Dimora di Eiatsu Nai

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  1. - Hohenheim -
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    Nuovo gregario

    Eiatsu rientrò in casa chiudendo piano la porta. Con movimenti fluidi e rapidi si tolse il soprabito e subito dopo ripose la maschera poggiandola su un tavolino di vetro. Mentre camminava per la casa, rapido e sicuro in quello spazio che conosceva benissimo, sentiva battere il rotolo contro la coscia da dentro una tasca del suo Kimono. Mai come quella volta il contenuto sembrava essere pesante tanto importante era.

    La chiacchierata che aveva avuto qualche decina di minuti prima con Garth lo avevano elettrizzato ancora di più, non vedeva l'ora di mettersi all'opera. Ma per adesso doveva aspettare, doveva occuparsi del cadavere se non voleva che andasse perso. Il tempo nel suo mestiere era sempre stata una cosa fondamentale, e lui aveva imparato a gestirlo egregiamente.

    I passi agili condussero la lieve figura verso la parete nord ovest dell'appartamente. Con un gesto impercettibile, fece scorrere i polpastrelli della mano destra sulla superficie bianca e grigia del muro. In un attimo, un meccanismo fece staccare dal resto una porta delle dimensioni poco maggiori di quelle del chunin. Mentre questa si spostava rapida all'interno della parete, liberando il passo , il chunin sgattaiolò nel buio che quella porta nascondeva, verso i luoghi più segreti di quella modesta abitazione.

    Così come si era aperta, la porta si richiuse silenziosa alle sue spalle, facendo ritornare integra parete.

    […]

    Mentre il chunin camminava verso la sala della collezione, le luci del corridoio , oppure delle stanza, che attraversava si accendevano al suo passaggio rivelando il contenuto della varie camere. Ora si vedevano tavoli da obitorio, ora bancali pieni di provette e altri macchinari, ora grossi contenitori per inchiostro e carta e sigilli. La sala della collezione era decisamente la più suggestiva.
    Entrandovi sembrava essere in biblioteca, tanto era simile l'effetto visivo che si aveva guardando le grandi casse in legno. Si respirava odore di legno e inchiostro che faceva passar in secondo posto quello di aria stantia. Eccetto alcuni passaggi accuratamente organizzati, un numero imponente di bare erano state disposte verticalmente in tutta la grande stanza. La maggior parte era aperta e priva di sigilli, sinonimo che erano vuote. Una decina scarsa, invece, erano mantenute chiuse e sulle essenze di legno erano stati vergati eleganti e malvagi sigilli propri dell'arte che il chunin padroneggiava. Dentro queste, riposavano i corpi fino ad ora preparati dal chunin a contenere le anime che aveva raccolto in quei mesi. Inoltre vi erano stipate le armi con le quali equipaggiare gli stessi.

    Da qui le bare potevano essere evocate in ogni dove grazie alla tecnica dei Sacrifici...

    Questa volta il chunin però non si diresse verso queste. Invece andò in fondo alla stanza dove era posto un vecchio e usurato banco di legno per lo più ricoperto di sangue e inchiostro. Con solennità, il chunin prese il rotolo che portava con se e lo liberò dal legaccio nero che lo teneva chiuso. Lo posizionò in uno scomparto inferiore del bancale ideato apposta dal chunin per agevolare questo tipo di operazioni. La parte superiore, invece, era costituito da una serie di fermi di legno sagomati con la forma umana. Quando si evocava il cadavere, esso si posizionava esattamente nella forma. Qui il chunin lo vincolava alla struttura tramite delle cinghie di cuoio. Non per timore che potesse scappare, ovviamente, ma perché la struttura poteva ruotare muovendo una manopola e quindi far girare il cadavere a trecentosessanta gradi con minimo sforzo: questo aiutava molto a disegnare i sigilli per tutto il corpo.

    Sul lato sinistro del bancone, infatti, erano presenti una serie di pennelli dalla punta via via crescente e delle boccette di inchiostro nero. Con calma e precisione il chunin iniziò a vergare la complessa serie di sigilli sul corpo esanime di Yamashita, infondendovi intanto il proprio chakra così che le tecniche che gli avevano insegnato rendessero quel corpo immutabile nel tempo.

    […]

    La procedura impegnò il chunin per tre ore buone che gli valsero un lavoro impeccabile. Posò il pennello al suo posto e si sgranchì un pò la mano intorpidita e nera di inchiostro per il lavoro appena compiuto. Lasciò il corpo sul bancale a far asciugare gli ultimi sigilli e andò in un'altra parte della stanza a scegliere una bara adeguata. La scelta cadde su un'essenza forte di robinia anche perché lì i sigilli erano stati già vergati in precedenza. La portò vicino alle altre.

    Prese quindi una grossa tunica nera.Tutti gli altri corpi erano stati vestiti nello stesso identico modo. Spogliò i resti dell'Avatar dell'equipaggiamento di protezioni, invero quasi inutile per quei corpi immortali, e rivestì il corpo una volta liberatolo dai legacci di cuoio. Infine lo sollevò di peso, azione non così difficoltosa come si poteva pensare data la sua forza, e lo trasportò fino alla bara dove infine lo sigillò.

    Avrebbe dovuto farsi due conti, in termini di denaro, per vedere quali equipaggiamenti riporre all'interno della bara. Cosa mostruosamente noiosa, in particola modo in quel momento quando già altri pensieri affollavano la sua mente. Come aveva detto ad Aloysius, il suo viaggio lo attendeva e, sebbene quella fosse stata una deviazione obbligata, stava già perdendo molto tempo.

    Diede un ultimo sguardo alla bara che si era appena unita alla collezione ed uscì, ripercorrendo a ritroso i suoi passi con una scia di luci che si spegnevano al suo passaggio. Ora che si era tolto questo pensiero, l'adrenalina era scemata e il suo effetto si era attenuato facendo ritornare la mente del chunin calma e calcolatrice come sempre era stata.

    Ritornò nella zona pubblica della casa, passando per la porta scorrevole quindi si fermò e poggiò le spalle al muro appena ricompostosi. Cacciò un lungo respiro, ad occhi chiusi, per ritrovare il suo equilibrio interiore. Quindi riaprì gli occhi. Vide la maschera poggiata con poca cura sul tavolo del suo salotto: nemmeno ricordava di averlo fatto.

    Vi si avvicinò con passi decisi, la prese e la posizionò sul volto ma ad un tempo rallentato. Solo dopo si mosse con decisione verso la porta: c'erano altre questioni che necessitavano della sua presenza.

     
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