Corso Genin Classe R

Regione: [E 11] Sensei: Raizen

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  1. Arashi Hime
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    A fox smells its own lair first.



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    Sin da bambina Shizuka Kobayashi aveva profondamente amato la sua famiglia.
    Era convinta che l'affetto e l'incoraggiamento che ogni membro del suo clan le donava con gratuita dolcezza, fosse l'unica energia di cui avesse bisogno per affrontare quell'impervia strada che era la vita.
    Era per il sorriso delle persone che amava che era riuscita a diventare la donna che era, e non si vergognava di ammettere il grande amore che provava per i suoi parenti... per suo fratello, in special modo.
    [...] Kuroro Kobayashi era, infatti, sempre stata una persona insostituibile per lei. La perfetta compensazione della sua stessa personalità.
    Lungi da lei erano i sentimenti di "ammirazione" e "devozione" che così spesso sentiva sulle labbra delle sue coetanee, parole a suo parere prive di significato e rilevanza.
    Il rispetto -nel suo personalissimo codice di comportamento, creato e curato con le sue fatiche da bimba e adolescente- era infatti il prendere in considerazione il proprio interlocutore come suo pari. Chiaramente, era conscia che esistevano persone con più esperienza di lei, che come tali dovevano essere ascoltate e seguite per poter carpirne i segreti e la cultura, e questa loro maggior preparazione implicava la nascita una certa qual stima... ma la vera devozione -nella sua mentalità da sterile razionalista- era un confronto di personalità e non di abilità.
    Ecco perché, sin dall'infanzia, aveva sempre considerato suo fratello degno di fiducia.

    Tuttavia, in quel giorno di sole che inaugurava la sua carriera da Kunoichi, quella sua convinzione si sgretolò.

    Suo fratello si vergognava di lei; era così evidente ai suoi occhi esperti di lettrice di anime e persone...
    Kuroro era umiliato e offeso del suo comportamento e, in fin dei conti, di quello che lei stessa era.
    Ascoltando la spiegazione di lui, che seguì incalzante quella da lei stessa offerta, non poté che abbassare lo sguardo per un attimo: Era giusto così, no?
    Suo fratello era indubbiamente più Uchiha di quanto lei non sarebbe stata mai. Il sangue Kobayashi non era che un timido sospiro sulla sua personalità, una sfaccettatura di colore utile a rifinire un dipinto dalle tonalità molto più ampie e accecanti.
    Lui aveva sempre vissuto per la via del ninja. Era nato per fare quello e solamente quello.
    Lei invece...

    Sorrise amaramente, per poi scoccare una rapida occhiata ai due ninja che -almeno in quella missione- costituivano quello che avrebbe tanto voluto chiamare "team".
    Jaken Zangyaku era una di quelle persone a cui difficilmente riusciva a legarsi.
    Così silenzioso e calcolatore, sentiva il sospiro dei suoi giudizi e del suo sguardo indagatore in ogni sua azione, spingendola spesso a domandarsi cosa pensasse realmente di quel gruppo che era così palesemente costretto a seguire. Nella sua ottica, Shizuka era infatti convinta che quello che il moro ninja esprimeva a parole o con le rade espressioni del suo atono volto, fosse solo una minima percentuale di ciò che in realtà serbava dentro di sé.
    ...Che tipo di persona può essere una che nasconde la sua indole ai suoi stessi compagni di gruppo -si domandò l'aspirante kunoichi sorridendo gentilmente al diretto interessato quando lui, dopo un istante di silenzio seguito alla fine del discorso di Kuroro, cominciò ad esporle la teoria sulle otto porte del Chakra.
    Quella domanda che così accuratamente aveva evitato di esporre.

    Tacque.

    In un attimo la sua attenzione fu solamente per il Genin che, con voce priva d'espressione, le esponeva una teoria di cui sembrava averne già avuto abbastanza.
    Shizuka socchiuse dunque i profondi occhi color dell'erba fresca e, simulando un interesse rapito ed entusiasta, annuì con fittizia concentrazione alle parole di quel compagno di cui -con rapida e incalzante attenzione- studiò invece movimenti, inflessioni vocali, e persino lo spostamento delle di lui iridi, che di tanto in tanto scivolavano sulle spalle di Raizen Ikigami con un'ostentata indifferenza che avrebbe definito addirittura ammirevole.
    Sorrise divertita non appena il ninja terminò il suo interloquire, abbassando quindi leggermente la testa nel ringraziarlo per la chiarezza di esposizione che così gentilmente aveva messo a disposizione per colmare la sua lacunosa preparazione accademica.
    [...] Non si era sbagliata, mh?
    Quel ragazzo non aveva intenzione di mostrarsi a nessuno dei presenti. Era come se avesse imposto un limite oltre il quale aveva deciso che nessuno si sarebbe potuto spingere, e in base a quello calcolava precisamente cosa dire e cosa fare.
    Niente di lui era lasciato al caso. Niente.
    Sospirò, riportando lo sguardo nuovamente dinanzi a sé mentre sentiva la voce di quello stesso ninja dall'eclissata personalità esporre qualche accorto appunto a suo fratello che -a quanto sembrava- aveva confuso qualche definizione durante le sue prolisse esposizioni.
    Improvvisamente, e contro ogni sua previsione, trovò tutta quella situazione estremamente divertente.
    Per quanto il prendere coscienza di quel dettaglio le causasse un forte desiderio di fare seppuku in quell'immediato momento, Shizuka si rese conto che all'interno di quel gruppo così disomogeneo e, volendo, addirittura ridicolo... lei era la persona più affine all'arrogante colosso che camminava alla sua sinistra.
    La più simile a quell'ammasso di sarcasmo e istintiva voglia di primeggiare che -con una vitalità pulsante- caratterizzava anche il suo carattere.
    Sorrise, scoccando una rapida occhiata al ragazzo dai capelli argentei di cui cercava ancora di seguire il passo, e fu in quel momento che si rese conto di poterlo chiamare “Sensei” senza quella punta d’ironia di cui si era servita fino a quel momento.
    Già. Certo il traguardo di una convivenza pacifica e priva di scontri d'ego era ancora lontano, ma almeno di una cosa Raizen Ikigami poteva andar fiero, qualora gliene fregasse qualcosa: Si era guadagnato la stima della sua più testarda studentessa.
    Solo lui, tra tutti.


    ¨•¤º°º¤•¨




    Cinque minuti dopo quelle commoventi riflessioni da ragazza sentimentale e gentile (quale in fondo era), Shizuka Kobayashi si trovava dinanzi a un bivio. Nel senso letterale del termine.
    Il Chunin di Konoha, dopo aver sequestrato dei rotoli ricchi di informazioni che il suo vice aveva tentato di offrire a lei e suo fratello, aveva deciso che era giunto il momento di gettarsi in mezzo alla selva come animali selvatici e di lasciar scegliere a loro "la strada giusta da intraprendere" che -era pronta a scommetterci- sapeva già quale fosse.
    Alzò gli occhi al cielo, esausta per quelle continue prove a cui il maestro sembrava divertirsi a sottoporli, e dopo aver seguito i movimenti di lui che, con strafottente disinteresse, si gettava a sedere su di un ramo sospirando sonoramente come un montone ammaestrato, non poté che scuotere la testa rassegnata.

    La strada. Dovevano trovare la strada.
    Erano avvantaggiati, fortunati quasi, visto e considerato che sembrava ci fossero degli indizi a loro disposizione.
    …Già, ma quali?
    Era divertente come -nonostante adorasse farcire i propri rimproveri di tutti i dettagli possibili e inimmaginabili (insulti compresi)- quando si trattava di fornire informazioni utili, Raizen si limitasse a dire poche e sintetiche frasi prive di un reale interesse.
    Shizuka Kobayashi, livida di rabbia (e di una pungente fame che non lascia scampo alla lucidità dell'intelligenza), si voltò a fulminare con lo sguardo il suo maestro comodamente stravaccato a parlare di chissà che cosa con il moro Genin che gli faceva da spalla, ed era già pronta a sibilare qualcosa a denti stretti che... improvvisamente, si calmò.
    [...] Non aveva senso. Realmente, non ne aveva.
    Era sicura che se si fosse messa a litigare avrebbe rallentato tutto il gruppo, lei compresa. Avrebbe trascorso chissà quanto tempo in un altro scontro d'ego che non avrebbe portato da nessuna parte e inoltre -rifletté rapidamente scoccando un'occhiata al fratello maggiore fermo al suo fianco- non aveva nessuna intenzione di acuire l'intolleranza o il disinteresse che, era convinta, provassero i suoi compagni nei suoi confronti.

    Era stanca di essere l'ultima. La più scarsa.
    Non era brava nei rapporti di gruppo. Lasciava a desiderare nella teoria. E ora...? Avrebbe confermato il triste quadro dell'ennesima kunoichi incapace, dimostrandosi inetta persino nel riuscire a orientarsi all'aria aperta?
    Sorrise, scostandosi i lunghi capelli castani che -ribelli e serpentini- caddero a nasconderle una parte del volto in seguito ad una sferzata di vento più violenta delle precedenti.
    Nel suo viso, ora, c'era solo divertente ironia.
    Cavarsela all'aria aperta, da sola, quella era la sua specialità. Qualcosa in cui persino suo fratello, cresciuto tra le mura del loro clan, non poteva eguagliarla.
    Decisamente no.

    « Permetti, Kuroro? » Disse infatti Shizuka, compiendo un passo avanti rispetto al ragazzo e portandosi dunque perfettamente centrale rispetto alle due diramazioni della strada, che adesso si aprivano dispettosamente a ventaglio sia alla sua sinistra che alla sua destra.

    Se la sarebbe cavata in qualche modo. Nel suo modo.
    Doveva quantomeno provarci.

    […] Sotto gli occhi attenti del fratello, l’aspirante kunoichi cominciò a spostare lentamente lo sguardo lungo tutto il paesaggio circostante, lasciandolo scivolare in rapido silenzio da una parte all'altra del suo campo visivo, prima di compiere nuovamente il gesto con più accorta e accurata lentezza:
    Le due stradine sterrate si presentavano apparentemente identiche. Diramandosi da un unico punto -come due gemelli separati alla nascita- serpeggiavano veloci dentro la foresta, venendo poi inghiottite dalla profondità della selva e delle tenebre dell'ignoto.
    Shizuka, immobile come una di quelle statuette votive di pietra a cui i viandanti chiedevano la saggezza di imboccare sempre la retta via, osservò per un ultimo breve istante le due strade poi, inaspettatamente, cominciò a muoversi con calcolata rapidità.
    Si portò di fronte alla via che si apriva alla sua destra, e inginocchiandosi lentamente tastò il terreno, prendendone tra le mani una manciata che strofinò poi tra le di lei mani fino a quando, in esse, non rimase che il colore bruno del terriccio sporco e un forte acre odore di cui sembrò particolarmente soddisfatta, come testimoniò il sorriso compiaciuto che andò ad illuminarle -per qualche breve istante- il viso da ragazzina.
    Proseguì dunque su quella strada, senza dire assolutamente niente. Nel silenzio più totale.
    Camminando con graziosa tranquillità lungo quella via che sembrava esser stata disegnata solo per lei, osservò con cura la vegetazione, scostando di tanto in tanto qualche cespuglio e strappando qui e là qualche foglia -come fanno insensatamente i bambini, per puro sadico divertimento, durante i loro pomeriggi di giochi organizzati.
    Ed in effetti, i gesti di quella bambola dai capelli color dell'orzo poco avevano a che fare con la semplice razionalità di ogni creatura normo dotata d'intelligenza: Per un paio di minuti, infatti, ella continuò semplicemente a passeggiare lungo la stradina, divertendosi a scorrazzare come un animale domestico lasciato libero dalle catene... poi, quando sembrò dunque appagata di chissà quale suo personalissimo raggiungimento, si portò all'imboccatura dell'altra strada.
    L'approccio che adottò fu, anche stavolta, perfettamente identico: Guardò tra la vegetazione, annusò il terreno e contro ogni previsione per i presenti -come a voler concludere quel circo delle bizzarrie in grande stile- si confuse tra la vegetazione, sparendo per una manciata di minuti che parvero secoli, prima di ricomparire sospirando stancamente, con una mano sulla pancia e il volto livido di chi non mangia da giorni.
    Nel suo sguardo da gatto privo di collare -brillante e compiaciuto- non vi erano segni di disagio o stanchezza. Sembrava abituata a quel genere di procedure, come se per lei fossero l'ennesimo dovere in una lista dai punti interminabili.
    Perseverando nel suo silenzio, con la semplicità di cui solo lei era capace anche in un momento del genere, Shizuka avanzò allora verso l'uomo dai capelli color della luna.

    « Ehi, Raizen-sensei »



    Chiamò quel nome con decisione, passando di fronte al fratello senza degnarlo dell'attenzione che era solita offrirgli e che ora, al contrario, sembrava incentrata su qualcun altro, il cui giudizio -almeno così sembrava dallo zelo con cui ripeté quel nome per altre ben due volte- era per lei davvero importante.
    « Io ho finito, quindi girati e ascoltami, perché ho fame e voglio mangiare » Annunciò Shizuka, mettendosi a braccia conserte a qualche passo di distanza dalla coppia dei suoi superiori.
    Benché non vi fosse arroganza o rabbia nella sua voce, la sicurezza delle sue parole e dei suoi modi -così tipico dell'aspirante kunoichi- sarebbe potuto facilmente esser confuso come l'ennesimo tentativo di attaccar briga senza motivo, soprattutto da chi, come Jaken e Kuroro, erano così formalmente avvinghiati alla gerarchia ninja. Fu probabilmente per questo motivo che Shizuka -dopo aver richiamato l'attenzione dell'interlocutore a cui si era rivolta, e che era sicura l'avrebbe capita senza ulteriori spiegazioni- offrì all'aiuto sensei uno dei suoi più affascinanti sorrisi, che sostenne senza vergogna prima di riportare il suo sguardo su Raizen, a cui donò dunque tutto il suo interesse.

    « Il gregge è passato di qui »
    Esordì in questo modo, fissando in silenzio le iridi del Chunin di Konoha senza batter ciglio, colma di una certezza forse persino spiazzante « Precisamente dalla strada di destra, la prima che ho osservato. » Continuò, indicando una delle due strade in cui si diramava la via principale « Si muovono in gruppo, e penso di essere abbastanza sicura che non sia trascorso poi molto tempo dalla loro ultima visita qui » Mormorò, lasciando cadere a terra una decina di foglioline mangiucchiate, per potersi annusare una mano con rassegnato disgusto « Quindi potrei dirti di andare verso destra... MA! » Esclamò improvvisamente, in una palese imitazione di una delle inflessioni tipiche del parlato dello stesso Raizen « Proseguendo lungo la strada di sinistra c'è un ruscello, come tu stesso potrai confermare se rimani un attimo zitto... le vibrazioni dell'acqua si sentono fino a qui, no? » Mormorò, socchiudendo gli occhi e rimanendo lei stessa in silenzio per una manciata di secondi, prima di riprendere rapidamente a parlare. « ...Inoltre sulla strada di sinistra la vegetazione è più fitta, e questo può essere interessante in quanto ci può aiutare a trovare un riparo confortevole per la notte –qualora tu non lo abbia già individuato-, e a nascondere la nostra presenza a chicchessia, visto e considerato che abbiamo anche la benedizione di un vento che soffia da nord-est. Il profumo è importante, soprattutto se parliamo di bestie, non vorrei che si rovinasse la missione per colpa di una sciocchezza del genere » Disse ancora, estraendo un fazzoletto di cotone bianco dal bordo del suo bellissimo obi policromo per poi pulirsi lentamente le mani « Ogni animale addomesticato tende a fermarsi nel luogo più confortevole per lui, una volta che è lontano dal recinto che lo ha tenuto prigioniero una vita intera... Sono pronta a scommettere ciò che vuoi che il gregge andrà a quel ruscello, e se anche ci fosse già stato, tornerà: C'è acqua, riparo e cibo a sufficienza.
    Gli animali che sono nati e cresciuti sotto la protezione di qualcuno che si è sempre occupato di loro, solitamente non tendono ad allontanarsi dai pascoli che conoscono o dai luoghi nei quali erano condotti in precedenza, e se anche lo facessero tenderanno sempre e comunque a rimanere in un posto per loro appagante.
    Tu che ne pensi? »


    Fu a quel punto, dopo aver esposto con cura il suo punto di vista ed essersi dovutamente pulita le mani, che la ragazza sorrise alla volta del suo interlocutore, prima di far scivolare lentamente una mano sulla sua schiena senza un apparente motivo. Le minute ed esperte dita sgattaiolarono sotto i due lunghi lembi del suo obi, e infilandosi nella sacca porta oggetti che da essi era celata alla vista, ne estrasse il sacchetto di carta beige che aveva ricevuto in dono dalla moglie del pastore circa due ore prima.
    Dall'interno del contenitore, si sprigionava un invitante odorino di riso lesso e carne essiccata dinanzi al quale Shizuka non poté che socchiudere gli occhi entusiasta: Onigiri.
    « ...Su, Raizen-sensei, non fare quella faccia, questa missione non potrà essere così complicata a meno che non ci troveremo a fronteggiare vere e proprie pecore ninja, armate di tutto punto » Disse la ragazza, ghignando divertita del suo tentativo di punzecchiare scherzosamente l'orgoglio del colosso di Konoha « Inoltre, se calcoli ciò che hai a disposizione, ti renderai presto conto che non siamo messi poi tanto male, direi che le facoltà di noi tutti si compensano a vicenda, e sono anche abbastanza sicura che un lavoro di squadra tra noi quattro sarebbe quanto più di proficuo si possa immaginare » Aggiunse infine, concludendo il suo discorso con un sarcastico sorriso che, sul suo volto, sembrava proprio dire "Ho già capito come siete fatti. Tutti voi. Nessuno escluso"

    Aprì infine la bustina, estraendo un onigiri ulteriormente incartato, e dopo averlo guardato per un attimo con aria contesa tra l'egoismo di uno stomaco affamato e la sensibilità di una ragazza dalle buone creanze, sospirò, lanciando la pallina di riso verso Raizen.
    « Tieni, mi sembra buono » Mormorò, afferrando un istante dopo un altro onigiri che, stavolta, lanciò docilmente al moro Genin fermo a qualche passo di distanza da lei « Penso che mangiare qualcosa ci faccia bene, visto l'ora a cui presumo ci siamo alzati tutti »
    Guardò poi dentro la busta: Ne rimanevano solo due.
    Gemette, abbandonandosi alle spalle il sogno di una pancia piena e appagata quando si voltò a guardare suo fratello, ancora fermo alle sue spalle, a cui chiaramente sarebbe spettato il penultimo spuntino.
    [...] Beh, che poteva farci.
    Del resto, se non lo iniziava lei quel benedetto lavoro di squadra, chi si sarebbe degnato di farlo?




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