Il Fuoco Interiore

Controllo del Sangue I per Kenzaru

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  1. ¬Chris
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    Il Fuoco Interiore
    III Post

    Lasciai che mi minacciasse e che le sue parole entrassero come lame incandescenti nel mio corpo inerme, indifeso. Non battei ciglio e rimasi ad ascoltarlo, maledicendomi di avergli fatto quella domanda; abbassai leggermente il capo ma poi i miei occhi incontrarono il suo sguardo mentre afferravo il rotolo che mi porgeva. Poi se ne andò e io rimasi solo in piedi nella stanza, il silenzio cadde e fece un frastuono assordante.
    Nella mano tenevo il piccolo rotolo che, dopo essermi seduto su una sedia lì poco distante ed aver acceso una candela, iniziai a leggere. Il freddo si era fatto più pungente e mi lasciai avvolgere da una coperta che trovai vicino ad una stufa, spenta.
    Scoprii, così, che il Clan Mikawa derivava dal paese della Rosa e che fu Ru-Yamaneko a creare il primo contatto tra i villaggi.
    Potei, inoltre, capire la gerarchia ferrea presente all'interno del clan, il ruolo del capoclan e del Gran Consiglio o il compito deI 10. Inoltre erano molto dediti ad una religione politeista che prevedeva l'esistenza di tre dei, ovviamente dediti a: morte, distruzione, sangue, piaceri immorali, etc.
    Ebbi modo, inoltre, di leggere quelle che vennero definite le leggende all'interno del clan, non c'era nulla di certo ma era innegabile che, leggendo la storia del clan, furono i primogeniti a scriverne la storia e a raggiungere i massimi controlli del Sangue.
    Lasciai il rotolo sul tavolo e iniziai a camminare intorno al tavolo, con estrema lentezza e nel modo più silenzioso; pensavo a tutto ciò che mi era successo, alle scoperte che avevo fatto. Non ero un uomo, non frutto dell'amore, ma dalla provetta di qualche laboratorio, tenuto e cresciuto per chissà quanto tempo poi ero stato dato alla mafia della foglia (o mi avevano comprato? o rapito? o trovato?) Ah... Quanti i dubbi che mi stavano assalendo.
    La notte era calata ormai da tempo e qualche gufo stava volando nel bosco che, come mi aveva riferito Livon, non era molto distante da Oto stessa. Per quale motivo Febh aveva deciso di affidarmi alle cure di questo fabbro e non a quelle del clan, temeva forse che potessero eliminarmi in quanto elemento pericoloso per i loro segreti? Forse, se avessi imparato l'arte e quindi fossi entrato ufficialmente a far parte del clan, si sarebbero fatti qualche scrupolo in più. Forse voleva semplicemente difendermi.
    Scossi la testa e ripresi a camminare, una testa quadra come quella non poteva aver fatto questo ragionamento...
    Lasciai che i pensieri mi attraversassero mentre con sguardo critico vidi le nuvole muoversi e mostrare la luna piena, estremamente luminosa, vidi i contorni degli alberi e della foresta.

    L'alba arrivò camminando in punta di piedi: il cielo divenne sempre più chiaro passando da nero a blu scuro quindi ciano e infine azzurro, le nuvole toccavano sfumature di rosa e bianco. Livon si sarebbe alzato e non mi avrebbe più trovato all'interno dell'abitazione, se fosse uscito mi avrebbe trovato in piedi in mezzo alla piccola radura in cui era situata la sua dimora. Avevo il fiatone e il torso nudo mentre dei pantaloni scuri si chiudevano ad altezza delle caviglie, il sudore mi bagnava il torace e grosse gocce scendevano dalla fronte infrangendosi sulle sopraciglie.
    Avevo passato tutta la notte ad addestrarmi, mi ero inciso le vene sulle braccia per far confluire più sangue all'esterno e prima senza alcun risultato e poi sempre più velocemente riuscivo a prenderne il controllo e richiamare il sangue all'interno della ferita richiudendola, riempivo di chakra il midollo osseo di tutte le ossa, come mi aveva insegnato Livon qualche ora fa. Così con il passare del tempo avevo imparato a richiamare il sangue dall'esterno all'interno richiudendo le ferite che mi infliggevo, ma il problema più grosso era mantenerne il controllo, o meglio, era riuscire a mantenerlo fermo sopra alla ferita. Sapevo come muoverlo ma non significa per questo che riuscissi a tenerlo fermo e plasmarlo come mi aveva mostrato il fabbro la sera precedente.
    Avevo preso più consapevolezza del mio sangue e delle mie capacità su di esso durante la notte, ero esausto e congelato: durante la notte non mi ero fermato un secondo continuando a tagliarmi, richiamare il chakra, cercare di prendere il controllo sul sangue e infine rifarlo entrare nella vena. Quest'ultimo passaggio, stranamente, era il più semplice e naturale.
    Con l'arrivo del sole sarebbe giunto anche Livon e, come ho detto in precedenza, mi avrebbe trovato nella radura, gli rivolgevo la schiena lucida dal sudore e contratta dalla fatica. Il respiro era affannoso, mi ero inciso nuovamente per far fuoriuscire il sangue e prepararmi a prenderne il controllo, sorrisi leggermente e senza girarmi verso Livon iniziai a parlare con lentezza, una nota di pazzia era percettibile nella mia voce profonda.

    Anf... anf... Buongiorno Livon... Con il controllo sul sangue posso fare quello che voglio, posso usarlo per difendermi e attaccare, per ferire e per guarirmi. Anf... Anf... Usarlo troppo provoca stanchezza, perché utilizzo contemporaneamente sia il chakra che il sangue e quindi la mia lucidità si abbassa. Eheheh... Ma il potere che può darmi...
    Con esso posso creare delle armi e, senza impugnarle, cercare di attaccare i miei nemici attaccandoli io stesso, può darmi superiorità numerica in fase offensiva e difensiva.


    Quindi, lentamente, mi sarei girato verso di lui tenendo teso in avanti il braccio mostrando una sfera perfetta fluttuare sopra alla ferita, avevo capito che non dovevo pensare a come manipolare il sangue, non dovevo pensare a come, meccanicamente, fare. Bastava pensare cosa volevo, per questo motivo infatti, all'inizio, mi risultava facile far rientrare il sangue all'interno della ferita: non pensavo come farlo entrare, a cercare con precisione la ferita, etc. Pensavo semplicemente di voler far rientrare il sangue nel mio sistema circolatorio. Allo stesso modo, non pensai a come fare una sfera, ma la feci. Consumai una buona dose di chakra per mantenerla sospesa e poi la feci rientrare nella ferita che si chiuse in poco meno di un secondo.
    Continuai ad avere il fiatone, ma guardai Livon con aria di sfida e poi caddi in ginocchio stremato da quella notte d'addestramento.
     
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