Vecchia Magione

Il Vecchio Maniero della Casata

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    Mostro la lingua colma di sigilli, i suoi non erano doppie personalità, erano scomodi ospiti da scacciare.
    Poi divenne tutto bianco mentre tutto il suo viso si contraeva cercando di contenere il dolore, Jotaro gli aveva assestato un potente calcio, forse lo zigomo sinistro era andato, sputò violentemente del sangue per terra.

    Diventi ogni volta più strano.

    Sorrise per poi tornare serio in men che non si dica, Jotaro aveva estratto un ascia bipenne di dimensioni notevoli

    Che cazzo ci vuoi fare?

    La frase pronunciata dopo gli diede un indizio. Sbarrò gli occhi inorridito.
    Il tutto parve avvenire a rallentatore, gli vennero mozzati gli stinchi il respiro si fece affannoso e il tempo prese il suo normale scorrere, ma la velocità non diminuiva, andava sempre più veloce, sempre più veloce, iniziò a vorticare, il viso si sconvolse la respirazione sempre più veloce mentre ormai quel volto aveva poco di umano, come se fosse percorso da scosse, terrorizzato era poco: aveva perso le gambe!
    Qualche rantolo mentre ogni terminazione nervosa tentava di connettersi con una parte del corpo che non esisteva più, quasi ringhiava il konohaniano mentre sentiva le schegge delle sue ossa grattugiare con ciò che era rimasto delle gambe.
    Non urlò per il dolore, solo la troppa aria proveniente dai polmoni provocò qualcosa di simile ad un ruggito, quello di un leone morente e sconfitto.
    Il capo divenne pesante, il dolore insopportabile spingeva il cervello a sconnettersi, ad evitare quel supplizio, cercava di tenersi sveglio, non volle darla vinta a Jotaro, ma le palpebre divennero pesanti e non riusciva a mettere a fuoco ciò che vedeva. Presto gli sarebbe stata data una mano.
    Venne brutalmente afferrato per il tempo e risvegliato a suon di pugni, senti lo zigomo sinistro srpofondare un altro po’, troppo dolore, troppo per un umano, si allontanò, parve che qualcosa lo trascinasse via dolcemente.

    Bastardo, che cazzo gli ho fatto?

    Non gli riusciva di pensare ad altro mentre veniva brutalmente percosso, mentre sentiva le sue ossa incrinarsi sotto quei colpi.
    Ormai masticava sangue rappreso, non sapeva se i suoi denti erano ancora al loro posto, si sentiva gonfio oltre l’inverosimile, sputò ancora sangue.

    Hhhhhrrrr...c...cof...che cazzo ti ho fatto Jotaro?

    Soffocò un grido, faceva male, ma avrebbe preferito tagliarsi le corde vocali prima di dargli quella soddisfazione.

    Dimmi Jotaro, cosa ti ho fatto?

    La risposta fu delle più idiote che Raizen udì in tutta la sua vita.

    Pp hhhhhargh

    Bisbigliò un grido, lo sussurrò, mentre cercava di non affogare nel suo sangue.

    Sai quanto mi fotte del tuo sangue?

    Cercò di sputarle sul viso, ma le fitte di dolore erano troppe, il sangue scivolò lungo la guancia.

    Mi hai portato via le gambe e mi hai spaccato mezza faccia.

    Disse tutta la frase in un soffio, tra un imprecazione ed un’altra, tra una smorfia di dolore e un lamento soffocato, aveva quel vizio sin dalla più tenera età: mai gridare per dolore fisico.
    Poi venne nuovamente immobilizzato, solo gli occhi erano liberi di seguire Jotaro, ma forse sarebbe stato meglio non farlo lo vide prendere degli strumenti, lordi, affilati quanto rovinati, incrostati di sangue appartenuto a chissà chi, gli strumenti per la prossima macabra esibizione stavano per fare la loro entrata in scena.
    Una struggente, macabra sinfonia.
    Archi, no: ossa e seghetti.
    Ance, no: piastre di metallo che gli venivano inserite tra ossa e muscoli.
    Sentiva ogni singolo dente del seghetto farsi strada nelle sue ossa vive, le sentiva vibrare, dolevano sotto quel taglio impreciso, raffazzonato.
    Sentiva i granelli d’ossa sui muscoli che eruttavano il sangue di Jotaro.
    Ancora però non era arrivato il meglio, le piastre di ferro, fu un dolore se possibile ancor maggiore, impossibile da descrivere come tutti gli altri, in quel momento era come se la sua vita che si moveva su un soffice filo di seta si fosse irrigidita per poi spezzarsi, più di una volta, dolorosamente. Non era un chirurgo, si vedeva, le sue conoscenze mediche erano vicine al nullo, ogni taglio era prettamente pratico, nessuna attenzioni per parti delicate irrecuperabili, ogni taglio pareva un colpo di zappa nella nuda terra, ad ogni colpo la terra si apriva e soffriva, ad ogni colpo una nuova piastra che separava il muscolo dall’osso, sentiva la piastra divaricare le due parti del corpo per poi instaurarvisi.
    Quel operazione venne compiuta nei tratti in cui il corpo del canuto ninja presentava più muscoli, terrificante.
    Quando il suo corpo fu bello che rabberciato Jotaro lo fasciò, non disse più nulla, non cercò di ribellarsi, ogni sua articolazione doleva, ogni suo millimetro vivo gridava di dolore, e le parti ancora morte gridavano come fantasmi, per un corpo morto tornare in vita non è piacevole.
    Affaticato e torturato come mai in vita sua chiuse gli occhi.
    Sentì le parole del ninja di oto.

    Fottiti, saranno settimane da inferno, non ho un tendine nel posto giusto, ti devo una vita e un inferno.

    Abbandonò la testa al tavolo, dopo aver sussurrato come una serpe.
    Dormire sarebbe stato impossibile, troppo dolore, lo stesso valeva per gli spostamenti.

    [...]

    Era probabilmente in un interrato, non sapeva quanto era passato dalla miracolosa operazione che l’aveva visto protagonista di mille morti, sapeva solo che quando Jotaro tornò lo trovò in piedi, solo due giorni prima era riuscito a scendere dal tavolone di marmo, quelli precedenti lo videro fallire a causa del troppo dolore, era intento a mangiare.
    Il sangue di Jotaro si mostrava comunque portentoso, quei danni sarebbero stati impossibili da recuperare in quel tempo così breve, le varie infiammazioni si facevano sentire, e forse anche qualche piccola infezione, ma tutto sommato era miracoloso.
    Durante l’ultima trasfusione il sangue parve compiere gli ultimi miglioramenti, ora aveva solo qualche fastidio in corrispondenza dei precedenti dolori.

    Che mi hai fatto alla schiena?

    La risposta giunse rapida, ma non era spiacevole, dopo l’inferno passato era acqua fresca.

    Ok, siamo d’accordo.
    Ryuji, Ryuji Mitsuoshi andrà bene.


    Lo inventò sul momento, ma dopotutto ora era una persona totalmente diversa, ed inesistente, del suo nome non sarebbe importato a nessuno.
    Non aveva tempo da perdere, visti gli effetti del sangue di Jotaro sarebbe stato meglio farlo circolare il più in fretta possibile, trasse un lungo respiro, era a disagio in quel corpo, ormai non era più suo, si sentiva un enorme sacco di immondizia con della ferraglia dentro.
    Lentamente sgranchì ogni articolazione, e da ognuna arrivavano preoccupanti schiocchi, nulla di compromesso nonostante gli sgradevoli suoni.
    Non era complesso, i muscoli lentamente si adattavano alla nuova struttura ossea accorciata, sicuramente senza quelle fasciature strette a reggerli sarebbero sembrati appesi allo scheletro come grosse lumache. Respirava lentamente mentre provava quel nuovo corpo: era lento ed impacciato, goffo, pesante, totalmente diverso da ciò che era Raizen, longilineo e armonioso nelle proporzioni, pareva che tutta quella bellezza fosse stata schiacciata, sembrava una panciuta colonna dorica messa a confronto con la slanciata corinzia, ma lentamente acquisiva fiducia nei movimenti, erano ancora fra i più elementari, ma avrebbe dovuto iniziare da quelli per non avere problemi.
    Afferrò un kunai e provò a stringerlo, la presa era buona, ma non come quella di un tempo, si, il massimo era sempre il massimo, ma si sentiva fiacco, debole.

    Farmi quel intervento è stata una grande minchiata, una grande merdosa perdita di tempo.

    Non era arroganza, o almeno, lui non la percepiva come tale, ma se le intenzioni erano quelle di fare un addestramento rapido era ovvio che quella non era la strada giusta, era la semplice verità magari espressa male.
    Continuava a muoversi lentamente per prendere familiarità con il corpo, con i muscoli, ogni movimento, anche quello che sarebbe dovuto essere il più rapido venne compiuto minuziosamente ed attentamente come se fosse un collaudo attento di un qualcosa di difettoso appena aggiustato.
    Qualche scatto gli diede sicurezza mentre movimenti complessi come schivate repentini scatti o cambi di direzione venivano sempre più naturali, pareva essere a posto, o quasi, almeno muscoli tendini e nervi parevano recepire e scambiare i giusti messaggi e reagendo in maniera appropriata.
    Cosa lo aspettava ancora?
     
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