L'occhio nella notte[Free GdR]

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  1. Alkaid69
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    Nella notte, un sogno.



    Doveva essere almeno trenta metri sotto terra; quegli stupidi umani l'avevano rinchiuso in quella scatoletta che puzzava dei loro corpi e delle loro tecniche. Lo avevano sigillato ancora una volta, dopo averlo forzatamente rimosso dal corpo dell'ultimo idiota che aveva avuto la sfortuna - o il grande privilegio - di potersi chiamare Jinchuuriki della Volpe a Nove Code.
    Negli ultimi mesi aveva meditato più volte un piano di fuga, un piano per distruggere finalmente quel piccolo insediamento di maiali chiamato Konoha. Potevano sigillare il suo chakra, le sue carni ma mai avrebbero sigillato la sua coscienza. Dopo millenni passati su questa terra, per lui proiettare la propria coscienza all'esterno sorpassando le deboli barriere di quei sigilli umani era uno scherzo, una routine.
    Mesi e mesi passati a cercare il perfetto candidato, quello che l'avrebbe liberato, l'allocco che sarebbe cascato nella trappola.

    E finalmente... finalmente lo aveva trovato.


    [...]



    Erano giorni che il grande colosso di Konoha non dormiva bene. Inizialmente non capiva il motivo. Mangiava e si comportava come sempre; niente era fuori posto, non più fuoriposto del normale, almeno.
    Poi erano cominciati i sogni. Sognava di essere in un'enorme stanza bianca, a volte era troppo lucente per i suoi occhi e doveva chiuderli, e a quel punto si svegliava. Eppure ogni mattina non riusciva a ricordare bene i particolari del sogno. Né chi ci fosse all'interno, né come vi arrivasse ogni volta o come si potesse uscire. Non sembrava esserci nulla all'interno. In piena notte si svegliava, sempre; non come a seguito di un incubo, no, semplicemente si ritrovava con una grossa ansia addosso, un'ansia che poi faticava a scrollarsi di dosso anche rigirandosi nel letto.
    Nell'ultima settimana, però, le cose erano peggiorate: i sogni erano diventati sempre più realistici, e ogni volta sentiva l'opprimente sensazione di essere osservato, scrutinizzato. Era sempre più radicata in lui questa convinzione, la convinzione di essere osservato.
    Inizialmente era confinata al sogno, poi si espanse anche nella vita normale. In certi momenti della giornata percepiva la presenza costante di qualcuno, qualcuno che lo seguiva. E di notte le cose peggioravano soltanto.
    Questo andò avanti per sei giorni. Il settimo, finalmente, lo vide.

    Era un enorme occhio, rosso come il fuoco, intriso di negatività, di desiderio di vendetta. Lo guardava con insistenza, ed era caldissimo, bruciava. La nerissima pupilla sembrava guardargli nel profondo. Avvicinarsi a quell'occhio era impossibile, perché più gli si avvicinava, più il calore cresceva. Ogni sera però sembrava spingerlo ad avvicinarsi di più. Ogni notte il colosso della foglia incontrava l'occhio, e ogni notte quello sembrava più vicino.



    ...sa...ri

    c...a...esi




    Non era chiaro cosa quell'occhio gli stesse dicendo, o se davvero stesse dicendo qualcosa. La voce era così lontana, così debole. Tuttavia, ogni giorno che passava la sentiva con più forza.


    osa...esi...ri

    co...a....de...eri...




    Ogni notte quella voce tornava, ogni notte l'occhio si avvicinava. Oppure era lui che si avvicinava all'occhio?


    Cosa desideri?

    Cosa desideri?




    Una domanda alla quale normalmente un qualsiasi uomo sano di mente si tratterrebbe dal rispondere. Ma quell'occhio era così vicino, emanava così tanto potere, lo metteva così tanto in soggezione.
    Il sogno inibisce la parte cosciente della mente dell'uomo e porta a galla l'inconscio, si sa; quindi come resistere a quel calore, a quella voce imperante?


    Posso darti tutto...

    quello che desideri




    E finalmente la voce era chiara. In quell'ultima notte... il calore era così intenso, il potere così immenso... a portata di mano; avrebbe soltanto dovuto allungare le dita verso quell'enorme pupilla, anche se a costo di farlo avesse dovuto bruciare per l'eternità. Soltanto un piccolo gesto e poi...

    ...e poi...


     
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    Sogni







    I sogni sono le illustrazioni del libro che la tua anima scrive per te.
    E l’anima del Colosso si impegnava a tenerlo sveglio in quei giorni, era un po’ come leggere un simpatico libro di favole per bambini in cui all’improvviso, con naturalezza e purezza, il bianconiglio uccide il malvagio con un lungo coltellaccio arrugginito. È malvagio ti dici, forse merita la morte per le sue malefatte ti ripeti, eppure c’è sempre qualcosa che non torna: nonostante tutto è un libro per bambini, allora inizi a pensare che c’è qualcosa di sbagliato nella testa di chi ha pensato quel libro, a chi ha pensato a quella cruenta conclusione. E quell’errore ti stringe la bocca dello stomaco e inizia a rigirarla sino ad annodarti le budella in una matassa informe che vorresti vomitare, ma non puoi farlo, per cui ti contorci in inutili e vuoti conati.
    Così avrebbe descritto Raizen il preciso momento in cui si svegliava, l’avrebbe raccontato così anche perché non ricordava cosa aveva sognato.
    Spesso, prima di ritrovare il sonno perso all’alba, si trovava a ripetersi che ben poche cose potevano intimidirlo giunto a quel punto, a ripeterselo… a ripeterselo… a ripeterselo.
    Una stanza bianca, immacolata, così candida e luminosa che a stento se ne vedevano i confini e gli spigoli, solo bianco, e quella sensazione che lo opprimeva, che gli faceva dimenticare che non doveva, che non poteva aver paura di nulla, e poi dopo quella sensazione tornava il buio e rapidamente il risveglio che come una spugna cancellava tutto, lasciando solamente una stretta al cuore che nella sua vita aveva provato solamente una volta.
    Solo dopo qualche tempo, quel sogno che inconsciamente sapeva essere ricorrente, gli rimase impresso anche dopo aver aperto gli occhi, più volte temette che la sua “anima” gli stesse tirando qualche brutto scherzo, più volte tentò di comprendere se qualcosa stesse erodendo i rimedi del drago millenario Tekuro.
    Ma nulla, il suo, pareva soltanto essere un sogno ricorrente, forse presto sarebbe passato.
    Presto sarebbe passato.
    Presto il sogno si riempì, diventò reale, diventò… interessante.
    Quella fastidiosa sensazione non durava solamente un sogno, non durava solamente una notte: quella sensazione non lo abbandonò più: notte, giorno, veglia, sonno, mai. Iniziò a dormire con un occhio aperto e un kunai sotto al cuscino e di giorno mentre camminava era solito guardarsi attorno come solamente un soldato esperto sapeva fare, eppure, nulla veniva carpito dai suoi occhi, nessuno lo seguiva, ma forse dire “niente” era un azzardo.
    Era come un sottile ago di vento, fine e quasi impalpabile, ma era sicuro di poterlo sentire mentre gli si conficcava dietro la nuca, in quel punto cieco e così esposto che aveva sempre cercato di stringere con i suoi addestramenti, quel punto cieco in cui soltanto il dubbio trovava spazio.
    Quel dubbio che solo da poco era riuscito ad abbandonare e che ora tornava a rosicchiargli la mente lento e goloso come un cancro, mai veloce e mai sazio.
    Si levò rapido dal letto, sudato, col fiatone, aveva bisogno del bagno, aveva bisogno dell’acqua, accese la luce, scalzo e lavandosi si accorse che all’altezza della bocca c’era qualcosa di strano: sorrideva. Non aveva bisogno del bagno, della luce, o dell’acqua, aveva bisogno di uno specchio: aveva bisogno di sapere cosa pensava realmente. Non avrebbe ripreso sonno quella notte, sapeva di essere sano, sapeva che le cure del suo compagno funzionavano, sapeva che non aveva alcun problema, ma allora perché quel sogno continuava ad essere così simile alle visioni che aveva inizialmente?
    La sua realtà prese nuovamente a muoversi a sciogliersi, tentando di mischiarsi nuovamente ai sogni, il diluente? Quel sottile ago, quel fastidioso, piccolo e irremovibile dubbio:


    Sono solo in questo corpo?

    Non si alzò dal letto quella mattina, non mangiò, non parlò, rimase immobile un intera giornata, e paradossalmente alle prime ore della notte cadde stremato, nuovamente in quel luogo, nuovamente in quella stanza. Quella notte giunse una risposta, un segno, un occhio.
    Era la solita stanza sovrailluminata, ma questa volta non era vuota, questa volta il Cane randagio riuscì a comprendere, riuscì a metabolizzare: un occhio. Comprese che era quella l’origine del suo stato, del suo malessere, della sua angoscia. Prima, come ora, quell’occhio lo osservava poi, fattosi più fine sibilò. Incomprensibile per quanto tenue, tuttavia quel sussurro riusciva a riempire quell’immensità, a dargli una fine, una dimensione, delle pareti in cui rimbalzava e rimbombava, pur restando incomprensibile.
    I giorni scomparvero, rapidi, veloci, paurosi; fuggivano, ormai solo la notte aveva importanza.
    E se era vero che un uomo si giudicava meglio da ciò che sognava sarebbe stato meglio dimenticare presto ciò che il Colosso stava sognando.
    Notte. Rivide l’occhio, lo stesso occhio, lo stesso fuoco che ardeva con la forza del sole, lo stesso fuoco che ora bruciava i suoi vestiti; voleva toccarlo, voleva comprenderlo, voleva farsi del male pur di riuscirci.
    Lo sfiorò, sentì qualcosa, ma non avrebbe mai potuto dire cosa era. Era densa, ma non era carne, ne acqua; calda, ma non era fuoco, ne lava; nera, ma non era la notte. Guardò nello stretto taglio, nella pupilla, e la pupilla guardò in lui, nel profondo. Si allungò ancora, forse era malvagio, forse era nero di odio, di vendetta, era un sentimento che ardeva, che gli bruciava nella mente, che lo bruciava senza ucciderlo.
    Poi, improvviso e chiaro il sussurro si fece voce, l’occhio si agitò, sgranandosi in un primo momento per poi tornare sereno, suadente, espandendosi in tutta la stanza, pienandola di quel freddo e controllato orrore.
    La richiesta era chiara, cristallina: cosa voleva?
    La sua mente presto calò nel caos di mille risposte: fama, potere, caos, giustizia, onore, amore, rispetto. Da quel caos, da quel desiderio nacque un feto, piccolo, atrofico, violaceo; lentamente crebbe, dritto forte, possente: era un idea. Era ego, era desiderio, era Un desiderio, Il desiderio.
    Non sapeva dopo quanto tempo la sua risposta fosse giunta, ma le sue labbra si mossero da sole.


    Libertà.

    Nessun tono, nessuna pretesa, solo una risposta, solo una parola.
    Il Colosso sapeva, il Colosso ne era certo, quell’essere avrebbe compreso il potere di quella parola, il potere della parola libertà, il significato di mille colori in uno soltanto, il piacere di mille desideri in un'unica parola: libertà di esistere, creare, fare e disfare.
    Strinse la mano, rapido, ingordo, voleva nutrirsi di quell’essere come quell’essere si era nutrito di lui, sapeva di poter stringere qualcosa, sapeva che qualcosa di reale in quel calore c’era, sapeva che in quel sentimento che i suoi 5 sensi potevano percepire qualcosa da ghermire c’era.
    Ma non sapeva di chi fosse quel sentimento: a chi parlava? Chi era ad essersi fatto strada nel buio della notte inciampando nei suoi più segreti desideri?
    Non lo sapeva. Non lo chiese, attese una risposta, conscio del fatto che la sua pretendeva tutto ciò che gli era stato offerto: TUTTO.

     
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    Il Legame effettuato.



    E si avvicinava, l'allocco; gli apriva sempre più la sua mente. Era semplicissimo entrare nel suo inconscio, far leva sui suoi desideri. Gli umani erano ingordi, e lui lo sapeva.
    Più penetrava nella psiche della sua vittima, più si sentiva rinvigorito. Cominciò a non lasciarlo più, e ogni volta aumentava l'intensità delle aggressioni. Erano subdole, quasi impercettibili ma c'erano.
    E poi eccolo, eccolo che allunga la mano, il povero stolto. E finalmente il collegamento è completato; ora nulla sarebbe più stato come prima per l'umano.

    Libertà, dice lui. Paradossalmente la libertà era l'unica cosa che non avrebbe mai avuto, dato che sarebbe stato per sempre schiavo della Volpe a Nove Code.
    Quella stessa Volpe rideva ora a squarciagola. Rideva così tanto che sicuramente anche l'umano avrebbe potuto sentirlo.


    [...]




    Nel momento in cui toccò l'occhio sentì immediato bruciore, ma per qualche motivo non riuscì a ritrarre la mano. Normalmente il riflesso condizionato sarebbe quello di allontanarsi, eppure non ce la faceva. La mano sembrava bloccata da una forza immensa. Tirava e tirava, e rideva... come rideva. Poi tutto fu buio. L'occhio era sparito ma sentiva che qualcuno o qualcosa continuava a tirare.
    In quel buio vide il suo volto, vide i suoi denti aguzzi scoperti, puntati verso di lui. E intanto la mano bruciava, e faceva male, un male inimmaginabile.
    Finalmente riuscì a ritrarla, e si svegliò.

    Era arrivato il mattino. Era sudato, aveva il fiato pesante, ma notò che il bruciore alla mano era passato. Ovvio, era stato solo un sogno...

    Almeno per il momento...
    Sì perché nonostante sembrasse una mattina come tante altre, qualcosa lo rendeva irrequieto. La sensazione di calma e desiderio che provava durante il sogno era tutto il contrario di ciò che provava ora. Alcuni potrebbero addirittura pensare di rintanarsi nel sogno, per mantenere quella gioia e rifuggire dall'irrequietezza.
    Ogni tanto la sua vista si annebbiava, e poi vedeva macchie rosse o arancioni negli angoli. La sua vista percepiva i colori molto più caldi rispetto al solito, e man mano che la giornata avanzava vedeva sempre più spesso quelle macchie con la coda dell'occhio. Ma se poi si voltava per metterle a fuoco, svanivano.
    Verso la sera cominciarono gli strani suoni. Dai vicoli percepiva sussurri, tra le fronde degli alberi dei respiri, intorno a sé dei passi. Ma se avesse chiesto in giro, nessun altro avrebbe confermato la presenza di quei suoni.
    Era possibile che stesse nuovamente perdendo il senno?

    Tuttavia nonostante l'opprimente sensazione sarebbe riuscito ad addormentarsi, se l'avesse voluto.
    E poi ci fu il sogno.

    Era tornato nella stanza bianca, e questa volta vedeva ben due occhi; erano talmente vicini che riusciva a percepire anche il loro caldo respiro sul volto.


    Desideriamo entrambi la libertà

    Siamo la stessa entità




    C'era qualcosa di familiare in quella voce. Il colosso non avrebbe potuto dire la ragione, ma quella voce gli era molto vicina, come se la conoscesse da tempo immemore.


    Poiché siamo un'unica cosa

    Vogliamo la stessa cosa




    Era vero. Poteva chiaramente sentire quello a cui anelavano gli occhi, ed era la stessa cosa che desiderava anche lui. Forse era vero, forse si stava immaginando tutto ed era lui stesso che stava cercando di comunicare con il suo subconscio, di dirsi qualcosa Che quegli occhi fossero in realtà i suoi.


    Accetti te stesso?

    Devi accettare te stesso




    Ecco quindi la domanda, una domanda che però nel retro della sua mente sembrava anche un imperativo, no, un'esortazione... un invito.
    Un invito ad accettare tutto ciò che era, ciò che era stato... per afferrare a piene mani il futuro che desiderava.


    Se desideri la forza per liberarti

    Se desideri il potere per liberarti





    Non devi fare altro...

    Che dire di Sì






     
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    Agorafobia







    La risposta non giunse, non sentì nulla, solo una risata, una grassa e fragorosa risata gli esplose nella testa, riempiendone ogni angolo, ogni pertugio, contemporaneamente: dolore.
    La mano del Colosso prese a bruciare con un intensità che aveva dell’anormale anche per del fuoco, un calore così intenso, che la sua pelle stessa si agitava per liberarsene sfrigolando e colando quei liquidi che sarebbero dovuti rimanerci dentro. Non poteva paragonarlo al metallo fuso, quello era troppo caldo, questo era misurato, denso, pece, questo era, densa pece nera che gli avvolgeva la mano in una guaina spessa e uniforme, scottando, bruciando, carbonizzando.
    O almeno, era ciò che credeva succedesse, in realtà la sua mano non bruciava, era solo dolore, intenso dolore, come se le fiamme si adoperassero con chirurgica attenzione per dilaniargli le carni e poi ripristinarle. Era combattuto il colosso, avrebbe voluto ritrarre la mano, e al contempo avrebbe voluto tenerla li per soddisfare la sua curiosità, per vedere, per capire, per sapere cosa era. Tuttavia l’istinto ebbe la meglio e la mano venne ritratta, o meglio, quello cercava di fare il colosso, tuttavia la mano non si mosse, inchiodata in quella posizione, non che qualcosa gli stringesse il polso, o le dita, semplicemente tutta la sua mano veniva trattenuta da una forza così potente che non riuscì minimamente a smuoverla, per quanto fosse forte dall’altra parte qualcosa aveva cementato la sua mano e la teneva immobile in quel mare di lame roventi. Una prova? Era forse questo? Forza bruta e testa china?
    No. Non era una prova, chiunque tirasse era forte, non aveva bisogno di dimostrazioni, chiunque tirava si stava divertendo, e lo faceva solo per mostrare quanto il konohaniano fosse debole. Tra quelle fiamme nessun suono, ne il respiro di Raizen che dovrebbe essere ormai affannoso, ne l’ardere delle fiamme, solo la continua e potente risata, nulla più.
    Il buio lo abbracciò, avvolgendolo totalmente, le fiamme si fecero più forti scavando nel profondo di quell’oscurità, fu strano passare da quel bianco accecante a quell’oscurità così profonda, era come tuffarsi dentro un’altra dimensione, nel viaggio il dolore, ormai insostenibile e potente non lo abbandonò per un solo secondo, come anche l’occhio che lento assunse un espressione di pure libidine.
    In quel buio qualcosa lo stava aspettando.
    Era li, imponente, supremo… riuscì a vederne i tratti, non era umano, era di più. Gli puntava un morso aguzzo e umido davanti, respirandogli sopra il calore dell’inferno.
    L’aveva visto, e non sapeva cosa era, e per quella notte non l’avrebbe saputo, il sogno finì con quella visione e il konohaniano si svegliò di soprassalto, con la mano dolorante, a giudicare dal candore della sinistra si era stretto la destra proprio con quella, tuttavia c’era solo una parola che lo tormentava:

    Quella.

    Un unico maledetto pronome indicativo che indicava soltanto una cosa: ignoranza. Ancora lui non sapeva cosa avesse davanti, niente di più che gli offuscati lineamenti di una fiera.
    Si battè più volte le mani sulla testa, come se cercasse di buttarla fuori, non era però un gesto violento, era lento e misurato come se battesse un ritmo, ma più si sforzava più comprendeva che una simile cosa non l’aveva mai vista prima di quel momento.
    Si levò di scatto, stufo di annichilirsi dentro le coperte, si vestì rapido e sgranchendo la mano destra ancora un po’ rattrappita si diresse all’esterno, aveva bisogno di mangiare dopotutto.
    Si sedette nel chiosco di ramen sotto casa, così chiamava il tetto diroccato con un materasso lercio che lo ospitava recentemente.
    Ordinò il solito, il vecchino sapeva cosa il Colosso voleva, ormai era un cliente affezionato, non simpatico, ma pagava sempre tutto e con qualche spicciolo di mancia, per cui si poteva soprassedere ad alcune virgole fuori posto. Era torvo quella mattina, e il vecchino, che di anni ormai ne aveva passati, sapeva riconoscere quando era il momento di tenere la bocca chiusa. Il cane bianco entrò circospetto, richiudendosi rapidamente le tendine alle spalle, si sedette, ordinando con l’indice di una mano all’aria e rimase in attesa, con le spalle basse e lo sguardo arzillo che si muoveva dallo spigolo a quel pertugio, dal pertugio a quell’ombra strana un po’ più in la.


    Tutto apposto, ragazzo?

    Chiese innocentemente il vecchio mentre serviva il piatto, che per tutta risposta ebbe un piccolo movimento del capo, il cliente annuiva, e lui aveva fatto il suo dovere, per cui non se ne preoccupò, tornando alle sue stoviglie. Ma un simile comportamento lo si ignora sino a quando si può.

    Vecchio, vieni qui.

    Comandò il Colosso seduto al bancone.

    Abbassati e non fiatare, fingi di pulire il bancone, o ti metto questa baracca al contrario.
    Se stai buono puoi tirarci su una buona mancia, se fai stupidaggini ci perdi una vita di lavoro.


    Appena il vecchino si chinò, Raizen, intento nel prendere una porzione di spaghetti chiese a mezzavoce:

    Dimmi chi diavolo c’è nel retrobottega, non mentire, non farmi arrabbiare, non sono simpatico quando mi arrabbio.

    Simpatico lo era raramente, ma di sicuro, da arrabbiato, lo sarebbe stato decisamente meno, ed è meglio non indagare su cosa ci sia oltre il limite dello 0, soprattutto con quelle occhiaie nere che facevano di tutto per suggerire una pacata sottomissione a quella che era una mente ben poco equilibrata.

    N-n-nessuno, davvero, se vuole posso farle v-v-vedere.

    Disse con la più sconcertante sincerità, mentre il Colosso rilasciava la presa sul colletto. Il Cane lasciò la paga sul tavolo e rapido si dileguò, tormentato da ombre che probabilmente solo lui percepiva. Tornò a passo lesto nella sua abitazione, continuando a scrutare ogni angolo, una volta persino sfoderando la lama di fronte ad una ragazzina a cui probabilmente gelò il sangue nelle vene.
    Con un tonfo richiuse la porta e posizionatosi in un angolo analizzò quel rimasuglio di appartamento che lo ospitava andando rapidamente a sigillare eventuali punti d’osservazione o d’attacco per poi sedersi nell’angolo più sicuro e da li osservare l’intera stanza, accovacciato, muto, teso… stanco.
    Avrebbe continuato a scavare all’infinito tra i vari cunicoli del labirinto che aveva in testa, ma ormai non c’era nulla da scoprire, la spada, Livon, Diogene, qualsiasi cosa era troppo distante da lui per nuocergli.
    Cosa era?
    Chiuse gli occhi e dormì, non potendo più combattere quell’abbraccio così insistente di Morfeo.
    Di nuovo la stanza.
    Di nuovo li.
    Se era la sua follia avrebbe potuto interagirci, se era sua, come l’altra volta, avrebbe potuto placarla.


    T…!!!

    Parlò nuovamente, con quella voce suadente, profonda, antica…familiare e lo ammansì. Parlò di nuovo sussurrandogli all’orecchio le stesse parole, gli stessi desideri. Chi sussurrava? Lui, o Quella?
    Erano quegli occhi? Erano loro? Si. Erano loro a parlare, si.
    Ma di chi erano? Suoi?


    Dimmi chi sei, Forza.

    Ordinò. Se era la sua follia sarebbe esplosa, la sua follia non accettava ordini, la sua follia l’avrebbe travolto, proprio come avrebbe fatto lui, ma lui COME travolgeva?

    E forse ti concederò il piacere di essere utilizzata come chiedi

    “Parlami” pensava tra se e se “parlami follia” insisteva, di continuo “parlami di ciò che voglio” pretendeva. Stuzzicava. Aspettava. Perchè un gatto sa sempre dove spunterà il Suo topo.

    Parla, e se sei me, rispondi ciò che sto pensando.

    Mise all’angolo gli occhi, perché altro non vedeva, e attese, la sua mossa era uno scacco, un passo falso da parte di una delle due parti avrebbe sancito chi fosse il matto. Perché per svegliare un folle ci vuole sempre un pazzo. Non era la prima volta che si confrontava con una cosa simile, la prima volta gli diede il nome di Ego. Ego era grande, insormontabile, forte. Ego però non era ma stato malvagio, non era mai stato suadente, perché Ego non ne aveva bisogno, perché Ego non era nient’altro che se stesso, ed Ego non poteva cambiare, Raizen lo aveva accettato già da un pezzo. Per cui la domanda continuava a restare la stessa: se Raizen si era accettato, quante volte avrebbe dovuto farlo? E questa volta con chi doveva farlo? Con quale sua parte?

    Edited by F e n i x - 21/9/2012, 22:20
     
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    Erodere lo spirito



    Per un giorno intero gli impiantò visioni d'ogni tipo nella testa, per un giorno intero lavorò ad erodere pian piano la sua mente, eppure a nulla sembravano valsi i suoi sforzi. Pur nel sogno inconscio, pur dopo una giornata di tormenti quell'ometto aveva avuto la forza di rispondere a tono a LUI.
    No, ogni mente può essere scalfita, basta insistere, perseverare, e alla fine chiunque cede. Cosa sarebbe accaduto a quella sua forte tempra, se non fosse più riuscito a dormire? Se fosse stato tormentato ogni giorno da delle visioni sempre più spaventose, raccapriccianti e inconcepibili?

    Presto... molto presto. Doveva solo pazientare, doveva solo aspettare che gli aprisse ancora di più la sua mente...


    [...]



    Gli occhi diedero la loro risposta, ma non si mossero; erano fissi su di lui.


    Non comprendi e non accetti

    L'ostilità non ti aiuterà







    Non è servilitù, è un equo scambio

    Sciocco umano




    Era vero. Poteva chiaramente sentire quello a cui anelavano gli occhi, ed era la stessa cosa che desiderava anche lui. Forse era vero, forse si stava immaginando tutto ed era lui stesso che stava cercando di comunicare con il suo subconscio, di dirsi qualcosa. Che quegli occhi fossero in realtà i suoi?


    Non sei pronto.

    Cercami quando lo sarai...




    E si svegliò, nel bel mezzo della notte.
    Avrebbe potuto alzarsi, distrarsi, fare altro ma la sensazione che aveva avuto nei giorni precedenti, quella di essere continuamente scrutato, sembrava essere diventata incredibilmente più intensa. Avrebbe potuto ignorarla per qualche minuto con la forza di volontà, o pensando ad altro, ma come un orologio precisissimo quella tornava, forse anche più forte di prima. Qualcuno sembrava non volergli far chiudere occhi, quella sera.
    Per tre giorni e tre notti ebbe visioni sempre più impossibili, per tre giorni e tre notti non sarebbe riuscito a chiudere occhio. Poteva essere una macchia lì, un rumore là, sensazioni che non lo lasciavano e si intensificavano soltanto col passare del tempo.
    L'ultimo giorno fu il peggiore: durante normali conversazioni era soggetto ad allucinazioni sempre peggiori, tanto che poteva giurare di aver visto più volte le facce degli interlocutori prendere forme bestiali, di animali feroci, anche se erano talmente improvvise e istantanee che non riusciva a dire con esattezza di che animali si trattasse. Forse cani o lupi o qualcosa di molto simile.
    Guardando nello specchio avrebbe visto ogni volta immagini distorte di sé, anche se solo per pochi secondi; aveva degli occhi rossi con pupille scure e dei solchi simili a rughe sulle guance.

    Però quella notte, a meno di imprevisti, sarebbe riuscito a dormire, finalmente. Tre notti senza chiudere occhio lo avevano di certo deperito molto, e le costanti allucinazioni avrebbero sicuramente scalfito anche il più duro dei colossi. Che fosse tutto opera di qualche suo nemico? Un genjutsu? Una droga?

    Ma intanto si addormentò, e gli occhi erano lì, ad attenderlo.


    Perché ti fai questo?

    Sei tu a desiderarlo...





    Smetti di fuggire

    Puoi far cessare tutto





    Vieni da me...

    Vieni nel luogo dove ho dimora




    E vide chiaramente l'immagine di un palazzo formarsi nel nero dei due occhi. Era un normale complesso di appartamenti, composto da circa 4 piani. Non c'erano tratti distintivi nel palazzo, sembrava un edificio come tanti; anche se forse qualche dettaglio dei dintorni poteva richiamare l'attenzione dell'osservatore. L'immagine svanì subito ma per qualche motivo il colosso riuscì a ricordarla perfettamente anche dopo che era sparita.



     
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    Cacciatore e preda







    Ci fu del silenzio, per un periodo indeterminato, in quella stasi, come in tutti i sogni, era difficile dire quanto tempo fosse passato, ma dopo un po’ l’Essenza, così avrebbe definito la maleducata “cosa” che gli parlava nella testa, parlò.
    E sbagliò.


    Hai perso!

    Disse mentre portava una mano alle tempie e battendo con un dito su di esse.

    Qui dentro, candelabro troppo cresciuto, c’è un labirinto e i tuoi poteri pare che non sappiano indicarti la via d’uscita.

    Si mise braccia conserte, ponendo il peso su una sola gamba.

    Se è uno scambio cosa vuoi da me?
    Io sono già pronto.


    Concluse serio e deciso, ma soprattutto sincero. Il Colosso non era mai stato un contadinotto dalle modeste pretese, a cui basta l’orticello per vivere e qualche scambio con l’allevatore li vicino, anelava il potere, e l’aveva sempre fatto. Era così invaghito dal controllo ottenibile mediante quella fonte di potere che aveva dinnanzi che probabilmente, se essa avesse voluto uno scambio alla pari, sarebbero già una cosa sola, anche perché ormai sapeva di non parlare con se stesso: qualcosa li fuori si era accorto di lui.
    Tuttavia le domande del Colosso non trovarono risposta concreta, se non un violento risveglio che con un tremito lo fece sobbalzare nel suo affezionato angolino.
    Nella notte, una risata.
    Pareva che quella schiacciante presenza l’avesse lasciato, respirò a pieni polmoni, rilassando le spalle e chinando la testa, era la prima volta che liberarsi da quelle visioni era così semplice, socchiuse gli occhi mentre tentava di alzarsi, solo in quel momento sentì quella disumana cascata di chakra che lo teneva incollato al pavimento. Reagì d’istinto il Cane bianco, poggiando i palmi sul pavimento ed issandosi su di essi sferrò un potente calcio alle sue spalle, sfondando il muro di legno.
    Aveva ancora gli occhi sgranati, ma alle sue spalle c’era soltanto il muro, nient’altro, quell’enorme peso, quello sguardo invisibile era così vicino a lui da stargli dentro. Si alzò, cercando di ignorare un peso che non aveva mai sostenuto prima, rendendosi conto che l’alba era nuovamente giunta.
    Si stropicciò il viso iniziando a pensare che la sfortuna iniziava ad essere uno stalker decisamente efficiente, tuttavia prendeva il vizio di portarsi dietro sempre qualche pessimo ospite. Il Colosso si levò, prendendo le strade di Konoha, probabilmente per l’ultima volta da li ad un bel pezzo, messo un piede fuori dalla soglia gli si presentò davanti uno scenario orrendo, il vecchino che gli serviva il ramen sino al giorno prima era impalato nei resti del suo locale, nel resto della via le peggiori bestemmi scritte usando come pennello il liquido che colava dalle ossa appena tagliate, in quella carneficina, una risata. Dopo qualche terribile istante tutto scomparve, come se non fosse mai esistito, lasciando posto alla normale realtà.
    Lievemente meravigliato, quanto sollevato accelerò il passo, iniziando a marciare verso un piccolo locale di cibo esotico, non ci era mai entrato, ed era meglio così, non sapeva sin dove potevano spingersi quei piccoli spicchi di realtà alternative, per cui sarebbe stato meglio non stare a contatto con i soliti posti ordinò da un simpatico straniero del cibo a portar via, 3 volte al giorno, da consegnare a domicilio: colazione pranzo e cena, filò tutto liscio, tranne nel momento in cui levò il capo per pagarlo, trovandosi davanti un volto del tutto sfigurato, orribile, il parto di una mente sadica e perversa che non aveva altri obiettivi se non logorarlo nel profondo; avrebbe probabilmente vomitato l’anima se quella visione non fosse scomparsa improvvisamente.
    Girò le spalle al negoziante dopo aver ricevuto la sua risposta e tornò in casa, tutto intorno a lui stava assumendo una maschera orrida e truculenta e lo spaventava. Aveva avuto la conferma che quella presenza non era la sua mente, ma qualcosa di esterno, e poteva darsi che quella presenza fosse la causa delle visioni.
    Ma era veramente così?
    Non poteva esserne sicuro, una simile modifica a quel grado, a tutte le sue percezioni non era fattibile da un esterno c he non aveva mai visto ne incontrato, e di certo non poteva dubitare del vecchio del ramen, optò per la scelta migliore: rinchiudersi in casa.
    Da quel giorno si sarebbe barricato in casa, passando al fattorino i soldi da sotto la porta ed aspettando che si allontanasse prima di ritirare il pasto, e nonostante tutto, anche sigillato in casa, quelle ombre continuavano a perseguitarlo, ad allungarsi, fini e nodose, sino a sfiorarlo; lo guardavano, lo annusavano, lo assaggiavano.


    NnnnnnANDATE VIA! VIA!

    Ma sarebbero tornate, tornavano sempre, poco dopo ritornavano, con nuovi occhi, con nuovi denti, con nuove espressioni, afferrando i suoi sogni e avvolgendolo in un nugolo di tremori e tachicardia. Passarono tre giorni, in cui notti troppo lunghe lasciavano il posto a giornate buie e puzzolenti, ammorbate da vestiti sporchi, odore di chiuso e aria immobile. E in un angolo, un Colosso, diventato improvvisamente piccolo, così piccolo che nessuno mai si sarebbe aspettato di ritrovarlo li, ad interpretare il fantasma di se stesso, occhi incavati e iniettati di sangue, contornati da profonde e scure occhiaie.
    Non sapeva se era troppo stanco anche per avere delle visioni, per immaginare, tuttavia quella sera riuscì a dormire, avrebbe pianto di gioia mentre sentiva le sue membra rilassarsi, senza contrarsi nuovamente agitate da chissà quale visione, ma era troppo stanco anche per fare quello.
    Nella stanza di nuovo, carponi, stanco.


    Dimmi chi sei!

    La fissò, lo fissò, non sapeva, guardò quegli occhi con lo stesso sguardo con cui una belva guardava il suo bracconiere avvicinarsi, aspettando l'unico momento, quel preciso istante per l’ultimo attacco sufficiente a portarselo con se nella tomba, a costo dell’ultimo respiro. Ma la voce era suadente, la voce poteva far smettere tutto.
    Oppure sarebbe stato lui a farlo cessare, come sempre, come prima.


    Allora mi vuoi, vero?

    Sorrise leccandosi le labbra, sentiva l'appetito crescere, sentiva Quell'appetito.

    Vedremo, chi vuole più chi, vedremo, ronzino da strapazzo, chi sarà il re e chi il cavallo, chi sarà il bracconiere e chi la bestia.
    Vedremo, chi mangerà chi.


    Vide il palazzo, vide quel posto, un vecchio quartiere di periferia, ci era già stato, un ala disabitata di un qualche clan di cui non aveva rispettato i divieti.
    Si svegliò con quel ricordo perfettamente intatto nella mente, non si sarebbe recato li come uno straccione con l’animo e il fisico divorato dalla follia, si recò nel bagno, o meglio, l’angolo della bicocca ad esso dedicata, raddrizzando un tubo che fungeva da doccia, lavandosi di dosso quei giorni disperati.
    Il Colosso camminò col fuoco nell’anima e la brace alle sue spalle.
    Il palazzo era del tutto anonimo, bianco, sporco di tempo e muffa, profonde crepe e qualche muro diroccato, attorno ad esso un piccolo quartiere colmo di graffiti e spazzatura, un classico sobborgo, contornato da qualche animale domestico troppo magro anche per impersonare una pelliccia decente.
    La porta dell’edificio però era mascherata, non era vecchia come sembrava, dietro ad essa infatti, tarlata ed ammuffita dal tempo come ci si aspetta, ve ne stava un'altra, blindata, sarebbe servita ben più di una spallata per toglierla di mezzo.
    Ma il luogo era quello.


    Ti sto aspettando.

    Schiarì mentalmente, sapeva che avrebbe sentito, se poteva sorvegliarlo, se poteva causargli visioni, se poteva assillarlo nei suoi sogni poteva sentirlo, ne era certo.
    Certo di non parlare a se stesso. O così continuava a ripetersi, senza ammettere che era li soltanto per vedere quanto di vero ci fosse, quanto di se stesso avrebbe trovato li dentro: quanto reale era la sua follia, e se lui era folle ad interagirci, oppure se tutto fosse stato organizzato da qualcuno.
     
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    Corpo e spirito



    Ed eccolo che arriva, lo sciocco. I giorni di incessanti incubi notturni e diurni dovevano averlo sfiancato, perché finalmente la sua testa si era aperta come una noce sotto il peso di un macigno.
    Ora tutti i suoi sentimenti erano lì sul tavolo da gioco, pronti per essere sfruttati.

    Sarebbe entrato, sarebbe stato vicinissimo... e a quel punto...




    [...]



    L'enorme porta in acciaio sembrava voler esprimere un monito: nessuno dovrà mai toccare ciò che dimora all'interno. Non c'erano serrature, né maniglie visibili (a parte due anelli grandi quanto una mano che evidentemente servivano per tirare le doppie ante di cui era composta).
    Konoha aveva preso una struttura apparentemente comune e aveva relegato lì quella... entità. Quale miglior modo di nascondere qualcosa, se non in piena vista? D'altronde un luogo così comune è l'ultimo che una normale mente andrebbe a setacciare. Ma Konoha non aveva messo in conto l'incredibile forza di volontà di quell'entità, che a costo di grandi sacrifici era riuscita a superare tutte quelle "barriere", che fossero fisiche o fatte di chakra.

    Ora un difficile compito si presentava davanti al colosso della foglia: riuscire ad entrare in quell'edificio.

    La porta blindata non sembrava potersi smuovere: spingendo o tirando anche con una forza incredibile non accadeva nulla.
    Avrebbe potuto pensare di abbatterla con qualche tecnica, anche se il baccano avrebbe potuto destare qualche sospetto, e non c'era neppure la sicurezza che sarebbe riuscito nel suo intento. Inoltre cercare invece di distruggere le mura ben presto si sarebbe rivelata un'idea fallimentare: dopo un metro di cemento armato si sarebbe trovati di fronte ad una lamina d'acciaio spessissima molto simile alla porta stessa.
    Soltanto con un attentissima osservazione (molto difficile nello stato mentale in cui verteva il colosso) sarebbe riuscito a notare dei minuscoli sigilli sul bordo dei due anelli. Cercare di cancellarli - tramite il chakra o addirittura tentando di distruggere gli anelli - era impossibile: tutto in quella porta sembrava essere fatto dello stesso materiale inespugnabile. Chi aveva ideato quella struttura doveva avere avuto come unico obbiettivo quello di impedire che qualcuno entrasse, ad ogni costo... oppure... oppure forse impedire che qualsiasi cosa vi fosse all'interno non uscisse? Entrambi erano supposizioni valide.

    Cosa fare?
    L'entità non dava segni di vita... forse poteva comunicare con lui soltanto nei i sogni. Sicuramente era sconveniente: nessuna provvidenza (divina o demoniaca che fosse) lo avrebbe potuto aiutare.

    Se fosse riuscito a entrare, si sarebbe ritrovato all'interno di una grande stanza... vuota.
    Era molto simile alla stanza bianca che il colosso aveva visto più volte nei sogni. Questa volta, però, nella parte centrale della stanza notò una piccola botola.
    Avvicinandosi avrebbe sentito l'ansia crescere, ma assieme a quella c'era un crescente bisogno di vedere il contenuto della botola, un desiderio inesplicabile che forse avrebbe individuato come non suo.

    Arrivato a neanche due metri dalla botola, improvvisamente, sentì una voce alle sue spalle.

    « Non lo fare, ragazzo. »

    Voltandosi, avrebbe visto un anziano signore. Sembrava essere comparso dal nulla.
    Portava delle normalissime vesti da passeggio (a dir la verità fin troppo giovanili), dei normalissimi occhiali e una tracolla. Sembrava un normalissimo vecchio, forse un po' eccentrico ma non è difficile vederne di quel tipo all'interno della Foglia, che pullula di tipi eccentrici.
    Ma se era così normale, cosa ci faceva in quel luogo, e come era riuscito ad arrivargli alle spalle senza farsi notare?

    « Quella cosa non fa per te. »



    SPOILER (click to view)
    La porta si apre dopo aver infuso nei sigilli nella quasi totalità il proprio chakra.



     
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    La botola








    L’attesa si rivelò inutile, del tutto. Nella sua mente, come all’esterno, regnava il più totale silenzio, la più totale tranquillità, niente si muoveva, niente mutava, niente si palesava.

    E così, ti fai desiderare, cane bastardo.

    Esaminò l’edificio con lo sguardo, senza riuscire a notare nulla di particolare se non alcune finestre murate nel corpo principale, tuttavia, a due finestre dal portone, la successiva era aperta, o meglio, rotta, si intrufolò nell’edificio grazie ad essa, solamente per constatare che un ala dello stesso era del tutto sigillata, un muro infatti avvolgeva la stessa in tutti i lati, di fatto impedendo l’accesso alla sua parte più rilevante.
    Qualcuno li nascondeva qualcosa, ma non era del tutto esatto, quando si nasconde qualcosa lo si fa sotto terra, magari in un passaggio segreto, ma tutto quello era un po’ differente.
    Tornò all’esterno, contando di aprire il portone per vedere cosa si celava all’interno della stanza.
    Il portone era grande, ciclopico, e tale aggettivo era dato non tanto dalle dimensioni ma dallo spessore che Raizen era riuscito a percepire grazie a qualche metodo artigianale che aveva appreso insieme all’arte del fabbro, inoltre l’acciaio era ottimo: sfondarlo caricando a testa bassa sarebbe stato inutile, probabilmente anche i muri erano duri quanto la porta, anzi, forse anche di più. Il punto più debole di un muro di cinta è sempre la porta, lo aveva imparato in qualche anno di servizio all’accademia, ed era anche abbastanza scontato che fosse così, tuttavia, per quanto si impegnasse, non riusciva a trovare in quella porta nulla che assomigliasse ad una serratura, oltre il vecchio legno, solamente un'unica lastra liscia con sopra due maniglie. Impossibile da smovere come constatò il colosso, nonostante tutta la forza che era in grado di esercitare la porta non si smuoveva di un solo millimetro, spossato e quasi irritato il colosso si sedette sul lieve gradino sotto al portone. Per quanto la porta fosse tediosa ed impossibile da aprire non aveva un viso o un anima da maledire, quindi era impossibile inveire contro di essa.


    Effettivamente, una porta è un pezzo di muro che si apre, ma se nella porta non c’è una serratura come la apri?

    La risposta pendeva al suo fianco, legata alla cintola.
    Con il solito gesto lento e misurato estrasse la katana, ormai quasi un abitudine, contraria a quasi tutte le scuole di spada che prevedevano un estrazione rapida e mortale, si concedeva sempre un autocelebrazione, mostrando al suo avversario la perfezione della sua opera, della sua lama, che solo in mano sua esprimeva tutto il suo potenziale. Gli mancava la sensazione del vento che gli agitava le membra in quei momenti, ma non aveva perso tutto, qualcosa era rimasto.
    Portò la lama indietro, impugnandola con entrambe le mani, sinistra sull’elsa e destra sul pomolo, posta in modo da poterlo spingere col palmo: avrebbe tentato un affondo, un terribile affondo, nell’unico punto in cui intravvedeva una debolezza, la sottilissima linea che divideva le due ante.
    Convogliò il chakra necessario prima di coordinare un perfetto movimento che l’avrebbe portato a distendere quasi completamente le braccia, in modo da ottenerne la massima forza e potervi scaricare tutta la propria massa, oltre a quella, si sarebbe aggiunto un preciso fendente di chakra, indirizzato a rimuovere qualsiasi ostacolo che impedisse l’apertura del cancello.
    Nulla. Niente variò, solamente la sua lama si conficcò parzialmente nella fessura, qualche millimetro appena, ma senza grandi risultati, solo le maniglie sobbalzarono, nonostante l’immobilità del portone: da cosa erano state agitate e soprattutto: cosa le aveva arroventate?
    Non lo sapeva, ma presto tornarono del loro colore originario, e dalla temperatura che Raizen si assicurò avessero, pareva non fossero mai state incandescenti.
    Li non veniva nascosto qualcosa, li qualcosa veniva tenuto in catene, qualcosa li sotto era occultato, temuto. Qualcosa era prigioniera dietro a quel portone, ma si poteva veramente prendere un edificio intero e trasformarlo in una prigione senza che Konoha non ne sapesse nulla?
    Era una domanda retorica, si rispose tra se e se, ma a quel punto quella domanda diventava il grembo per una seconda, ben più importante: cosa, Konoha, reputava così importante da doverlo nascondere in quel luogo e imprigionare?
    Le risposte a quella domanda non erano poi tante, e tutti conducevano a degli scenari ben poco gradevoli. Ben poco gradevoli per un cacasotto.
    Vedere il Colosso in quel momento sarebbe stata un esperienza trascendentale da cui probabilmente anche il re degli yokai avrebbe tratto degli incubi. Ratto si alzò, scomposto, sorridente con un innaturale bagliore negli occhi, irrequieto, spasmodico, irrefrenabile, prese a battere contro la porta con entrambi i pugni, pugni troppo duri per non scaturire alcun effetto.


    Apri!
    Apri!
    APRI!
    APRI!
    APRIMI!


    Il portone rispondeva col divieto, con la negazione, come un crudele giudice il suo gong ripeteva la stessa sentenza: non puoi passare. Lentamente quel profondo suono di metallo lo riportò alla realtà, ma il portone restava chiuso, solamente ora, stanco e quasi accasciato su di esso, notò le due maniglie, non poteva definirle grandi, in quanto proporzionate alla porta, tuttavia non erano piccole se paragonate a delle normali maniglie, ciò che lo catturò però non furono le dimensioni, quanto l’accuratezza di un fine disegno, un ordinata scrittura, un perfetto sigillo. Per qualche secondo si sentì uno stupido a non aver collegato il rossore del metallo ad un simile sotterfugio, anche abbastanza naturale in quei casi.
    Tuttavia, se il chakra impresso sulla spada era riuscito ammala pena a far arrossire le maniglie ce ne sarebbe voluto parecchio per poter forzare quel portone.
    Pose le mani sulle due maniglie ed iniziò a convogliarvi il chakra, la sensazione era strana, fastidiosa, ma sortiva i suoi effetti: le maniglie da grigie divennero rosse e poi bianche, sino a brillare di luce propria, poco prima di permettere al cancello di aprirsi.
    Si trovò nuovamente nella stanza bianca, temette di essere svenuto per lo sforzo, tuttavia voltandosi avrebbe notato ancora l’esterno, che gli confermò, rasserenandolo, che quella era la realtà. Tutto però era come nel sogno, tranne un particolare, un piccolo particolare quadrato, una botola al centro della stanza.


    CITAZIONE
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    Tu-Tum Tu-Tum

    Tu-Tum Tu-Tum


    .

    Era li, doveva aprirla, ora, non c’era tempo di aspettare, non poteva aspettare neanche un secondo.
    Si trascinò avanti, stanco, non del tutto privo di linfa vitale, ma non aveva mai sopportato una simile perdita di chakra concentrata in una sola volta. Che fosse a causa di quella che sentiva il cuore martellargli nella testa? Oppure cosa? Era forse appena sceso troppo infondo a tutto quel caos? Che si stesse davvero spingendo troppo oltre?


    Non lo fare ragazzo.

    Ripetè a se stesso, come un disco rotto, arrestando la mano a pochi centimetri dalla botola, risvegliandosi di fatto, come se avesse ricevuto un violento colpo proprio sul muso.

    Cosa? Cosa non fa per me?
    Chi sei vecchio?
    Cosa nasconde qui sotto Konoha?


    Non sapeva quale delle tre domande fosse la più importante, ma omesse la parola più importante: grazie, probabilmente, nonostante lui non ne fosse cosciente, aprire quella botola in quel momento sarebbe stato troppo pericoloso: poco chakra, poca testa a causa della troppa stanchezza, meglio riprendere fiato e ascoltare le parole del vecchio silenzioso, con la mano sopra l’elsa della spada.
    Poteva essere amico come nemico, anche perché nel primo caso, si sarebbe potuto palesare prima, e non aspettare che il Colosso si esaurisse per poi impedirgli di accedere al POTERE.
    Quella parola riempì con la violenza di un fiume in piena la testa di Raizen facendogli inconsciamente compiere un altro passo verso la botola, mentre il suo sguardo si faceva dubbioso e sospettoso.

     
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    Labirinti



    Come aveva previsto, lo sciocco umano si era dato un bel da fare per aprire quelle porte che, sebbene lo tenessero rinchiuso assieme al resto dei sigilli, sembravano ora quasi opera di un destino ineluttabile; un destino che aveva fatto perdere a quell'umano ogni energia, rendendolo probabilmente incapace di reagire prontamente a qualsiasi attacco, fisico o mentale che fosse.

    Ma no, ecco che il vecchio, come un orologio infallibile, fa la sua presenza, proprio quando lo sciocco era ad un passo dalla botola che lo avrebbe condotto a LUI.
    Il vecchio, il vecchio cane da guardia che gli avevano messo dietro quei sudici abitanti di Konoha...




    [...]





    « Mh mh! Ti rendi conto che nelle condizioni in cui ti ritrovi potrei semplicemente sbatterti fuori e fregarmene delle tue stupide domande? Mh, mh, probabilmente no. » Fece scherzoso e irritante il vecchio « Mh, Mh, e ti rendi conto che la prima e l'ultima domanda ammettono soltanto la medesima risposta? Mh, mh, probabilmente no. » C'era uno strano schema ripetitivo nelle sue frasi, come se fossero tutte standardizzate. « Io non sono nessuno, mh, mh! Eccoti una risposta, sì. Mh, mh. » Alzò il dito e lo agitò a mò di spirale, poi lo abbassò e indicò la botola « Cosa si nasconde li sotto, mh, mh, qualcosa di freddo e pieno di rancore, sì. Mh, mh. » Il vecchio esitò qualche istante, come se dovesse prendere una decisione importante; poi sospirò « Si tratta della volpe a nove code » Cosa significava questo per il colosso della foglia? Sapeva con chi o cosa aveva a che fare, finalmente? E la risposta sedava ogni sua sete di potere? D'altronde non è tutti i giorni che ci si viene a scontrare con qualcosa di così terribilmente spaventoso. Comprendeva finalmente la gravità della situazione nella quale si era venuto a cacciare? « Maaaa... mhhh, se vuoi vedere cosa c'è lì sotto allora ti farò da guida. Mh, mh. Forse allora capirai e tornerai a vedere la ragione »



    Il vecchio superò il colosso e si avvicinò alla botola, ma quella al tocco del vecchio liberò dalle quattro fessure che rappresentavano i suoi lati parecchi filamenti violacei, era possibile contarne almeno nove, che catturano senza pietà il misterioso ed eccentrico uomo.
    Quello di tutta risposta non fece nulla a parte socchiudere gli occhi e recitare ripetutamente una fastidiosa cantilena.

    « Wo mên tsai t'iên shang ti fu, yüan jên tu tsun Ni ti ming wei sheng, yüan Ni ti kuo chiang lin, yuan Ni ti chih yi hsin tsai ti shang »

    E i filamenti si sfaldarono dopo pochi istanti. A quel punto aprì la botola e si gettò all'interno.
    Se fosse entrato anche lui, sarebbe caduto sempre più nell'oscurità per circa dieci metri, per poi atterrare su un pavimento fatto di pietre che al tatto sembravano piuttosto nuove. Erano immersi nell'oscurità più assoluta.
    Il vecchio prese dalla sua tracolla una piccola lampada ad olio e l'accese, illuminando la stretta stanzetta dove sembravano essere capitati. C'erano quattro porte, una per lato. Lui scelse quella a ovest e proseguì in uno stretto corridoio. Più volte il corridoio si diramò, più volte il vecchio scelse le vie in base a chissà quali parametri: destra, destra, centro, sinistra, destra, centro.

    Arrivarono in un vicolo cieco, dove però sostava una scala (fatta anch'essa di pietra) che scendeva ancora più in profondità. Scesero per altri dieci metri. Al termine del quale si ritrovarono in un'altra stanzetta, questa volta il pavimento sembrava leggermente bagnato. Il vecchio scelse questa volta il corridoio nord. E poi sinistra, centro, sinistra, destra, destra, destra. Fino ad una nuova scala. E il teatrino si ripeté. Nuova stanza, corridoio a ovest, e poi sinistra, centro, centro, centro, destra, sinistra. E ogni volta che svoltavano il pavimento sembrava allagarsi sempre di più.
    Ed eccola, la stanza più grande che il colosso avesse visto nella mezz'ora e passa che avevano speso per arrivare in quel luogo. Era una grandissima stanza buia illuminata soltanto dalla piccola lampada ad olio del vecchio. Nella parte più a nord rispetto alla loro posizione campeggiava un enorme cancello, probabilmente il più grande che il colosso avesse mai potuto ammirare.
    Dietro il cancello il giovane avrebbe potuto percepire una presenza, qualcosa che lo guardava insistentemente e con occhi pieni d'ira. Qualcosa che sicuramente aveva già sperimentato altrove, in un altro momento, in un tempo non troppo distante, in realtà.
    Eppure non vedeva nulla a parte l'oscurità, dietro quell'acciaio.

    « Mh, mh... siamo arrivati... »

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    Le porte dell'inferno






    Si rialzò lento, ascoltando le parole del vecchio, che per quanto suonassero lievemente fastidiose risultavano veritiere, annuì, senza protestare, dandogli la ragione che gli spettava.

    Non sei nessuno? Che cazzo è? Uno scherzo? Ti presenti qui per il rotto della cuffia e mi tiri fuori da un probabile casino, silenzioso come una lince, e non sei nessuno?

    Ma il vecchio continuò col suo discorso.

    Freddo? Rancore?

    Qualcosa dentro di lui iniziava a capire, ad intuire quale sarebbe stata la prossima risposta.


    La volpe, eh?

    Sorrise senza rendersene conto, perdendo del tutto la voglia di aprire la botola e serrando con forza la mano con cui cercava di violare quella piccola chiusura, era cosciente, soprattutto ora, di non poter tener testa ad una simile belva, tuttavia l’offerta di poter Vedere non riuscì a rifiutarla, facendo spazio al vecchio mentre questo schiudeva la botola. Non sarebbe riuscito a frenare il suo appetito, poteva solamente rinviare, e un assaggio gli sarebbe servito.
    Nel mentre che il vecchio apriva la botola ripensò a quanto era stato silenzioso nell’avvicinarsi tropo silenzioso, il Colosso non era ancora ai vertici del mondo ninja, ma certamente non era il primo novellino che passava per di là, rimase dubbioso, osservando con qualche sospetto il vecchio.


    Ei, che è quella roba che spunta dalla botola?

    Ma, senza rispondere l’anziano sconosciuto prese a cantilenare uno strano mantra, o almeno Raizen credette che si trattasse di quello, dopotutto era una delle poche cose che poteva sortire quegli effetti sui tentatoli di chakra che tentavano di avvinghiarglisi sulla mano, pareva fosse sgradito, indesiderato.
    Quell’episodio fece calare lievemente lo stato allerta del Colosso, anche se rimase a rimuginare sull’identità del vecchino, dopotutto, chi poteva impensierire quella mostruosa creatura di chakra a tal punto da costringerla a minacciarla col proprio chakra? Di cosa poteva avere paura, o cosa poteva odiare così tanto la volpe da scomodarla? Non si intendeva troppo di sigilli, ma gli sembrava strano che il vecchio si fosse palesato esattamente qualche istante dopo la rottura di quello apposto sulla porta, e forse palesato era il termine più corretto per definire ciò che l’uomo, se quello era, aveva fatto. Senza contare la sua strana parlantina, tutta mugoli e lievemente meccanica, come se fosse preimpostata.
    Rimase poco altro spazio per le domande, la piccola botola fu presto aperta, e il Colosso, spinto da quel misto di curiosità e brama di potere si fece inghiottire dall’oscurità.
    Cadde per parecchi metri prima di incontrare il suolo, liscio, di pietre lavorate, calpestate parecchio di rado, forse da nessuno, silenzioso il vecchio che scortava Raizen accese un lumino, che permise a Raizen dove era atterrato: una stanza, non troppo grande, con quattro porte, identiche, in tutto e per tutto, soprattutto li sotto, dove non c’era alcun punto di riferimento per scegliere una particolare via. Tuttavia soltanto lui aveva quei problemi, la sua guida si mosse a passo sicuro verso la porta ovest, mentre il Colosso decise di mettersi un passo avanti e segnare la strada con un kunai appena estratto dal mantello, avrebbe dovuto ripercorrere quel percorso almeno un’altra volta, e perdersi in un budello di pietra non lo attizzava per nulla, fece una piccola incisione, all’altezza della sua mano in posizione rilassata, avrebbe potuto rintracciarla al meglio li. Non seppe con precisione quanta strada avevano fatto, ma dopo una serie di svolte incontrarono un vicolo cieco che li portò nuovamente in basso, sprofondandoli nelle viscere della terra. Konoha nascondeva bene le sue cose, pensò tra se e se mentre si preoccupava di segnare l’entrata e l’uscita di ogni tunnel.
    Tutto quel camminare e scendere gli ricordò il suo corso chunin, anche li aveva una guida, anche li andava sfacciatamente incontro al pericolo, anche li, scendeva verso l’inferno. Sperava soltanto di non trovarvi la stessa conclusione.


    Ei, Nessuno, mi stai forse portando all’inferno?

    Chiese ironico prima dell’ultimo salto. Atterrando questa volta in un pavimento stranamente umido, lo sapeva, un pavimento umido sembrava sempre un po’ più morbido, e poi quell’odore “fresco” era proprio dell’umidità. Il vecchio poco dopo confermò che quello era IL posto alzando il suo lumino che con un particolare fremito di vita riuscì ad illuminare la stanza a sufficienza da permettere di percepirne la dimensione: gigantesca. Come anche la bestia che celava.
    Il Colosso avanzò verso il cancello, accompagnato solo dal rintacco dei suoi passi e da quegli occhi di cui aveva già sperimentato il peso: era il dolce fardello del potere.


    2rrrq76
    Sei li dentro vero?

    Si interruppe.

    Ti sento.

    Disse ormai ad un passo dal gigante cancello.

    Vuoi uscire?

    Disse poggiando le mani sulle sbarre, sbiancando le nocche per la foga con cui le stringeva, erano spesse e fredde.

    Io posso farti uscire se vuoi.

    Aggiunse sussurrando.

    Io posso liberarti, ma tu devi fare una cosa per me.

    Già, perché doveva essere il demone a dover fare qualcosa per lui, non il contrario, il primo a mettere la merce sul piatto era Raizen, ma era un secondino crudele, se non avesse visto nulla nel piatto dall’altra parte il suo non sarebbe certo passato oltre le sbarre. Dall’altra parte tutto taceva, però riusciva a sentire, non sapeva bene se con la fantasia o per davvero, un sommesso gorgoglio, un ringhio soffocato. Riusciva a vedere quel manto di fuoco, quelle nove lingue muoversi lente e sinuose, riusciva a vedere dieci artigli affilati come rasoi incidere nel terreno profondi e netti solchi, come se contasse i suoi giorni di prigionia.
    L’inferno stava aspettando dietro quel cancello.
     
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    Lotta nascosta



    Già ma, il vecchio è più stupido di quanto lui pensasse. Non solo libera la trappola della botola ma conduce anche lo stolto umano da lui, evitando tutte le altre trappole presenti nei cunicoli del labirinto. Pensa forse che il sigillo che gli impedisce di uscire o usare il chakra funzioni anche a distanza così ravvicinata dalla vittima? Dopo centinaia di anni la Foglia ancora non sembra aver compreso con chi esattamente ha a che fare.
    Ora finalmente...finalmente è davanti a lui. Basterà liberare per una frazione di secondo una piccolissima quantità di chakra, come aveva studiato e praticato più e più volte per mesi, soltanto per prepararsi a questo momento.
    Una minuscola quantità che avrebbe fatto tremare le pareti di quel luogo, e lo stolto sarebbe stato suo.
    Il vecchio sicuramente se ne accorgerà, cercherà di contrastarlo in qualche maniera, ma la sua superbia lo tradirà.




    [...]



    Le pareti tremarono per le vibrazioni provocate dal ruggito della volpe. I suoi occhi infuocati apparvero dietro le sbarre e incrociarono quelli del giovane della foglia. Accadde un istante dopo che quest'ultimo ebbe pronunciato l'ultima parola. Si trattava forse della risposta, velata, della volpe?

    « Comprendi ora? Questa...bestia non è qualcosa che tu possa controllare, o con la quale tu possa riuscire a ragionare. Non lo è più da molto, moltissimo tempo. E' soltanto un ammasso di rancore, votato alla distruzione, ma estremamente intelligente... il che lo rende infinitamente più pericoloso. Lascia perdere. Stipulare patti e contratti con lui è una perdita di tempo... troverà sempre un cavillo oppure ignorerà del tutto la parola data. Non ha una morale, non più... » posò una mano sulla spalla del colosso « Non tornare mai più. Volta le spalle e vattene. Non farlo sarebbe una follia. »




    Taci, vecchio

    Chiudi quella fogna




    Ecco la voce che infinite volte aveva sentito in sogno, provenire adesso da una fonte concreta, dietro quelle sbarre. Si rivolse poi al colosso.




    Benvenuto nella mia umile dimora

    Benvenuto nella tua tomba




    A volte sembrava che i suoi pensieri fuoriuscissero involontariamente (o volontariamente?) dalla sua voce roboante.




    Parla, umano

    Fammi ridere


     
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    Il Contratto







    Rispose, rapida e tonante, abbastanza forte da far vibrare quelle pareti circondate da metri di terra e rocce.
    L’inferno iniziava a strisciare fuori dalle sbarre.
    Ascoltò attentamente, ogni singola parola, anche quelle più nascoste riflettendo e soppesando ogni possibile risposta. Non avrebbe per nulla disdegnato un comodo scranno in quel frangente, ma purtroppo, li sotto doveva farne a meno. Posò la mano sopra quella dell’anziano, battendovi con delicatezza due volte.


    Tranquillo Nessuno, non sono mai stato ammalato di sanità mentale.

    Con un sorriso ben poco rassicurante tornò ad occuparsi di Lei.

    Vorresti ridere?
    Ti suggerirei di sederti invece, e tendere le orecchie, potrei offrirti un buon affare, se mi segui.
    Purtroppo in questi casi ho l’abitudine di parlare un po’ tanto.


    Disse mentre prendeva le distanze, un passo per la precisione, e mettendosi braccia conserte.

    Sei vecchia, vero? Quanti anni conti, mh?
    E quante vite umane hai sulle spalle? Parecchie di più dei tuoi anni nevvero?
    Quanta Esperienza conservi? Nella testa, nei muscoli, nel cuore?
    Eppure, continui a sbagliare.


    Disse serenamente, come se fosse la cosa più ovvia e naturale del mondo.

    L’esperienza, se ben raccolta è intelligenza e tu, come dicevo dovresti averne tanta, eppure, perché continui a sbagliare, a cadere per mano di piccoli esseri che vivono un centesimo della tua vita o poco più?
    Li sottovaluti, questa è la risposta, facendoti sorprendere dall’ingegno.
    Hai la fretta e l’impazienza della fiera di cui hai preso le sembianze, calma, tranquilla, rifletti, ascoltami.
    Agli effetti, cosa ti costa farlo, no?


    Attese qualche secondo, non tanto per una risposta alla sua domanda retorica, quanto per far metabolizzare quel preambolo.

    Da quanto sei rinchiusa qui? Mi pare più o meno… due annetti? Una roba simile?
    Quattro al massimo? E prima dove eri? Sempre rinchiusa, no? Luoghi diversi, persone diverse, ma stai sempre e comunque al chiuso.
    Dicono che tu abbia una vita pressochè infinita, questi anni che io potrei considerare lunghi quindi per te potrebbero essere nient’altro che noiosi giorni, no?
    Nonostante ciò ti pesano, vero?
    Eppure son convinto che non sia il tempo a pesare, vero?
    Non è il tempo quanto il tuo animo ad essere ferito, degli umani, gli esseri che reputi così bassi, ti hanno rinchiuso, ammettilo. È vero, dopotutto.
    Non è un insulto, o chissà cosa, noi siamo tanti, spesso esperti e specializzati, tu sei sola. quindi, che male c’è?
    Rifletti, rendi onore alla tua leggendaria astuzia.


    Si interruppe qualche istante, raccogliendo le idee.

    La soluzione?
    Collaborazione.


    Disse, pensando “ubbidienza” ma chissà se era abbastanza vicino a quell’essere perché lui potesse sentire i suoi pensieri.

    Io metto nel piatto il mondo, la libertà.
    Cosa voglio?
    Te.
    Il tuo potere.
    Cosa guadagni?
    Tutto.


    Disse, restando in silenzio qualche secondo, offrendo un altro momento digestivo.

    Collabora con me!

    Riniziò incalzante, famelico, bramoso.

    Sei potente, sopra ogni immaginazione, e sveglia, ma il mondo non si fiderà di te, una volta fuori di qui sarai braccata, inseguita, ferita, persino dai tuoi stessi simili, per questo verrai nuovamente catturata.
    Rifletti!
    Collabora!
    Lascia che sia io a guidare sino al tetto del mondo…


    Poi la sua voce si assottigliò, il Colosso era alto, rozzo, eppure la sua lingua sapeva essere sottile, affilata, suadente, proprio come maestra volpe insegnava.

    Una volta sul tetto sarai libera, e poi… potresti guidare.

    Parlò lentamente, scandendo le parole.

    Ma dovrai essere fedele alla tua parola quanto io lo sarò alla mia, altrimenti sarai solo un prigioniero.

    Per quanto l’inferno strisciasse, sotto di lui, sapeva muoversi una serpe ben più minuta, che sapeva sempre il momento migliore per levare il capo dal suolo.

    Potrai fare tutto ciò che vuoi, sarà vincolata solo la tua forza, per il bene di entrambi.

    Qualcuna di quelle parole sarebbe risultata familiare alla fiera, lei stessa le aveva pronunciate giorni fa, eppure quell’uomo gliele risbatteva nuovamente in faccia, come se a controllare il gioco ora fosse lui. Già, come se fosse lui a controllare.
    Ma dopotutto, soltanto uno dei due era dalla parte giusta del cancello, all’altro spettava solo la decisione, solo una scelta, e non era difficile capire quale fosse la più saggia e logica.
    Ma soprattutto, in quanti potevano vantare un simile faccia a faccia con il Kyuubi?
    Il colosso sorrise, nuovamente, somigliando più alla volpe che ad un essere umano. Tuttavia ora arrivava il momento più complesso, la volpe poteva scegliere varie strade, nella sincerità, poteva rifiutare, dando prova di essere stupida, e magari tentando di prendere per se la vita del Colosso, inutilmente vista la sua posizione, oppure diventare una potente alleata per la sua causa, con cui avrebbe condiviso la scalata al potere, senza negargli qualche piccolo piacere derivato dalla libertà. Oppure, poteva mentire, come sapeva fare bene, mentire come aveva fatto per anni, mentire spudoratamente accettando per poi fuggire al momento opportuno. Ma sarebbe veramente stata stupida? Avrebbe veramente letto in quel bieco sorriso del Colosso la benchè minima impreparazione? Avrebbe Davvero pensato di coglierlo alla sprovvista?
    Attese, il gigante della foglia, immobile e attento ai movimenti della fiera, sufficientemente distante da non farsi cogliere impreparato.


    Cosa mi dici, Kyuubi?
    Scalerai la montagna con un fedele sherpa, o resterai a ridere per l'eternità, marcendo in questa buia palude umidiccia, riscaldata soltanto dalla tua presenza?


    Attese, immobile.
     
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    Fine del Preludio



    Gli venne più volte da sbadigliare durante il lungo e ripetitivo discorso dello stolto. Cercò di trattenersi non, come è consono, per rispetto verso l'interlocutore, ma perché i suoi loschi fini non venissero a galla troppo precocemente. Intanto il vecchio non era riuscito a contrastare i suoi "attacchi" e non pareva neppure essersene accorto. Probabilmente pensava che fosse tutto finito. Non lo era.
    Quando finalmente quell'altro finì di parlare, cominciò il vero teatrino.
    Lo stolto pensava di convincerlo con le parole. Ma quando un insetto cerca di convincere un dio, cosa può fare il secondo se non deridere il primo?
    Era stata catturata, ma gli umani non erano altro che insetti capaci soltanto di scimmiottare tecniche di altri uomini più grandi di loro. Era finita l'era dei ninja; quelli che ora si professavano tali non erano altro che scadenti copie di Minato e Naruto. E' soltanto grazie alle conoscenze lasciate dai loro avi che erano riusciti a imprigionarlo, non per merito loro. Non avrebbe mai più dato corda a gente di così infima statura. Non avrebbe mai ascoltato un insetto corrotto dal potere come quello.

    Rise.




    [...]



    HAHAHAHAHAHAHA

    HAHAHAHAHAHAHA





    La risata rieccheggiò nella volta della nuda stanza allagata. Tuttavia per quanto ci si sforzasse di convincersene, quella risata non sarebbe mai parsa divertita. Tutto il contrario.





    Sei un insetto interessante...

    Ti mangio...




    Eppure ogni qualvolta apriva bocca non si poteva mai dire se la volpe fosse sincera o meno.




    E sia, se è il potere che desideri

    Se vuoi gettarti nell'abisso






    Allora ti insegnerò come liberarmi

    Ti insegnerò come caderci





    Fu in quel momento che la luce della lanterna si spense.
    Il vecchio era rimasto in disparte mentre i due si scambiavano parole così apertamente ribelli davanti a lui. Spense la lanterna e attivò il suo Jutsu.
    Sparì dalla percezione degli altri due per un istante soltanto, e quello gli bastò per raggiungere il colosso (che probabilmente gli dava le spalle, ma anche se si fosse voltato sarebbe stato aggirato) e tentare di colpirlo con un potente colpo di taglio della mano contro la nuca, atto a tramortirlo [TA + TB][Velocità 600 + 5 tacche = 725; Forza 600 + 5 tacche = 725 vs Resistenza 625 = Danno ipotetico 20 + 20 (Artista Combattivo)]


    La volpe fece appena in tempo a pronunciare l'inizio della sua spiegazione



    Ti serviranno degli specialisti

    E neanche ti basteranno...





    Che il vecchio aveva già messo in azione quella sua contromisura così drastica.
    Se non fosse bastato a tramortire la povera vittima sacrificale della volpe, avrebbe sferrato un altro paio di colpi diretti al volto per accertarsi di aver messo a terra il giovane, sebbene fosse sicuro che la quasi totale mancanza di chakra nel corpo del giovane avrebbe fatto il resto: « Fiuuu... mhhh spero di non esserci andato giù troppo pesante... » controllò le pulsazioni del colosso « no, è ancora vivo, fiuuu mmmhh »



    Tsk, prevedibile...

    Inutile, tornerà.





    « Questo è tutto da vedersi, bestiaccia » rispose alla volpe, e poi si caricò sulla piccola spalla l'energumeno, uscendo da quell'inferno senza guardarsi indietro.

    [...]



    Il giorno dopo si sarebbe risvegliato in un vicolo del villaggio con un forte mal di testa e con un biglietto attaccato in fronte:

    Non cercare più la bestia. La prossima volta non ci andrò così leggero X3





    SPOILER (click to view)

    Camuffamento Oscuro
    Villaggio: Specializzazione
    Posizioni Magiche: Nessuna (Veloce+)
    Premesso un ambiente notturno, l'utilizzatore è considerato completamente occultato ai normali sensi avversari. Se l'utilizzatore si avvicina oltre 10 metri da fonti di chakra umane o smette di muoversi, la tecnica si disattiva.
    Tipo: Ninjutsu - Kageton
    (Livello: 4 / Consumo: Medio - Mantenimento: Basso)
    [Da chunin in su]

    Assalto Oscuro
    Villaggio: Specializzazione
    Posizioni Magiche: Nessuna (Veloce+)
    L'utilizzatore può portare un singolo colpo di taglio a mani nude diretto al collo o al fianco della vittima. La forza e la velocità dell'utilizzatore verranno incrementate di 5 tacche. Se andato a segno, il colpo può tramortire o stordire gravemente l'avversario. L'utilizzatore può percorrere a velocità notevolmente incrementata una distanza massima pari a metà dello slot movimento per raggiungere e aggirare la vittima. Spendendo slot tecnica, può essere utilizzata in combinazione con la tecnica Camuffamento Oscuro senza che l'occultamento venga disattivato dalla vicinanza dell'avversario.
    Tipo: Taijutsu
    (Livello: 3 / Consumo: Alto)
    [Da Jonin in su]

    Artista Combattivo
    Speciale: Il danno a mani nude dell'utilizzatore è pari a 20 anziché 10.

     
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12 replies since 18/9/2012, 19:43   615 views
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