[News GDR] La Fonte della Vita EternaVillaggio dell'Abete

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    Post 23 ~ Titoli di coda

    Shin ascoltò quanto la ragazza aveva da dire con la massima attenzione, nonostante fosse palese dalle occhiaie violacee che fosse sul punto di crollare, ora che la magia dell'acqua immortale non sorreggeva più il suo corpo, spinto decisamente oltre il limite umano per sconfiggere il Guerriero del Vuoto.

    Nel vedere le cicatrici sulle sue braccia portò inconsciamente la mano al collo, che sfiorò con la punta delle dita là dove era stato squarciato. Nessuna cicatrice rimaneva a testimoniarlo, ma per un momento ne era stato certo: sarebbe dovuto essere morto. E se non fosse stato per l'intervento provvidenziale di Kato, probabilmente ora lo sarebbe stato davvero.

    Non era d'accordo su molto di quanto la sunese stava dicendo, ma non aveva la forza di replicare, perciò si limitò a poche parole diplomatiche, nel tentativo di mitigarne l'inutile seppur comprensibile astio.

    Può darsi che tu abbia ragione ed io abbia torto, Saru. Ma a volte giusto e sbagliato non hanno nessun significato nella vita vera. Non ti chiedo di perdonarmi, ma credimi quando dico che non c'era nulla di personale in quello che ho fatto. Sei stata solo sfortunata.

    Lo erano stati tutti, in realtà. Chiunque avesse scelto di imbarcarsi in quell'impresa quando l'Accademia aveva chiamato. Una missione per la quale sapevano già non avrebbero ricevuto ricompense o onori, ma che andava comunque fatta. Per il bene di quanti non potevano combattere.

    Tuttavia, ricorda le mie parole e tienile a mente. Un giorno potrebbero avere per te un significato diverso di quanto intendi ora.

    Lasciò che si congedasse, accompagnata dal suo giovanile senso di superiorità morale. D'altronde era prerogativa di chi non aveva ancora affrontato le pagine più oscure della propria storia rimanere abbagliati da immacolati ideali. Restava da provare se sarebbero giunti al punto di morire pur di non tradirli, quando fosse giunto il momento.

    Alle parole dell'Hokage, la resistenza di Shin venne meno, le spalle gli si afflosciarono e fu costretto a passare più volte a strofinare lo spazio tra gli occhi con le dita per rimanere concentrato. Ne afferrò il senso generale, senza aver però la forza o la volontà mentale di contestarlo. In un altro contesto gli sarebbe venuto da ridere amaramente, ma in quel momento non gli venne neppure in mente.

    Raizen Ikagami non aveva capito nulla. Di lui, di come trattare i propri ninja, di come comunicare con le persone. Era probabilmente la persona meno qualificata a guidare il Villaggio della Foglia che potesse venirgli in mente. Era forte, senza nessun dubbio, ma null'altro. Nessuna sorpresa che Konoha fosse così debole nel complesso. Ora gli era chiaro come non fossero stati in grado di salvare neppure dieci bambini innocenti.

    A quel pensiero il Kinryu abbassò lo sguardo, e chiunque lo stesse osservando avrebbe pensato che assomigliasse ad un cucciolo maltrattato in pubblico dal proprio padrone e ne avrebbe avuto compassione. E se questo non era falso, non era comunque tutto. La verità era che non riusciva a sostenere lo sguardo dell'uomo che aveva davanti non perché si sentisse in colpa, ma perché la vaga antipatia che provava fino a quel momento si stava rapidamente trasformando in disprezzo. Era anche colpa sua se era così debole.

    Un uomo che si riempiva la bocca delle parole alleati, amici, famiglia, ma che quando l'Accademia aveva chiamato non aveva risposto, salvo poi presentarsi in un secondo momento, senza avvisare i suoi sottoposti, figurasi dimostrando fiducia nei suoi alleati accademici. La loro idea stessa di servizio era diversa. Era nato e cresciuto a Konoha? Sì, ma solo per caso. Il suo era un clan di profughi sparso su tutto il Continente. Avrebbe potuto benissimo nascere a Suna, a Kumo, ad Iwa o perfino alla Zanna!

    Da piccolo aveva sviluppato un forte senso di giustizia, ed aveva scelto la via ninja nonostante l'opposizione degli anziani. I Kinryu erano sempre stati mercanti, almeno fin da quando avevano abbandonato le terre natie dopo l'invasione cremisi. Si era reclutato tra le file dell'Accademia, ed aveva trovato là la sua strada ed un nuovo ideale. Un'unione di persone provenienti da diversi luoghi ed estrazioni sociali, con personalità e obiettivi differenti, ma tutte riunite per garantire la pace su un porzione del Continente.

    Aveva servito sotto le insegne dell'Accademia combattendo più battaglie di quante ricordasse, dalle estremità orientali a quelle occidentali delle terre conosciute, affrontando ogni tipo di avversario: organizzazioni criminali, traditori, Iwa, Hayate, Cantha, e perfino i seguaci del Veterano, uno dei flagelli più pericolosi che incombeva sul mondo. Aveva guadagnato i gradi come ricompensa a quei meriti. Gli aveva permesso di incontrare quelli che erano i suoi compagni più cari. E soprattutto lo aveva messo alla prova, facendolo diventare più forte.

    Era un ninja di Konoha solo perché era il suo Villaggio natale. Come tale aveva adempiuto ai compiti che gli erano stati assegnati, e provava affetto per la gente che vi abitava. La notte in cui era stato attaccato era stato tra i primi a rispondere all'appello per difenderne gli abitanti, ma era stato anche il momento in cui era iniziata la sua caduta. Non erano stati in grado di impedire che degli innocenti soffrissero, di proteggere il daimyo o di salvare un proprio compagno rapito.

    Era stato uno stupido, come aveva fatto a non capirlo prima? Uno dei motivi principali era proprio di fronte a lui. Il kage che ora gli porgeva la mano di fronte a tutti era lo stesso che non si era mai interessato di coltivare i talenti dei suoi sottoposti fino ad allora. Un uomo convinto di poter reggere sulle sue spalle il destino del Villaggio senza doverne renderne conto a nessuno, l'unico vero custode della Volontà del Fuoco. Sfortunatamente per lui, quella proposta, formulata comunque nel peggiore dei modi tanto da assomigliare quasi ad una minaccia, giungeva oltre tempo massimo. Non poteva offrirgli ciò di cui aveva bisogno.

    Io sono Shin Kinryu, e riconosco il mio errore, Hokage-sama, per il quale chiedo perdono. Il mio giudizio deve essere stato frettoloso.

    Il giovane alzò un poco la testa, senza però incrociare lo sguardo dell'uomo. Aveva risposto con voce sottile, più che comprensibile per la stanchezza sotto gli occhi di tutti, nascondendo nelle profondità del buco nel suo petto il reale significato delle sue parole. E quando estrasse la maschera della Volpe per appoggiarla con delicatezza sul tavolo, lo fece solo per l'obbedienza dovuta ad un superiore, non perché reputasse fosse la scelta corretta da fare. Gli era stata affidata per proteggere il Villaggio, e in tutta sincerità riteneva di aver adempiuto a quel compito nel migliore dei modi, ma i suoi meriti non sarebbero stati riconosciuti, era evidente, né ora né mai.

    Obbedisco.

    E alla fine, fu abbandonato. Dopo che moralmente, venne lasciato indietro anche fisicamente. Quando l'Hokage fece la conta per tornare a casa, non lo chiamò, quasi volesse ulteriormente infierire dicendogli di farsela a piedi. Shin lo osservò allontanarsi sul suo drago, sdraiato sull'erba con gli occhi al cielo. Si stava bene lì al fresco. Più tardi avrebbe chiesto a Shunsui o Kato di accompagnarlo al porto, dopo che avesse riposato un poco. Tante cose dovevano ancora succedere, ma non era il momento di curarsene. Ad ogni giorno bastava la sua pena.

     
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