Magistra Vitae
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Grattandosi la testa con fare innocente, la ragazza accettò di buon grado la lavata di capo da parte della collega veterana. Scusa, scusa, farò più attenzione la prossima volta! Kairi non ci mise molto a raggiungerla, scalando sicura l'alto albero. Le due donne si fermarono quindi in contemplazione del paesaggio circostante, rimanendo in silenzio per un poco, fino a quando l'Uchiha non la fece tornare alla realtà. Il labbro inferiore di Harumi tremolò leggermente, ma annuì. Concentrata su pensieri scuri, trasalì nel sentire il contatto della mano di Kairi con la sua. La sensazione di calore e la stretta salda risalirano lungo il braccio e raggiunsero il cuore, sciogliendo almeno in parte le sue angosce. Pian piano, sotto la guida sicura della senpai, l'otese mosse i suoi piedi minuti sulla ruvida corteccia, scendendo così come era salita. Il principio di base era lo stesso, ma la sensazione di star cadendo era innegabilmente più forte e doveva sforzarsi per ignorarla quanto più riusciva. Alla fine arrivò a terra sana e salva, imitando il piccolo salto della fogliosa. Questa le posò una mano sulla testa, e Harumi socchiuse gli occhi a mezzaluna, godendosi quella premurosa attenzione. Se fosse stata un gatto, senza dubbio si sarebbe messa ad ondeggiare la coda e a fare le fusa. Purtroppo anche quel momento rilassato terminò, sostituito da più cupi discorsi. La giovane aveva riordinato le idee e raccolto durante la discesa una specie di coraggio, se così si poteva definire, dentro di sé, per affrontare la prova che aveva davanti. Nonostante ciò, chinò gli occhi mentre mormorava la sua risposta. Io...credo di potercela fare... La sua sete di vendetta, sbocciata in profondità, lontano alla vista, senza che lei se ne accorgesse, era stata appagata. Ci aveva pensato il Gatto a placarla, irrorandola abbondantemente del sangue dei suoi vecchi compaesani. Sebbene non fossero innocenti, di certo non meritavano la fine orribile che il demone aveva riservato loro. La sua custode ne era consapevole, ed era certa che quelle morti avrebbero pesato a lungo, se non per sempre, sulla sua coscienza. Era stata lei a portare il nekomata fino a lì, a nutrirlo del suo risentimento, trasformandolo in uno strumento di rivalsa. Certo, la giovane non era un'ingenua. Era stata a sua volta usata dal bakemono, il quale l'aveva protetta sì, ma a modo suo, sfogando i suoi istinti bestiali e la sua cieca violenza. Come un animale selvatico, che in vita sua aveva conosciuto solamente la sofferenza ad opera degli uomini, il Gatto aveva agito secondo quanto aveva imparato dal mondo. Harumi strinse i pugni. Matatabi ora era una responsabilità. No, di più, era una parte di sé. Avrebbe dovuto tenerlo sotto controllo, educarlo ed accudirlo. Così come il Nibi si prendeva cura di lei, la kunoichi avrebbe vegliato sul demone. E quello sarebbe stato il primo passo. Andiamo...Kairi. Un tenue sorriso accompagnò la sua decisione, sussurrato quanto le parole che aveva pronunciato. Il villaggio era in condizioni pietose. La maggior parte delle case aveva riportato qualche genere di danno, ma solo alcune erano realmente inagibili. Per fortuna l'incendio che aveva minacciato di divorare l'intero abitato si era estinto da solo, lasciandosi dietro lo scheletro carbonizzato di un paio di strutture. Sotto la cortina di ceneri e detriti le braci ardevano ancora, innocue, crepitando di tanto in tanto. Per il resto un silenzio irreale regnava nella zona. Harumi si guardò intorno, cercando di ricacciare indietro le lacrime che le si affollavano intorno gli occhi. Iniziamo...iniziamo dai morti? Con un singulto, la ragazza pronunciò quella parola dal gusto tanto amaro. Alle sue orecchie suonava accusatoria. Forse sarebbe stato più corretto definirle vittime. Le sue vittime, per la precisione. L'otese si rimboccò le maniche, attraversando le stradine fino ad un capanno che aveva certo visto tempi migliori, ma era ancora in piedi. Come si ricordava, vi trovò dentro tutto il necessario per procedere alla sepoltura. Attrezzatasi con una vanga, si fermò pensierosa, prima di alzare un braccio, puntando l'indice verso uno spiazzo poco più in là, sul declivio del monte. Il cimitero si trova là, vicino al limitare del bosco. Quel posto le metteva i brividi da quando vi aveva visto sotterrare i propri genitori adottivi. Gli anziani pensano che si tratti di un terreno prossimo al reame dei kami che abitano questi luoghi. Affidano a loro le anime di chi viene a mancare, sicuri della loro benevolenza. La ragazza aveva continuato a parlare, per coprire il tumulto nel suo cuore. Appoggiando lo strumento al muro retrostante, Harumi ispirò profondamente, prima di buttare fuori la pesante questione. Senpai, mi daresti una mano a trasportare i corpi? Il camposanto era piuttosto semplice, con un piccolo altare su cui posare incenso ed offerte attualmente vuoto. Disposti i cadaveri in due file, Harumi si era messa di buona leva a scavare le fosse, quasi sperasse di poter espiare almeno in parte la sua colpa tramite la fatica. In tutto, gli uomini ad aver perso la vita erano sette. A parte i due responsabili della sua condanna e tentata esecuzione, fatti barbaramente a pezzi, gli altri erano deceduti in seguito a ferite singole, colpi assestati durante un probabile combattimento o una disperata fuga. La giovane aveva ricomposto per quanto possibile i corpi, coprendoli poi con dei teli recuperati dalle case superstiti. Una volta che l'ultimo resto fu adagiato nella tomba, il corpo della kunoichi era completamente ricoperto di sudore e sporcizia. Il sole iniziava ormai a declinare oltre le vicine cime, proiettando lunghe ombre simili a coltelli. Fino ad allora tutto quel lavoro le aveva impedito di pensare, ma quando diede l'ultimo colpo di pala per compattare il terreno sopra la sepoltura, Harumi si lasciò scivolare sulle ginocchia, esausta nel corpo e nell'anima. Ansimando leggermente, si alzò poco dopo. Guardando solo di striscio la sua compagna, alzò gli occhi verso il cielo scuro. Con le fronde che ondeggiavano piano al vento, la natura sembrava partecipare al clima di lutto sceso sul villaggio. Ad un certo punto, gli occhi della ragazza si diressero verso la boscaglia. Era da un po' che aveva l'impressione di essere osservata, ma ora ne era sicura. Deglutendo, prese coraggio e cercò di tirar fuori la voce, pur se le costò uno sforzo immane. Venite fuori, siete al sicuro adesso. Per qualche istante, nulla si mosse, sembrò che il suo appello fosse caduto nel vuoto, inghiottito dal buio che si estendeva tra gli alberi. Pian piano però, dei volti emersero dallo sfondo nero, seguiti dai corpi di cui facevano parte. Donne e bambini, qualche uomo e diversi ragazzi, si fecero incontro alle due kunoichi. Osservarono sospettose le due sconosciute, ma alla fine credettero a quanto la giovane diceva. Fu un moccioso il primo, puntando un dito su Harumi, a riconoscerla. Ma tu sei l'oni! Un brusio preoccupato si diffuse tra gli astanti. A quanto pareva nessuno l'aveva vista trasformarsi in un demone, seminando morte, ma la sua precedente mala fama era sufficiente per additarla quale la causa di tutte le loro sventure. Sei tornata, e con te la morte che ti trascini dietro! Vattene, sei maledetta! Saresti dovuta bruciare! Gli occhi della ragazza si riempirono di lacrime, senza che potesse questa volta trattenerle. Perché ciò che le faceva più male, era sapere che avevano ragione. Prima che l'Uchiha prendesse decisioni di cui si sarebbe potuta pentire, la jinchuruki prese in mano la situazione. Dando le spalle alla folla, si sfregò la manica sudicia sul volto per rimuovere i segni del pianto. Kairi-sama, qui abbiamo finito, andiamocene. Per favore. Che la fogliosa avesse accolto o meno la sua supploca, con un balzo la ragazza avrebbe messo spazio tra sé e gli altri, muovendosi rapidamente verso il fondovalle. Nella sua corsa si lasciava alle spalle minuscole goccioline d'acqua salata, invisibili ai popolani, ma forse non all'amica. Una fuga dalle sue responsabilità, che non era riuscita ad affrontare fino in fondo? Forse. Oppure non poteva sopportare oltre di oltraggiare i morti ed offendere i loro famigliari con la sua semplice presenza. In ogni caso, aveva voglia solo di andarsene lontano in quel momento.
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