La Casa diroccata

del pazzo di Suna

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    "Da un matto è possibile aspettarsi di tutto". Mai frase avrebbe mai potuto descrivermi in maniera più accurata e , naturalmente, la mia casa non faceva eccezione. Forse anni prima era stata una magione rispettabile, alcuni l'avrebbero potuta addirittura definire un'opera d'arte architettonica, ma ora, dopo decenni di incuria, non rimaneva che l'ombra di ciò che era stata. Leggermente distaccata dal complesso del suk e delle vie principali del villaggio era sita in un quartiere poco popolato e lontano dalle arterie del villaggio. Probabilmente era il risultato di un'antica, e ormai dimenticata, opera di espansione del villaggio il cui motore era stato una costante crescita demografica. Ma queste sono solo supposizioni. Ciò che il tempo inclemente aveva restituito era invece un complesso decadente sia nella struttura che nel gusto. Edera rampicante di un particolare colore ocra, comune nel villaggio, aveva trovato terreno fertile per la sua avanzata e aveva preso possesso , incessante e invadente, della facciata, infilandosi nei solchi di quello che un tempo doveva essere stato un disegno ornamentale. Le recenti esplosioni al villaggio ne avevano danneggiato in parte la cupola che si interrompeva ferita dopo lo zenit della punta dorata, che svettava sulla devastazione come una disperata ricerca d'aiuto al cielo. Parte della cupola stessa era franata di fronte all'entrata, impedendo l'accesso e danneggiando la base della struttura. Quei massi, d'un azzurro intenso e ancor brillante nonostante l'incuria, interrompevano il color sabbia dell'edera come uno spicchio di cielo inabissato nel deserto. Il tetto della parte centrale franato su se stesso, rendendo inagibile l'interno e dando alla struttura un'aspetto ancor più spettrale. Dei lati ciò che rimaneva era soltanto la facciata ormai coperta dal tempo e dalle ferite mai cancellate dei vari crolli che come spesse rughe segnavano il volto di una bella donna. Ciò che era rimasto agibile era la torre, il cui unico accesso era un pericolante percorso tra le rovine del resto. Ma è a chi avesse avuto il coraggio di seguirmi all'interno che la casa avrebbe rivelato il suo vero aspetto. Accanto alla devastazione che il tempo aveva portato con sé la casa aveva mantenuto un'aspetto regale e prezioso. Splendidi arazzi troneggiavano su mura crollate per metà, preziose piastrelle sostenevano il peso di travi crollate e calcinacci di vario genere, intelaiature di splendida fattura sorreggevano finestre rotte e scardinate. In questo caos si vedeva il mio tocco. Le travi crollate sul pavimento erano state legate e intagliate in modo da costituire una conca all'interno della quale erano stati adagiati diversi cuscini, varie finestre erano state rimosse e accatastate in un angolo, sostituite da arazzi sfruttati come tende. Con dei resti di tetto crollato era stata creata una scala di fortuna che conduceva ad un'apertura sul soffitto, frutto anch'essa di crollo, che portava alla cupola. Qui avevo dato il meglio di me nell'arredamento: l'interno della cupola era infatti tappezzato da pagine strappate da libri, mappe, rotoli o appunti scritti di mio pugno, costellati di tanto in tanto da foto del villaggio che illuminavano quel particolare mosaico come stelle brillanti in una notte scura. Ovunque sulla cupola vi erano fogli attaccati, o scritte direttamente sul muro. Lo squarcio della volta lasciava entrare la luce solare che illuminava di riflesso l'intero locale, mentre il vento che dalla ferita nel tetto entrava sibilando, faceva agitare costantemente i mille fogli attaccati alla volta provocando una strana sinfonia cartacea. Per terra vi erano vari cuscini, sparsi a caso, mentre sul pavimento vi erano altre note, questa volta scritte a mano.




    Appena arrivai a quella che avevo imparato a chiamare casa rallentai leggermente il passo, in modo da far capire al mio ospite che quella era la nostra meta. Smisi in quello di fischiettare, facendo attenzione a prendere le strade più sicure per accedere alla casa, in modo che il samaritano potesse emularmi. Era la prima volta che portavo un ninja nel mio covo, ma d'altronde gli dovevo una cena. Ignorai i suoi commenti finché non raggiungemmo la cupola crollata, cuore pulsante del mio rifugio. Allora, e solo allora, mi sedetti e risposi ai quesiti del mio ospite, sfoggiando un sorriso smagliante. In fondo quel posto mi metteva di buon umore, era la proiezione muraria del mio carattere e quindi riusciva sempre a mettermi il sorriso. Le frasi sui muri, un misto fra memorie nostalgiche, citazioni e battute di dubbio gusto si mischiavano in un minestrone di sensazioni, che in qualche modo sentivo a me affine. Sorrisi di nuovo al samaritano e lo invitai a sedersi sfruttando la moltitudine di cuscini che il luogo offriva.


    - Ben venuto samaritano, questa è la mia casa e anche se forse non è il massimo del lusso io la adoro per quello che è. Il mio nome, dato che lo vuoi sapere, è Hitohuki Kagayaku, detto Hito. - Annuii di nuovo prima di continuare - E sebbene non sia il mio vero nome è quello che ho scelto per rappresentarmi. Mi piace, ha un suono... contrastante e allo stesso tempo armonico. Siediti pure dove vuoi e mangia ciò che ti pare, non fare complimenti. Quando avrai finito se lo vorrai potrai ricambiare dandomi il tuo di nome, anche se per me "samaritano" è un appellativo azzeccato e se devo dirla tutta anche Testanera è carino.- Presi quindi una ciotola di spaghetti ancora caldi ed , estratte due paia di bacchette dall'unico mobile della cupola e dopo averne offerte un paio all'altro, iniziai a mangiare.


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  2. Yami Kaguya
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    Se c'era una cosa che avevo capito di quel tizio, era che la sua abilità migliore non era creare casini. Era la capacità di ignorare senza problemi tutto ciò che non gli interessava in un dato momento.
    E non parlavo di "far finta di niente", anzi. Ero quasi convinto che se mi fossi messo dinanzi a lui, non mi sarebbe passato sopra unicamente perchè per logica era più comodo aggirare un muro che scavalcarlo.
    Tanto per fare un esempio di come la sua logica si applicasse a cose di cui solo lui comprendeva la natura. Tutto ciò che avevo visto poteva condurre unicamente a quel risultato, dopo l'analisi con cui avevo trascorso il tempo dal ristorante sino al momento presente, nel silenzio generale fra me e lui.
    Comunque, alla fine rallentò e smise di fischiettare, al che immaginai che o aveva trovato qualche altro casino in cui ficcarsi, o eravamo arrivati.
    Grazie a dio fu la seconda. Mi ritrovai così a contemplare quella che doveva essere la sua casa, la cui struttura aveva anche senso. Da chi ruba non ti aspetti una casa normale, e da chi ruba usando cartabombe finte, men che meno. Lo seguii all'interno senza commenti, seguendone i passi nel timore di beccare qualche punto pericolante che lui poteva evitare per abitudine, ma gli ospiti magari no.
    Arrivato all'interno comunque, trovai in parte conferma del primo sospetto che sarebbe venuto a chiunque, ovvero su come quella casa fosse stata probabilmente abbandonata, ma non per tale motivo smantellata. Erano presenti vari arazzi, sui muri o sulle finestre, e in genere quel tipo era riuscito a farsi una sorta di "salotto" con ciò che aveva trovato, ovvero tanti cuscini e delle travi. Per il resto, l'unica altra cosa degna di nota erano delle pietre, accatastate a creare una scala a prima vista, che immaginai portasse verso l'unica "torre" della costruzione.
    Comoda certo, ma mi chiedevo l'agibilità in caso di pioggia, con tutti quei pezzi di muri e tetto crollati.
    Anche se certo, ero lì per chiudere quella storia, non per diventare il suo coinquilino.

    Comunque, dopo aver spaziato qualche secondo sull'interno della costruzione, riportai il mio sguardo sul padrone di casa, trovandolo già spaparanzato su un cuscino, e di umore decisamente ottimo, a giudicare dal sorriso che si era stampato in faccia.
    Oh beh, immaginavo che pure per chi adorava far casino, tornare a casa fosse sempre qualcosa di rilassante.

    ...Hito, eh? Ok.

    No, sinceramente non potevo proprio dire che era stato un piacere conoscerlo. Tuttavia non era stata nemmeno un'uscita sprecata, anzi. Per colpa o grazie a lui a seconda dei punti di vista, ero a posto con le spese almeno sino alla fine della settimana. Lungi da me lamentarmi a pieni polmoni, quindi.
    Anche se certo, il suo modo di fare era qualcosa a cui probabilmente non mi sarei mai abituato, a prescindere da ciò che sarebbe uscito da quella mia visita.
    Però non potevo negare, che matto o meno, offrirmi la cena quando pure lui non doveva aver avuto niente in casa sino a mezz'ora prima, era di sicuro qualcosa che gli "altri" non avrebbero mai fatto.

    ..Ringrazio dell'offerta e favorisco, allora.

    Accettato l'invito, mi sedetti a un paio di metri da lui su un gruppo di cuscini, e iniziai a prendere parte del bottino che aveva racimolato con la storia dell'ispettore di quartiere, o quel che era. Addentato il primo boccone poi, il senso di vuoto che mi aveva accompagnato dall'inizio di quella storia tornò tutto d'un colpo, e quindi non feci davvero complimenti, mangiando in maniera civile ma senza trattenermi.
    Quando fui pieno quindi, rilassai la schiena sdraiandomi sui cuscini, e godendomi la sensazione migliore del mondo, per quello che mi riguardava. Uno stomaco totalmente pieno.
    Immaginai fosse quindi ora di rispondere alla domanda che mi aveva posto lui prima, per quanto dubitavo gli interessasse sul serio visto il commento.

    ...Immagino che qualunque nome ti dirò, finchè ti suonerà meglio "samaritano" non cambierà niente, vero?
    Comunque se mai ti servisse, mi chiamo Yuki. Per quel che mi riguarda preferisco Hito, ma mi stà bene chiamarti con l'uno o con quello che ti piace a seconda dell'umore.


    Nello specifico, se mi faceva irritare come aveva fatto quel giorno, l'appellativo di Testanera mi sarebbe probabilmente venuto alle labbra più facilmente, di quell'altro.
    E qualcosa mi diceva che volente o nolente, quello non sarebbe comunque stato il mio ultimo incontro con quel tizio.
    Tanto perchè a quanto mi sembrava, i poveri in canna si attraggono come magneti. Così come i casinisti e chi vuole invece una vita tranquilla, comunque.

    Devo dire però, che hai gusto nell'arredare. Mi piace questo posto, ma non ti dà problemi quando piove?

    Ok che eravamo nel deserto e tutto, ma pioveva pure lì. E se non gli entrava l'acqua in tutta la casa, quantomeno doveva essere anche troppo arieggiata, se saliva l'umidità e quindi il calore in generale.
     
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    ~ Un Tanuki come compagno...


    Una persona simpatica. Alla fine avevo visto giusto sul samaritano, anche se un pò troppo rigido era un buon compagno di giochi. Mi sistemai meglio sui cuscini e controllai che anche lui fosse comodo, in fondo gli ospiti vanno onorati come meritano. Non che avessi ospiti molto spesso comunque. Quando finii di mangiare mi venne in mente che effettivamente era una giornata da ricordare: presi quindi una matita, un foglietto bianco e ci scrissi "Oggi ho conosciuto il samaritano - Yuki" e con una puntina lo attaccai al muro tra gli altri. Quindi tornai al mio ospite, che se avesse fatto scorrere gli occhi sulla volta avrebbe notato una quantità enorme di foglietti, foto, e frasi scritte a parete sugli argomenti più vari: anniversari, nomi di kunoichi che avevo conosciuto o con cui ero uscito, negozi che mi avevano cacciato, frasi significative trovate nei libri, "imprese" che avevo compiuto. Una specie di linea temporale della mia vita, impressa su carta e su muro. Anche il pavimento non era esente di scritte o incisioni, fatte alternativamente a penna o a matita oppure impresse con kunai o spiedi nei mattoni. Se poi fosse tornato con lo sguardo su di me, mi avrebbe trovato in contemplazione dell'ultimo foglietto appeso, con uno sguardo alquanto serio. Mi portai quindi una mano al mento e per un'attimo sembrai estraniarmi dal mondo esterno nel modo che lui aveva imparato a conoscere, e sussurrando i miei pensieri al vento fissai la mia attenzione sulla coppia di nomi scritti sul pezzo di carta appeso.


    - Samaritano... Yuki.... Samaritano... Yuki.... Samaritan... Yuki... Samaritan... Uki... Samari... Tan... Uki...-


    Il mio volto s'illumino: avevo trovato il soprannome perfetto. Compiaciuto di me stesso iniziai a ridere, anche perchè era dannatamente incredibile come i due nomi si combinassero alla perfezione. La mia risata riempì la stanza, profonda e prolungata, tanto da farmi venire le lacrime agli occhi. Era un soprannome perfetto, davvero perfetto. Sono sicuro che se ci avesse ragionato, anche Yuki l'avrebbe capito. Era una coincidenza così magistrale e incredibile che sarebbe stato uno spreco non sfruttarla. Lo guardai quindi, con un sorriso pieno e compiaciuto e gli occhi lucidi di divertimento.


    - L'hai colto anche tu vero?... E' bellissimo... Non credevo che samaritano e Yuki si combinassero così bene... ed è incredibile diano anche un risultato con un senso... Oddio è fantastico. Davvero, davvero fantastico. Non è vero... caro il mio mio... Tanuki? -


    Scoppiai di nuovo a ridere. Mi presi un'altro buon minuto d'ilarità, quindi cercai di calmarmi a forza, aumentando la profondità dei respiri. Mi faceva male la pancia dal ridere. Recuperai quindi una posizione seduta e asciugandomi le lacrime guardai solo ora la reazione che quel nuovo soprannome aveva causato nel mio interlocutore. Nel mentre presi il foglio appeso precedentemente e tirata una riga su "samaritano-Yuki" ci scrissi sotto, con un diverso colore "Tanuki". Riappesi quindi il pezzo di carta al suo posto tra la costellazione di fogli che ricoprivano la cupola. Guardai di nuovo il giovane e , ricordandomi la sua domanda precedente dissi.


    - Sai anche tu che piove poco... e quando piove... beh, poi si asciuga... bene Tanuki, ora che si fa?-


    Alzai le spalle come se quella fosse la cosa più naturale del mondo e tornai con un sorriso divertito al mio interlocutore. Con un rapido movimento feci ruotare il collo, sciogliendone i muscoli, e tornai a guardare il mio ospite. Ormai il crepuscolo si avvicinava, ma la giornata, almeno per mia parte, era lungi dal terminare. E poi, ora avevo un Tanuki come compagno.

     
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  4. Yami Kaguya
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    ..Come, scusa?

    E dire che pensavo di averla imparata, quella legge fondamentale. Mai, mai, dire o anche solo pensare, "non può andare peggio di così". E' matematico, andrà peggio.
    Ricordai quel concetto, e ne imparai un altro, quel giorno: se il volto di quel tizio si illuminava, non era bene per nessuno. Soprattutto per tutti quelli nel raggio di 80 chilometri.
    E per te che gli eri davanti, se si metteva a riderti in faccia. E chiamarti "Tanuki". Una parola che istintivamente, sentivi che non ti saresti più scrollato di dosso, se le permettevi di appiccicarsi anche solo di un millimetro.
    E io per la precisione, avevo il pessimo presentimento che quel tizio me l'avesse appena appiccicata alla fronte con la stessa intensità in cui si schiaccia un insetto su un muro.

    ...no, non lo è. Puoi chiamarmi samaritano, se ti piace. Ma non c'è niente di bello, nel venire chiamati come un animale i cui testicoli si misurano in metri quadri!

    Probabilmente lui nemmeno capiva, cosa voleva dire per me quel nome. Di come effettivamente, un Tanuki avrei potuto finire per ospitarlo nel mio corpo. Era troppo perfetto. Non me lo sarei più staccato di dosso, se non impedivo a testanera di abituarsi al suono.
    Cosa che poteva accadere anche in cinque secondi, per quello che ne sapevo.
    CITAZIONE
    bene Tanuki, ora che si fa?-

    ..Puoi smetterla di chiamarmi così, come prima...cosa!

    Non trovai di meglio che tirargli addosso le bacchette. Saltargli addosso e strangolarlo era un'opzione appetibile, ma non riuscivo a immaginare come avrebbe potuto reagire. Mi immaginavo pure che potesse provare a infilarmi una cartabomba nel colletto fischiettando, da quello che avevo visto.
    E qualcosa mi diceva che per evitare quel nome, avrei dovuto tirargli le bacchette nel momento in cui si era messo a borbottare.

    E comunque, non pensi di aver fatto anche abbastanza, per oggi? Ti ringrazio per il pranzo, ma da parte mia, adesso non ho intenzione di andaremene in giro, quel tizio potrebbe ancora starci col fiato sul collo.

    Per logica, se devi stare con un casinista, puoi startene tranquillo unicamente quando il suddetto ha a portata unicamente le proprie cose, con cui creare i propri disastri.
    Anche se a giudicare dal soprannome che mi ero beccato, persino tale concetto non sembrava reggere.
    Il che forse poteva essere un indizio, di come fosse saggio andarsene prima possibile, da quella casa. Dato che era però impossibile al momento...tanto valeva stare a vedere cosa faceva lui, se come temevo avesse iniziato ad annoiarsi. Condizione pericolosa, per uno come lui, a quanto potevo capire.
     
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  5. Cougàr
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    ~ Si divertiranno tutti...


    Certe idee ti arrivano come illuminazioni divine. Certi piani ti appaiono così nitidi e così chiari in un solo momento, che ti fanno ricredere sulla fede e sul misticismo. Così mi era apparso il piano che avrei messo in pratica quella notte. Un dono di Dio, avrebbero detto i preti. Era così nitido, chiaro e terrificante nella mia mente da togliermi il fiato e da lasciarmi un'attimo di sasso. Guardai il tanuki con un sorriso ebete e con una faccia compiaciuta. Quindi iniziai a sogghignare, come un babbeo che fa fa una battuta che capisce solo lui e ride da solo. Sapevo di poter mettere in pratica il mio disegno, ne ero sicuro perchè avevo già trovato il modo di infilarmi in quelle stanze, senza essere notato. Però, se avessi detto qualcosa al tanuki gli avrei rovinato la sorpresa e lui per ora era il mio unico compagno di giochi, dovevo trattarlo bene. Lo guardai quindi con un'espressione improvvisamente seria e sfruttando le mie doti interpretative alterai la mia voce, in modo che fosse calma e posata, anche se dentro di me una festa di emozioni immaginava l'esecuzione del mio progetto. Presi le ciotole vuote di entrambi e le sistemai a lato, quindi, guardando il giovane dissi.


    - Forse hai ragione, tanuki. E' meglio starsene buoni per la serata e riposare un pò, vediamoci domani vicino all'amministrazione, sia mai che quel giovane ci cerchi ancora... Sarà il caso di farci un salto quindi...-


    La frase era sintetica e conclusiva allo stesso tempo. In fondo, per attuare il mio piano avrei avuto bisogno della nottata, quindi prima il tanuki se ne andava, prima potevo agire. Sorrisi al giovane, che di certo aveva capito che in quella frase c'era anche il congedo, e attesi se ne fosse andato. Se avesse insistito sul soprannome, avrei semplicemente detto che con il tempo mi sarei dimenticato sia di "tanuki" che di "samaritano" e avrei trovato qualcos'altro. Appena se ne andò, raccolsi le mie cose e, uscendo dalla cupola distrutta, mi diressi verso il centro del villaggio, tenendo sempre il cappuccio a coprirmi il volto.


    - Sono un genio! Domani sarà un gran giorno, si divertiranno tutti...-



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    Continua nella giocata free che ora apro. :ahsi:


    Edited by Cougar™ - 2/10/2010, 13:33
     
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  6. Kei Hajime
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    Un'ombra era rannicchiata in un cantuccio oscuro, circondata da lunghi pali rilucenti nel buio che non potevano essere altro che sbarre. Con una torcia una figura, distante parecchi metri, si avvicinava con passo sicuro a quella prigione, illuminando la strada davanti a sè. Un cilindro di luce divideva l'ambiente a metà e alternativamente svelava e non svelava le fattezze dell'essere imprigionato. Il silenzio era una presenza inquietante ed anche lui, avvezzo ormai a presentarsi proprio lì, provava ancora una certa titubanza. I suoi passi echeggiavano nell'aria pesante. Lì dentro non entrava nessuno da giorni. Per quanto sapesse che recarsi periodicamente in quel posto fosse necessario, ogni volta vi si introduceva di malavoglia. Non era fatto per stare rinchiuso in un angusto seminterrato. Lui voleva spiccare il volo, come i suoi avvoltoi. Questa volta, però, la sua presenza era indispensabile, in quanto unico testimone dell'ubicazione del loro obiettivo, della preziosissima sequenza di DNA, frutto di innumerevoli tentativi falliti, che era andata persa e che non poteva finire nelle mani di nessun altro: era in gioco il futuro del loro progetto. Perso tra il suo malcontento, tra la sua frustrazione e tra la sua speranza, si accorse solo alla fine di essere arrivato proprio davanti a quella stretta gabbia. All'interno, vi era uno scheletro. Numero 5. L'unico che sapeva cosa era successo il giorno dell'incidente, il giorno in cui erano cominciati tutti i loro, ma soprattutto i suoi, guai…





    il Messaggio




    Le persone mi passavano davanti agli occhi tutte uguali. Persone; che correvano a destra e a sinistra, mi superavano, mi urtavano e poi proseguivano per la loro strada. Le insegne dei negozi mi sfrecciavano accanto, allungandosi come elastici man mano che le sorpassavo. Le grida dei commercianti, il chiacchiericcio incessante dei passanti, le contrattazioni che immancabilmente caratterizzano ogni bancarella, il frettoloso correre di facchini e inservienti, un ragazzino che in un lampo mi fruga tra le tasche ripartendo poi come un razzo. Tutto questo giungeva a me come un confuso frullato di percezioni indistinte: le voci diventavano brusii lontani, le visioni un opaco riflesso. Solo in seguito capii cosa mi stesse succedendo. Gli effetti di una prolungata esposizione agli intensi raggi solari del deserto uniti a quelli di una mancanza di cibo della durata non ben nota si erano sommati, provocandomi obnubilamento, nausea e movimenti disarticolati. L'ultima cosa che vidi prima di cadere svenuto fu un ragazzo, con in mano una lettera, che correva verso di me…

    Rinvenni appena al di fuori del mercato, che scopersi essere chiamato "suk". Lo stesso volto che vidi prima di chiudere gli occhi era di fronte a me ora che li avevo aperti di nuovo. Capelli e occhi neri, certamente non atletico e con molti brufoli sparsi per le tempie. Aveva l'aria preoccupata e seccata allo stesso tempo. Preoccupata e seccata? Non credo avrei saputo dirlo con esattezza all'epoca: non avevo molta dimestichezza con tutto ciò che riguardava le emozioni, espressioni facciali comprese.

    Tutto bene? Ho un messaggio per te. Appena ti sei allontanato dalle porte del villaggio la guardia di turno me l'ha affidato, incaricandomi di consegnartelo prima che ti perdessi di vista.

    Non risposi. Non mi importava. Avevo fame e, come se non bastasse, avevo smarrito tra la calca spingente del mercato il ballerino che mi aveva promesso un pasto. L'avvoltoio? Che fine aveva fatto? Girai la testa. Era lì disteso, morto, al mio fianco. Cominciava ad avere un odore non gradevole. Cercai di alzarmi, ma ricaddi quasi subito. Le percezioni che avevo sperimentato così vividamente poche ore prima, adesso sembravano ovattate. Il "postino" improvvisato volle a tutti i costi aiutarmi a rimettermi in piedi. Insieme, riuscimmo nell'impresa. Dopodiché, mi porse un piccolo pezzo di carta, evidentemente strappato alle bene e meglio. La scrittura che vi era impressa era frettolosa, spigolosa e forzatamente pendente verso il lato destro. C'era scritto:

    S A N N O C H E S E I Q U I



    Sanno? Chi? Quasi in automatico me lo chiesi, ma accartocciai il foglietto e me lo misi in tasca. Avrei dovuto forse provare curiosità? Preoccupazione? Quelle lettere, quelle parole, attraverso gli occhi, arrivarono al mio cervello, senza raggiungere però la profondità, rimanendo solo e soltanto una misera informazione, come del resto misere ed inutili informazioni sensoriali erano quelle provenienti dai miei altri quattro sensi.

    Grazie

    Mi squadrò con un sorriso beffardo, il tipo, e se ne andò, sparendo nel mare di persone all'interno degli angusti vicoli del suk. C'era qualcosa nel sorriso di quel giovane che fece scattare in me una molla. Un'intensa luce mi accecò all'improvviso ed un flash mi apparve. Di fronte a me vidi il ponte di una nave, pioggia incessante cadere da enormi nubi alte nel cielo e miriadi di persone che scappavano da tutte le parti. Alcune uccidevano. Poi tutto sparì. Ero di nuovo a Suna. E per giunta durante questa visione dovevo essermi mosso, perché mi ero allontanato dal suk. Ora mi trovavo in una vecchia periferia del villaggio, tra strade laterali e case abbandonate. L'abitazione che risaltava più di tutti agli occhi però era un grande palazzo, semi-distrutto, antico, di cui soltanto la cupola era rimasta in condizioni decenti. Anni prima quella struttura doveva esser stata la meraviglia del posto. Rimasi fermo a guardare inespressivamente la facciata, della quale si era impadronito un particolare tipo di edera color ocra, che avevo già visto qua e là nel villaggio. Era tutto così strano, ma allora non me ne rendevo ancora conto. L'unica cosa che sapevo era che lo stomaco brontolava e fra poco quell'avvoltoio che tenevo in mano sarebbe stato immangiabile.
     
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    ~ Le labbra le abbiamo...



    Il giovane, ormai a casa, aspettava impaziente l'arrivo del suo ospite. Per l'occasione aveva risistemato la casa che ora invece era passata dall'essere un'accozzaglia disordinata di oggetti casuali all'essere la stessa cosa, ma più ordinata. accedere alla dimora di Hito non era facile, per farlo bisognava destreggiarsi fra le rovine del piano inferiore, evitando macere e travi fino ad una scala secondaria. A fianco a questa scala, sul muro interno della magione semidistrutta una scritta invitava ad entrare o, per conosceva l'abitante, a girare i tacchi: "Qui abita Hito, ninja, cuoco, artista ed estetista. Non so cosa significhi, ma faceva rima." Se questo non bastasse e l'ospite avesse deciso di proseguire avrebbe trovato ben più di una casa diroccata. Infatti con il tempo il ninja aveva provveduto a espandere la sua zona abitata e ora il complesso si strutturava in quattro locali. Il primo, che si apriva dopo qualche gradino, era un salotto piuttosto piccolo, ma decisamente di gusto. Sulle pareti un mosaico ancora integro rappresentava una veduta della città, ritratta da un'osservatore posto su un tetto piuttosto alto. Così, sulla superficie decorata, si potevano vedere i tetti degli edifici di buona parte del villaggio svettare sotto un celo plumbeo, occasione questa più unica che rara. È molto raro infatti che a Suna si vedano delle nuvole e ancora più raro che un'intero banco di esse copra tutto il cielo. In questo salottino, così decorato, vi erano alcuni cestoni ed una specie di appendiabiti in legno, probabilmente posti lì per raccogliere equipaggiamento e soprabiti di eventuali ospiti. Nel resto dello stanzone vi erano Varie travi in legno accatastate e scavate a mo di poltrone, probabilmente dallo stesso Hito, con dei cuscini su di esse per migliorarne la comodità. Salendo quindi una scala sul fondo di questa sala si accedevano agli ultimi tre locali. Il primo era alquanto particolare. Una sala piccola, con, alla base delle pareti, dei grandi vasi rettangolari posti in modo da non emergere dal pavimento. Scavare quella zona, così vicina a dei muri portanti, doveva essere stato un rischio, ma evidentemente Hito era stato disposto a correrlo. Oppure non sapeva cosa fossero i muri portanti. Una delle due.
    Da questi vasi interrati edera rampicante color sabbia si stendeva per tutta la lunghezza del muro, donando alla stanza una luce particolare che le altre non possedevano. L'impressione, entrandovi, era quella di procedere attraverso un giardino ordinato e dei fori posti qui e la sulle pareti, probabilmente per far filtrare la luce, facevano entrare degli spifferi di vento, muovendo appena le foglie dell'edera. La terza stanza dava sulla piazzetta antistante la magione e qui, entrando, Kei avrebbe trovato una specie di tavola preparata per due. Era una tavola bassa, probabilmente non pensata per essere usata per quello scopo, ma riadatta abilmente dal matto. Attorno ad essa una marea di cuscini, stesi sopra uno splendido tappeto, faceva da sedia mentre sopra di essa i piatti e le posate sembravano ricavati dalla pietra della casa stessa e una grossa pagnotta, ancora calda, svettava fra loro.

    Qualora il giovane avesse attirato l'attenzione di Hito, che si intravedeva appena in una zona probabilmente adibita a cucina, il chunin, giratosi, avrebbe fatto gli onori di casa, invitandolo a sedersi e a dargli l'avvoltoio.

    - Sei arrivato al momento giusto, la zuppa è quasi pronta ed è il momento di aggiungere la carne. Potresti spennarlo e preparalo per favore?- mentre parlava sembrava armeggiare sopra un grosso pentolone aggiungendo in momenti precisi il contenuto di diverse boccette - Vedrai, sarà un pranzetto da leccarsi i baffi! Anche se ne io ne te abbiamo baffi, quindi da leccarsi le labbra! Ecco sì, le labbra le abbiamo. -



    Scusa il ritardo, m è un periodo piuttosto denso. :zxc: Mi farò perdonare evitandoti un'intossicazione alimentare :riot:
     
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6 replies since 29/8/2010, 14:33   235 views
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