Corso Genin Classe R

Regione: [E 11] Sensei: Raizen

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  1. Alastor
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    b u c o l i c a » Chapter II
    The Right Path



    A seguito delle parole di ringraziamento che Kuroro rivolse a Raizen per i consigli che gli aveva dato, quest'ultimo ritornò a rivolgersi al ragazzo. Sembrava in qualche modo contrariato dalla formalità e rigidità dello stesso. Gli disse che il suo comportamento era consono a quello che un allievo avrebbe dovuto avere nei confronti del proprio sensei, ma che in fin dei conti lui non si riteneva un sensei vero e proprio, ma più che altro colui che li avrebbe guidati in quella breve avventura. Insistette sul fatto che avrebbe dovuto liberarsi di quel modo di fare umile ed educato ed essere un pizzico più arrogante, "più Uchiha", autorizzandolo anche a mandarlo a quel paese qualora ne avesse avuto voglia. Tale discorso fu farcito anche da una poderosa pacca sulla spalla dello studente, il quale barcollò leggermente in avanti. Il nerbo impresso in tale gesto aveva per un attimo minato il suo equilibrio, ma l'atto aveva chiaramente connotazione amichevole, se non gioviale. Una sorta di incentivo fisico volto a suggerire una certa informalità.
    Pensai che stesse pretendendo un po' troppo dall'altro, e anche da se stesso. Kuroro era un individuo ormai maturo, un giovane uomo. Doveva avere almeno la mia stessa età. Era chiaro che avesse un carattere ed un modo d'agire preciso e ben delineato, che aveva faticosamente costruito in quasi due decadi d'esperienza di vita e, ad occhio e croce, di ferrea disciplina. Qualche frase maldestra ed una pacca sulla spalla di certo non sarebbero stati sufficienti a provocare nel giovane una stramba epifania che l'avrebbe spinto a rinnegare ciò che era stato fino a quel momento e ad abbracciare un nuovo modo di essere conforme ai desideri del sensei. Non stavamo trattando con dei bambini ancora piccoli, le cui menti potevano essere plasmate ed indirizzate su una strada piuttosto che su un'altra. Parlavamo di una persona adulta, che difficilmente sarebbe cambiata nella mentalità e nei modi, e di certo non grazie a qualche consiglio di un emerito sconosciuto, pur dispensato da un superiore con propositi che molti avrebbero potuto definire apprezzabili. Solo il tempo ed eventi di importanza o gravità enorme per lo studente sarebbero potuti riuscire a corrodere o ad alterare leggermente la percezione di se stesso, degli altri, e di conseguenza il suo atteggiamento. Cercare di cambiare una persona era sciocco, ed un inutile spreco di tempo.
    Per quanto mi riguardava, il carattere di quei due studenti non mi interessava più di tanto. Il mondo presentava una stupenda varietà, e non era nel mio interesse cercare di rendere chiunque mi capitasse a tiro una persona dal mio punto di vista migliore, o più congeniale ad instaurare un rapporto con il sottoscritto. Mi bastava che i due fratelli svolgessero il loro compito senza crearmi grossi grattacapi, il resto era tutto grasso che cola.
    A quel punto Kuroro replicò alle parole di Raizen, dicendogli che, prendendolo in parola, gli avrebbe disobbedito continuando a comportarsi in accordo alla propria indole, a prescindere dai gusti del superiore. Avrebbe continuato ad essere se stesso, pur magari aprendosi un po' di più al gruppo, ed il fatto che nelle sue vene scorresse anche del sangue Uchiha non l'avrebbe influenzato in alcun modo. Apprezzai la risposta del ragazzo. Era stato deciso e rispettoso al contempo, e aveva dimostrato una certa coerenza, caratteristica che non sempre apprezzavo. In fin dei conti, cambiare atteggiamento dopo le parole del sensei non solo avrebbe significato cominciare ad agire in maniera innaturale, fingendo, ma anche dare segno di cedevolezza, e quindi debolezza. Per un ragazzo tutto d'un pezzo come sembrava essere Kuroro sarebbe stato inammissibile.
    Quando più tardi presi a spiegare le caratteristiche e le funzioni delle Otto Porte difensive a Shizuka, la osservai per tutto il tempo del mio parlare. Un contatto visivo con la persona alla quale stavo illustrando dei concetti, mi permetteva di percepire quando ciò che stavo dicendo veniva efficacemente assimilato e quando invece vi erano ostacoli all'apprendimento od incomprensioni, che avrei potuto individuare tramite eventuali espressioni spaesate o corrucciate. La ragazza mi sorrideva, come suo solito ormai, e durante il mio discorso mantenne un'aria concentrata ed annuì di quando in quando. In realtà sembrava fin troppo rapita ed estasiata della mia spiegazione, tanto che mi fece sospettare che dentro di sé stesse pensando ad altro. Effettivamente non potevo dire che fosse distratta, poiché anche lei ricambiava il mio sguardo, ed i suoi occhi erano decisamente attenti, ma non ero sicuro che fosse merito della lezione.
    Quando terminai, mi sorrise nuovamente con maggiore allegria e si esibì in un lieve inchino in segno di ringraziamento. Cosa le aveva provocato tale sollazzo? Il mio commento sul fatto che non fosse consigliabile aprire l'ottava ed ultima porta, quella della Morte? Non lo trovavo molto divertente. Non era stata una battuta la mia, non voleva esserlo. Era dannatamente seria la questione, non c'era da rallegrarsi.
    Seguì poi il mio appunto alla dissertazione di Kuroro, in cui gli spiegai la differenza fra Tsubo e Tenketsu. Per un attimo i suoi occhi si animarono di una luce particolare, come se le mie parole stessero illuminando una parte oscura della sua mente. Mi prestò la massima attenzione e concentrazione, era chiaro che fosse completamente intento ad immagazzinare preziose informazioni.
    Dopodiché, tirai fuori i rotoli che contenevano le nozioni teoriche su cui si sarebbe basato l'esame Genin e li consegnai ai due studenti. Raizen assunse un'espressione incredula, evidentemente non se lo aspettava o non condivideva il mio gesto. Intimò agli studenti di non leggere alcunché fino a quando lui stesso non li avrebbe autorizzati, o in caso contrario avrebbe dato fuoco ai rotoli. Poi si rivolse a me, chiedendomi che razza di corso Genin mi avessero fatto fare e se avessi in programma di trascorrere il tempo a parlare solo della teoria. Ovviamente le sue esatte parole non furono queste, ma evidentemente ritenne necessario inserire nel discorso alcuni commenti ironici piuttosto ridicoli ed insensati.
    Davvero, non riuscivo a comprendere la sua reazione. In primo luogo, era stato proprio lui a tirare in ballo per primo la trattazione teorica durante il corso, affidando a me il compito di supervisionarla, quindi era più che lecito che fornissi agli allievi il materiale didattico designato. Perché, ricordiamolo, il test per diventare Genin era fondato in larga parte su di una prova scritta, che si basava appunto sulla teoria, non sulle scampagnate in campagna. Non che criticassi l'aspetto pratico del corso, al contrario, esso costituiva per me la parte più interessante dello stesso e di utilità forse anche superiore per chi voleva intraprendere questa strada. Ma l'esame era strutturato in una maniera tale per cui le nozioni teoriche rivestivano un'importanza determinante al fine di ottenere la promozione. Non stava a me stabilire se il sistema di valutazione delle reclute fosse dei migliori o meno, le cose stavano così e basta. Avrei potuto capire se Raizen avesse adottato una politica del tipo "Eccovi i rotoli con la teoria, studiateveli da soli a fine corso, qui ci concentreremo sulla pratica", ovvero scaricare tale incombenza direttamente sugli studenti, come era accaduto durante la mia sessione, ma così non era stato. Non si potevano fare le cose a metà.
    Oltretutto, nessuno aveva detto che i ragazzi dovessero leggere il contenuto dei rotoli seduta stante, facendo passare in secondo piano la missione. Potevano farlo quando volevano e soprattutto potevano, in piena autonomia. Di certo non avevo la minima intenzione di mettermi ad interrogarli, più che altro era per offrire agli studenti tutti gli strumenti che l'Accademia metteva a disposizione, e al contempo evitarmi domande che avrebbero trovato facilmente risposta tra quelle carte. Insomma, era anche un modo per fare una scrematura degli eventuali dubbi che i fratelli avrebbero potuto sottopormi.
    Mi voltai dunque verso il sensei e, con un tono sereno e asciutto, replicai.


    «Come ho accennato, la documentazione presente in quelle dispense è molto sintetica.
    Leggerne il contenuto richiede non più di quindici minuti.
    Penso che non ci saranno problemi se potranno farlo in un momento di inattività o riposo. Nessuna fretta.»

    Terminai così il mio parlare, senza aggiungere altro.
    Intervenne anche Kuroro, il quale si rifiutò di dar via il rotolo rassicurando Raizen nella mia stessa maniera, ovvero dicendogli che eventualmente gli avrebbe dato un'occhiata durante un tempo morto. Mi sembrava più che ragionevole, non rappresentando alcun intralcio alla missione.
    Procedemmo nel nostro avanzamento nei meandri della foresta. Più mi addentravo, allontanandomi dalla cosiddetta civiltà, e più mi sentivo a mio agio. Certo, essendo in compagnia la sensazione non fu tanto appagante quanto lo sarebbe stata se fossi trovato da solo, ma meglio di niente. L'atmosfera presente grazie alla penombra creata dalle folte chiome degli alberi, ove solo saltuariamente penetravano raggi solari di forme e dimensioni variegate, era davvero stupenda.
    Uccelli canterini ed insetti si esibivano nella loro sinfonia che era un gradito e rilassante sottofondo, interrotto solo dal suono dei nostri passi e di foglie che venivano smosse dagli affannosi spostamenti di qualche indiscreto osservatore. Gli odori non erano da meno, con quell'inconfondibile profumo di terra ed erba fresca. E ogni tanto anche di sterco, che c'è di male?
    Avanzammo ancora per qualche minuto, durante il quale ci muovemmo sinuosi tra la quiete vegetazione senza che nessuno proferisse parola. Ad un certo punto il sensei, il quale era in testa alla formazione guidando i nostri passi, si fermò e si girò verso di me e gli studenti.
    Ci disse che avremmo trascorso la nottata lì all'aperto, poiché a suo dire non aveva intenzione di completare la missione in giornata. Dopodiché spostò la sua ampia sagoma al lato di qualche passo, così che la visuale di tutti fosse perfettamente libera e potessimo osservare cosa c'era alcuni metri più avanti: un bivio. Raizen riprese, stavolta rivolgendosi in particolar modo agli allievi, dicendo che sarebbe stato loro compito decidere quale dei due percorsi imboccare dopo averli ispezionati entrambi in cerca di qualche indizio utile alla nostra causa. Detto questo, il sensei si sedette su di un vecchio ceppo d'albero e gli studenti, capendo che non avrebbero ricevuto ulteriori istruzioni o qualche informazione più dettagliata, si allontanarono fino a fronteggiare la biforcazione. Per quanto mi riguardava, mi appostai di fianco al Chunin, alla sua sinistra, in piedi e con le braccia conserte, osservando l'operato degli allievi.
    Ecco uno dei motivi per cui ritenevo che il ruolo di sensei non mi si addicesse. Ero un tipo molto paziente e per nulla egocentrico, ma mi dava gran noia vedere altre persone cimentarsi in delle ricerche, delle indagini, delle diagnosi, e non poter prendervi parte. In quel momento avrei davvero voluto unirmi a quei due, esaminare il territorio e trarre delle conclusioni che potessero aiutarci a trovare ciò che stavamo cercando. Non solo per contribuire alla buona riuscita della missione, ma per una soddisfazione personale, per appagare il mio bisogno di mettere costantemente alla prova la mia mente ed il mio spirito d'osservazione, e di risolvere qualsiasi mistero o stranezza mi capitasse di incrociare. E invece no, dovevo stare in disparte. Dovevo guardare passivamente altri individui che facevano quello che io avrei dovuto fare. Non vi era grande spirito di condivisione e di divulgazione in me, ed ero ancora troppo avido di conoscenza e di esperienze per poter essere interessato ad occuparmi di quelle degli altri. In fin dei conti ero ancora un novellino, avevo ancora molto da fare e da vedere, non mi ritenevo affatto così diverso da quelle due reclute, che pure mi mostravano un rispetto che non ero convinto di meritare in qualità di loro istruttore.
    I miei pensieri furono disturbati dal sonoro sbuffare del sensei. Mi voltai a guardarlo, e una volta tanto dovetti abbassare il capo per riuscirci. Sembrava che l'attesa lo stesse tediando oltremodo, e di certo non cercava di nasconderlo. Effettivamente non mi aveva mai dato l'idea di essere una persona molto paziente, e penso che ne avesse già dato dimostrazione diverse volte. Fu probabilmente in preda ad una claustrofobica noia che l'uomo decise di rivolgermi la parola, chiedendomi a quante missioni avessi partecipato.
    Non sembrava realmente interessato alla risposta, a giudicare dai suoi occhi che pur rivolgendomi attenzione restarono essenzialmente apatici. Si trattava di una domanda comune, che probabilmente i ninja di un livello almeno discreto spesso si scambiavano al primo incontro, in un tentativo di quantificare l'esperienza sul campo del loro interlocutore. Era un quesito innocuo per me, in quanto non vedevo ragione per cui avrei dovuto nascondere la mia inesperienza. Quindi la mia risposta fu sincera, e data con leggerezza mista a una punta di rammarico.


    «Ne ho svolto due in via ufficiosa, inclusa quella del mio corso Genin.
    Nessuna missione ufficiale.

    Mi domando come mai l'Accademia selezioni un elemento con così scarsa esperienza, per quanto il suo ruolo sia marginale.»


    Quell'ultima considerazione la proferii riportando lo sguardo sulle due reclute. Ovviamente parlavo di me stesso. Ci fu una breve pausa, in caso Raizen avesse avuto qualcosa da aggiungere, poi ripresi la parola guardandolo negli occhi. Il mio tono era tornato serio e la mia espressione concentrata.

    «Mi chiedevo se il committente della missione le abbia fornito maggiori dettagli sui quali si possa lavorare.
    Ad esempio, sappiamo quando è avvenuta la sparizione e dove sono state viste le creature per l'ultima volta? Nel loro recinto, immagino.
    Ne conosciamo il numero esatto? Non vorrei che, una volta individuate e restituite, il pastore lamentasse che qualche pecora manca all'appello.
    Ovviamente terrò per me qualsiasi informazione voglia condividere, starà a lei decidere cosa dire agli allievi.»

    Non sapevo se il Chunin si sarebbe dimostrato collaborativo, ma valeva la pena di fare un tentativo. Nella mia mente non avevo ancora escluso che egli potesse effettivamente essere già a conoscenza di ogni cosa, o esserne addirittura l'artefice. Per quanto remota, tale evenienza avrebbe implicato che il sensei sapesse già cosa fosse accaduto alle pecore e la loro attuale collocazione. Insomma, che avesse creato ad arte questo piccolo mistero al fine di mettere alla prova le nuove leve. Non ci credevo molto però, giacché, a meno che non fosse un attore provetto, sembrava davvero annoiato ed insofferente verso quella situazione, e non sembrava saperne molto più di noialtri. E comunque, anche se fosse stato, di certo non sarebbe venuto a confidarlo a me, quindi era inutile rimuginarci più di tanto. Le domande che avevo posto erano la base minima per la ricerca, immaginavo che ne conoscesse le risposte e che non avesse ragioni per nascondermele. Almeno era ciò che auspicavo.
    Riportai la mia attenzione sulle reclute. A quanto sembrava avevano deciso di condurre l'ispezione separatamente, uno alla volta. In una missione più seria ciò non avrebbe avuto senso, poiché ad entrambi era stato assegnato il medesimo compito. Sarebbe stato più ragionevole se avessero esaminato le due strade insieme, aiutandosi a vicenda, o in alternativa che si dividessero il lavoro prendendo un percorso a testa. Ma se l'intento del sensei era quello di valutare le capacità individuali dei due, forse si trattava della soluzione migliore.
    Iniziò Shizuka che, dopo essersi chinata a raccogliere un po' di terriccio dall'imbocco del sentiero di destra, prese a passeggiarvi osservando la vegetazione e scostando i cespugli ogni tanto. A tratti sembrava distogliere la propria attenzione da ciò che stava facendo e semplicemente divertirsi a scorazzare tra gli alberi. Adottò poi la stessa condotta anche per l'altra strada, salvo poi scomparire per alcuni minuti oltre la discesa del sentiero.
    Quando riemerse, si reggeva la pancia. Mentre si avvicinava alla postazione mia e di Raizen, chiamò a gran voce il suo nome, affermando che lei aveva terminato la sua ricerca e che stava morendo di fame. Lo disse senza alcuna arroganza, bensì con una espressione ironica sul suo volto mentre guardava il suo interlocutore. Raggiuntici, poi, si rivolse anche a me dispensandomi un sorriso radioso. Un bel cambiamento.
    Non mi convincevano per niente quei sorrisi che pareva riservare sempre e solo a me, quasi si prendesse la briga di impostare una linea di condotta più leggiadra quando trattava con me. Evidentemente aveva intuìto la mia predilizione per i soggetti tranquilli e non esageratamente espansivi. Mi prendeva in giro? Cercava la mia benevolenza? Non ne ero sicuro, fatto stava che non apprezzavo molto quello che qualcuno avrebbe potuto definire come un occhio di riguardo nei miei confronti. Se pensava di riuscire a manipolare qualcuno sfruttando il suo bel viso e una buona dose di furbizia, ne aveva ben donde. Ma quel qualcuno non ero io.
    Quando anche Kuroro ci raggiunse per ascoltare ciò che aveva scoperto la sorella, questa iniziò ad esporre le sue considerazioni. A suo avviso le pecore erano passate per il sentiero di destra, ma sarebbero sicuramente tornate indietro e avrebbero intrapreso quello di sinistra, che conduceva ad un'area provvista di fitta vegetazione e di un corso d'acqua. A quel punto, dopo essersi pulita accuratamente le mani con un fazzoletto, tirò fuori un sacchetto. Continuò scherzando con il sensei, e dicendo che applicandoci nell'assemblare un buon lavoro di squadra ce l'avremmo fatta senza problemi. Sembrava decisamente sicura di sè, forse anche troppo per i miei gusti.
    Finalmente aprì il sacchetto rivelandone un contenuto che comunque l'aroma aveva suggerito. Onigiri. Ne prese uno per se stessa, poi ne lanciò uno al sensei, ed un altro anche a me, sebbene con maggior cortesia, dicendo che ci avrebbe fatto bene mangiare qualcosa data l'ora in cui eravamo dovuti levarci. Afferrai al volo la pietanza, esitando qualche istante.
    Shizuka aveva pescato casualmente all'interno del contenitore, e stava mangiando senza esitazione. Escludevo che avessi qualcosa da temere da quel boccone, ma decisi comunque di non consumarlo subito, anche perché non era passato poi molto dalla colazione e non avevo fame.
    Mi rivolsi alla kunoichi con tono cortese, chinando lievemente il capo in segno di gratitudine mentre riponevo al sicuro la polpetta di riso incartata.


    «Grazie, Shizuka.
    Lo serberò per dopo.»

    Dopo che Kuroro ebbe declinato la medesima offerta, si affrettò a fare anche lui la sua valutazione sul terreno, in maniera radicalmente diversa.
    Anche lui si chino a tastare ed esaminare il terreno, ma a parte questo restò impalato a rimuginare, probabilmente basandosi sulle informazioni acquisite dal resoconto della sorella. Evidentemente si fidava del suo giudizio, io non l'avrei mai fatto.
    Quando tornò da noi, ci spiegò che a suo avviso le pecore dovevano aver preso il sentiero di sinistra per abbeverarsi, ma che poi dovevano aver intrapreso il percorso di destra, che conduceva ad un'area dalla maggiore altitudine, ove avrebbero dovuto esserci pascoli più invitanti per gli animali.
    Per il momento non mi andava di fare supposizioni ancor prima di riuscire ad esaminare personalmente il territorio, anche se così, in linea puramente logica, l'argomentazione di Kuroro mi pareva più plausibile. Tuttavia c'era qualcosa che entrambi stavano trascurando, un aspetto da non sottovalutare.
    Così, prima di lasciare la parola a Raizen, feci solo un breve appunto.


    «Vi consiglio di basare le vostre considerazioni specialmente sugli indizi che avete acquisito.
    Preconcetti errati possono fuorviare.
    Io non darei così per scontato che il gregge si sia allontanato spontaneamente.»
    Dissi laconico.
     
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