutto bene" diceva con dolcezza, un sentimento vero nel cuore di quella donna, che poteva forse non aver chiaro il limite tra buono e cattivo, o etica e morale, ma che non dimenticava mai di amare chi la circondava. "Presto avremo finito"

    "Stai tranquillo, Hoshi. Ci sono io, con te."


     
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    Nonostante il coma farmacologico indotto, le parole di Shizuka erano giunte all’attenzione di Hoshi sotto forma di un tiepido vento che lo aveva avvolto nel suo limbo costituito dal nulla. La sensazione di calma e sicurezza aveva lasciato sul volto del ninja un ghigno estasiato. Nella mente del Chikuma i ricordi avevano trovato tutti il loro giusto posto, ormai non era rimasto più nulla dei falsi ricordi innestati dal Colosso dei Mikawa. Ovviamente il ricordo del generale scarlatto di Oto era tornato ad essere quello di sempre e cioè quello di ammirazione per un grande e potente ninja, niente di tutto ciò che gli era stato fatto era rimasto. I falsi ricordi si erano semplicemente dissolti scomparendo nel nulla, niente e nessuno sarebbe mai riuscito a recuperarli.


    Anche tutte le persone nuove e i fatti vissuti dopo l’operazione ai danni della memoria del rosso erano tornati al loro posto. Il monaco Zong, la testarda e dolce Nakora e tutte le persone con cui era entrato in contatto dopo il suo ritorno dalla missione nel paese della Roccia erano rimaste impresse nel suo cuore e nella mente. Hoshikuzu Chikuma era finalmente libero dalle catene imposte da Oto, erano tornato dopo tantissimo tempo ad essere nuovamente se stesso, in tutto e per tutto. Certo non poteva immaginare quello che sarebbe successo di li a poco.




    [...]




    Qualunque fossero stati i procedimenti e le tecniche messe in atto da Shizuka e la sua equipe l’operazione sarebbe andata a buon fine dando i migliori risultati sperati. Utilizzando l’ossatura metallica creata da Raizen e il simbionte custodito segretamente nel villaggio della foglia i due sarebbero riusciti a dar vita ad uno dei più straordinari miracoli della scienza moderna. Le protesi create per Hoshikuzu Chikuma erano in tutto e per tutto identiche alle parti di corpo che la Bijudama aveva cancellato dalla faccia della terra o semplicemente deturpato. Il simbionte aveva replicato in tutto e per tutto i tessuti vivi del ninja attecchendo con straordinaria efficacia al corpo del ninja e alla protesi metallica che definiva l’ossatura. Era dai tempi del quarto Hokage che nessuno aveva visto miracolo più straordinario. L’intenzione di Raizen di insabbiare tutta quella brutta storia sarebbe andata semplicemente a buon fine, nessuno infatti si sarebbe mai accorto della differenza tra gli arti veri e quelli riprodotti in laboratorio. Il simbionte si era agganciato al corpo del Chikuma senza dare alcun problema, l’enorme vitalità del soggetto aveva stimolato la ricrescita cellulare a ritmi incredibili, degni di un Jinchuriki. Anche la grande cicatrice sul braccio destro del Chikuma era stata riprodotta fin nei minimi dettagli, quella cosa aveva dell’incredibile.


    Durante tutta l’operazione il rosso aveva reagito sempre bene agli stimoli dimostrando di possedere un mordente fuori dal comune. Nonostante l’operazione potesse risultare dolorosa per il paziente, il Chikuma aveva tenuto botta. Le innumerevoli prove a cui era stato sottoposto il suo corpo e la sua mente lo avevano reso senza alcun dubbio un soggetto perfetto per la sperimentazione, un pezzo di carne bello tosto. Shizuka avrebbe avuto modo di sperimentare qualsiasi genere di pratica medica e non senza trovare alcuna resistenza da parte di Hoshi, non che poi fosse in grado di reagire nello stato vegetativo in cui si trovava. Il suo corpo nudo era alla merce della principessa del fuoco, sicuramente un giorno avrebbe rimpianto di non essere stato cosciente quel giorno. Difficile dire quanto l’operazione fosse durata, di sicuro al termine di tutto, Shizuka sarebbe stata sfinita e messa alla dura prova. Hoshi era tornato ad essere quello di un tempo. Il volto beato che mostrava mentre dormiva la diceva lunga sul suo stato di salute, di sicuro non era mai stato meglio in vita sua.




    [...]





    Era trascorso un po’ di tempo dal termine dell’operazione e Hoshi ancora era immerso in un profondo e piacevole sonno. Stava sognando il Chikuma, sogni che andavano dal suo passato ad un improbabile futuro dove i ninja volavano a cavallo di mini pony alati. Insomma se la stava godendo quella dormita post operazione. Nel laboratorio la calma più assoluta era scesa sovrana ora che tutto era stato riportato alla normalità. La luce soffusa creava l’atmosfera giusta per il continuo bip prodotto dagli strumenti di monitoraggio. Sarebbe stata la voce di una giovane ragazza a svegliare dolcemente Hoshikuzu Chikuma.


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    -..dammelo.. lui è mio.. e lo voglio tutto per me..-



    Gli occhi del rosso si erano aperti dolcemente mentre osservavano lo spettacolo che si era materializzato davanti ai suoi occhi. Sarebbero stati necessari un paio di secondi e una decina di battiti di palpebre per mettere a fuoco la figura della giovane ragazza che stava a cavalcioni, completamente nuda, sopra il suo corpo, completamente nudo. L’apparecchio di monitoraggio attaccato al suo braccio sinistro avrebbe aumentato il ritmo dei bip per qualche secondo mentre un Hoshi quasi imbarazzato fissava la ragazza che lentamente si staccava dal suo orecchio destro accarezzandogli il volto ed il petto Eh?!.. ma che?!..- il rosso era diventato paonazzo in volto mentre sentiva crescere dentro, ma soprattutto sotto di lui una strana e piacevole sensazione di calore. Una toposgnacchera da guinnes dei primati era a cavalcioni sopra di lui mentre lo fissava intensamente negli occhi completamente nuda. Ora il rosso poteva anche pensare di essere ancora immerso nei suoi sogni eppure così non poteva essere. Tutto era così reale ed intenso che mai e poi mai si sarebbe potuto trattare di un sogno. Le mani della ragazza scivolavano sul suo petto mentre premeva il suo bacino contro quello del rosso sussurrando ancora le stesse parola di piacere -..dammelo.. non posso farne a meno..- le unghie di lei si erano conficcate nel petto dando piacevoli e arrapanti sensazioni al rosso -Ahi.. si ma.. tu..- il rosso non era riuscito a terminare la frase che la ragazza era scesa a baciargli il collo per poi passare a mordere il suo orecchio destro -..lo voglio.. lo voglio così tanto.. deve essere mio..- ormai il Chikuma era in brodo di giuggiole.


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    -..mi piace.. oh si.. mi piaci da impazzire..-



    La ragazza continuava a strusciarsi richiamando a se la potente verga del dominio. Le sue mani accarezzavano il Chikuma salendo fino al volto accarezzandolo mentre lui pietrificato dall’evento subiva tutto senza battere ciglio. Doveva trattarsi di uno scherzo, un fantastico scherzo, ma pur sempre un scherzo. La ragazza lo fissava quasi famelica, vogliosa di possederlo mentre le mani finivano al collo del rosso stringendosi improvvisamente in una stretta micidiale -Argh.. ngh.. ehi.. vac.. vacci piano..- sulle prime il rosso aveva preso l’evento come qualcosa di estremamente erotico, tuttavia ben presto si sarebbe accorto che quella ragazza stava effettivamente tentando di soffocarlo li sul lettino. Mentre stringeva le dita attorno al collo del rosso questa lo fissava dritta negli occhi mostrando un’espressione soddisfatta e compiaciuta continuando a ripetere ansimando dal piacere -..si lo voglio.. aaah siiii… SIIIIII… LO VOGLIO!!!.. LO VOGLIO!!!- mentre Hoshi cominciava a schiumare dalla bocca.


    Era incredibile quanto fosse sexy, e allo stesso tempo forte, quella ragazzina. Doveva fare qualcosa se voleva uscirne vivo. Subito la sua mano sinistra si sarebbe mossa rapida per cercare di staccare le mani di lei dal collo. La sua presa ed i suoi colpi riuscirono a far desistere la ragazza il tempo necessario a riprendere il fiato -Argh.. cought.. cought.. chi diavolo.. sei?!..- senza dare una risposta la ragazza aveva portato le mani dietro alla testa del rosso strattonandolo con una potenza fuori dal comune. Il Chikuma sarebbe stata letteralmente sbalzato dalla testa del letto fino ai piedi in una capriola mortale che lo avrebbe fatto schiantare al pavimento con non pochi dolori -WAAARGH!!!..- la donna lo aveva preso per la nuca facendo leva sul suo stomaco per poi schiantarlo a terra dietro di lei e finendo per restare ancora sopra al corpo del ragazzo tramortito -SIIII.. AAAAH.. SIIII.. DI PIU’… DI PIU’!!!- il Chikuma stordito non sapeva a che pensare mentre questa prendeva la sua fronte e i capelli per schiantare la testa del rosso a terra una, due e tre volte, con una forza tale da crepare il pavimento.



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    Fiotti di sangue già avevano preso a sgorgare dalla bocca del rosso mentre con un guizzo cercava di rimettersi in piedi solo per sentirsi colpire ripetutamente al ventre e al volto -BUARGH!!.. Brutta.. tro.. AAARGH!!!- il Chikuma era finito contro il muro mentre altri colpi arrivavano da chissà dove senza una ragione. Doveva reagire a tutto quel caos o di li sarebbe uscito solo il suo cadavere. La ragazza era li, sempre appiccicata al suo corpo nudo, quasi fosse impossibile staccarsela di dosso. Lo stava colpendo con violenza mentre ansimava di piacere -Tsk!.. ORA HAI ROTTO!!!- il pugno sinistro del rosso si era chiuso deciso a colpire quella troia in pieno volto. Senza lesinare sulla potenza il Chikuma avrebbe così scatenato il suo pugno più potente contro il volto della puttana per cercare di porre fine a quell’assurdo assalto che lo stava letteralmente uccidendo [Spacca Montagne][Tecnica Avanzata][Forza: Nera+4 / Consumo: 2 Bassi]

    Spaccamontagne
    Villaggio: Suna
    Posizioni Magiche: Nessuna (0)
    L'utilizzatore può sferrare un pugno dalle potenzialità offensive altamente incrementate: la Forza dell'attacco sarà incrementata di 4 tacche; il colpo causerà Dolore (DnT Medio) nella zona colpita. Se utilizzata contro pareti di roccia, è possibile distruggerle facilmente.
    Tipo: Taijutsu
    (Livello: 5 / Consumo: Mediobasso) )
    [Raggio Distruzione: 3 metri ogni grado]
    [Da studente in su]
    .


    Il colpo avrebbe centrato l’obiettivo con una potenza disumana. Chiunque avrebbe patito una bruttissima rottura ossea beccando un colpo come quello eppure a risentirne -WAAAAAARGH!!!- sarebbe stato solo il Chikuma. L’aveva colpita in pieno eppure non aveva fatto una smorfia o si era mossa. Al contrario lui era stato invaso da un dolore lancinante al braccio destro anche se non ne capiva il motivo. Il braccio sembrava essere quasi stato colpito da uno dei suoi pugni anche se non si era spezzato. La ragazza ancora una volta lo aveva preso per la testa strattonandolo e spingendolo con forza verso una stanza limitrofa divisa solo da una tenda appena socchiusa. Il Chikuma era troppo impegnato per vedere cosa vi fosse dentro, li un bimbo stava facendo il suo pisolino. Sarebbe arrivato quasi ad entrare nella stanza quando due dita si sarebbero infilate nel suo naso strattonandolo all’indietro fino a farlo schiantare a terra -Ahi Ahi Ahi.. il naso il naso!!!- Hoshi era a terra a la ragazza si era nuovamente abbassata per tentare di strozzarlo. Era pronto a difendersi quando una cosa quanto mai improbabile giunse ai suoi occhi. A strozzarlo infatti non era più la ragazza, ancora li presente e appiccicata a lui, ma il suo braccio destro -Wargh!!.. ma che cazzo sta succedendo?!.. il mio braccio.. aaargh..- il rosso stava letteralmente lottando contro il suo braccio destro e non solo. Anche la gamba scalciava incontrollata facendolo balzare da una parte all’altra del laboratorio come un pesce fuor d’acqua. Qualsiasi cosa gli stesse succedendo lo stava letteralmente uccidendo o almeno ci stava provando -Fermo dannazione!.. e tu che diavolo hai da ansimare brutta troia?!!..- la ragazza era ancora a cavalcioni su Hoshi mentre stavano totalmente nudi sul pavimento della stanza a lottare.


    Hoshi era a terra mentre si contorceva come un verme cercando di combattere contro se stesso. La parte sinistra di lui stava letteralmente lottando contro la destra che sembrava avere la meglio per il momento. Ancora un guizzo ed il rosso era tornato in piedi contro la parete mentre la sua mano destra si stringeva attorno al collo per tentare di soffocarlo -..LO VOGLIO!!!.. LO VOGLIO!!!.. VOGLIO IL TUO CORPO!!!- la ragazza lo fissava intensamente, non aveva mai staccato gli occhi dal suo sguardo e mai, mai aveva battuto ciglia.




    [...]




    Al suo arrivo Shizuka avrebbe trovato nel laboratorio il giovane e prestante Hoshikuzu Chikuma letteralmente attaccato al muro da se stesso. Era nudo e solo nel laboratorio, con lui non vi era nessun altro. Stava soffocando strozzato dal suo stesso braccio mentre la gamba destra faceva di tutto per aiutare l’arto assassino. Il Chikuma sembrava sveglio anche se ad una rapida analisi alla dottoressa sarebbe stato subito evidente che il sunese si trovava ancora in stato catatonico. La metà destra del suo corpo stava lottando disperatamente contro la sinistra nel tentativo di uccidere o chissà cosa Hoshi. Parlare con lui sarebbe stato totalmente inutile dato che ancora si trovava in come, o almeno così doveva essere. Vaneggiava mentre veniva strozzato per poi essere colpito con violenza dal pugno destro al volto -Buargh.. brutta stronza.. che hai fatto al mio braccio e alla mia gamba?!- ovviamente il rosso non si stava rivolgendo a Shizuka, bensì alla ragazza che solo lui poteva vedere -..se riesco a prenderti.. AAARGH.. merda.. ti prendo a schiaffi sul culo!!!..- schizzi di sangue del rosso ormai erano ovunque. Qualcuno doveva fermarlo o ben presto sarebbe finita male per lui.


    OT/ Yo! Allora dato che nei vostri post ho letto lo sforzo fatto per insabbiare tutta la storia ho deciso di assecondare le vostre intenzioni rinunciando alla protesi metallica ultra fiqa per quella identica al braccio e gamba originali di Hoshi. Così nessuno noterà la differenza a parte la struttura metallica per le ossa. Ho dato per scontato che l’operazione sia andata per il meglio (potete descrivere tutto nel prossimo post se volete) e che Hoshi si sveglia mentre viene assalito dal simbionte. Hoshi è in coma anche se percepisce lo spazio attorno a se e la tizia che altro non è il simbionte stesso che vuole divorarlo! Salvate Hoshi o svegliatelo dal coma.. lui possiede le abilità per bloccare il braccio e la gamba.. se no fate quello che volete! (a me serve per farci le competenze poi XD). Buon divertimento! :riot:
     
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    Ali Catatoniche

    Spasmi autolesionistici








    Sgranò gli occhi, senza fiatare, ed era percettibilissimo un ingrandimento delle pupille che per la sorpresa diventarono quasi completamente tonde, oscurando l'iride, ci volle qualche secondo perchè ritrovasse l'utilizzo della parola.

    DNA di chi?
    Figlio di CHI?


    Strinse gli occhi, ma per quanto si impegnò non riuscì a scorgere nulla di più che interesse scientifico in quella donna che si era mostrata così sprovveduta.

    I clan sono disposti a UCCIDERE per conservare i loro segreti e tu che fai?
    Glieli copincolli come se fossero una ricerchina da studentelli?
    Ma sei seria?!?


    Il suo tono andava incrementandosi, crescendo di pari passo alla furia che montava: quel bambino poteva significare la sua fine, senza alcuna ombra di dubbio.

    Potrai considerarlo tuo figlio, se ti aggrada, coccolarlo e nutrirlo da quelle favolose borracce che madre natura ti ha fornito, ma credimi...

    Avvicinò una mano alla gigantesca incubatrice causando al solo contatto un suono spiacevole che preannunciava una rottura, seppure nessuna crepa era ancora comparsa.

    ...Se il villaggio scopre chi è, come è nato e cosa gli scorre nelle vene è la fine.
    Rappresenta un errore così gigantesco agli occhi della società attuale che Hoshi e la dipartita dei suoi arti saranno meno significativi del numero della pagina del giornale se un simile articolo cadrà in mano al popolino.
    Non intraprenderà MAI la carriera ninja e qualsiasi abilità legata ai Senju, a meno di una finissima introduzione al clan, gli verrà sigillata.
    Non è una condizione, non è trattabile.


    Allontanò poi la mano dal vetro, lasciandolo intonso, ma pareva malinconico ora, quasi il tocco di quello scudo di vetro, il sostituto artificiale di una madre in carne ed ossa, gli avesse trasmesso quella tristezza.

    Ma soprattutto NON è mio figlio.
    E non lo sarà MAI.
    Mi comporterò come se fosse un semplice cittadino se venisse sequestrato o chissà che altro.
    Il DNA non è tutto, non basta una cordicella di corredo genetico a fare di... questa bisciolina deforme un figlio.


    Riportò la mano lungo il fianco, sconsolato.

    Devo farti proprio schifo se ti riduci a questo per avere un figlio che condivida i nostri DNA.

    Poche volte aveva sentito quel tono di voce su Raizen, l'ultima fu quando lo accusò di non essere mai stato presente per lei, nonostante ciò che in tutti quegli anni per lei aveva fatto, nullificando tutti i suoi sforzi.
    Sospirò.

    Sappi comunque che io sono diventato geneticamente appetibile soltanto col tempo.
    Prima di un certo evento, per così dire, avevo una malattia abbastanza sgradevole, si tanto chakra, davvero davvero tanto, così tanto che traboccava, ma mi faceva ammattire, letteralmente.
    Probabilmente ora sarei in grado di controllarlo, grazie anche all'allenamento involontario a cui mi costringe il chakra del Kyuubi, ma un tempo non lo ero, per cui diventò necessaria una strozzatura a livello del sistema circolatorio del chakra, qualcosa di così infinitamente meticoloso che solo i draghi furono in grado di realizzarci un apposito sigillo e comprenderai che parliamo di creature millenarie.
    Mi resero a tutti gli effetti la sanità mentale.
    Te lo dico perchè fu un problema che venne a galla solo quando iniziai ad utilizzare il chakra, prima rimase assopito per così dire, o probabilmente semplicemente silente in quanto le arti ninja non avevano mai, fino a quel momento, costretto me ad attingere al chakra.
    Per cui potresti non accorgertene sfruttando analisi o persino specifici strumenti d'osservazione.


    Scosse la testa per poi sobbalzare a causa di una malinconica risata.

    Mh!
    Non pensare che il DNA sia tutto, la storia, le esperienze, le motivazioni... tutto è essenziale alla creazione di qualcosa di speciale.
    Questo... questo è solo un esperimento ben riuscito.
    Tienilo SEMPRE a mente, resta in vita esclusivamente perchè mi fido di te, e sempre per questa ragione non sei già nelle mani di un torturatore.
    È il settantatreesimo?


    Chiese retoricamente.

    Sarà l'ultimo.
    Fatti aiutare dalle paranoie che ti hanno portato poco fa a riprendermi per comprendere quanto questo divieto sia valido e quanto tu sia stata ben più sprovveduta di me nel compierlo e nel protrarti nell'errore.
    E ricordalo per la prossima volta, magari ti morderai la lingua prima di rimproverare ME.


    Se non ci fossero state risposte sarebbe uscito, testa bassa ed un filo di tristezza che ancora non lo abbandonava.


    Consigli





    A comizio concluso anche Itai trovò qualcosa da ridire sulla sua metodologia, ma diversamente da Shizuka la scelta di parole fu più appropriata, così da causare solamente un alzata di spalle.

    Non so che dirti, non è stata la più brillante delle mosse in tutta la mia carriera, ma non sono nemmeno un novellino, se tutto è andato per il meglio credo che sia anche a causa di questo, non pensi?
    Non è bello essere sottovalutati, sai?


    Chiese con sincerità.

    Non posso che darti ragione, sarei potuto essere più discreto, ma penso fosse una questione di istinto. È stata la prima idea a venirmi in mente e non ho pensato ad altro se non ad applicarla con successo.

    Aggiunse prima di accomiatarsi dal suo prezioso alleato.
    Vedeva il Mizukage come una persona degna di rispetto, non tanto per la forza quanto per quel senso di sicurezza che riusciva a trasmettere agli altri, qualcosa che i modi brutali di Raizen probabilmente non gli avrebbero mai permesso di fare, considerandolo per questo prezioso.


    L'innesto





    Giunto all’ospedale con lo scheletro in un anonimo parallelepipedo di silicone incartato in delle buste marroni di carta quasi come fosse un pacco postale, avrebbe fatto un cenno con la testa ad eventuali cittadini incontrati durante il percorso, ricambiandone gli eventuali saluti.
    Aprire la porta del laboratorio tuttavia non si sarebbe rivelata una piacevole scoperta, al suo interno Shizuka sembrava fosse distesa sui rimasugli di un party alcolico tra vampiri.

    Ordine e pulizia, già.

    Disse mentre si dava uno sguardo attorno.
    Poggiò l’ossatura nel primo posto che la non la rendesse un impiccio, visto il materiale e l’involucro dopotutto era difficile ledere la creazione, probabilmente sarebbe stato lungo anche liberarla da quel cubo di gomma, ma sul momento Raizen non ci pensò, era il modo più rapido e preciso per un imballaggio certosino e anche per un eventuale calco dell’ossatura.

    Direi che devi riposarti prima di tutto.
    Lavati, mangia e dormi per almeno un giorno, quando sarai fresca potremmo cominciare, non vorrei che mi crolli durante l’operazione.
    Il corpo ha un limite dopotutto.


    Parlava mentre prendeva Shizuka per le ascelle, sollevandola come una bambina e mettendola a sedere sulla prima sedia disponibile.

    Hoshi è stabile, e penso anche la tua creazione, e la mia può stare dentro quell’involucro per l’eternità senza nemmeno un granello di ruggine.
    Immagino la tua scimmia possa pulire qui dentro.


    Soffocò una risata mentre immaginava la scimmia agghindata come una cameriera che ramazzava il posto, interrogandosi sul perché avesse scelto proprio una scimmia come aiutante anziché una qualsiasi persona del suo staff.
    Consegnati gli arti a Shizuka non gli rimaneva che aspettare sue notizie, appena si fosse riposata completamente e non prima, visto che Raizen non avrebbe accettato di sottoporla ad ulteriore stress, si sarebbero riuniti per l’operazione finale, non era stato un percorso breve quello dei due costellato da fallimenti, ma di continui passi avanti scaturiti come gli stessi, una sequela di cadute che tuttavia li portavano sempre un po’ più avanti.
    Anche Itai venne informato dell’operazione incombente in quanto le sue particolari doti sarebbero state essenziali per la riuscita dell’operazione, un così funzionale travasatore di chakra non lo si trovava tutti i giorni.
    Disposti intorno al tavolo operatorio i tre aspettavano un cenno da uno dei presenti per cominciare, a guardare Hoshi non si poteva che mostrare una gran pena, e Raizen ammise a se stesso che un errore quella volta l’aveva compiuto e che probabilmente quella tecnica andava sfruttata unicamente per uccidere più che per salvaguardare come aveva cercato di fare lui.
    Sospirò rumorosamente.

    Direi che possiamo iniziare.
    Itai, onde evitare che ti prosciughi utilizza prima il mio chakra, facendo da ponte, quando sarò stanco lascerò a te il testimone, in modo da non farti stancare prima del necessario.
    Voi due è meglio che siate freschi quanto più possibile.


    Per spacchettare i due arti avrebbe eseguito in quello che era diventato quasi un calco dell’arto, un incisione per il lungo, rivelando il suo lavoro perfetto.

    Non vorrei vantarmi, ma un lavoro simile non riescono a farlo in tanti.

    Disse con tono divertito mentre li disponeva, puliti e incontaminati, dove Shizuka gli avesse detto di posarli.
    A preparativi ultimati si limitò ad osservare e tenere il contatto fisico con Itai se questo avesse detto che era necessario per il trasferimento, rendendosi conto che le operazioni chirurgiche erano lievemente più stomachevoli del semplice sventramento, tutto quel frugare, pinzare tagliare e cucire non era uno spettacolo adatto a chiunque, soprattutto a causa dei suoni emessi, spesso disgustosi. Fortuna volle che Raizen ne avesse una certa esperienza in fin dei conti, cosa che lo aiutò a mantenere un composto contegno.

    Kami dannati che schifo sta roba.

    Composto, non educato.
    Iniziato il trasferimento di chakra Itai poté notare come non fosse piacevole ricevere quello di Raizen, già aveva provato quella sensazione, tuttavia per quanto il ricordo potesse essere vivido in lui questo non potè evitargli la sensazione: accettare i sentimenti di un demone non era come sanarli, e quei sentimenti trasparivano nel chakra, nero e profondo come poche cose al mondo, del tutto opposto all’aura di Itai che qualche volta Raizen si trovava ad invidiare.
    Doveva ammettere che spesso ad essere buoni come lo era il mizukage più di una cosa riusciva meglio.
    Nessuno di loro tuttavia poteva sapere che quel chakra avrebbe influito sulla “mente” del simbionte.
    Ad operazione conclusa il risultato era perfetto, e come da prassi, nonostante le ferite fossero state sanate completamente, il paziente avrebbe dovuto riposare in coma farmacologico, cosa che avrebbe permesso ai tre di fare altrettanto.
    Dopotutto Hoshi aveva investito fatica e sangue in quell’operazione ed in quel ripristino nonostante il sonno artificiale, mentre loro il chakra e la concentrazione necessaria a far quadrare il tutto.

    Quindi gli serve del tempo per riprendersi?
    Quanto pensi lo lascerai così?


    Chiese mentre da sopra due occhiaie lievemente marcate guardava a braccia conserte il suo paziente acquisito. Ottenuta risposta avrebbe annuito silenziosamente.

    Va bene, quindi direi che ci ritroviamo qui per quel momento.

    Durante la guarigione di Hoshi chiese di ricevere messaggi per venir aggiornato sulle condizioni del sunese che era ormai costantemente monitorato, pareva che nulla andasse storto, cosa che non fece modificare le tempistiche di risveglio.
    Quando spalancò la porta stava accompagnando Shizuka che insieme a lui si dirigeva nella stanza per saggiare le condizioni di Hoshi, il suo risveglio infatti era programmato di li a poco, nessuno dei due poteva sapere che il simbionte aveva reagito ai farmaci facendo svegliare Hoshi prima del previsto, o per meglio dire il simbionte aveva risvegliato se stesso.

    Ah.
    Tutto bene insomma.
    No va bene, che vuoi che sia, si prende solo a pugni da solo.
    C'è chi si rifà il trucco così!


    Esclamò ironicamente prima di osservare meglio: notò infatti che l’espressione del sunese non poteva dirsi propriamente “presente” pareva infatti sospeso in un limbo di coscienza, dovuto probabilmente ad uno strascico dei farmaci.

    Beh, direi che qui ognuno ha il suo ruolo, giusto?

    Mentre Shizuka si sarebbe occupata di saggiare le condizioni mediche di Hoshi infatti Raizen avrebbe attivato l’innata per munirsi di qualche arto extra.

    Attento ragazzo, non voglio sentirti frignare un’altra volta se qualcosa va storto!
    E non dire “si ma non ti ho detto nulla” le tue lagne qui dentro sono un eco interminabile!


    Che trita coglioni!
    Non ti va mai bene nulla!
    Che vuoi? Stamattina hai deciso di monatare sul tuo biciclo metruale e rompere le palle?


    Rispose mentalmente alla volpe, con quella confidenziale "gentilezza" che da qualche tempo contraddistingueva i loro dialoghi interiori.
    Cercò da mezzo demone di immobilizzare Hoshi, questa volta però fu più attento, infatti una volta attivata la tecnica cambiò le sue sembianze con la tecnica della trasformazione, in modo da nascondere il suo aspetto demoniaco in favore di quello umano, pur mantenendo le code, tutte e nove ben formate e pronte all’azione.
    Si mossero tutte con un unico scopo: insaccare il sunese come un salame, erano infatti abbastanza lunghe da poter coprire l’intera parete della stanza se distese, cosa che permise a Raizen mentre avanzava, di costringere il Rosso ad uno spazio sempre più angusto prima di afferrarlo, azione complessa da fermare in quanto qualsiasi azione di fuga l’avrebbe fatto impattare o passare vicino alle sue code che non avrebbero esitato a scattare per cingerlo tutte assieme impedendogli di colpirsi ulteriormente e cingendogli la testa con lyle="text-allign:justify; font-syle:normal; width: 300px; top: 25px; text-shadow:none">[uso tutti e quattro gli slot azione per un tentativo di presa che porti due code per ogni arto + una per la testa, Forza Nera + 6] i movimenti del braccio.

    Posso tenerlo fermo per un po’, grazie al demone la mia forza è abbastanza elevata.
    Vedi se capisci che gli sta succedendo prima che si uccida da solo.


    Disse passando il testimone a Shizuka lievemente infastidito dal fatto che nulla sembrava mai quadrare al 100% quando quel nano malefico dai capelli troppo colorati era coinvolto.



    CITAZIONE
    edit: mi son reso conto di aver del TUTTO dimenticato la parte di shizuka nonostante fosse quasi la più importante O_O
    editerò a breve inserendola se hoshi vuole andare avanti o volete iniziare a scrivere il post prendete pure questa per buona, non cambierà :zxc:

    Edit: DONE.


    Edited by F e n i x - 10/5/2016, 19:59
     
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    SON AND MOTHER

    Children are the anchors that hold a mother to life.



    Shizuka Kobayashi era una scienziata: era intelligente, decisamente paranoica, ma non certo stupida.
    Sapeva che quello che aveva fatto era illegale, sbagliato e moralmente deprecabile.
    Lo sapeva.

    Se avesse dovuto essere onesta, non avrebbe neanche saputo dire con certezza perché si era spinta tanto oltre: perché era affamata di sapere? Perché voleva togliere alla creatura dagli appunti senza firma il primato dell’assurdo che aveva detenuto per troppo tempo?
    Perché?

    Precisamente, dove finiva il suo “non sapere” e il suo “avanzare consapevolmente”?

    Era stata pronta a sentirsi rovesciare addosso i peggiori insulti. Sapeva bene che Raizen, così legato alla sua vita indipendente, non avrebbe mai accettato l’idea di diventare “padre”, se così si poteva dire. E non ne era certa.
    Sapeva anche della follia che aveva fatto a prendere per puro interesse scientifico proprio il DNA del Primo Hokage. Era consapevole di tutti i risvolti del suo gesto e del rischio a cui si stava esponendo perché, se qualcosa fosse andato storto, temeva che stavolta Raizen l’avrebbe lasciata sola di fronte al giudizio. E sapeva anche cosa avrebbe deciso di fare lei pur di preservare quel bambino.
    Nel momento in cui aveva deciso di mostrare il suo esperimento alla volpe, dunque, era sempre stata pronta al peggio…

    …ma quello era troppo.

    «RAIZEN NO!»

    La sua voce fu il ruggito di un animale, cupo e gutturale, e lei scattò.
    Mentre i suoi occhi si dilatavano, macchiandosi di scuro, la donna si gettò in avanti a tutta velocità nell’udire il primo rumore sordo proveniente dal vetro cilindrico in cui Hotaka cresceva, e che Raizen, con la sua mano, sembrava intenzionato a far esplodere. Allungando le braccia avrebbe tentato di bloccare il Kage, senza ragionare sul fatto che questi, semplicemente muovendo la mano, avrebbe potuto ridurla in pezzi.
    Nel suo volto, però, non c’era rabbia. Ma paura.

    «Allontanati.» Non era un consiglio. «Non fare nulla.» Nemmeno questo, lo era. «Se farai lui del male…»

    Esitò, alzando poi gli occhi in quelli di Raizen.
    Non c’era davvero nessuna traccia di ferocia, ma solo di angoscia. La stessa con cui un istante dopo che il Kage si fosse allontanato, ispezionò il cilindro cercando crepe o fratture che potessero compromettere la crescita del feto.
    Alle sue spalle le parole continuavano a pioverle addosso. Ma lei, facendosi rigida, continuò ad ignorarle. Fino a quando l’uomo non ebbe finito di parlare, infatti, la Principessa tacque. Le sue mani, adagiate con delicatezza sul cilindro di vetro, non esitarono mai...ma quando lei rispose, la sua voce era incrinata.

    «Se io non provassi assolutamente niente per te, Raizen, ti avrei avuto.»

    Disse la donna, immobile. I suoi occhi si chiusero, cancellando le lacrime di rabbia prima di scivolare, voltandosi, in quelli del Kage.
    «Se io non provassi niente per te.» Ripeté. «Avrei giaciuto nel tuo letto come le dozzine di donne che mi avrebbero preceduta.» Si fece acre, ora. «Se il mio scopo fosse stato quello di incastrarti, come tu osi insinuare, avrei ottenuto quello che mi serviva nel modo tradizionale.» Esitò, mentre un forte prurito alla base del naso la costrinse a portarsi per un istante una mano di fronte al volto. «“Un giro sottocoperta non si nega a nessuno”, del resto, no?» Sorrise. Quante volte le aveva ripetuto quella frase? Per quanti anni aveva dovuto tacere di fronte ai suoi minuziosi racconti? E quante volte aveva dovuto evitare di esternare la rabbia, urlando. «Ma facendolo, sarei diventata l’ennesima delle tue troie.» Concluse, gelida. E non ce l’avrebbe mai fatta, lo sapeva.

    Shizuka Kobayashi era una Principessa. Ma non era tale solo per titolo, lo era per l’orgoglio e la forza indistruttibile di rialzarsi sempre dopo ogni caduta, per la capacità rimanere integra di fronte al giudizio altrui e di farsi forza dopo ogni errore commesso, ma sopratutto era una Principessa perché onorava se stessa e ciò che amava come un tempio intoccabile e sacro.
    Non si sarebbe mai violata per costrizione, vendendosi per ottenere qualcosa che sapeva bene sarebbe stato accolto…
    «…come un errore indesiderato.» Disse, piantando i suoi occhi in quelli di Raizen. «Questo bambino nasce come un esperimento scientifico, non lo nego. Perché mi sono spinta a tanto? Non lo so.» Strinse le labbra. «Forse non volevo vanificare i tentativi passati, forse davvero volevo raggiungere l’irraggiungibile. Continuo a credere che questa ricerca porterà il futuro medico del Continente ad un passo successivo: possiamo davvero aiutare molte persone.» Ma per arrivarci aveva dovuto sacrificare tanto, e non voleva dire di aver “sprecato”, ma piuttosto “investito”. Forse voleva solo dare un senso alla perdita. «Sono un’egoista.» Sorrise, non lo negava. Non lo avrebbe mai fatto. «Ma questo bambino è vivo, ed è sano…e io non posso abbandonarlo ora. E non intendo considerarlo ancora come un errore. Come se potessi, poi.» Lo aveva capito al primo movimento involontario che il feto aveva compiuto, un giorno all’inizio del terzo mese. Ne era rimasta talmente sconvolta che aveva trascorso un’intera mattina a guardarlo ancora, sperando che quel piccolo miracolo ricapitasse. Stupidamente, prima che se ne rendesse conto, si era ritrovata a parlare al piccolo, e addirittura a cantare per lui.

    Stupidamente.

    «Non ti ho mai chiesto…» Esitò, stringendo maggiormente la bocca. Il naso le si arricciò mentre gli occhi le si inumidivano di nuovo. Di rabbia, probabilmente, difficile da dirsi. «…di vederlo come tuo figlio. Ho solo detto che geneticamente lo è: amore e dovere sono due cose diverse.» Disse con voce rotta, e avrebbe potuto aggiungere tante cose a quell’affermazione. Esitò, ma non lo fece. «Mi dispiace aver usato il tuo DNA, non c’era nessun tentativo di complotto segreto. È stato un errore involontario, dettato dalla buona fede scientifica. Se potessi rimuovere il tuo filamento, lo farei subito.» Non aveva preventivato di poter desiderare di non uccidere il piccolo. E nemmeno la reazione di Raizen. «Non ti graverei mai del peso di vedermi come più di un’irritante e stupida allieva a cui badare, tanto meno come “compagna” o peggio ancora come “moglie” con cui crescere il “nostro” piccolo “figlio”. Non ti avrei mai “incastrato” nel gioco della mamma e del papà, so perfettamente che non sei interessato a questo genere di cose, tanto meno se ci sono io di mezzo.» Puntualizzò amaramente. Sorrise, pur oscillando tra rabbia, orgoglio e dolore. «Sono io che faccio schifo a te a quanto pare. Ti disgusta e spaventa tanto l’idea di–…?» Ma a quel punto si interruppe, senza distogliere gli occhi da quelli di Raizen. Stringendo le mani a pugno, la donna chiuse gli occhi, abbassando la testa. «Non ti sto chiedendo niente, è un bambino in provetta dopotutto. Un esperimento ben riuscito, certo... ma è il mio esperimento.» Mormorò. «Avrei sigillato le sue abilità anche senza che tu me lo ordinassi.» Aggiunse, contraendo le labbra. Arrivati a quel punto non sapeva se stava peggio per ciò che le era stato detto o per vedersi schiaffare in faccia per l’ennesima volta che era più in basso di una qualsiasi donna nuda ad un qualsiasi gate o in qualunque casa di piacere… «Crescerò questo bambino da sola, come ho sempre avuto intenzione di fare. È il mio bambino, dopotutto. Lo introdurrò alla via commerciale dei Kobayashi e me ne prenderò cura come futura Capoclan dell’Airone. Non ti disturberò mai più, né ti chiederò niente. Per te sarà solo un cittadino come tanti, ma per me sarà mio figlio, e come tale sarà speciale E a quel punto gli occhi si fecero più determinati. «Non abbandonerò mio figlio. Schifa lui e schifa me, se vuoi, ma io lo amerò comunque, che ti piaccia o meno.» Perché forse ora poteva essere solo un sentimento in erba, stupido come poteva essere stupido l’istinto materno di una donna della sua età. Ma un giorno sarebbe germogliato, e sarebbe cresciuto. Ne era certa. «Mi dispiace averti disturbato, non ricapiterà ancora. Alla fine, se ci pensiamo, questa è di per sé una conversazione ridicola e folle. Non avremmo nemmeno dovuto iniziarla.» Avrebbe aggiunto alla fine, chiudendo gli occhi forse nel tentativo di minimizzare.

    Avrebbe trasferito il suo laboratorio lontano da Konoha, piuttosto.
    Ma non avrebbe distrutto quel bambino.
    E non avrebbe rinunciato alla sua scienza.



    Prima parte del post per Fenix, touched. Consigliato l'ascolto di qualcosa di psicotico-depresso tipo "Hello" che giusto rende un attimo l'idea del trip mentale di sti due poveri stronzi. Pls sthap.

    Il post per Hoshi è già a metà, aspetto che Max posti con il suo piano diabolico Demone donatore e concludo :zxc:
     
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    九代目水影 - Kyuudaime Mizukage

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    Passò un giorno intero prima che Raizen mi mandasse a chiamare. Durante quel giorno avevo passato tutto il tempo a casa di Hanako assieme ad Ayame. Le bambine avevano dimenticato abbastanza in fretta il caos accaduto e tutto sembrava andar bene, per il momento. Sospettavo che in qualche modo ci potessero essere più problemi all'orizzonte. Fui condotto nuovamente presso il laboratorio di Shizuka, dove Hoshikuzu riposava in condizioni gravi ma stabili. Non comprendevo bene ancora cosa sarebbe accaduto da lì a poco, ma ero disposto ad aiutare. Parlare per chiedere spiegazioni sarebbe servito a ben poco. Raizen propose il suo piano d'azione, ed io scossi il capo, negandolo perché basato su un presupposto errato.
    Non posso dare il tuo chakra a Shizuka, posso solo donare il mio, che era sì tanto, ma mi chiedevo più o meno quanto ne sarebbe servito. Anche se è qualcosa che sarebbe meglio impari a fare, dopotutto dovrei esserne in grado... Ma a parte ciò, tu sta fresco, io supporto Shizuka. Il Nanabi mi consentirà di darle molto più chakra in una volta sola rispetto al normale e la mia riserva ne sarà intaccata in minore misura, Shizuka, ogni volta che starai per concludere il chakra che ti fornirò rinnoverò la riserva, dissi alla giovane Kunoichi. Diciamo che ad occhio dovrei essere in grado di fornirti la quantità di chakra posseduta da uno studentello alle prime armi per circa una cinquantina di volte, per cui diciamo..., feci rapidamente i calcoli a mente Circa sei volte la riserva di Raizen, volta più, volta meno. Sette volte, se consideriamo un Jonin del nostro livello senza troppo chakra come nel nostro caso. Mi lascio un tonico per non collassare alla fine, ma spero di potermi fermare molto prima, dopotutto stavamo parlando di una smodata quantità di chakra!


    Raizen scartò l'arto meccanico che aveva creato e ne rimasi sinceramente impressionato. Poi venne il turno del simbionte del quale non capii nulla, dopotutto il mio lavoro era fornire quanto più chakra possibile a Shizuka, che avrebbe operato.
    Piuttosto degradante essere utilizzato a mo' di batteria, il tono di Chomei era abbastanza infastidito. Battei una mano sul suo elmo. Non fare la primadonna ora, dissi ironico È per Hoshi, ed in un contesto scientifico come questo l meglio che posso fare è dare una mano.
    Insomma, sei tipo un tonico formato umano, mi disse.
    Io pensavo più ad un tonico formato Demone, lo rimbeccai.

    L'operazione iniziò ma prima che Shizuka potesse fare qualsiasi cosa richiamai il potere di Chomei. All'esterno non cambiò apparentemente nulla, erano passati da tempo i momenti di rabbia e furia sanguinaria. Dunque usai parte del chakra di chomei per sbloccare il limite del mio stesso naturale chakra che iniziò a fluire furioso fuori dal mio corpo in un'aura azzurra per quanto calma, incapace difatti di spostare anche solo un granello di polvere. Allungai una mano, sfiorando con la punta delle dita il braccio di Shizuka e le donai così tutto il chakra che Chomei mi aveva dato.Ti ho dato il Chakra del Sette Code ed il chakra esuberante che genero con questa tecnica in parte, specificai In questo modo si aggiungerà al tuo anche se la tua riserva è piena fino al suo limite naturale, continuerò a fare così, non preoccuparti di altro che di Hoshi, terrò d'occhio la tua riserva con le mie percezioni [Dono del Chakra]Chakra Extra del Demone: 15 Bassi
    -3 Bassi per attivazione Jishin no Jutsu
    Chakra Extra Jishin no Jutsu: 3 Bassi
    Chakra Donato: 15 Bassi (dal Demone + Jishin no Jutsu)

    Itai farà questa azione per ogni volta che il chakra extra di Shizuka si esaurisce, fino ad un massimo di 50 volte
    . Non avevo idea di quanto chakra sarebbe stato necessario, ma se avessi sentito eccessiva fatica avrei ingerito un tonico. Certo, stavo generando una quantità terrificante di chakra, ma non sapevo quanto famelico sarebbe stato il simbionte. Mi sarei fermato solo quando un ulteriore richiamo del potere di Chomei mi avrebbe fatto stramazzare al suolo [49° Utilizzo], assumendo così un Tonico per recuperare il chakra. A quel punto però avrei concesso solo un'ultima tornata di chakra alla kunoichi prima di acquattarmi sulla prima sedia. Francamente esausto e madido di sudore freddo.


    Non descrivo la parte dell'incazzatura di Hoshi, lascio a Shizuka il compito di descrivere quanto chakra prende ad Itai dopodiché potrò postare.
     
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    Problemi di cuore feto







    Rimase lievemente stordito dalle parole di Shizuka, inebetito però era la parola che meglio rappresentava la sua espressione immutabile nonostante lo scorrere dei secondi e gli occhi sgranati.
    Solo dopo un po' chiuse gli occhi massaggiandoli con le dita che poi si passarono davanti a tutto il viso.

    Oddio.

    Prese una sedia con la mano per tirarsela dietro al sedere e lasciarsi cadere, come un sacco vuoto.
    Restò in silenzio per dei minuti interminabili.

    Che cazzo faccio, me lo dici?
    Migliaia di anni di vita qualcosa dovrai pur sapermela dire!


    Nella dimensione interna, davanti a Raizen, la volpe si ritrasse, alzando le mani e negando con la testa, di fatto lavandosi totalmente le mani da quella situazione, ma il Colosso non riuscì a fare a meno di notare un cipiglio divertito nell’espressione del canide che ormai iniziava a conoscere.

    Oh! Amici!
    Amici una sega!
    Stupida volpe gigante! Sei qui a gozzovigliare ecco cosa!


    Ma il piccolo consulto finì li.

    L’ennesima delle mie troie?

    Chiese mentre alzava finalmente la testa, dando l’idea di aver trovato un punto da cui articolare il discorso.

    C’è parecchia differenza tra soddisfare una necessità fisica e stare con una persona perché gli si vuole bene, perché si ha il desiderio di…

    Non sapeva che parole utilizzare, non era certo dei sentimenti che Shizuka gli mostrava e fraintenderli nuovamente sarebbe stato a dir poco frustrante.

    …fare qualcosa di così importante con essa.
    Si tratta di essere onesti a vicenda ed avere il coraggio di amarsi, e stare con una persona perché la si ama o perché sembra quella giusta per una qualsiasi ragione di certo non ti rende una puttana.
    Questo tuttavia è fin troppo distante da qualsiasi concetto che io possa accettare.
    Comporta troppi problemi.


    Sospirò.

    Immagina se io avessi accettato questa cosa, immagina se non avessi minimamente pensato al domani, immaginati in quel domani.
    Con un bambino da proteggere che viene rapito ed usato per estorcere qualcosa a me o a te.
    Sono potente Shizuka, molto, ma l’invincibilità non penso di poterla raggiungere, o di poter eliminare questo genere di rischi, e più in generale, non penso di essere l’uomo adatto.
    Insomma, sono un buzzurro di due metri, nato e cresciuto a pane e cazzotti, la cosa migliore che potrei fare e riuscire a fargli una collanina con i denti che gli faccio cascare per sbaglio.


    La guardò senza parlare per qualche secondo.

    Non mi disgusta l’idea di essere qualcosa con te e per te, ma mi spaventa l’idea di aver qualcosa da difendere, qualcosa che aggiungerebbe una variabile all’equazione a cui già ora faccio fatica a tener bilanciata, se prima non avevo una casa perché ero un barbone del cazzo ora non la ho perché passo tutto il mio tempo dietro ad una scrivania o in missione.
    E poi…


    Scosse la testa con vigore.

    Non è giusto, non è… cioè… come posso prendere una notizia simile come se niente fosse?
    “oh, sorpresa, sei padre!”
    E poi la storia del DNA, per quanto mi faccia girare le palle che tu abbia fatto tutto questo senza chiedermelo, mettiamo in conto che quella bestiolina non ha solo il mio in corpo, ti sembra poco?


    Il suo fisico intanto continuava a dire ciò che la bocca non riusciva, rilassandosi mentre parlava, spiegando cosa di assurdo avesse per lui quella situazione.

    Non ti schifo, non ho detto in alcun modo che me ne fai, dopotutto perché dovrei?’
    Si questa situazione è a dir poco strana, ma non posso certo esserne schifato.
    Anzi, ti ho chiesto se fosse l’esatto opposto, ma non sembra che sia così.


    Sorrise, rasserenato, ma ancora torvo in volto.

    Ora però non possiamo soffermarci oltre, ne parleremo quando tutto questo sarà finito, ed onestamente ho bisogno di riordinare le idee.

    Gli si avvicinò e la strinse tra le braccia

    Non gli farò nulla, te l’ho già detto.

    Le baciò la fronte e si avviò alla porta.

    Sta tranquilla.

    Ed uscì, scosso, ma sereno.
     
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