Messa a punto

Perfezionamento di un ninja [Villa Kobayashi]

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    E N D I N G:
    There is no real ending. It’s just the place where you stop the story.

    Shizuka Kobayashi's change




    divisore





    Non era cambiato nulla. Nulla da come era in passato.


    Piccola.
    Sudicia.
    Stronzetta.
    Ingrata.



    La loro relazione non si era evoluta, il loro legame non si era consolidato. Erano rimasti come quando si erano incontrati la prima volta: una sedicenne e un ventenne che imponevano il proprio ego l'uno sull'altro.


    Per quanto io mi impegni ad insegnarti come stare al mondo ancora non riesci a comprendere che sei attaccata al suo seno da quando tua madre ti ha messo al mondo, e il modo migliore che trovi per ringraziare è mordergli il seno.
    Chi cazzo ti credi di essere?
    CHI CAZZO TI CREDI DI ESSERE?




    Era stanca. Davvero stanca.
    Era stanca di quel comportamento ostentato di superiorità, di quella sua voglia di imporsi con rabbia. Dell'immaturità di pretendere che tutti la pensassero come lui, di avere sempre ragione.
    Era stanca di Raizen in un modo che, prima di quel momento, non aveva mai provato.


    Vuoi la gente morta?
    Pezzente col cervello annacquato, non sei logica nei tuoi momenti di sanità mentale figurati ora.
    Ma a tutto c’è un limite, spiegami, perché vorresti la gente morta?
    Perché ormai ne hai vista già così tanta da essere gelida?
    TU stai per spezzarti




    Ferma al suo posto Shizuka Kobayashi ascoltava i giudizi di quello che, un tempo, poteva vantarsi di essere stato il suo maestro, con una flemma esausta. Non le interessava cosa egli le stesse dicendo, sostanzialmente perché, come sempre, erano i suoi giudizi che lui stava cercando di imporle per convincerla che avesse ragione.
    Era sempre stato così: lei cercava di esprimersi, di cercare in lui un appoggio al suo sviluppo –del tutto umano e ragionevole– che da bimba l'aveva condotta a donna, e lui giudicava passivamente tutto, modellando i fatti secondo il suo metro di valutazione e sentenziando poi, seccamente, chi avesse ragione e chi torto, sempre che fosse possibile fare una cosa del genere, propria solo degli Dei del campo celeste.
    Era talmente evidente tutto ciò che sarebbe successo da quel momento in poi, che quando il Jonin le ordinò di alzarsi e di avvicinarsi al dirupo dei volti dei Kage lei non si oppose minimamente. Andò semplicemente dove le era stato chiesto, ascoltò semplicemente ciò che le venne detto –tutta quell'adorabile fiaba sulle foglie, la volontà del fuoco etc etc etc– e quando finalmente lui fece la solita cosa stupida che la kunoichi sapeva avrebbe fatto, lei rimase talmente impassibile e tranquilla che, per un attimo, il Colosso della Foglia ne sarebbe potuto essere persino allibito.
    Non si scompose, né urlò e neppure parve denotare il benché minimo stupore o la più impercettibile forma di paura. Quando la mano del Colosso l'afferrò e con violenza la scagliò giù dai volti dei Kage, lei, in quella breve e spiazzante frazione di secondo che separò il suo getto dall'effettivo precipitare, puntò i suoi occhi ormai quasi del tutto neri in quelli del Jonin.
    Erano glaciali. Freddi. Completamente e perfettamente immobili.
    Non aveva davvero paura.
    Non ne aveva.

    E poi cadde.

    Il vento le soffiava in volto a velocità sempre crescente mentre i suoi lunghissimi capelli volavano dietro di lei come ali scure e serpeggianti.
    Eppure, contro ogni più lontana e lungimirante previsione del Jonin della Foglia, non si mise a piangere come avrebbe fatto tanti anni prima, quando, disperata e innocente, subiva le angherie del Colosso incapace di reagire.

    Fu solo una frazione di secondo.
    Raizen non avrebbe potuto accorgersene con ogni probabilità, ma d'improvviso, appena in un battito di ciglia, gli occhi ormai scuri si bagnarono di rosso. Il cremisi, una pioggia di sangue scarlatta, riempì le pupille della kunoichi e un istante dopo due tomoe complete e formate sbocciarono come fiori corvini in quell'oceano di infuocato gelo.

    Valutò le tempistiche. Le bastò solo una mezza frazione di secondo per comprendere il tempo d'impatto e non fu difficile come qualcuno avrebbe potuto immaginare.
    Era già caduta da posti ben più alti.

    Voltò su se stessa, lasciando che il Signore Vento le abbracciasse la schiena.
    Il suo Sharingan, scuro e iniettato di una rabbia che assumeva i connotati della ferocia fredda e ben distinta, brillò come una gemma rara in quello spettacolo di pericolosa tensione, ma non fu rivolto a nient'altro che ai volti dei Kage.
    Non si sarebbe capito quale sarebbe stata la sua intenzione fino al momento, rapido e incalzante, in cui la kunoichi accumulò una dose di chakra folle in entrambe le mani. Un alone di un blu elettrico freddo come un inferno di ghiaccio si gonfiò come una nube attorno agli arti della giovane Shinobi e lei, tirando indietro un pugno, strinse il volto in un'espressione di equilibrata e perfetta concentrazione.
    Quel tipo di concentrazione nei momenti di pericolo che nasce da un'esperienza che ha forgiato completamente il carattere di una persona: la totale, subitanea e perfetta incapacità di pensare ad altro che al proprio obiettivo.
    La concentrazione perfetta.

    Avrebbe distrutto il volto di un Kage.

    Lo avrebbe fatto esplodere, quel poco che sarebbe riuscita, abbastanza da creare una pioggia di massi di media dimensione che avrebbe potuto usare come trampolino per saltare negli alberi che svettavano poco distanti dal punto in cui il suo corpo avrebbe impattato, finendo in frantumi.
    Lo avrebbe distrutto, e di poco sembrava importarsi della gente sotto di lei, del villaggio o di qualsiasi altra cosa: il suo obiettivo era rimanere viva, e solo a quello guardava.
    Non sarebbe uscita incolume da quella strategia, anzi. Con ogni probabilità si sarebbe rotta diverse ossa e la sua carne sarebbe di nuovo esplosa per il quantitativo folle di chakra da lei usato, ma era sempre meglio che finire rotta in due al suolo, o con gli arti in poltiglia nel tentativo di attutire la caduta.
    In meno di un secondo, in una situazione critica, era riuscita a valutare il male minore e ad accettarne le conseguenze senza battere ciglio. Una dote eccezionale, maturata in chissà quale avversità, ma che non teneva conto delle conseguenze sugli altri. E non perché non le avesse valutati, ma perché, realmente, non parve interessarsene.
    La sua priorità era la sua salvezza, il resto era nullità.

    Caricò il colpo, concentrò il chakra fino a farlo diventare quanto di più simile ad una sfera, denotando in questo modo un controllo della sua energia pressoché perfetto –come ci si sarebbe aspettati da qualcuno affetto dalla sua condizione, che poteva tenere placata solo con un controllo magistrale del Chakra– e fu proprio mentre faceva serpeggiare il braccio in avanti, pronta a colpire uno zigomo del Kage, la parte più vicina a lei nella caduta, che qualcosa la afferrò al volo, frenando il suo precipitare in un istante.
    Un Clone.


    Vuoi morire?




    La voce le arrivò lontana. I suoi timpani erano ancora resi parzialmente sordi dalla velocità del vento che le fischiava dentro le orecchie come un vortice d'aria. Eppure lei, paradossalmente, non sembrava ancora turbata dalla situazione.
    I lobi di chakra attorno alle sue braccia bruciavano ancora come fuochi blu e lei, senza tradire il benché minimo risentimento, si voltò di scatto, cercando di colpire il Clone con quelle sfere ad impatto esplosivo.
    Non si sarebbe poi curata troppo di far svanire quel servetto di energia spirituale. Immaginava di non avere nessuna e remota possibilità di fare questo al prodotto delle capacità di un Jonin, ma non aveva neanche nessuna intenzione di continuare ad essere tenuta in braccio come una bambina.
    Perché lei non era più una bambina, e questo, Raizen, avrebbe dovuto capirlo.
    Le sarebbe bastato far allontanare almeno di qualche passo il Clone, attivando il Chakra Adesivo così da rimanere in equilibrio sullo zigomo del Kage in perfetta autonomia, perpendicolare al suolo. Ci avrebbe provato, almeno.
    I suoi occhi, in cui uno Sharingan più adulto rispetto a quello visto dallo Shinobi tempo addietro, si sarebbero a quel punto alzati a cercare quelli, altrettanto rossi, del Colosso. Le due tomoe giravano silenziosamente e il volto della kunoichi, disteso in un'espressione di calcolato equilibrio, si increspò in un sorriso ironico.
    Adesso sì che sembrava davvero divertita.
    «Hai finito?» Avrebbe domandato gentilmente Shizuka Kobayashi. Le sue mani tremavano impercettibilmente mentre faceva scemare la dose di chakra attorno alle braccia. I suoi occhi si socchiusero. Il suo respiro, leggermente affannato, tornò regolare. «Ora basta, Raizen. Sei patetico.» Disse con semplicità, e quello era un vero giudizio. Forse il primo che la kunoichi si permetteva nei confronti del suo “maestro”. «Hai finito di far vedere che hai il pene più grosso? Accidenti, sei bravo. Sei forte. Sei incredibile. Come te non c'è nessuno, credimi, dopo tanti anni, l'ho capito.» Affilò maggiormente lo sguardo. «Adesso basta.» Sorrise ancora e forse, se Raizen per un attimo avesse dissipato la sua mente dalla sua ottusa e ostinata presunzione, lo avrebbe visto: di fronte a lui non c'era più la bambina di un tempo, ma una donna. «E' tutto uguale, tutto uguale a tanti anni fa. Non sei cambiato di una virgola, il nostro legame non è cambiato, non è evoluto! Te ne rendi conto, tra una spacconata e l'altra, oppure no? Vuoi ancora giocare a fare Dio? Ti fa sentire così importante il potermi rigirare sul palmo della tua mano?» Rise, e adesso lo fece di gusto. «Hai fatto la stessa identica cosa di quando avevo sedici anni e cercavo di capire cosa fare al mio primo corso genin. Al tempo mi hai sottratto del tutto senza senso dalla mia tenda, mezza nuda, assonnata e spaventata. Mi hai sollevata per un piede, mi hai terrorizzata fino al midollo e io, comprendendo di non poter niente contro di te, mi sono limitata a piangere. Adesso hai fatto la stessa cosa: mi hai gettato da un dirupo sperando che io reagissi allo stesso modo di quel giorno, ossia chiedendoti pietà e ammettendo che hai ragione su tutto, da sempre.» Rimaneva in equilibrio sul volto del Kage senza il benché minimo problema, e questo dopo aver accumulato una dose abnorme di chakra pochi istanti prima in un'altra parte del corpo. Il suo controllo, ormai, era davvero perfetto come si sarebbe potuto notare dal tremore delle sue braccia e dalle sue espressioni, ricondotte alla normalità con ferocia gelida. «Ma tu non hai ragione, Raizen. Non sei nessuno, nessuno più di me. Non sei un Dio, non hai le capacità, né l'intelletto e neppure il diritto di giudicare il mondo e le persone, imponendoti su di esse.» Reclinò leggermente la testa all'indietro, divertita. «Vedi qual è il problema: tu non hai mai capito una cosa. Io non ho mai avuto bisogno di qualcuno che mi “plasmasse” o si imponesse su di me per forgiare la mia mente, quello cioè che tu hai sempre fatto. Non so che tipo di educazione quel tuo maestro pazzo ti abbia dato, ma io, al contrario tuo, sono sempre andata avanti, mi sono evoluta, sono cresciuta, cambiata, sono maturata... da sola.» A quel punto alzò un braccio, puntando un dito indice verso il volto del Jonin. «Tu non ci sei mai stato. Neanche quando eri con me, mi sei mai stato d'aiuto.» E così dicendo rise, gelidamente. «...Non ci arrivi, eh? Mi hai sempre cercato di rendere uguale a te, di impormi le tue idee e la tua presunzione. Quando ero più piccola e affermavo di voler cambiare il mondo shinobi con la bontà e la giustizia, mi stordivi per convincermi che non esisteva nessuna bontà e giustizia in un mondo come quello ninja, creato per la guerra. Mi picchiavi, mi torturavi, e tutto per insegnarmi la ferocia della nostra realtà. Violentavi la mia mente perché io, distrutta dalla mia incapacità di oppormi a te, piangessi e ti dessi ragione. Adesso stai tentando di fare lo stesso, ma nella direzione inversa.» Il suo sguardo non si discostava di un millimetro da quello del Colosso, che inchiodava al suo posto con ferocia fredda. «Avevi ragione quando hai detto che la prassi è sempre stata che io piagnucolavo e strillavo, tu che mi ignoravi e io che insistevo, tu che ti imponevi e io che ubbidivo. Ma questa prassi ho cercato di cambiarla un milione di volte, perché superati i primi tempi di smarrimento, in cui realmente ero un pulcino in un mondo sconosciuto, io non ho mai avuto bisogno di tutto questo.» Sorride, sarcastica. «Non hai mai accettato i miei cambiamenti, riconducendoli a chissà quale immaturità del mio carattere. Non hai mai capito che le persone cambiano, crescono, si evolvono, perché tu, poverino, non ti sei mai evoluto. Gli anni passano, tu sei diventato Jonin, qualcosa in te è diverso per ragioni che ancora non capisco, eppure sei uguale a quando avevi vent'anni ed eri un chunin addetto ai corsi per studentelli.» E a quel punto allargò le braccia e rise. La sua risata era lo specchio di un'energia latente ricca di potenziale tutto da forgiare, posta in equilibrio su un filo che poteva pendere da una parte o dall'altra. Da quella bianca delle cose, o da quella scura. Nera. «Tu non sei cambiato, ma io si. E questo è il modo in cui l'ho fatto, che ti piaccia oppure no. Credevi di spaventarmi, gettandomi da lassù? Hai idea di che cosa io abbia affrontato mentre tu pretendevi di detenere nel mio cuore il ruolo di maestro che già da anni non hai più? Ho combattuto, ho lottato, ho intrapreso missioni che tu, poverino, continueresti a definire “sciocchezze” perché tanto, le cose importanti e pericolose, le fai solo tu. Non è una gara, Raizen. Non me ne frega un cazzo se sei un super ninja potentissimo e bravissimo.» Strinse il suo volto in un ghigno ironico. «Sei un maestro fallito e inutile.» Fece spallucce e ritornò a braccia conserte. «Continua ad abbaiare, ma mentre tu migliori anche io lo faccio. Le tue strategie hanno sempre meno effetto su di me e un giorno arriverò al punto per cui il tuo "bau bau bau" mi apparirà solo come un rumore indistinto di sottofondo. Quindi, cerchiamo di capirci. Interagiamo E così dicendo scimmiottò il gesto che il Jonin aveva fatto poco prima. «Il mio nome è Shizuka Kobayashi. Che ti piaccia oppure no sono una mezzosangue Uchiha. Stravolta dalla potenza di un'innata che non sono mai stata educata a controllare, sono stata divorata dalla sua stessa energia e ora continuo a lottare ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo, perché questa oscurità che vedi in me possa diventare qualcosa di utile alla parte “giusta” delle cose, ovunque sia questa giustizia che spero sempre esista. Non me ne faccio di un cazzo di un cane randagio che mi sculaccia dandomi ordini che dimentico appena lui sparisce, puntualmente, per mesi.» E così dicendo si fece gelida. «Vuoi aiutarmi a rendere questo fiele un miele a disposizione di Konoha, si oppure no? Posso benissimo cavarmela da sola, in ogni caso. Quello che ho sempre fatto, del resto. Ma se sono così importante per te come dici, cerca di cominciare a capire che quello che sono è ciò che vedi davanti a te ora, e io ho bisogno di un compagno, non di un maestro e nemmeno di un rettore.» Sorrise, ma per l'ultima volta. «Non sono più la bambina di tanti anni fa, Raizen. Sono cambiata. Sono cresciuta. Considerami una compagna, qualcuno al fianco di cui combattere e guardare avanti, oppure sparisci.»

    Erano anni che Raizen Ikigami e Shizuka Kobayashi erano considerati l'uno lo specchio dell'altra.
    Si diceva che non importava quanto lontano i due fossero, se la Principessa avesse cantato il Colosso sarebbe giunto, e se lui ne avesse urlato il nome, ella sarebbe uscita dalle ombre per lui.
    Ma quella fiaba, niente più che il gioco di parole di un villaggio colpito dal contrasto delle personalità, era giunto adesso ad una svolta: continuare, o cessare per sempre.



    divisore




     
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