La maledizione degli Uchiha

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    P I E C E S :
    Sometimes being a friend means mastering the art of timing.
    There is a time for silence. A time to let go and allow people to hurl themselves into their own destiny.
    And a time to prepare to pick up the pieces when it's all over.

    Shizuka Kobayashi's puzzle




    divisore





    Camminare mano nella mano con un Uchiha era una di quelle esperienze che Shizuka Kobayashi aveva sempre creduto di non poter fare, nemmeno se avesse passato la sua intera esistenza a supplicare i Kami per un miracolo irrealizzabile...
    “E' impossibile che almeno un membro di quel Clan mi accetti per quello che sono!” urlava da adolescente, piangendo di rabbia nel picchiare i pugni su di un basso tavolo di legno al quale era seduta una mortificata Heiko Uchiha, intenta a spiegare alla figlia l'importanza di porgere la mano al prossimo anziché covare un odio distruttore che non fa che rovinare le persone “Se loro mi odiano, li odierò anche io!” continuava però a ripetere lei, sciocca ragazzina dal futuro ancora tutto da fare...

    …Ma adesso le cose erano diverse. Lui era diverso.
    Atasuke Uchiha, questo il nome del compagno al fianco del quale camminava, aveva accettato la sua piccola mano nella propria senza nessun problema o nessuna espressione sdegnata. Non aveva guardato a lei come la figlia della capoclan reietta, sbilanciandosi persino in gesti di galanteria che pochi uomini in generale le avevano mai rivolto e che, com'era prevedibile, non poterono che imbarazzarla.
    Era davvero un tipo strano, quello lì. Alla fine le sue valutazioni non si erano rivelate errate... Nonostante tutto, per quanto quella particolare circostanza potesse emozionarla e riempirla di gioia, era destinata a durare poco: Nell'arco di qualche minuto infatti i due ragazzi arrivarono alle mura di Konoha, e superati i soliti stancanti controlli da cui nessuno era scevro, entrarono all'interno di quel Villaggio che il giovane Uchiha sembrava amare particolarmente... quasi quanto lei. Forse di più?
    Scrutandone il viso di sottecchi, l'erede non poté che domandarsi che tipo di storia avesse quell'uomo alle spalle e cosa creasse quella sfumatura di eterna dolcezza che ne caratterizzava lo sguardo... da dove prendeva tutta quella imperturbabile calma?
    Per cosa o chi, sorrideva sempre?

    “Che ne diresti di venire con me a casa mia per la cena?”



    La domanda arrivò improvvisamente dalle labbra dello Shinobi che la ragazza continuava ad osservare, presentandosi alle orecchie di lei carica di un deciso entusiasmo che fino a quel momento non si era mai rivelato nella persona del suo interlocutore, cosicché se in un primo istante quelle parole vennero accolte dalla Principessa dei Kobayashi con un sorriso mite e gentile e un educato movimento di apprezzamento della di lei testa... appena il loro significato riuscì a fare capolino alla sua mente, la povera creaturina non poté che trasalire, strecciando le sue dita da quelle dell'interlocutore per poi portarsi entrambe le mani alla testa, sgranando i suoi profondi occhi verdi in un'espressione di totale sconvolgimento.
    Sembrava che le avessero appena preannunciato la fine del mondo.
    « EEEH? » Strillò, allibita « COSA HAI DETTO? » Insistette, avvampando fino a sopra le orecchie di un acceso rosso brillante che le conferì, in meno di un istante, l'espressione imbarazzata di una ragazzina di sedici anni appena compiuti « SEI SERIO!? » Chiese ancora, incapace di trattenere la sua meraviglia... Non che ce ne fosse bisogno, del resto Shizuka Kobayashi era famosa per essere trasparente come le acque di un torrente d'estate, per quanto riguardava i suoi sentimenti.
    […] Se passeggiare con un Uchiha e parlare con lui del più del meno era infatti una circostanza assolutamente sensazionale, sentirsi invitare a cena all'interno di quel Quartiere entro cui non le era mai permesso accedere se non previo permesso del Capoclan in persona o del Consiglio degli Anziani, era senza dubbio un evento più importante della prima preghiera annuale al tempio Shintoista delle Terre del Fuoco.
    Per un attimo -forse non rendendosi nemmeno conto di tutte le sfumature che quell'invito avrebbe potuto comportare per lei- la ragazza non poté che portarsi le sue piccole mani alle guance, imbarazzatissima. Come se si fosse resa conto solo in quel momento della situazione in cui versava, si chiuse poi di scatto il kimono ancora aperto che persisteva maliziosamente a mostrare il suo busto semi-nudo, e così facendo abbassò subito lo sguardo, capendo solo allora il significato delle espressioni laconiche delle guardie alle mura.
    Era talmente paonazza che sembrava essere sul punto di svenire.
    « ...Non sono ben vestita per un invito del genere » Balbettò dopo un pò, muovendosi nervosamente sul posto « N-non sono abbastanza graziosa, d-dovrei quantomeno sistemarmi l'obi della divisa ninja e... » Esitò, angosciata, improvvisamente sentendosi impallidire: Era senza trucco! … Santi gli Dei, che razza di faccia aveva in quel momento!?!

    “Non so perchè non potresti starmi vicino qui a Konoha, ma ti posso assicurare che non ci sono problemi... Certo... Non sei obbligata ad accettare... Ma se ti fa piacere... Beh... sei la benvenuta nella mia casa giù nel quartiere Uchiha”



    …. E fu un istante. Un solo rapidissimo istante, ed ella, ascoltando quelle parole, repentinamente ricordò: Ricordò il motivo per cui avrebbe dovuto declinare quell'invito... per cui avrebbe dovuto tornarsene immediatamente a casa, a scrivere la migliore lettera di scuse che le sue mani tremanti le avrebbero permesso di stilare.

    “E poi... Non so se per qualche motivo il tuo accesso al quartiere del clan è limitato a causa di tua madre... Ma... se così fosse... Sono pronto a portarti io stesso sana e salva fino alla mia dimora”



    « Il problema immagino che non sia entrare... » Rispose dopo un attimo la kunoichi. La sua voce, adesso, era divenuta fredda « …Ma uscire » Aggiunse dopo una breve esitazione.
    Rimase dunque a fissare il suolo con gli occhi ridotti a due fessure la Principessa Tempesta del Villaggio della Foglia, prima di alzare il suo sguardo smeraldineo in quello del suo interlocutore, che rimase ad osservare in silenzio per una manciata di interminabili secondi, quasi si ritrovasse a valutare dei dettagli che nessuno, eccetto lei, avrebbe mai conosciuto... ma poi, sospirando nello scuotere la testa con rassegnazione, la ragazza si avvicinò al suo interlocutore, portandosi tanto vicino a lui da far si che le sue parole potessero essere udite solamente dalle sue orecchie, forse pronta a rivelare lui quel qualcosa che nel suo cuore si agitava e che nella sua voce si proiettava come una lama dal doppio filo.
    Nonostante tutto, per quante volte sembrasse essere sul punto di iniziare a parlare, le sue labbra continuarono ad aprirsi e chiudersi nel silenzio più grave, dando di lei l'immagine di una creaturina muta, incapace di esprimersi. Fu costretta a prendersi un attimo di pausa per riuscire, infine, a pronunciare le prime parole di quello che sembrava essere uno dei tanti tasselli di un quadro non ancora delineato, non ancora chiaro...
    « Se entrassi all'interno del Quartiere Uchiha senza permesso, verrei uccisa » Annunciò, e la sua voce si presentò alle orecchie del giovane Uchiha carica di un sentimento che poco aveva a che spartire con quello di gentilezza tenuto durante il viaggio verso le mura del Villaggio « E dopo di me, verrebbe uccisa mia madre » Aggiunse chiudendo gli occhi e intrecciando le sue dita tremanti le une alle altre, quasi sperando che quel suo piccolo gesto potesse fermare quel movimento incontenibile con cui sembrava reagire il suo corpo agli sbalzi d'umore troppo forti e troppo sentiti « Gli Uchiha sanno sempre quello che faccio e dove mi trovo... è quasi sicuro che sappiano già che ti ho incontrato e scortato alle mura: Quanto tempo credi impiegheranno per capire che mi trovo nel loro Quartiere e di quanto tempo pensi avrebbero invece bisogno per tagliarmi la testa? » Domandò, e stavolta quelle parole furono accompagnate da un sorriso divertito: Sembrava rassegnata, molto più di quello che aveva mai dato ad intendere persino a se stessa... sembrava proprio che per lei, quella situazione dolorosa e mortificante, non sarebbe mai cambiata.
    « Mia madre ha imparato a fare della sua condanna un modo per proteggere la sua famiglia, che ha sempre difeso a scapito del suo onore e del suo nome, ma io... » Sorrise amaramente, scuotendo poi la testa « ...sono ancora così inesperta... continuo a fare errori sciocchi, a cadere nelle trappole evidenti di un destino con cui non sono ancora scesa a patti, e dunque adesso mi chiedo » Mormorò, riportando gli occhi in quelli corvini del suo interlocutore, cercando in ogni modo di nascondere quella vena di profonda stanchezza e disarmante tristezza che permeava il suo volto da bambolina « E' giusto che io metta a repentaglio la vita delle persone per amo, per soddisfare un mio desiderio? » ...Un desiderio che aveva sin da bambina, che non l'aveva mai abbandonata, ma che nonostante ciò si presentava solo come una speranza mal risposta, caratterizzante un futuro che non sarebbe mai arrivato...
    Per un attimo, chiudendo gli occhi, la ragazza sentì schiamazzare alle sue orecchie la voce di una giovanissima Ritsuko, la quale, niente più di una bambina di otto anni, l'aveva presa da parte e guardandola con tono d'ammonizione, l'aveva minacciata con il suo rinomato e terribile dito indice, indicando i graffi di cui si era cosparsa, rotolando nel fango mentre rincorreva suo zio fino alle mura del Villaggio...
    ...quella volta aveva urlato con tutte le sue forze il nome di lui, sperando che questo si girasse e le sorridesse, e non perché avesse voluto dirgli parole di sconforto o di malaugurio per quella missione ch'egli si apprestava ad intraprendere, ma perché, semplicemente, lo aveva visto camminare per strada e per un istante aveva creduto di poterlo fermare, poterlo abbracciare, e... e poi, qualcosa avrebbe detto! Qualsiasi cosa!
    Quell'uomo era pur sempre suo zio.
    … E invece lui non si era fermato, superate le grandi porte di legno di Konoha si era dileguato in un istante, e lei, sentendosi la più umiliata e mortificata delle persone di quella terra, tornando a casa aveva detto di essere inciampata mentre scappava dalla presa del custode della sala da té del Villaggio, che vedendola sbirciare dalla finestra era più che deciso ad acchiapparla e suonargliele ben bene. Dopotutto era intollerabile che lei fosse sempre lì a spiare le bellissime Geishe della Oikiya.

    “Siete proprio come la scimmia della favola della tradizione, Ojou-sama!” Le aveva urlato quella volta Ritsuko Aoki, che per quanto si atteggiasse a severa educatrice, era talmente terrorizzata dal sangue che colava dalle ferite della sua padroncina, che a malapena sembrava in grado di orientare correttamente il suo dito accusatore “Continuate a saltare per cercare di arrivare alla Luna, ma è mai possibile che non capiate che non la raggiungerete mai finché non vi decidete ad alzare lo sguardo e diventare più brillante di essa?” E sospirando avrebbe aggiunto “Invece di piangere per non riuscire a prendere il riflesso nel lago, che ne dite di diventare più brava e splendida dell'oggetto del vostro interesse? Così senz'altro, poi sarete più vicino ad esso di quanto immaginiate!!”

    « Cosa si prova ad essere un Uchiha? »



    Le parole le uscirono di bocca prima che potesse frenarle e lei, quasi fosse incapace di distogliere lo sguardo da quello di Atasuke, non poté che rimanere immobile, guardandolo come una sciocca... sentendosi una sciocca!
    Quella domanda avrebbe potuto farlo ridere a crepapelle, e non ci sarebbe stato niente di sbagliato in questo, poiché solo un idiota avrebbe potuto chiedere cosa si provasse ad essere se stessi...
    … Eppure, per quanto quelle parole potessero apparire come la curiosità mal assortita di una povera stolta, lei non poteva fare a meno di domandarselo ogni giorno, da sempre: Cosa si provava ad essere un Uchiha? Perché sua madre e i suoi nonni sembravano essere così orgogliosi di appartenere a quel Clan che non aveva esitato a ripudiarli? Perché nonostante tutto, lo amavano sopra ogni altra cosa...?
    Quel Quartiere era davvero così meraviglioso come le avevano sempre raccontato...? Cosa si provava ad entrarvici, a chiamarlo “casa” ?

    Come ci si sentiva ad alzarsi la mattina e sapersi perfetti e indistruttibili, a sapere di poter essere perfettamente in grado di proteggere chiunque senza il minimo sforzo...?

    Non era curiosità la sua, ma vero bisogno di sapere: Lei, la Principessa dell'imperfezione e dell'errore, che doveva sempre sforzarsi più degli altri per riuscire a difendere le persone che amava... come si sarebbe sentita se il suo nome fosse stato diverso? Se il suo destino avesse potuto cambiare?


    divisore




     
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