Il ritorno della figlia della Nebbia

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    九代目水影 - Kyuudaime Mizukage

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    Il ritorno della figlia della Nebbia


    I



    Quando rimisi piede sul suolo Kiriano ebbi una sensazione strana. Quasi nostalgica. Mancavo da casa da due anni, e quei due anni molto, troppo era cambiato nella mia vita.
    Per la prima volta, da che avevo memoria, ero sola. Mi ero pagata il viaggio da Konoha a Kiri sbrigando una missione per il capitano della nave. Un accordo diretto, non mediato da alcun villaggio. Mi ero presentata sul ponte, gli avevo chiesto un passaggio e se potessi fare qualcosa per pagarlo. Il vecchio capitano avevo detto che non accettava bambine, al che gli avevo mostrato gelato la bottiglia di rum fino a farla esplodere. Avevo ripagato anche quella (per fortuna che il rum era economico).
    Non avevo dubbi che non avrei incontrato qualcuno che mi conosceva lì a Kiri. Forse avrebbero potuto riconoscermi, ma due anni erano tanti ed ero cambiata da quando ero andata via. Inoltre, nessuno aveva mai prestato troppa attenzione alle figlie di Mizukage.
    Mio padre non sarebbe stato lì. Forse era andato a Konoha, sperando di incontrarmi, ma non avrebbe avuto successo. Chissà se avrebbe avuto il fegato di tornare a Kiri.
    A me non importava.
    Non volevo più vederlo. Mi aveva abbandonata proprio quando eravamo entrambi distrutti dal dolore. Hanako, sua sorella, aveva fatto del suo meglio per occuparsi di un'adolescente in lutto, con scarso successo. Però non la biasimavo per quello. Almeno lei aveva provato ad essermi vicina dopo la morte di quasi tutta la mia famiglia, mentre Itai Nara, il grande potente nono Mizukage era fuggito a deprimersi in qualche luogo sperduto.
    Quando ci pensava una rabbia atroce mistra a tristezza la pervadeva. Ed lì, in quel momento che, incapace di controllare le proprie emozioni, allargava la benda del braccio destro, scopriva l'avambraccio e vi affondava il coltello. Il dolore era fastidioso, lo odiava, eppure, per qualche ragione, la calmava. Diradava le nubi tempestose del suo umore e poteva tornare a pensare, con chiarezza.

    La strada dal porto al Villaggio era breve, ma lei non si sentiva poi realmente pronta a tornare, così deviò per fare un giro lungo la costa, allontanandosi dal porto, verso alcuni scogli poco frequentati. Erano per lo più rocce aguzze che sbucavano dall'acqua e rendevano difficile l'attracco di navi in quel punto, ed erano scomodi per starci su. Mi avvicinai al bordo della scogliera, pronta a saltare su uno di questi e contemplare il mare nebbioso con calma quando la mia attenzione fu attirata da un rumore che mi fece voltare.
    C'erano tre ragazzi, che non potevano avere più di quindici anni. Uno di loro era particolarmente grasso e dall'aria cattiva. Li osservai con attenzione, non sembravano armati. Sembravano solo civili.
    Ehi mocciosa! mi sentii chiamare. Sospirai irritata. EHI!
    Ma lasciala, non lo vedi che è una bambina? disse un compare, un tipo secco ed occhialuto, dallo sguardo viscido.
    Che ci fai da sola qui? Hai perso la mamma? disse il più basso ed infantile dei tre.
    Non erano pericolosi, erano solo fastidiosi. Mi strinsi nell'ampia felpa che mi copriva il corpo, ed alzai un cappuccio per ignorarli.
    Lasciatemi in pace, per favore dissi col tono che sembrava quasi una supplica. Quello grosso diede una spinta ai due per lasciarlo passare e si avvicino a Jukyu, che con riluttanza si girò per fronteggiarlo.

    I bambini non dovrebbero girare da soli, si sfregò le mani grassocce. Era evidente che per qualche motivo aveva deciso di infastidirmi. Non lo degnai quasi di uno sguardo.
    Allora perché la tua mamma non è con te? risposi, tagliente. Lui parve metterci qualche secondo a processare l'informazione. Nel mentre i suoi due "amici" erano scoppiati a ridere. Poi il viso del bullo si inasprì, distorcendosi dalla rabbia.

    Adesso ti faccio vedere io mocciosetta... mosse un altro passo verso di me, invadendo il mio spazio vitale. Non volevo di certo battermi con un civile, per lo più con un bulletto da quattro soldi. Alzai lo sguardo, fissandolo in viso.
    Altrimenti? risposi sfacciata, con lo sguardo di aperta sfida.

    A vedere la scena dall'esterno sicuramente ci sarebbe stato un bel po' di fraintendimento. Dopotutto sembravo davvero una bambina. Se avessi tolto la felpa forse avrebbero potuto darmi i miei tredici anni, ma bassa e coperta com'ero, senza vedermi bene il viso avrebbero potuto darmene tranquillamente undici, o meno. Non portavo armi visibili. Tutto faceva sembrare ad un'aggressione in piena regole, ad una situazione di pericolo per me. Chiunque avrebbe potuto fraintendere chi stava scherzando con il fuoco, e magari, pensare di intervenire.
     
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    Tutta colpa dell'impazienza.


    Era una giornata come l'altra all'interno del quartiere dei Kenkichi, il giovane Akuraguri si stava allenando dal mattino, la sua mente ed il suo corpo pronti per la prossima missione. Era passato poco tempo dall'ultima volta che era stato chiamato dall'Accademia o dal villaggio, ma nonostante questo, le sue mani fremevano dalla voglia di buttarsi ancora una volta nella mischia, nell'azione. Voleva diventare più forte, combattere, scontrarsi contro avversari del suo calibro ed uscirne vincitore.

    La sua brama di sangue non stava venendo appagata dal pesante allenamento che egli stava intraprendendo, così il giovane decise di smettere per un attimo e dedicarsi alla meditazione, sperando che il colloquio interiore con Haremashita, potesse calmarlo. Egli si sedette sul terreno e, con la lama fra le sue gambe, si concentrò per un attimo, poi entrando all'interno del mondo di Haremashita. Quando i due si erano incontrati per la prima volta, il mondo interiore della spada era deforme, l'unico edifcio riconoscibile una vecchia casa di campagna, nella quale Akuraguri aveva imparato a conoscere Haremashita, il suo passato, ed aveva ascoltato la storia del clan, a lui ignota, per lo più.

    I due avevano imparato presto a conoscersi e, dopo un po' di tempo, la nebbia si era quasi sollevata da quel mondo interiore, lasciando intravedere un villaggio. Il genin non si era mai avventurato al di fuori della dimora, ma si era sempre chiesto cosa ci fosse in quel paesino. Quel giorno però, anche la conversazione con Haremashita stagnava, colpa anche del poco interesse del kiriano nelle sue parole. La sua mente era altrove e così, dopo questo tentativo maldestro di placarla, il giovane decise di andare a fare una passeggiata, magari per schiarirsi le idee.

    I suoi passi lo portarono velocemente verso il porto, la sua casa nativa, le vie, gli odori ad egli familiari. Girando per quelle stradine strette, Akuraguri sbucò fuori dal porto, avviandosi verso una serie di scogli, niente di particolare, se non fosse che per uno strano gruppo di ragazzini che discutevano tra di loro. Il genin si avvicinò, più per curiosità che per altro, giusto in tempo per sentire la ragazzina quasi implorare di essere lasciata da sola. La minaccia del bullo fugò ogni dubbio dalla sua mente, ed in un momento egli si ritrovò davanti alla ragazza, le spalle rivolte verso di lei, la sua mano aperta.

    Un veloce ma leggero ceffone partì dalle sue mani, mirando alla guancia del giovane di fronte a lui, con un volto accapigliato. Le sue parole poi risounarono nell'aria, prima di girarsi verso la ragazza.

    Non si toccano le ragazze!

    Sperando che lo schiaffo fosse stato abbastanza per dissuadere i tre giovani, il ragazzo, alto più di trenta centimetri in più della giovane, si piegò leggermente, per poter osservare meglio la sua faccia, quasi coperta da un cappuccio ed accertarsi delle sue condizioni.

    Tutto apposto?

    La Sanguinaria
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    Legenda:
    Parlato/Pensato Akuraguri
    Parlato/Pensato Haremashita
    Parlato/Pensato Satsubatsu


     
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    II



    Il mare era alle mie spalle, non più di un paio di metri in basso. Avevo intenzione di reagire, e non bene, alle continue provocazioni di quel pallone gonfiato quando qualcuno decise che forse era il caso di intervenire. Il suono secco e piacevole di un ceffone scosse l'aria. Un gabbiano lì vicino prese il volo gracchiando la sua disapprovazione.
    Il bullo fece un passo indietro, ferito più nell'orgoglio che nel fisico, poi qualcosa si modificò nella sua espressione. La sua faccia passò dalla rabbia (verso di me) alla confusione (dopo lo schiaffo) alla paura.
    Non avevo mosso un dito, ma l'acqua dietro di me si era sollevata in una sfera larga circa un metro, per poi congelarsi a formare una specie di masso di ghiaccio. Quello contribuì a far comprendere al bullo che non era aria e che la ragazzina che aveva aggredito senza motivo non era esattamente indifesa. Così lui, ed i suoi compari, filarono.
    Prima che il ragazzo si voltasse verso di lei lasciò cadere il pezzo di ghiaccio in acqua. Fece un tonfo, ma non le importava davvero tanto essere discreta. Non che si stesse nascondendo.
    Sto bene, grazie dissi brevemente. Avevo dimenticato quanto Kiri fosse piena di idioti aggiunsi voltandomi verso il mare.
    Tolsi il cappuccio lasciando intravedere il mio volto, certo che potesse intravederlo. Con la mano sinistra, istintivamente, toccai la destra fasciata. Non erano bende. Erano fasce da combattimento, di quelle che si usavano per avere un certo grado di protezione. Pensai che forse qualcuno avrebbe potuto trovare strano che lo indossassi solo ad un braccio. Pensai che da quello si potessero scoprire i segni che così stavo cercando di nascondere. Volevo solo un po' di pace, qui sugli scogli. Aggiunsi con un sospiro.

    Misi un piede sul basso muretto di pietra a secco che separava il piano della strada dagli scogli e mi diedi una spinta, mettendomici in piedi, per poi saltare verso il basso, quasi con noncuranza. Atterrai leggera e mi diedi una spinta verso l'alto, saltando in cima ad uno scoglio più piatto, adocchiato in precedenza.
    Da lì, forse, si sarebbe capito che la ragazzina era in realtà una Kunoichi.
    Sono Jukyu, comunque, Jukyu N... Mi bloccai. Stavo parlando spinta dall'abitudine, e nel farlo stavo per dire quel cognome che avevo deciso di lasciare. Il cognome dell'uomo che aveva deciso di abbandonarmi, dopo aver causato più o meno direttamente la morte di suo fratello, sua sorella e sua madre. Shinretsu. Jukyu Shinretsu.

     
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    Dubbi e sospetti


    Il gruppo di ragazzi se la diede a gambe levate abbastanza velocemente, forse proprio per l'aria minacciosa emanata da Akuraguri, o forse, dalla palla di ghiaccio che, a sua insaputa, si era formata alle sue spalle. Il giovane rise al commento della ragazza, annuendo come a confermare la veridicità delle sue parole. Quando poi lei si toccò le bende, il sorriso però scomparve dal suo volto, un misto di curiosità e sospetto insinuandosi all'interno della sua mente. La mano della ragazza, quasi una bambina dal volto, era avvolta in bende da combattimento, più spesse di quelle mediche, ruvide.

    Akuraguri poggiò una mano sull'elsa della sua Satsubatsu, la fedele katana che lo accompagnava, all'apparenza un bastone, scabro e pieno di protuberanze. Prima ancora però che potesse chiedere l'identità della ragazza davanti a sè, lei si presentò, sbagliando per un momento , aumentando i sospetti del giovane. La sua presa sulla spada divenne ancora più forte, ed egli alzò la spada leggermente, mostrando la sua lama, quasi a far comprendere alla persona davanti a lui, che non stava scherzando quando diceva quelle parole.

    Io sono Akuraguri Kenkichi, genin di Kiri. Dimmi cosa ci fai qui e perchè sei venuta a Kiri.

    Il ragazzo tenne i suoi occhi fissi, incollati sulla giovane donna, il suo respiro profondo, calmo, quasi come il mare prima della tempesta. I suoi piedi erano piantati per bene sul terreno, pronti a rispondere ad un improvviso attacco. Nella sua mente, dubbi e domande su chi fosse la persona davanti a sè, su cosa volesse, e se fosse una minacca per Kiri. Forse la cosa più intelligente da fare sarebbe stata quella di chiamare qualcuno, ma voltare le spalle ad un potenziale nemico sarebbe stato sciocco, perfino per una testa calda come Akuraguri. Così egli continuò ad aspettare la risposta della ragazza, sperando nel meglio.

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    III

    Da quando in qua Kiri era diventata così ostile?
    Al mio sguardo non sfuggì la mano sulla sua spada. Immediatamente mi irrigidii, alzando la mano sinistra in segno di difesa. Che avevo fatto di male? Forse l'incertezza sul mio nome? Avevo vissuto tutta la mia vita come Jukyu Nara, avevo deciso di prendere il cognome della mamma da troppo poco tempo per non inciampare in qualche patetico errore. Da qui a sguainare le spade, ne passava di tempo.
    Il mio istinto di autoconservazione mi diceva di contrattaccare, ma razionalmente sapevo sarebbe stato molto meglio cercare di calmare la situazione. Non avevo per niente voglia di combattere.
    Sta calmo, dissi secca. Sono nata qui. Al mio comando una sfera d'acqua di circa cinque centimetri di diametro uscì dal mare, volteggiando attorno alle mie dita, per poi congelarsi all'improvviso. Sono una Shinretsu. Ma il mio nome completo, che non uso mai, è Jukyu Nara Shinretsu. A quel punto, forse, avrebbe potuto comprendere qualche grado di parentela.
    Mi misi a sedere, inoffensiva, prendendo il cristallo di ghiaccio che avevo appena creato tra le dita, guardandolo con aria distratta. Ma perché essere così ostili? Da quando in qua si attaccavano persone che camminavano per il territorio Kiriano per un'incertezza? La Kiri che ricordavo era un posto nebbioso, poco allegro, ma non crudele. C'erano Ninja di cui aveva memoria che qualcosa del genere forse non l'avrebbero mai pensata.
    Sto solo tornando a casa, aggiunsi, con una nota non celata di malinconia nella voce.
    Era vero. Stavo tornando a casa. La casa da cui mio padre mi aveva separata ed allontanata. La casa dove lui non poteva tornare, e dove non mi avrebbe cercato. Il posto dove avevo vissuto tutta la mia vita, per quanto ancora breve. Allora spadaccino, vuoi ancora arrestarmi?

     
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    Tensione ed Imbarazzo


    Le parole della ragazza fecero ben poco per calmare il giovane, che concentrato, vide una sfera di acqua elevarsi dal mare ed anadarsi a posare sulle dita della kunoichi, congelandosi in un cristallo di ghiaccio. Quell'azione non fece altro che portare nuove preoccupazioni al giovane, che comprendeva come la donna, se davvero si fosse rivelata essere un nemico, non sarebbe stata un avversario semplice, anzi. La manipolazione del ghiaccio era un'arte interessante e con diverse applicazioni, sia difensive che offensive, permettendo ai suoi utilizzatori di essere estremamente letali e adattabili.

    Per un attimo Akuraguri contemplò la possibilità di estrarre la sua spada e di attaccare, con un veloce colpo, un tentativo di porre fine al confronto prima ancora di essere in pericolo, ma attese che la ragazza finisse di parlare, spiegandogli come in realtà il suo secondo cognome fosse Nara, un nome importante a Kiri, il cognome del Mizukage precedente, una figura conosciuta anche da Akuraguri, uno studente tutt'altro che attento. Un sospiro uscì dalla bocca del giovane, prima di rimuovere la mano dall'elsa della spada ed iniziare a parlare.

    No, ti credo....sarebbe abbastanza da stupidi cercare di infiltarsi a Kiri come un parente del vecchio Mizukage.

    Egli iniziò, prima di grattarsi il retro del suo cranio, cercando di far ritornare la conversazione e la situazione ad uno stato normale, dopo il picco di tensione.

    Bentornata a Kiri allora! Cosa ti ha spinto a tornare in questa città nascosta nin mezzo alla nebbia ?

    Egli concluse con un tono scherzoso, sorridendo in imbarazzo.


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