"Those who go beneath the surface do so at their peril"

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  1. Boreanz
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    Avvolto in quelle tenebre senza tempo, Vergil non poteva far altro che tentare di mantere integra la sua identità, che ogni secondo rischiava di perdersi nel contatto con quell'essere oltre l'umana comprensione. Ancora non riusciva a credere a quanto gli stava accadendo. E tutto grazie ad una sciocca lingua morta che aveva appreso per una mera curiosità passeggera. Ma in quell'oscurità, simili pensieri ed interrogativi duravano poco. Tutto scivolava nell'oblio dell'insignificanza al cospetto di quell'entità così senza limiti, forma ed anima.
    In fondo al suo cuore, Vergil sapeva. Quello che aveva davanti era un dio. Un essere superiore dalle origini sconosciute, che per qualche motivo aveva risposto alla sua chiamata. Non riteneva possibile che il merito dell'accaduto fosse solo da attribuirsi solamente al suo utilizzo del linguaggio proibito. No. Doveva esserci un altro motivo. La domanda. Era quella domanda il chiodo fisso che in quell'oscurità gli consentiva di mantenersi integro e saldo, seppur torturandolo considerevolmente lasciandolo ancora più conscio della sua piccolezza estrema.

    Si sentiva osservato. In quello spazio senza riferimenti di sorta, avvertiva gli occhi famelici dell'essere su di sé, che guardavano e con onniscenza ed insensibilità estrema violavano la sua identità in ogni parte. Un esperienza indescrivibile, pensava, lottando per aggrapparsi ad ogni parte di sé. Ma in tutto questo, nella sua piccolezza, ignoranza e coscienza della propria debolezza, il ragazzo dagli occhi perlacei non aveva paura. No. Vergil Hyuga era eccitato. Il suo cuore bramava quel potere profondo come l'abisso in cui, sapeva, aveva solo iniziato a sporgersi. Era sempre stato così, lo sapeva. A volte se l'era pure chiesto. Se i suoi genitori non lo avessero cresciuto nella maniera in cui era stato cresciuto, dandogli dei valori, la disciplina, il rispetto, e soprattutto uno sconfinato amore, come sarebbe cresciuto?
    Nelle pieghe della sua anima si annidava l'oscurità.

    Due volte era stato posseduto, in passato. Prima il Re Corrotto, che si era annidato nel suo cuore di tenebra, privandolo della libertà e facendogli compiere atti innominabili costringendolo ad assistere impotente. Poi era stata la volta di Hanketsu, il demone, uno spirito di Grifone che aveva pervertito le arti degli Yamanaka, ingannandolo e privandolo ancora una volta della libertà. Entrambe le volte lo Hyuga aveva trovato la forza di lottare, respingere e sconfiggere le creature, ma anche quando sconfitto il male lascia sempre una cicatrice. E lo Hyuga non era uno stupido. Si era posto domande. Non una, ma ben due volte il male aveva individuato in lui il simulacro perfetto. Da una parte, quindi, aveva il suo spirito di luce, protetto dall'amore, dal talento e dalla fermezza di carattere. Dall'altra, un cuore di tenebra. Più piccolo di un pugno, ma che bramava un potere superiore al mondo intero. E ora, ora, aveva fatto il passo più lungo della gamba. Questa volta era stato lui ad evocare un'entità esterna. E che entità. Le altre due parevano buffe imitazioni al confronto. Spinto dalla necessità, ma anche dal suo stesso cuore, aveva sacrificato molto per arrivare in quel luogo. Aveva rinunciato alla separazione tra le due metà del suo essere, che ora era un tutt'uno con qulle tenebre di immortalità ed eterno potere.

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    Di nuovo quella voce. Un suono che pareva venire da dentro di lui, anche se in quei momenti di eternità non aveva alcun corpo. Ciò che diceva era vero, dannatamente vero. Vergil lo avvertiva come parte di sé. Un sacrificio era stato fatto. Un sacrificio dal quale non sarebbe tornato indietro. Lo aveva evocato. Non sapeva cosa fosse o che natura avesse, ma comunque lo aveva evocato. E quel fatto non sarebbe cambiato per l'eternità. Ciò che era stato sacrificato non sarebbe mai stato restituito. Il giovane Hyuga si era gettato di sua sponte nell'abisso. La creatura era diverita, Vergil poteva dirlo chiaramente. Era solo una sensazione, ma in quell'ambiente anche la più minima percezione, consumata da quell'essere, veniva elevata a livelli tali da mutare la propria natura. Dopo che l'entità aveva parlato per la seconda volta, però, l'atmosfera era diversa. Quasi di attesa. Anche se non aveva corpo, Vergil riusciva a vedere con chiarezza. Era uno Hyuga in ogni fibra del suo essere e quella consapevolezza, che lo aveva salvato molte volte, non lo avrebbe mai abbandonato.

    Iniziò a cadere. Lentamente, quasi senza alcun movimento, le tenebre lo trascinarono in profondità. Una caduta senza fine, nella quale ogni cosa cessò di avere senso. Un abisso che nulla aveva di umano. Ogni istante di quel supplizio lo rendeva più certo. E mentre cadeva, mentre dimenticava, mentre si disperava, sapeva sempre di più che quella divinità aveva scelto lui. Rivide ogni momento della sua esistenza. L'addestramento all'ombra dei ciliegi con il padre, il primo risveglio del Byakugan con Masaru, il combattimento alla morte in quel campo di taglialegna nella foresta. E ancora, l'incontro con il suo kohai, il risveglio del contratto millenario dei grifoni, l'incontro con il Re, le visioni di vite precedenti del suo clan. Ogni cosa gli passava davanti alle iridi perlacee. E più vedeva, più capiva. Capiva che in un modo o nell'altro tutta la sua esistenza non era stata che una preparazione per quel momento.

    Avrebbe fatto ciò che andava fatto, ma non solo, ormai, per salvare i propri famigliari dall'annientamento. Non solo per il clan. No. Quello era il suo destino. Tutte le sue qualità, il suo potere, i suoi talenti. Ogni cosa era un agnello sacrificale per ottenere quel supremo stadio di esistenza. Di tutto questo, mentre cadeva nell'oscurità senza fine, Vergil Hyuga era certo. Quanto si sbagliava. Per sua fortuna, non potè mai saperlo. L'oscurità raggiunse il suo picco, e l'essere si manifestò di nuovo. Ciò che proponeva era terribile. Inumano. Inaccettabile. Eppure, il suo tono era suadente come nessun altro. E il candore della sua proposta, come se non si rendesse conto delle conseguenze su un cuore, come se non fosse umano.

    kuroshitsuji_52599
     
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