Messa a punto

Perfezionamento di un ninja [Villa Kobayashi]

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    D I S I L L U S I O N:
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    Akihiko Kobayashi and Ritsuko Aoki




    divisore





    Ritsuko trasalì. Il suo volto, in quel momento così distinto, forse perché non oscurato da quello splendido della sua signora, si delineò agli occhi del Colosso, probabilmente per la prima volta, colmo di rabbia: i grandi occhi color del male, dilatati nella determinazione, erano ancora lucidi di quelle lacrime che lui pareva volerle impedire di versare; le labbra sottili, arricciate; e i suoi lineamenti, affilati come forgiati da uno scultore avaro, erano tesi nello sforzo di non reagire, di non rispondere. Non si muoveva di un solo passo nonostante l'ordine che le era stato impartito dallo stesso Shinobi. Solo guardandola meglio ci si sarebbe potuti accorgere che tremava.
    [...] L'arrivo di Raizen Ikigami, contro ogni previsione, non riuscì in un primo istante a rompere la stasi in cui Villa Kobayashi sembrava affogare. Il trambusto che solitamente accoglieva i passi del Jonin, non si creò spontaneamente come sempre. Nessuno urlò, rise, invitò per un tè...
    … ma soprattutto Shizuka non reagì in nessun modo.
    Immobile al centro del giardino d'entrata alla sua magione, la nobile Principessa di Konoha rimase ferma a guardare il suo maestro con gli occhi verdi che osservavano la sua figura ma che si concentravano su qualcosa che andava oltre di lui. Qualcosa a cui nessuno avrebbe potuto fare caso, forse perché non esisteva. Forse perché era solo una creazione della sua stessa mente. O di ciò che ne rimaneva.
    Era bella, anzi, bellissima.
    Stava crescendo, o probabilmente era già cresciuta abbastanza. Era diventata una donna dall'ultima volta che lo Shinobi l'aveva vista, e non solo nel fisico seducente, che si affacciava a tratti dal kimono da camera argenteo che indossava, ma soprattutto nel volto. Un tempo questo, tondo e paffuto, così allegro e simpatico, tipico della bambina che era stata, era adesso un ovale perfetto in cui carnose labbra rubiconde e grandi occhi verdi troneggiavano come gemme preziose sotto ad una cascata di capelli sempre più lunghi e lisci. Seta pura lasciata libera.
    Molti, a Konoha, dicevano che era stato il dolore a forgiare la Principessa dei Kobayashi. A renderla adulta. Quel tipo di dolore che non l'aveva mai lasciata libera da quando aveva intrapreso la via del ninja, e che si era sostituito a quello più ricco e soave dell'essere l'erede di un impero che dominava l'economia di un intero Paese.
    Era stato un inferno per lei diventare una Shinobi. Un incubo che era peggiorato giorno dopo giorno, di mese in anno, e che si era concretizzato nella fuga del fratello che aveva sempre amato più di se stessa, sino alla perdita del suo equilibrio interiore ad opera di un potere latente in lei troppo forte per essere gestito.
    Si era persa, come molte volte prima di quella, ma mai, aveva coinvolto qualcun altro in tutto ciò... aah, quante volte aveva dovuto chiedere aiuto per capire in che direzione andare? Quanti innumerevoli tentativi aveva compiuto e fallito? Non si poteva tenere il conto.
    Nessuno, però, era mai morto per le sue mancanze. Nessuno aveva mai davvero approfittato della sua condizione, di debolezza e forse follia, per nuocere a chi le stava intorno.
    Improvvisamente Shizuka Kobayashi era divenuta una ladra. Una ladra di vite.
    Come Shinobi le era stato insegnato ad uccidere, se necessario. Ad attaccare prima di essere attaccata. Ad accettare il sangue sul suo volto e le mani lorde di morte... ma nessuno l'aveva mai educata a comprendere che quando il tuo nome comincia a farsi conoscere, per un motivo o per l'altro, le persone che ami e le cose a cui tieni possono essere distrutte.
    Nessuno l'aveva mai preparata alla possibilità che sarebbe stato un suo errore ad annientare tutto.
    Uccidere un nemico era possibile. Intraprendere una guerra accettabile. Distruggere il tuo stesso villaggio, uccidendo i tuoi compaesani, però, era un'altra faccenda. E a quell'altra “faccenda” la mente di Shizuka Kobayashi –colei che aveva combattuto contro Karasu Uchiha, il traditore appartenente a Kurotempi, e aveva perso– non aveva retto.
    «Ritsuko...» La voce di Akihiko Kobayashi si fece largo tra i presenti con quel suo timbro gentile che gli era peculiare, dissipando con dolcezza il muro invisibile creato dalla Kumori di fronte al Jonin della Foglia. «...sii così gentile da vestire Shizuka-chan per me.» Disse, ma i suoi occhi non si distolsero neanche per un istante dal viso del Colosso che sostava di fronte alla cugina immobile. «Porta lei i suoi soliti indumenti, quelli in cui si trova più a suo agio, e anche una sacca con dell'acqua e delle focacce di riso.»
    «Akihiko-sama, spero che voi stiate–...»
    «Non sono mai stato più serio di ora.»
    La interruppe il Kobayashi di Kiri, e solo a quel punto si voltò verso la ragazza degli Aoki, cui sorrise. «Non far aspettare la tua Signora, Ritsuko... sai quanto sia esigente nelle tempistiche quando deve partire con dei compagni di squadra.»
    Nessuna delle espressioni che Ritsuko Aoki delineò nel suo volto bastarono a indurre l'uomo a smettere di guardarla con quella sua flemma ricca d'ostentazione, e se in un primo istante la Kumori parve annaspare –voltandosi a guardare dapprima Raizen Ikigami, cui rivolse uno sguardo colmo d'astio, e poi verso la sua Padrona, in direzione della quale il suo volto si sciolse in una maschera di disperazione– alla fine lei, stringendo le mani a pugno, si limitò a voltarsi e ad imboccare il corridoio da cui era arrivata, sparendo in una manciata di istanti alla vista.
    «Mio signore...» Gemette Hisoka Aoki, guardando allarmato il suo padrone. «...non potete decidere arbitrariamente che la Principessa può andare. Non con un concilio di riunione che si sta svolgendo proprio ora nella rosa Ovest della magione... rischiate conseguenze in prima persona!»
    A quelle parole Akihiko Kobayashi, i cui lunghissimi capelli chiari raccolti in una treccia ricaddero di fronte al suo volto in ciocche disordinate, scoppiò a ridere. La sua voce, cristallina nell'oscurità di quel luogo, fu come un getto di luce in una notte senza luna.
    «Oh, ma io non ho proprio deciso nulla.» Rispose il responsabile della sede kiriana del Clan. «Shizuka-chan vuole disperatamente andare con quell'uomo, non vedi?» Domandò, indicando la cugina, ma lei, ancora immobile di fronte all'entrata alla grande magione Kobayashi, stava ora subendo passivamente le parole dello Shinobi che la guardava con schifo poco mascherato e che, di punto in bianco, la spinse a terra puntandole un dito sulla fronte. La ragazza, contro ogni previsione, morbida come una piuma piegata dal vento, cadde in terra senza opporre resistenza apparente. La sua testa si riversò di lato e i lunghi capelli castani si chiusero sul suo viso come un sudario, nascondendone i lineamenti e lasciandola lì come una bambola senza vita, tenuta dritta solo per lo sforzo delle braccia. Dopo una lungo silenzio, Akihiko Kobayashi, affinando lo sguardo, sorrise nuovamente sotto l'espressione allibita del suo servo. «Non vedi che si sta cominciando ad irritare per come è trattata?»
    «Siete uscito di senno?!»
    Esclamò a quel punto Hisoka Aoki, trasalendo allarmato nel vedere la scena. «Fate immediatamente qualcosa! Non vedete cosa diavolo sta succedendo?! Chiamerò personalmente il Capoclan! Heiko-dono saprà sicuramente porre fine a quest foll-...» ...ma non fece in tempo a finire la frase, il giovane collaboratore, che la lunga e affusolata mano del suo signore lo bloccò per un polso mentre l'altra, scivolando silenziosa verso la sua bocca, lo costringeva a tacere. Gli occhi verdi dell'uomo non si stavano distogliendo dalla scena.
    «Guarda.» Ordinò seccamente. «Guarda.»
    E fu allora che Hisoka Aoki guardò. Non ebbe possibilità di fare altrimenti. I suoi occhi scivolarono lentamente in direzione di quella scena che così disperatamente avrebbe voluto negare e ritornarono a memorizzare l'espressione di disgusto di quel gigante, le parole di disprezzo commiserevole che stava dicendo... e lei, la Principessa, ancora immobile a terra. I capelli sciolti, le spalle nude da cui faceva capolino quell'orribile cicatrice. E poi le sue mani, tremanti, che si stavano lentamente stringendo al terreno, facendolo prigioniero, arrossandosi nello sforzo prima di divenire bianche. Sempre di più. Di più.


    Riesci a gattonarmi dietro?
    Andrò piano, così non ti perderai, promesso.




    Stava dicendo l'uomo. Ma di fronte a lui, Shizuka Kobayashi ancora non rispondeva.
    Le sue mani erano ormai talmente pallide che il povero Hisoka credette per un istante le sarebbero cadute le dita. E non trovava assolutamente niente di divertente in quella scena, né tantomeno nella gioia crescente del suo signore che seguiva lo svolgersi della vicenda con attenzione quasi meschina per una persona come lui, che amava la Principessa come una sorella e che era partito da Kiri solo per lei. Era così sconvolto dalla piega della situazione che quando il Jonin di Konoha si abbassò e afferrò la sua allieva, sollevandola di peso da terra, il povero domestico non riuscì a trattenere un gemito a malapena soffocato dalla mano del suo padrone che, però, al contrario, rise. Rise. Egli rise.
    Avrebbe voluto chiedergli se per caso non fosse uscito di senno, non fosse diventato davvero pazzo. Si sarebbe voluto scagliare personalmente contro quella montagna di muscoli per salvare la Principessa. Avrebbe voluto urlare il nome di Ritsuko e vederla comparire con la prima folata di vento, silenziosa e letale come sapeva poteva essere una Kumori per la salvezza del suo capoclan, ma poi ammutolì. I suoi occhi si dilatano in un'espressione di puro stupore e Hisoka Aoki cominciò a rilassare i muscoli per l'incredulità.
    Di fronte ai suoi occhi, il volto di Shizuka Kobayashi, smascherato dai capelli mentre veniva tirata in piedi da terra, tradì per un attimo, un solo debole e brevissimo istante, una microespressione di rabbia. Per un secondo i suoi occhi si curvarono verso il Colosso di nome Raizen Ikigami e la sua bocca si increspò in quel modo così peculiare, tipico di lei, rappresentante dell'inizio della sua pedante e offesa forma di protesta.
    Durò tutto solo mezzo secondo. Poi la Principessa precipitò nuovamente nella sua maschera di apatia pallida, e quando Ritsuko fu di ritorno con tutto ciò che le era stato ordinato di portare, parve allibita di vedere il suo consanguineo e il suo secondo signore così felici. Allibita e dubbiosa.
    Nonostante ciò la Kumori non fece né disse nulla, e si limitò ad avvicinarsi alla sua signora, di fronte alla quale si posizionò per cambiarne i vestiti, cosicché l'unica cosa che di lei si potesse vedere era la schiena nuda ai suoi stessi parenti. Come ci si sarebbe potuti aspettare da lei, che conosceva la Principessa meglio di quanto ella stessa potesse, impose alla sua padrona il suo bustino nero e i suoi pantaloni di pelle con i calzari più comodi che la kunoichi era solita indossare. Offrì poi lei un mantello, e la sacca a tracolla consunta che la ragazza era solita portarsi in missione. Le aggiustò i capelli, le passò una mano sulle labbra per togliere un poco di polvere, e infine sorrise con dolcezza, guardando l'espressione muta della sua amata signorina.
    Solo a quel punto si voltò verso Raizen Ikigami. E la sua espressione fu la peggiore maschera da demone che l'uomo avesse mai visto prima di quel momento.
    «So che sei diventato Jonin.» Esordì, e quella frase parve divertirla dal più profondo del cuore. «I miei più sentiti complimenti, Raizen.» Improvvisamente non c'erano più titoli onorifici e la domestica, ferma di fronte alla sua signora assorta in un mondo lontano che sembrava inaccessibile ai più, parve per la prima volta rivolgersi allo Shinobi quasi come fosse un suo misero pari. «Vedi... io so molte cose di te. So molte cose, in generale. Tu, invece, non sai niente di me, e per quanto la tua bestiola scodinzolerà non saprai mai abbastanza su nulla che io non voglia farti conoscere.» Sorrise, e la sua voce si fece più raschiante, abbassandosi. «Io so cosa fai, come, dove e perché. So le tue intenzioni prima che tu le compia e se sbaglierai qualcosa con Shizuka, stavolta, voglio che tu sappia che non importa quante code avrai il piacere di mostrare. Il vento è sempre più veloce. Ed è tagliente, te lo posso garantire.» Così dicendo, si fece di lato, e inchinandosi con reverenza ai presenti, annuì. «Auguro voi buon viaggio, miei signori.»

    Poi, ci fu il silenzio.


    divisore




     
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