Messa a punto

Perfezionamento di un ninja [Villa Kobayashi]

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. Arashi Hime
        Like  
     
    .
    Avatar

    Group
    Y Danone
    Posts
    8,529
    Reputation
    +561

    Status
    Anonymous

    SOMETHING TO C H O O S E:
    The greatest weapon against life is our ability to choose one thought over another.

    Shizuka Kobayashi's choice




    divisore




    Non sapeva neanche da dove cominciare a rispondere, e fu per questo che ci mise qualche minuto per riuscire finalmente a smettere di aprire la bocca a vuoto.
    La sua espressione, quieto specchio di gelida freddezza, parve per un attimo incrinarsi, come qualcosa di molto prezioso che scosso dal vento precipita, finendo in frantumi.
    «Io non ti ho mai “cercato”? Non ti ho mai chiesto niente riguardo la tua persona?» Domandò Shizuka Kobayashi, cercando di moderare il tremore delle sue labbra, un buon tentativo che durò tuttavia solo qualche istante, prima che lei, aprendo le braccia, sbottasse con rabbia. «BUGIARDO! IPOCRITA!» E finalmente la sua voce perse l'equilibrio ostentato fino a quel momento, precipitò, e proprio come cercava disperatamente di esprimere, ritornò quella di un tempo, in cui a parlare non era una donna, ma una bambina: espressiva e ostinata. «Ti ho cercato per anni! Per anni ti ho inseguito disperatamente, ho cercato di toccare la tua schiena perché tu potessi voltarti e vedermi Urlò la kunoichi, fremente di rabbia. «Avevo sedici anni quando ho deciso di abbandonare il mio status di Principessa e dimostrare di poter vivere con le mie sole forze. Cercavo un lavoro, uno qualsiasi. Divenni ninja per sfidare mio fratello, il mio Clan e anche me stessa, ma la verità era che avrei potuto diventare fruttivendola e non ci sarebbe stata alcuna differenza. Ho voluto la strada più brutta, quella più difficile e che meno mi si addiceva, e questo perché volevo che tutti riconoscessero il mio genio.» Esitò. «E poi ho trovato te.» Tacque un istante, cercando di riportare la sua mente alla quiete, ma come un lago le cui acque erano frastornate dalle gocce di una pioggia incessante, la ragazza parve non riuscirvi. «Ero sola. Avevo passato la mia vita ad essere imboccata dalla mia famiglia, ero la buona figlia di papà capace solo di eccellere nel commercio e nella sartoria. Al tempo i miei parenti mi voltarono le spalle, credendo così di demotivarmi dalla mia scelta, che al contrario intrapresi con più ostinazione. Kuroro era distante come mai lo era stato, stava disperatamente cercando di smettere di essere il mio sostegno, e solo dopo avrei capito perché.» E pronunciare quelle parole, quel nome, bastò perché il suo volto si contraesse in una smorfia di profonda rabbia e disgusto. «Avevo solamente te. Tu mi hai preso con te, mi hai cresciuta ed educata senza preoccuparti di quale fosse il mio rango o il mio nome. Molti altri invece, all'ufficio accademico di Konoha, non si sentirono di fare ciò che hai fatto tu.» Esitò, pensando a tutti i rifiuti, le lettere di richiesta rimandate indietro. Tutte le volte in cui aveva pensato che la potenza del suo Clan potesse arrivare davvero ad influenzare anche chi, dopotutto, apparteneva ad un mondo diverso da quello civile: lo Shinobi. «Non mi interessava cosa si dicesse di te, perché tu mi volevi. Volevi me. E non perché ero la Principessa del Clan Kobayashi, ma perché ero “la tua allieva”.»

    ...Ma a quanto pareva non era mai stato così.
    A quanto pareva, infatti, non era mai stata solo “l'allieva” ma “la carne”.
    Quel pensiero, in modo probabilmente del tutto insensato, la fece ridere sommessamente. Le sue spalle, più solide di un tempo, più squadrate di quando era una ragazzina, tremarono sotto quell'ilarità dubbiosa. Le sue mani erano due pugni serrati.

    «Sei affetto da amnesia oppure hai solo una memoria selettiva?» Domandò d'improvviso la kunoichi, e le parole dardeggiarono come frecce dritte in fronte al Jonin della Foglia. «Ho cercato disperatamente di arrivare a te quando ho capito che non volevo più “solo” il rapporto “allievo-maestro”.» Alzò lo sguardo in quello di Raizen. Il suo sharingan, un bagno cremisi che a differenza del passato non sembrava più vacillare, scomparendo a suo piacimento, parve ridere dell'immagine che veniva rimandata lui di quel Colosso. «Come ho già detto ci ho provato, e adesso ricorda con me: quando io ti parlavo di come avevo ritirato il mio coprifronte, quella volta che ci incontrammo alle terme, di come aveva reagito la mia famiglia nel sapermi la migliore genin di Konoha... chiesi di te, della tua famiglia, di ciò che facesti alla tua promozione. Mi ignorasti, alzandoti e andandotene dalla vasca. A nulla valse il mio correrti dietro, insistendo.» Prima pausa. «Quando mi allenasti nella foresta fuori dal villaggio, uno dei miei primi addestramenti in solitaria con te, io mi rifiutai di parlarti della verità di mia madre, del mio essere una meticcia. Mi vergognavo di ciò che ero: una bastarda, ma soprattutto mi vergognavo di ciò che gli Uchiha avevano fatto alla mia amata madre, e dopotutto anche del fatto che lei avesse accettato tutto senza reagire. Quella volta mi sgridasti, dicendomi che dovevo dirti tutto, tutto di me, perché eravamo “allievo e maestro”. Quando però io ti chiesi della tua famiglia, di quali fossero le tue origini in quanto i tuoi lineamenti sono così strani per un kohononiano, tu mi hai risposto di non badare all'aspetto perché “a differenza del mondo in cui ero nata e cresciuta, in quello shinobi nessuno se ne curava” Seconda pausa. «Dissi di volerti venire a trovare a casa, perché volevo stare con te. Avrei portato dei mochi, preparato il tè, e giurai persino che avrei pulito... una cosa inaccettabile per una Principessa. Tu mi rispondessi, quella volta, che non avevi fissa dimora, che vivevi nella foresta. E io ci venni anche in quella fottuta foresta a cercarti. Stranamente non ti trovai.» Terza Pausa. «Avevo diciotto anni. Cominciavo a venir mangiata dal mio disequilibrio, e fu la prima volta che ottenni informazioni su di te. Era quando il Clan Uchiha voleva sigillare il mio Sharingan, ti ricordi? Tu venisti a “salvarmi” e criticasti aspramente il funzionamento dei Clan... furibonda ti urlai che un randagio come te, con un nome palesemente falso, non sa come funziona un meccanismo come quello delle grandi famiglie e quindi di tacere e chiedere scusa. Finalmente mi rispondesti che avevo perfettamente ragione, perché tu “non sai di chi sei figlio e una famiglia non ce l'hai”
    Il silenzio che cadde in seguito a quell'ultima frase fu pesante come una coltre, ma la kunoichi non parve intenzionata ad infrangerlo. Rimanendo immobile, perfettamente aderente al volto del Kage con il suo chakra, rimase in attesa che la mente del Colosso elaborasse quei ricordi, riconducendoli alla parte vera di un racconto che, era evidente, aveva comodamente cambiato a suo piacimento.
    La sua intelligenza, la sua raffinata capacità di memorizzare tutto, scoppiò in faccia al Jonin con delusione e rabbia mal celata, e solo in quel momento, forse, lui avrebbe capito quanto lei avesse sofferto, tanti anni prima, di essere così rifiutata.
    Nonostante ciò in quel momento sorrise, ironica.
    «Improvvisamente, poi, hai cominciato a sparire per mesi. Mesi.» E così dicendo contò sulle dita in silenzio, azzerandole rapidamente tutte per poi fermarsi, gelida, e riportare il suo sguardo in quello del Jonin. «Ti ho cercato ovunque. Ho chiesto all'amministrazione, in accademia. In ogni missione mi spingesse più lontano della pianura del Fuoco chiedevo di te. A Kiri. A Suna.» Fece spallucce, con sufficienza. «Niente.» Sentenziò, gelida. «Intanto io sprofondavo sempre più in basso, ma questo tu non lo potevi sapere perché negli ultimi tre anni ci siamo visti solo due volte: quella in cui dovevano sigillare il mio sharingan e ora, ed in entrambe le occasioni tu venivi a salvarmi da me stessa o da ciò che gli altri pensavano di me. Sarai certo d'accordo sul fatto che nessuna di queste due situazioni favoriscano o abbiano favorito un piacevole scambio di battute per approfondire una qualsiasi conoscenza.» Rise, alzando gli occhi al cielo. «Ci sei? Hai vagamente cancellato la tua amnesia per ricordare tutto questo?» Chiese piattamente. «Se ci sei riuscito, e spero vivamente che sia così, hai finito di fare il vittimista?» Si mise a braccia conserte. «Prima di andare in giro a dire che non ho mai chiesto di te, che non ho mai cercato di raggiungerti, puoi fermarti a pensare a quanto tu sia per me tutto ciò che inizia e finisce la mia vita da kunoichi? Puoi riflettere sulla possibilità che ad aver messo muro sei stato tu e non io? Che il “nascondere la tua fine programmazione”, il tuo “vero volto”, o anche le tue “reali intenzioni” e “veri desideri” è come allontanarti da chiunque, impedendo di essere avvicinato? Ti puoi soffermare, idiota, sul fatto che mentre tu di me sai tutto, perché ti ho sempre aperto le porte di un cuore che puoi stai pur sicuro se fossero state chiuse come dici non ti avrebbero mai permesso di essere qui ora, io di te non sapevo nemmeno che adesso puoi scodinzolare?» Domandò, accennando un sorriso, che si affilò però subito dopo in un'espressione gelida. Simile a quella di un vero Uchiha. Di un purosangue. «...Un Jinchuuriki, eh? Beh, e nonostante ciò cosa fai, parli con il tuo stomaco, Raizen?» Ironizzò. «Deve essere divertente avere un animaletto nel pancino, ora si che non sei mai solo. Insegna al tuo Bijou a saltare in cerchi e riportarti la pallina. E nel mentre a non intromettersi in discorsi che non lo riguardano.» Sibilò, gelida. A dispetto della notizia pressocché allucinante, ancora una volta la ragazza dimostrò di non aver problemi, ormai, ad adeguarsi istantaneamente anche alle più grandi follie, come diede da intendere parlando direttamente all'addome del Jonin dell Foglia. «E ora torniamo a noi, e chiariamo una volta per tutte una cosa, ti va?»

    [...] C'era qualcosa di sostanzialmente diverso in Shizuka Kobayashi. E questo non era né l'abilità da Shinobi incrementata e nemmeno la precarietà della sua mente di cui diceva essere preda.
    Ciò che rendeva quella donna diversa, in un modo che forse Raizen Ikigami non era riuscito a comprendere, era l'assoluta e abissale capacità, ora come mai prima, di essere pronta a tutto per ottenere il suo scopo.
    Al sacrificio, se necessario.

    «Ho scelto io di diventare ciò che sono.» Lo disse con semplicità quasi asettica, quasi sconcertante, ma pur sempre ragionata. Quieta. «Quando lottavo contro Karasu, quando il mio errore ha distrutto Konoha, uccidendo tutta quella gente, sono stata messa di fronte ad una scelta: cedere oppure no a “qualcosa”.» Scivolò per un istante nel silenzio, abbassando impercettibilmente lo sguardo come se la sua mente, adesso, lavorasse freneticamente nel ricordo. «Cos'è questo “qualcosa”? Ci ho davvero pensato in quel momento: una maledizione? Un destino?» Rise, scuotendo la testa. «Non esistono cose come le maledizioni a questo mondo, Raizen. Solo gli uomini maledicono gli altri uomini, o maledicono se stessi. Proprio per questa ragione non esiste nessun destino. E allora cosa rimane?» Chiuse gli occhi, e dopo un breve attimo di pausa sorrise. «Non rimane nulla. Proprio qui sta il punto. Non rimane proprio nulla.» Scosse la testa. «Gli Uchiha la chiamano la “maledizione dell'odio”, quello cioè che portò Madara Uchiha, secoli addietro, a fare ciò che ha fatto. Ciò che, andando ancora più a ritroso, ha separato nella leggenda i due fratelli figli dell'Eremita delle sei vie.» La ragazza sembrava aver studiato la lezione di storia e, simpaticamente, si rivolse nuovamente all'addome del Jonin: «Ehi volpe, te li ricordi i miei antenati, no?» Chiese, ma non si preoccupò di chiedere all'interlocutore la risposta. «Dicono che è una maledizione, ma la verità, vedi, è semplicemente diversa: le persone sono malvagie esattamente quanto sono buone. Vivono in una dualità perenne che molti non si accorgono neanche di avere, e decidono di dedicarsi all'una o all'altra parte per via dell'ambiente in cui crescono, o delle situazioni in cui maturano, o anche delle persone con cui entrano in contatto. La decisione non è mai perenne, la si può cambiare all'occorrenza. Arriva però un momento in cui semplicemente devi scegliere: di qua o di là.» Fece spallucce, grattandosi il naso. «Io ho scelto "di là".» Sorrise educatamente, accennando ad un inchino. Era teatrale, ma in un modo che non sembrava prendere in giro nessuno se non se stessa. «Voi Shinobi nascete tali. Siete educati sin dalla nascita, addestrati a resistere, a mantenervi lucidi quando un potere enorme come quello del chakra vi investe. Io invece sono nata Principessa, e nessuno mi ha mai raccontato la fiaba del mio essere per metà ninja fino a quando i miei occhi hanno messo le rotelle e sono partiti per fatti loro.» Rise di quella pessima battuta, proprio come quando era più piccola ed era sempre l'unica a ridere della sua ironia. «Ma non ti angustiare, non intendo neanche dare la colpa alla mia famiglia per avermi mentito tutta la vita impedendomi di conoscere le mie vere origini: la colpa è solo mia. Quando sono stata messa di fronte a quella scelta ho riflettuto su tutto questo, ho pensato a te, se vuoi credermi, a ciò che mi dicesti circa il rimanermi pura. Ma non ho scelto quella strada. Ho deciso di guardare dentro l'abisso e poi, ti confiderò un segreto...» E fu allora che sorrise con reale sincerità. Era un sorriso vero ma, si sarebbe accorto Raizen Ikigami, proprio per questo agghiacciante. «...non mi è dispiaciuto.» Confessò. «Tutto qua. Non c'è nessuna maledizione, nessun fato. Io ho semplicemente preso una decisione, quella di lasciar perdere la parte “chiara” della mia vita, che non è nient'altro che la mia incapacità di divenire un tutt'uno con la mia abilità innata, di accettarmi interamente come Shinobi, di assumermi i doveri del mio titolo; e di abbracciare quella “scura”, quella che uccide in nome di un qualcosa, che ora come ora devo capire cos'è, e lo fa perché indossa un coprifronte di un villaggio e fa parte di un certo tipo di mondo. Ho preso la decisione che in un momento come quello dell'attacco terroristico, mi avrebbe dato più possibilità di vita e una maggiore capacità di uccidere l'uomo che ha ridotto la mia casa ad un cumulo di macerie.» Sventolò la mano di fronte al viso, ironica. «Bau bau bau, Raizen... credi che voglia la gente morta perché ora sono “malvagia”?» Rise di cuore. «Chi è il moccioso, ora?» Lo indicò con sarcasmo. «Non sono “cattiva”. Sono “Shinobi”. Seguo un ideale, e questo è quello di proteggere le persone che amo. Voglio la gente morta, quella che mi ha fatto questo...» Indicò la sua cicatrice. «...che ha organizzato quello...» Indicò i ruderi di Konoha. «...e che ti ha indotto a credere ciò che hai stupidamente creduto fino ad ora.» E indicò nuovamente il Jonin. «Non mi interessa a chi devo appoggiarmi per raggiungere il mio obiettivo, che è ora quello di scovare Kurotempi e distruggerlo prima che lui mi porti via con sé chissà dove. Voglio strappare gli occhi a Karasu e farglieli masticare con gusto, e ridere mentre questo accade. Un tempo mi sarei suicidata, annegata nella mia stessa sofferenza, adesso invece vorrei semplicemente essere lasciata un pò in pace perché la mia mente torni tranquilla come nel momento in cui ho deciso di essere ciò che sono ora. Perché non importa quanto tu viva nell'oscurità, o che demone porti dentro, se continui a guardare in direzione della parte chiara delle cose forse non andrà tutto proprio male. Non devo essere salvata da niente, ho preso una decisione ed è quella che seguirò: non voglio principi azzurri, voglio dei compagni e degli amici al fianco di cui andare avanti. Quello, cioè, che non ho mai avuto.»

    A quel punto si zittì, evidentemente avendo terminato.
    Ad essere onesti c'erano ancora diverse centinaiai di migliaia di cose che voleva dire, a cui voleva rispondere, ma preferì concentrarsi sulle più importanti tra le tutte, perché la mente del Colosso, già minuscola normalmente (e quindi non osava immaginare adesso che doveva condividerla con qualcun altro), non perdesse di vista ciò che voleva davvero comunicargli:
    Come la leggenda che narrava della Principessa e del Demone bianco che veniva raccontata ai chioschi di cibo di strada del famoso Villaggio della Foglia, la notte dopo la dipartita del sole, lei aveva bisogno della sua Volpe come ella della sua Signora.
    Che l'una vivesse nella luce e l'altra nell'oscurità, non era poi un grande problema.


    divisore




     
    .
29 replies since 25/11/2014, 23:45   363 views
  Share  
.