L'Uomo che Uccise il Sole

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  1. Boreanz
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    Quando l'ultima ora del giorno cadde sul giardino della tenuta il corpo dello Hyuga era ormai allo stremo. Vergil ancora stentava a credere la resistenza fisica che il padre dimostrava. Li separavano quasi trent'anni, eppure anche in quel momento, nel fiore delle sue forze, il figlio a malapena riusciva a stare dietro al padre. D'altronde il contratto che tempo prima aveva firmato con il sangue gli aveva mostrato immagini del padre nella sua giovinezza, quando ancora le sue abilità erano da affinare. Sua nonna Kaede, considerò un Vergil prossimo alla sfinimento, aveva davvero compiuto un lavoro eccellente. E sapere che il padre stesse facendo lo stesso con lui gli dava forza e speranza.

    Le parole di congedo da parte del genitore furono accolte con gratitudine dal giovane chunin, che piegò il capo - un gesto istintivo, anche se l'altro non poteva vederlo - e ringraziò.

    " A domani allora, padre. "

    [...]

    La notte trascorreva lesta ma nonostante la stanchezza il sonno era restìo a presentarsi alla soglia di Vergil Hyuga. Quanto era accaduto aveva dello sconcertante, ed il ragazzo dagli occhi di luna ancora non se ne capacitava. Come poteva una maledizione avere effetto sugli occhi più potenti del continente? Come poteva uno shinobi aver sopraffatto il padre al pieno delle sue capacità? Ma, soprattutto, il Re Corrotto era reale? Anche prima della possessione da parte del demone Hanketsu Vergil aveva sempre avuto difficoltà a ricordare con precisione l'incubo di quella notte. Nei momenti più bui della sua esistenza però ancora scorgeva dei cambiamenti nel suo chakra biancoazzuro, una tonalità di un profondo viola che - per quanto raramente - continuava a presentarsi.

    Era seduto sulla superficie di legno a fianco dell'enorme vetrata della camera in cui dormiva, nell'ala della tenuta a lui riservata. I muscoli gli dolevano dappertutto, ma la sensazione non era sgradevole. Sapeva di speranza. Di rivalsa. Tuttavia, il ricordo dell'unico occhio del grifone putrefatto era nitido come un'immagine di sé allo specchio. Quella luce selvaggia e violenta, quel bagliore di ferinità e puro istinto, non lo avrebbero mai abbandonato. Né lui voleva che lo facesse. Quella notte di oltre due anni prima aveva giurato a sé stesso che se mai avesse rivisto la creatura, avrebbe fatto in modo che fosse quella a temere il suo sguardo. Tale traguardo era però ancora lontano e Vergil sapeva di doversi concentrare solo su quanto era in vista. Aveva dato al padre la sua parola, e l'avrebbe mantenuta.

    [...]

    All'alba del giorno successivo, quando il sole spuntò all'orizzonte, i due Hyuga erano già in piedi nel giardino, pronti a riceverlo e ad essere abbracciati dal suo calore. Soken Hyuga iniziò a parlare, introducendo il figlio al programma di allenamento del giorno. Vergil ascoltò con attenzione le parole di quello che oltre a suo padre era suo maestro, delle arti ninja e di vita. Rimase in silenzio per tutta la spiegazione, subendo l'aura del padre e ricevendo il suo attacco dimostrativo. Nei suoi occhi di luna la determinazione bruciava. La tecnica illustrata gli parve oltremodo complessa: mettere a segno una tale moltitudine di colpi in poco tempo e ad alta precisione non sarebbe stato facile. Di fatto gli era richiesto di compiere in pochi secondi ciò che normalmente veniva effettuato in almeno tre minuti durante vari scambi corpo a corpo. Si domandò se colpire i vari tenketsu uno per uno fosse il giusto percorso da seguire, ma l'attitudine dimostrata dal padre perchè iniziassero lo distolse dal pensiero - che peraltro, si ricordò, aveva già formulato tempo prima, anche se in forma diversa.

    Pressato dal desiderio di rassicurare il padre con i suoi progressi, per il momento Vergil mise i propri dubbi da parte ed assunse il kata indicato dal padre. Concentrò poi una discreta quantità di chakra negli occhi e congiungendo le mani nel sigillo della tigre liberò il potere del Byakugan. Per la prima volta in vita sua, però, qualcosa andò storto. O, almeno, quello fu il pensiero dello Hyuga. Al momento dell'attivazione il padre scomparve completamente dalla sua vista, come se non fosse mai esistito.



    Spaesato, Vergil si guardò attorno per controllare cosa fosse accaduto ai suoi preziosi occhi. Quello che vide - o, meglio, che non vide - non lo rallegrò: anche i numerosi servitori della tenuta erano completamente spariti come neve al sole. La sua preoccupazione aumentò quando sentì la voce del padre che gli chiedeva cosa stesse accadendo. Se sentiva la sua voce, significava che il genitore era lì. Pertanto il problema atteneva ai suoi occhi. Spiegò in breve al genitore la situazione facendo del suo meglio per non suonare preoccupato, ma la voce di Soken Hyuga suonò alle sue orecchie come nuovamente incrinata dal dolore e dalla perdita di quella fievole speranza che il ritorno del figlio aveva rappresentato. Il sangue gli ribollì nelle vene. Aveva fatto una promessa, un giuramento, e se ben ricordava aveva posto la sua stessa vita sulla linea. Ebbene, non si sarebbe tirato indietro.

    " Riprendete la vostra posizione, padre. Non è fermandomi che proteggerò il clan. "

    Mai prima d'ora aveva parlato così al genitore, ma se la situazione richiedeva che prendesse lui le redini avrebbe compiuto anche quel passo. A prova delle sue intenzioni riprese il kata a lui illustrato poco prima, liberando una pressione omicida tutt'altro che trascurabile.
    Il chakra crepitava nelle sue mani. Era arrabbiato. E la sua furia aumentava per il fatto stesso di essere in quello stato, che sapeva essere controproducente. Qualcuno con abilità simili alle sue avrebbe potuto scorgere torrenti di energia crepitare attorno alle sua persona e concentrarsi nei suoi palmi. In quelle condizioni colpire anche un solo punto di fuga sarebbe stata un'impresa improba, figurarsi chiudere tutti quelli principali ed imporre una Chiusura del Cancello in pochi istanti. Di nuovo il suo pensiero navigò nei lidi di poco prima, considerando il giusto percorso da prendere. Poi, ripensando sia al Jukenpu sia al principio di base che lo avevano portato a creare le fiamme pentagonali - che dall'incidente ad Omune aveva giurato di non utilizzare mai più -, Vergil intravide il percorso da seguire.

    Il chakra crepitò ancora tra le sue mani, risplendendo potente. In quel momento persino un occhio normale avrebbe potuto scorgere quanto succedeva. Modellando il chakra grazie al suo supremo controllo sullo stesso e soprattutto sui punti di fuga, Vergil ricoprì i propri palmi di un involucruo di chakra, similmente a quando utilizzava lo Scudo di Chakra dell'arte juken. Questa volta, però, il chakra era mortifero, non difensivo. Nel mentre del difficoltoso processo lo Hyuga ripensò nuovamente ad Omune, e decise di modellare la sua invenzione sulle fattezze del grifone. Un piccolo omaggio ad uno spirito amico per redimere, in parte, la sua coscienza. Fu così che attorno al braccio sinistro del giovane chunin prese lentamente forma una testa di grifone formata da un purissimo chakra bianco. Lo sguardo dello Hyuga era feroce. Se non poteva compiere un lavoro di precisione, avrebbe fatto un salto di qualità. Aumentando l'area dell'attacco poteva colpire tutti i bersagli, anche senza vederli, finchè sapeva che erano lì.

    Piegò le ginocchia, pronto a scattare in avanti. Un dolore improvviso al braccio sinistro però lo interruppe. Non aveva bisogno di abbassare lo sguardo per sapere che un impasto di chakra così elevato - per di più manipolato in una forma specifica - si stava dimostrando deleterio per il suo corpo. Una manipolazione così avanzata della forma avrebbe normalmente richiesto giorni per adattare il corpo, ma in quel frangente Vergil, e soprattutto il clan, non avevano nemmeno ore. E se la sua vita era in gioco, il suo braccio sinistro contava poco. Mantenne dunque il flusso di chakra, lanciandosi all'attacco. In fondo nessuno meglio di lui sapeva che contro il genitore non c'era motivo di trattenersi. Il suo movimento fu fulmineo e, forse per la mossa inaspettata, forse per altro, atterrò senza troppi problemi sul corpo di Soken Hyuga - anche se Vergil non avrebbe saputo dire la zona precisa. Un attacco simile, sapeva lo Hyuga, avrebbe ottenuto gli stessi risultati della tecnica illustrata dal padre. Il processo era differente, e forse anche più complesso, ma senza dubbio più adatto al suo personale stile di combattimento con l'arte juken. Una mossa così, si disse mentre il dolore esplodeva nelle sue carni, sarebbe potuta essere una carta vincente in molte occasioni.



    Provato per lo sforzo, Vergil indietreggiò di qualche passo e osservò il suo braccio. Un sorriso amaro gli si dipinse in volto. Persino la sua veste rinforzata ed il soprabito erano stati ridotti a brandelli dalla potenza rilasciata. Il processo funzionava, ma sarebbe stata necessario un serio allenamento per controllarlo a dovere. Senza alzare gli occhi dal liquido scarlatto che sgorgava da alcune lacerazioni sull'avambraccio, lo Hyuga si rivolse al padre.

    " Perdonate questo figlio testardo, padre. "

    Riusciva ancora a muovere il braccio, ma il dolore non era indifferente. Se però era quello il prezzo per avere almeno una speranza contro colui che aveva causato tutto questo allora Vergil era ben pronto a pagarlo. Tenne lo sguardo alto perchè anche se non poteva vedere il padre evidentemente non era altrettanto valido il contrario. E voleva che il genitore leggesse nei suoi occhi di luna il fuoco che gli ardeva nell'animo.

    " Non vi lascerò nell'oscurità. "


    OFF GAME

    Spinto dalle motivazioni scritte nel post che non sto a ripetere, Vergil in pratica realizza la sua versione personale del Palmo Gentile dei "Grifoni" Gemelli. Riportando però una ferita Media al braccio sinistro per l'assenza di preparativi e la difficoltà intrinseca del processo :trew:

     
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