Incontri che non ti aspettavi

[Corso Genin]

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  1. Akashi
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    Chiamate alle Armi



    Per quanto ci avessi provato, non mi era stato possibile rimandare la partenza, la convocazione andava rispettata ed io, convalescente o meno, avrei dovuto avviarmi verso Konoha per la mia prima missione ufficiale:

    «Ma dai #800000Pà...non è possibile, non posso andarci in queste condizioni, mi farò del male! Sono ancora convalescente! Non puoi fare niente affinché la faccenda si rimandi giusto sino a quando non sarò in forze?»

    «No. Nella maniera più assolta. Sono categorico, non spenderò il mio nome solo per permetterti di oziare ed evitare i tuoi doveri. Corri a fare i bagagli, partirai stasera. E ricordati che io per te non sono "pà" ma sono tuo padre. Bada quindi a non mancarmi più di rispetto, scansafatiche che non sei altro»

    «Va bene pa...padre...ma non ti interessa di come sto? Potrei peggiorare la situazione!»

    «Vuoi la verità? No. Non mi interessa. E sai perché? Perché non ti ho detto io di andare a zonzo con quel tuo amico perditempo, non ti ho detto io di andare con lui a rubare l'acciaio dalla vecchia fonderia; e dato che non ti ho detto io di andare li, non è a causa mia che sei caduto e che ti sei spezzato le costole mesi fa. Se ora non hai ancora del tutto recuperato le tue forze, dovrai farlo lungo il tragitto. E' per questo che parti con largo anticipo rispetto alla data indicata. E ora va a raccogliere le tue cose. Muoviti, non credere che ti accompagnerò nel viaggio.»

    «Ma almeno asco...»

    «NO! Avanti, muoviti!»

    Ebbene si, nonostante la mia età quella era ancora la mia prima missione: vuoi per un motivo, vuoi per un altro, in tutto questo tempo non avevo ancora avuto modo di acquisire esperienza sul campo come shinobi sebbene assumere il ruolo di "tirapugni" per mia sorella e mio fratello mi aveva fisicamente temprato.

    Ma veniamo al motivo della discussione tra me e mio padre, il mio stato di convalescenza. Il mio migliore amico Kensuke gestiva una piccola armeria poco fuori Kiri. Forgiava armature di mirabile fattura e ultimamente osservarlo lavorare mi aveva carpito, instillandomi una certa voglia di imparare l'arte della forgia: fondere l'acciaio, piegarlo secondo la mia volontà e, come diceva lui, "creare l'ordine a partire dal disordine" erano cose che mi affascinavano parecchio, così che trascorrevo gran parte del mio tempo con lui. Si sa però, nel commercio le cose non sempre si svolgono secondo le regole, e quindi ogni tanto io e Kensuke ci intrufolavamo un po' ovunque...che fossero depositi di altri fabbri, o acciaierie cadute in disuso, quello che cercavamo erano buone partite di acciaio da "prendere in prestito". Ci si "Arrangiava", insomma.

    Una notte però, durante una di quelle "incursioni" ebbi un bruttissimo incidente: avevamo la necessità di accendere le luci in una acciaieria diroccata, ma la scalinata che conduceva all’ingresso della sala di controllo era franata quasi del tutto. L’unico modo per accedervi era attraverso un grande finestrone rotto, raggiungibile solo tramite arrampicata su di un traliccio semovente che evidentemente era stato abbandonato li. Proprio mentre ero nel punto più alto, mi mossi in maniera maldestra perdendo l'equilibrio: la presa, resa meno salda dalla presenza di polvere, cedette e così io caddi rovinosamente, rompendomi un bel po di costole e perdendo i sensi. Se Kensuke non fosse stato li, probabilmente sarei morto senza rendermene conto e senza che nessuno sapesse più nulla da me, quindi se da un certo punto di vista è colpa sua se ho rischiato di morire, da un’altro gli devo la vita.

    Come suppongo traspari dal mio dialogo con lui, a mio padre quella frequentazione non piace affatto, ma le sue motivazioni vanno al di là dell'episodio della caduta. Lui di fatto è un uomo molto orgoglioso di se stesso, uno di quelli a cui piace l'attivismo della gente ed il nostro Clan è un famiglia in ascesa, da poco apparsa sul panorama Kiriano. Egli mal sopporta la circostanza in cui mi trovo: escludendo mia sorella, io sono il suo primogenito maschio, quello a cui secondo la sua retrograda idea "va assegnato il testimone per il passaggio generazionale della Famiglia" e per questo era assolutamente necessario che io fossi un ninja nel più breve tempo possibile.

    Io, dal canto mio, comprendevo perfettamente il fatto che mio padre potesse avere delle aspettative per me e potevo anche immaginare la sensazione che provava quando io le disattendevo, ma era innegabile che non ero nelle condizioni adatte ad affrontare una missione vera.

    Tuttavia, era facile scambiare le mie ragioni per scuse, quindi feci come voleva e salii in camera mia per preparare i miei bagagli.

    [...]



    Quando tutto il necessario fu pronto, raccolsi il tutto e scesi di sotto, per salutare la mia famiglia. Non posso dirlo con certezza, ma credo da che dietro il muro emozionale innalzato da mio padre per rendere verosimile la sua faccia apprensiva e carica più che mai di aspettative emerse uno sguardo sereno e fiducioso.

    Quantomeno lo stavo rendendo felice.

    [...]



    Il viaggio verso Konoha fu quanto di più quieto potessi immaginarmi: niente classici attacchi da parte di banditi, niente ponti interrotti o tagliati, niente pedaggi extra...niente di niente. Da cosa traevano l'ispirazione i commediografi che condivano le loro vicende di tutti quei dettagli inverosimili?

    A parte queste cose di poco conto, mi avviai verso il luogo indicato sulla mappa e come potevo immaginare data la folta vegetazione presente, quel che vi trovai fu un accampamento assai poco fornito, allestito del minimo necessario a garantire la sopravvivenza umana. Quantomeno era collocato in maniera intelligente: il rumore dello scrosciare dell'acqua che si poteva udire in maniera abbastanza nitida indicava la presenza di un ruscello nei paraggi, e la fitta boscaglia garantiva occultamento da occhi indiscreti e poco attenti.

    Sul posto c'era già un'altra persona. Da come era vestito desumevo che doveva essere un ninja, ma non avevo elementi per capire se fosse il mio sensei o un mio compagno. Stando alla lettera infatti, avremmo trovato il resto del Team ed il sensei nello stesso luogo.

    Non dovevo però escludere la possibilità che fosse uno shinobi capitato li per caso, o qualcuno che aveva intercettato una lettera come la mia inviata a qualcuno dei miei compagni.

    Con una certa indifferenza, portai la mano al Tanto, con l'obbiettivo di mostrare in maniera chiara i miei intenti, poi dissi:

    «Chi sei, e per quale motivo sei qui?»



    Sperai solo di non dover azzuffarmi prima del tempo.

     
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38 replies since 10/1/2012, 17:57   578 views
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