Colloquio Privato

Yato e l'Hokage

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    VIII




    L’opinione di Yato sulla situazione di Tian lo fece sorridere.

    Ho visto divinità venir ingannate, penso che anche le loro decisioni possano subire la stessa sorte.
    Basta avere le giuste conoscenze, e la conoscenza non ci è preclusa.


    Nemico o meno quella era un affermazione che Yato non poteva che condividere se voleva darsi una speranza contro quello che lo aspettava, purtroppo per lui non sapeva che presto quell’affermazione l’avrebbe messo alla prova.



    […]


    L’Hokage annuì, falsamente concorde all’affermazione di Shinryu.

    Vero, vero.
    Anche io sono immortale, sono ancora vivo.


    Fece qualche passo circospetto, osservandolo.

    È su questo che hai puntato quando hai fatto dimenticare della tua esistenza?
    Speravi che ciò che ti ha messo all’angolo subisse la stessa sorte?
    Perché un piano simile funzioni la tua corsa alla conquista deve essere più rapida della nostra evoluzione, malgrado tu abbia buoni argomenti.


    Indicò verso l’alto.

    Io temo che Tian sia ancora fuori dalla tua portata.

    Sentenziò senza ombra di menzogna.

    Escludendo che la sua maledizione sia qualcosa a cui puoi porre rimedio sarebbe comunque inutile controllarlo, la sua interpretazione della pergamena è un antitesi della tua, sempre che a te non sfugga la piena comprensione della stessa e tu lo voglia per essere più completo.
    Ma ammetto che se lo trovassi pesto, demoralizzato e affranto forse riusciresti a fargli le scarpe, tu sei uno di quelli che raccatta gli avanzi e dice di aver abbattuto la preda.


    Indicò nuovamente verso l’alto, e questa volta l’Esuvia, fortezza dall’innegabile potere assunse la forma di un mezzo fallimento.

    Già, mai sentito dell’albero che cadendo nella foresta da solo non fa rumore?
    Te la canti e te la suoni ma nonostante l’oblio non sembri uno di quelli che basa la sua esistenza con l’autoconferma… quantomeno per quanto ne so fino ad ora.
    Forse qualcuno che ha nascosto sotto il tappeto qualcosa di importante però si.
    In effetti mi chiedo, e lo faccio perché nutro una sorta di bieco rispetto per ciò che sei, come mai tu, un prodotto di Indra o supposto tale, sia riuscito a perdurare mentre lui no.


    Poco dopo la sua risposta Yato fece la sua proposta, ritrovando se stesso e Raizen nel mondo interiore per un rapidissimo scambio nel quale stava per dargli del cagasotto per via della sua proposta, fortunatamente elaborata quanto bastava da non danneggiare realmente il piccolo rettile.

    Va bene, ma sarò manesco, sappilo.

    Lo spostamento successivo di Yato annullò la tecnica ma non la recita.

    Debole io?
    Sei sempre pronto a chinare il capo alla soluzione più semplice senza renderti conto che ti accontenti a malapena di un pareggio che ti è stato imposto!


    A entrambi veniva naturalissimo recitare quella parte, tanto che pur sapendo della recita sarebbe stato impossibile comprendere dove iniziava e dove finiva.

    Mi basterebbe cacciarti una mano in bocca e sfilarti quella lingua saccente per renderti una marionetta se non l’ho ancora fatto è perché non è mio interesse!
    ...Tu cosa?


    Yato gli si avventò addosso scartando all’ultimo per poter intercettare Kushami, lui reagì normalmente aumentando la velocità grazie al chakra della volpe che fece scorrere in lui, afferrando le parti di legno ancora connesse al suo corpo per scansarlo dall’obbiettivo, ma non a sufficienza perché il suo colpo andasse fuori bersaglio.
    Kushami non era stata informata, e il suo stupore fu reale ma quella fu anche l’ultima interazione tra di loro, appena la spada gli sfiorò le carni venne pareggiata come suggerito dal labiale di Yato, ma lui finse sbigottimento e rabbia.

    Maledetto.

    Disse con gli occhi sbarrati.

    Infido verme codardo.

    L’avrebbe tirato a se ad una velocità inusitata, facendo sfilare oltre il suo fianco le propaggini artigliate per poi afferrarlo per il collo e sollevarlo come una bambola di pezza, anche se il peso era sostenuto primariamente proprio da qualcuno dei rami di legno.
    A quel punto però il suo piano aveva già preso forma ed avuto successo, nella sua parte fisica quantomeno, per il resto c’era ancora da lavorare. La presa su Yato vacillò ben più di quanto ci si potesse aspettare e se fosse stato sufficientemente rapido nell'osservarlo avrebbe potuto notarne gli occhi che vagavano nel vuoto per un istante prima di rigirarsi verso l’alto, nessuno dei due in quel momento sapeva cosa stava succedendo, quantomeno non mentre succedeva.
    Era il Vuoto.
    Il Nulla più totale circondò la mente di Raizen, riempendola di un assenza così assoluta che definirla in termini umani era impossibile, ne rimase frastornato e per un periodo indefinito terrorizzato in quanto l'abitudine a determinati stimoli era un abitudine così profonda che la loro assenza improvvisa era l'esperienza più vicina alla morte che si potesse sperimentare. Durò tanto e durò poco prima che si ricordasse che il Vuoto non era inafferrabile.
    Ma cosa era il Vuoto per una creatura che avesse coscienza di se?
    Nella sua definizione più superficiale uno spazio delimitato dentro il quale non erano presenti stimoli di alcuna sorta, eppure già in una visione così parziale del Vuoto questa affermazione era sbagliata, c’era aria e il suono poteva viaggiare attraverso essa e non solo, oltre l’aria c’era il muro che rifletteva i suoni generando echi. Se quella delimitazione spariva il vuoto diventava ancora più difficile da sperimentare perchè nuovi elementi riempivano lo spazio e non sarebbe mai stato possibile sottrarsene. Nella realtà di una creatura dotata di pensiero o memoria qualsiasi forma di vita esisteva in un ambiente che le permetta di vivere e la complessità della vita richiedeva troppe interazioni perchè fosse possibile privarsi della loro totalità, per questo non era banalmente il pieno ad essere l’opposto del vuoto, ma la vita.
    Fortuna volle che lui non fosse vita in quel momento, in quel momento era solo mente, una mente così dipendente dalle abitudini della vita, come era normale che fosse, che in loro assenza la prima necessità era rispondere a quell’assenza, non alla comprensione dell’assenza stessa. Tuttavia, in quel vuoto, l’esatto momento dell'apparizione della Montagna corrispondeva alla creazione di un vincolo, un pallino di yang dentro lo yin, piccolo, infinitesimale ma sicuramente presente. Nell’esatto momento in cui il vuoto gli era stato messo attorno aveva smesso di essere tale ma questo era un problema per la definizione di Vuoto, non una soluzione utile a comprenderne la natura, non ancora.
    Se voleva sopravvivere come Raizen Ikigami, no, come Raizen Ikigami Huangdì doveva impedirsi di diluirsi nel nulla e se voleva comprendere il vuoto doveva riuscire a lasciare indietro la sua concezione di vita nonostante questa fosse parte integrante di ogni aspetto di qualsiasi essere vivente. In quel momento era mente e nonostante l’assenza di tutto, persino di ciò che erano i gesti lui poteva comunicare. Avrebbe fatto due cose e quattro cloni nel più classico degli utilizzi della Kagebushin: accumulare esperienza.
    Quattro cloni senza memoria, neanche del più basico dei concetti della vita, mente pura e vuota, con due avrebbe comunicato, gli altri avrebbero avuto esperienza del vuoto senza che niente potesse inquinare ciò che avrebbero provato. Due cloni lo avrebbero salvato dalla pazzia, gli altri gli avrebbero permesso di comprendere.

    Tu chi sei?

    Si rivolse singolarmente ad ognuno dei due cloni adibiti al ruolo di ascoltatori, comunicando mentalmente ciò che il vuoto non permetteva di comunicare in nessun altro modo con le sue capacità.

    Tu sei Raizen Ikigami Huangdì.
    Hai dieci dita, cinque per la mano destra e cinque per la sinistra, tutte sormontate da un unghia nella loro estremità... due gambe..... un naso....... una bocca.......... denti............ capelli..............


    Un eccellente sistema di comunicazione per descrivere ciò che la mente conosceva, il largo e disparato utilizzo di cloni infatti gli aveva permesso di conoscere il suo corpo da un punto esterno meglio di qualunque altro shinobi del continente, non c’era posizione, muscolo e angolatura che il suo corpo potesse assumere che lui non conoscesse: Raizen poteva ricostruirsi sbagliandosi di una qualche manciata di cellule e col passare di quell’eternità anche quelle due menti diventarono suoi cloni nascendo dall’argilla senza forma che lui stesso aveva prodotto. Gli avrebbe passato la sua intera esistenza in un misto di parole, sensazioni e pensieri che avrebbero illustrato il suo stesso IO in via teorica, come qualcosa da studiare, ma non per questo estraneo, erano infatti pensieri e sensazioni che si confacevano così tanto a loro quasi da appartenergli ma la virgola che separava le due esperienze sarebbe diventata la sfumatura che avrebbe permesso la futura integrazione possibile.

    Tu sei Raizen Ikigami Huangdì, vivi nel presente agendo per il domani.
    Valuti il mondo cercando di evitare i preconcetti, le ingiustizie e perseguendo l’Equilibrio.
    Non c’è decisione che tu prenda se non dopo aver sperimentato ogni suo angolo e quando non lo trovi cerchi di immaginarlo in base a quelli in tuo possesso.


    Avrebbe raccontato a se stesso la sua vita, probabilmente fornendone una versione edulcorata tale da renderlo migliore di quanto in realtà non fosse e li dove le parole avrebbero potuto tradirlo generando contraddizioni e incomprensioni che avrebbero dato vita alle divergenze pericolosissime sarebbero subentrati ricordi diretti, sensazioni ed emozioni che avrebbero plasmato se stesso in un opera di autocreazione che avrebbe occupato quello spazio fino a quando quello spazio sarebbe durato poiché nel vuoto di tempo lo scorrere poteva essere determinato solo quando presente un concetto di inizio e uno di fine, ed al momento lui era l’unico concetto, l’inizio era se stesso e la fine sarebbe stata la fine, nell’eternità che intercorreva tra i due punti c’era spazio per qualunque infinito numero di mansioni, da uno a infinito.

    E dunque io chi sono?
    Cosa mi affligge?
    Cosa devo risolvere?
    Cosa definisce Raizen Ikigami Huangdì?


    Lo scambio sarebbe durato senza termine assicurandosi la persistenza della memoria e quindi di se stesso.
    Ma in quell’eternità di nulla cosa potevano fare due le altre due entità consapevoli?
    Pensanti era eccessivo, come si poteva pensare senza fertilità intellettiva?
    Tali erano quei due cloni, senza la guida di Raizen ma con solo il suo nome come seme staminale il primo istinto fu cercare, espandersi fino al contatto con qualcosa, e prima che si strappassero disperdendosi in quell’infinità si toccarono riducendo le dimensioni del nulla, accorgendosi seppur in maniera diversa che qualcosa poteva esistere lì. Un uno nello zero non poteva che restare uno, ma due uno potevano sommarsi e diventare qualcosa, sperimentando un esistenza nel vuoto. In quel modo ogni tocco diventava un barlume precluso alla vista di chi era abituato alla luce, la comunicazione cambiava, diventava tattile esprimendosi in tocchi gentili o forti repulsioni con le sfumature occorrenti a concetti che non fossero di primario interesse, crescendo in una reciproca influenza che li plasmava per rispondere a necessità completamente diverse da quelle di un essere umano. Sarebbe stato strano comprendere a pieno che anche per loro che erano mente pura esisteva il concetto di morte, le creature biologiche non vivevano a sufficienza per accorgersi che la mente poteva morire come il corpo anche se in maniera diversa, la morte della mente era lì: il vuoto. La totale assenza di stimoli, l’immobilità perpetua, il nulla più sconfinato insondabile dalla creatività poiché esso nessuno stimolo poneva dilemmi a cui dare soluzioni sfruttando ciò che era disponibile e andava rielaborato, in quel nulla l’unico e solo problema era l’esistenza oltre il dualismo che erano e che rappresentava il vincolo di partenza.
    Cosa c’era di vincente in quel vincolo?
    Il contrasto.
    La dualità di quel rapporto gli forniva il sostentamento necessario, essendosi sviluppati l’uno come reazione all’altro si erano polarizzati mantenendo la capacità di comunicare e comprendersi perché non potevano distanziarsi l’uno dall’altro: la loro parità e la loro non esistenza oltre quel rapporto li costringeva a trasformare ogni stimolo in due risposte opposte ed una terza di accordo generando una rete che trovava in quelle risposte i suoi nodi diventando in grado di riempire il vuoto con le proprie esperienze. Nell’eternità la scommessa di Raizen prese forma e i nodi diedero vita ad un sodalizio che proprio nella sua unione riusciva a decifrare il vuoto. Grazie all’assenza di preconcetti ed istinti potè accorgersi in maniera del tutto differente rispetto a Raizendi Come poteva esistere nel vuoto.
    Esisteva senza bisogno di esistere, quantomeno per la concezione che un essere fisico aveva del termine, dal suo punto di vista la sua era esistenza a tutti gli effetti anche se definita da necessità completamente diverse, l'interazione in primis e comprensione di quel “nulla” dopo, che ora mettevano in dubbio mediante la sperimentazione, se loro esistevano infatti il nulla era negato almeno in loro stessi, ma l’esterno come funzionava?
    Il rapporto era duale e complesso, l’esterno era sconfinato, così tanto che l’espansione non poteva abbracciarlo perché quanto più comprendeva le sue dimensioni tanto più dovevano crescere e quanto queste arrivavano ai limiti della sua comprensione per riempire lo spazio percepibile questo si ingrandiva in un continuo scambio di basi che non aveva modo di colmare. Compresero che espandersi non era la strategia migliore per comprendere e che il suo unico risultato era un cambiamento piccolissimo considerando il sistema di riferimento... ma non nullo. Nel momento in cui lui agiva il vuoto spariva a contatto con lui ma continuava ad esistere oltre lui impedendogli di sperimentare oltre ad esso.
    Ogni movimento della rete era lento, eternamente lento, eppure i contatti avvenivano ed ognuno di essi dava modo di comunicare qualcosa che in un tempo così dilatato era sempre nuovo ed al contempo delimitava una parte di nulla. Ci volle più di un tentativo per capire che quell'azione era inutile perché in quei limiti era contenuto comunque il vuoto e l'assenza di misura lo rendeva un frattale, infinitamente piccolo ed infinitamente grande. Solo attraverso uno studio eterno capì che il vuoto era dominato dalla stasi originata dall’equilibrio perfetto.
    Ne venne soggiogato e terrorizzato.
    Niente, neanche l'eventuale separazione dalla sua metà l’aveva mai impaurito come sapere che il concetto sul quale aveva basato la sua esistenza, ossia l’equilibrio del compromesso, se esasperato e portato ad uno stato di perfezione avrebbe portato al nulla più totale. Si agitò, urlò come aveva imparato a fare in assenza d'aria, si disperò come nessuno poteva capire perchè lui aveva compreso quel mondo e non si disperava della sua inesistenza si disperava per ciò che sarebbe potuto essere e non sarebbe mai diventato.
    Ma se qualcosa agiva e si disperava, se rifletteva e comunicava era indubbio che stesse modificando anche il suo stato, la sua disperazione non poteva essere uguale alla sua tranquillità: lui era ciò di cui quell’equilibrio necessitava per essere trasformato. Alla fine comprese realmente che lì dove l’Equilibrio era perfetto la minima fluttuazione nella giusta direzione avrebbe dato origine ad un effetto a catena in grado di generare il tutto purchè spinto nel giusto modo.
    Il vuoto prese ad esistere perché ora era compreso: un luogo di insondabile e immutabile equilibrio un grigio di una perfezione inscindibile in cui l’assenza di tutto si trasformava in oscurità per chi era avvezzo alle regole della materia, un luogo in cui era presente tutto a patto di saperlo estrapolare chiudendo il cerchio che permetteva alle cose di nascere nel vuoto e tornare in esso, qualcosa di possibile soltanto nel momento in cui si avesse piena consapevolezza dell’inizio, della fine e dell’eternità compresa tra una fine ed un nuovo inizio di ciò che si voleva creare.
    Nel momento in cui quell’essere duale giunse alla sua conclusione era quasi troppo tardi, se avesse iniziato ad agire l’eternità avrebbe giocato a suo favore e quella goccia si sarebbe trasformata in tutto, in troppo. Raizen non ne era consapevole ma quando il clone si dissolse la sua identità passò a quello che per comodità chiameremo Mente, portando con se ciò che aveva acquisito quando era in vita: Raizen Ikigami Huangdì.
    Due modi diversi di essere si incontrarono, dando a quell’esistenza una consapevolezza ulteriore: di essere parte di qualcosa di ancora più complesso, di un uomo che aveva reagito all’eternità sigillandosi in se stesso, preservandosi grazie al ricordo di sè, cosa stava facendo e perché era lì.
    Quando tutti i cloni vennero rilasciati percepì quel momento per ciò che era ed udì i passi distinti di qualcuno che voleva farsi annunciare da essi. Si voltò verso il Dominio, impassibile e insondabile, forse incapace di parlare l’idioma umano.






    Sei venuto a contrattare?


    L’immagine mentale della Montagna non poteva uscire indenne da quell’esperienza, e malgrado la sua mente stesse salda davanti a Shinryu, davanti al Dominio, negare che il vuoto l’avesse segnato era impossibile. Era un evidenza dalla quale il suo subconscio non gli permetteva di sottrarsi , ma le regole dell’equilibrio volevano che se qualcosa era morto qualcos’altro era sopravvissuto e fatto più forte, che se qualcosa era vecchio e debole qualcos’altro era giovane e forte, e la carne non doveva esserlo nel mondo della mente.

    Il Dominio non mi avrà mai e non avrai mai neanche Tian.
    Siete due facce della stessa medaglia, il vostro destino è coesistere.


    Il singolo clone di Raizen intanto si impegnava sull’altro versante, cercando un contatto con Hakike e trovandosi a dover fronteggiare quella massa velenosa che aveva percepito dall’esterno. Era qualcosa di permeabile tutto sommato, ma per il clone sarebbe stato fatale. Non era una protezione fisica era qualcosa di pensato per isolare la mente e come avrebbe potuto confermare dopo per distruggerla, non sapeva se il fine ultimo era la morte o l’assoggettamento ma a considerare dallo stato del drago non era qualcosa che badasse alla sua incolumità.
    La cascata d’acido costò tutto al clone, il dolore che percepiva non era quello della carne, non era quello il dolore che si percepiva in quel mondo. Il dolore di un cuore spezzato, di una cocente delusione, di una perdita irreparabile i dolori che appesantivano l’anima in vita li diventavano distruttivi lasciando niente più che cicatrici dolorose, dove un tempo c’erano amori, amici e fratelli. Un dolore che anche per l’originale sarebbe stato salato perché i ricordi cancellati non sarebbero tornati ma le sensazioni di quelle perdite si. Qualcosa però sopravvisse, il nocciolo della sua essenza riuscì ad oltrepassare quell’acido nelle parti più importanti del suo corpo, quella che poteva trasmettere un emozione e quella che poteva agire, aiutare.
    Di se non era rimasto che l’intento più forte, le consapevolezze più solide, quelle di essere un frammento che doveva tornare ad un unico e quella di dover aiutare, e con quelle poche briciole ascoltò e il suo occhio ne fu rattristato.
    Non poteva parlare perché la parola gli era preclusa ma lentamente la mano si sarebbe girata, faticosamente e dolorante mentre tremava per la fatica di un simile gesto veicolato esclusivamente dalla pura volontà mostrò il palmo, non ci sarebbero state proposte o soluzioni, non sapeva darle, non aveva conoscenze sufficienti, ma poteva aiutare sapeva di essere lì per quello.
    Ciò che non sapeva era che il corpo a cui doveva fare ritorno poteva essere un ricettacolo anche per quel rimasuglio e che se lui poteva farvi ritorno il drago poteva seguirlo tornando in un luogo dove la sua anima potesse trovare ristoro una volta libera dalla corruzione.
    Bastava un contatto, se lo sforzo di quel cammino fosse stato eccessivo per lui sarebbe bastata l'intenzione di accettare quell’alleanza dando a Raizen la facoltà di evocarlo puro come lo era in quel momento.
    Quando quel dolore fece ritorno nel corpo originale diede la spinta necessaria a sottrarlo da un conflitto che ancora non era pronto a superare ma lasciandolo in uno stato a dir poco pietoso, affaticato e spezzato nell’animo ma tutt’altro che vinto.
    Quando l’Aspetto sollevò quel dito sapeva che il bersaglio sarebbe stato Yato ed anche che gli attacchi delle esuvie erano imparabili con quell’oncia di preavviso. Chiese ai suoi muscoli ben più del necessario ma sarebbe bastato ad avere un contatto con Yato che dopo la loro recita era praticamente a contatto con lui, afferratolo si sarebbe teletrasportato con lui lontano da quel pericolo, vicino al guardiano con l’anima di Ou [SD + Teletrasporto]

    Ora comprendi perché il Dominio è al centro delle mie attenzioni.

    I due iniziarono a calarsi a terra e se non avesse percepito la presenza di Hanabe avrebbe tentato di evocarne l’anima, o una porzione sufficiente a permettergli di ritrovare le sue energie al suo interno, un corpo al cui interno scorreva la stessa essenza che lo animava.
    Intanto nei rami del Senju una sorpresa del Dominio, ben più infida dell'attacco appena evitato stava germogliano, un fiore nero come la pece che gli sottraeva il chakra per nutrirsi accrescendosi a sue spese, tagliarlo sarebbe stato impossibile, sembrava in grado di preservarsi anticipando le intenzioni di Yato con una resistenza pari alla forza che avrebbe usato per debellarlo, dopotutto era parte di se stesso. Raizen non dava segno di averlo notato, se ne sarebbe liberato? Come? [Acacia Oscura]


     
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