Messa a punto

Perfezionamento di un ninja [Villa Kobayashi]

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    Il varo

    La tempesta travestita da marea







    Il Colosso scosse la testa, arrestandosi.

    Sai cosa? Io sarò affetto da amnesia ma tu hai un problema quasi più grave ricordi selettivamente, partecipo anche io a questo errore, ma lascia che ti ricordi delle terme, perché proprio quelle ci permettono di parlare ORA in questo modo.

    Fece una pausa, fissando i propri occhi su quelli di lei, curiosamente simili.

    Tu, mi dicesti che IO non ero la tua valvola di sfogo, che se non mi dicevi tutto era perchè evidentemente non ero la persona adatta, credimi, lo ricordo bene.
    In quel momento sei stata tu a mettere l’acciaio nel cemento che io stavo gettando, murando ogni tua possibilità d’accesso.
    Ho un modo strano di rapportarmi con gli altri, ma è questo, tu mi dicevi della tua famiglia io ti dicevo della mia, il problema è che niente di tutto questo per me era importante quanto lo era per te.
    Famiglia, difficoltà ad accettare una doppia identità e tutto il resto, per me hanno poco peso è un qualcosa a cui mi sono abituato.
    Io non sono stato cresciuto come shinobi, e lo sai, io ho saputo diventarlo, è diverso.


    La indicò, in un primo momento senza parlare.

    Guardati, di nuovo.
    E dimmi cosa è quella merda che ti va dalla spalla al fianco, è così grossa che potrebbe passarci un treno.
    Cerchi di lasciarti addosso i segni di una crescita che non ti serve puntellare.
    Non ti serve ricordarti che ora sei più grande, non ti serve ricordarlo agli altri.
    Anche perché, diciamocelo, non me frega proprio un cazzo.
    Ti ho sempre detto che uno shinobi necessitava di due vite e hai appena finito di dirmi che ne hai volontariamente abbandonato una. Sei ammezzata.


    Sentenziò con la sua tipica supponenza.

    E non me ne importa nulla se il mio giudizio è sbagliato se mi faccio fantasie e quello che stradiavolaccio pare a te. Questo si vede da fuori e questo dici.

    Sospirò torturandosi le guance con i denti mentre rifletteva, ed era chiaro quanto quella che pareva essere una decisione fosse importante per lui, più volte il suo sguardò saettò da una parte all’altra di quella cicatrice, pareva che in essa vi ritrovasse qualcosa di profondamente errato, a sufficienza da reputarla estranea a quel corpo, addirittura a questo mondo.

    Mi sono rotto di stare appeso alla faccia di questo vecchio.

    Fu il suo modo di dire a Shizuka di seguirlo mentre si spostava, la portò in una parte più silenziosa del villaggio, una piccola piazza con una fontana in ghisa al centro il cui rubinetto ormai vecchio, scandiva il tempo con l’acqua che perdeva quando il chiacchiericcio dei passanti non ne sovrastava il rumore.
    Le poche panchine a disposizione erano quasi del tutto vuote e quello spiazzo, quasi scavato tra i fitti alberi tipici di Konoha, andava ormai svuotandosi.

    E rilassati, sei troppo tesa, dopotutto sei stata brava.

    Avrebbe affermato riferendosi a qualcosa che lei, cresciuta come si credeva d’essere, probabilmente non si rendeva conto d’aver fatto.
    Sospirò nuovamente.

    C’è qualcosa oltre l’allievo e il maestro, certo.
    Siamo stati a contatto in un modo che non ci avrebbe permesso alternative allo sviluppare un rapporto diverso.
    Ma a ben pensarci, cosa è?
    Sei tu che maldestramente cerchi di sapere chi e cosa sono e sono.


    Chinò la testa mentre col pollice cercava di allisciare una piccola scheggia della panca in cui stava seduto, un piccolo gesto con cui ingannava il tempo necessario a pronunciare quelle parole volutamente caute, su cui voleva darsi la possibilità di tornare indietro prima di ultimare la frase se si fosse accorto di sbagliarla.

    E sono io che uso tutta la mia forza per rompere qualsiasi tipo di maschera tu voglia metterti addosso, da quella di una stupida bambina sulla punta dei piedi, a quella di una donna dietro una cicatrice il cui peso ormai la schiaccia. E smettila di affermare il contrario.
    Per l’inferno, smettila!
    Non esistono maledizioni, esistono solo checche smidollate dagli occhi congiuntivitici che danno parole altisonanti a scelte che il loro culo tremolante ha paura di prendere.
    Non c’è maledizione, non c’è un baratro, ci sei tu e ciò che vuoi fare di te, non raccontarmi altre storie, sono ridicole, e credimi non è un vanto, ma ne conosco davvero tante.



    Si girò verso Shizuka, il Raizen di sempre dopotutto, un po’ scompigliato ma ordinato nel complesso con quella sua divisa nera ed essenziale, che faceva risaltare i suoi capelli chiari come una cascata al chiaro di luna. Aveva un sorriso stiracchiato sulle labbra, un angolo della bocca piegava verso l’alto, marcando l’alto zigomo di quel suo sciupato dall’incuria tipicamente maschile che lasciava la barba più lunga della dignitosa rasatura a pelle.

    A me Shizuka piaceva prima.
    E non mentirmi, non dirmi che non esiste più o che è cambiata perchè cresciuta, la vedo muoversi ogni volta che apri gli occhi a sufficienza.
    Non mi infastidisce che tu cresca, che tu sia capace di uccidere, mi infastidisce che tu perda il tuo animo cristallino, era una peculiarità come si potrebbe dire, rinfrescante?
    Ora arrivi qui, ti porti dietro il tuo zainetto di odio e speri che io possa accettarlo?
    A me i cambiamenti non piacciono generalmente, diciamo una sorta di piccolo autismo, figurati quando sono in peggio che reazione possono causare. Ah no aspetta, l’hai appena visto.
    Figurati quando mi accorgo che a causarli non è una crescita spontanea ma un trauma.
    Esplodo, e non posso farne a meno.
    Esplodo quando parli di appoggiarti a qualcuno solo perché potrebbe portarti più in alto.
    Esplodo perché non vengo escluso da quel gruppo, ma soprattutto perché mi conosci così poco da pensare che potrei accettare una cosa simile.


    Dichiarò senza mezzi termini, anche se pareva lievemente risentito, seppur sicuro che fosse nel giusto era cosciente che le sue reazioni potevano essere esagerate e quando aveva l’occasione per rifletterci nuovamente poteva capitare che se ne pentisse.

    Esplodo cercando di distruggere ciò che non gradisco, e avrai notato che non mi preoccupo di ciò che c’è tra l’esplosione e l’obiettivo.
    Non voglio credere che tu sia così stupida da aver buttato te stessa così lontano da non poterti ritrovare, saresti solo l’ennesima baldracca con quattro kunai per mano, una kunoichi tra le kunoichi.
    E credimi, non sarei in grado di vederti nemmeno se quei tuoi stupidi occhi diventassero grandi quanto le ruote di un carro.


    Appoggiandosi sullo schienale della panchina parve trovare del sollievo da tutti quei piccoli gesti di autodistrazione.

    Non era divertente vederti inciampare, arrossire e tutte le altre cose da Shizuka era… bello.
    Si poteva percepire che quel placido soffio di vento sarebbe stato in grado di trasformarsi in uragano a comando.


    Pronunciò l’ultima parola con un candore innaturale per lui, sottolineando in quel modo quella che per lui risultava essere l’unica parola degna di concludere quella frase.

    Mi sono allontanato per mesi e mesi perché lontano mi ha portato il mio lavoro.
    Sai cosa è successo mentre tu giocavi con i tuoi petardi?
    Ero in una piccola isola sperduta nel mare tra Kiri e Konoha, combattevo delle strane creature, abomini, particolari esperimenti che portavano gli esseri umani a tramutarsi in bestie assoggettati da un'unica mente, il loro creatore e padrone.
    Alcuni erano così forti che mi hanno messo KO, mi hanno imprigionato e torturato.
    Eppure ne sono uscito, ho portato con me gli altri prigionieri e ora sono qui, senza cicatrici, ma con dell’esperienza comunque preziosa.
    Ah. E non precipitarti, da allora sono diventato decisamente più forte, temo molte cose non sarebbero accadute con le capacità attuali.
    Questo per dire che non sono un vittimista, semplicemente tutto ciò che ho fatto da quando ti ho prelevato da casa tua doveva portare a questo in qualche modo, se lo fossi stato a quest’ora sapresti cosa è accaduto in quell’isola, invece no.
    Per dire cosa?
    Quella cicatrice è orribile, non te la meriti.


    Si alzò quasi di botto, seguito da lamento di qualche bullone che protestava per quell’irruenza, tendendo la mano a Shizuka, esattamente come la ricordava, grande eppure non tipicamente gonfia come lo erano le mani dei lavoratori, nodosa nelle giunture ma snella e agile, forse qualche callo in più dovuto al lavoro in fucina di cui tuttavia la sua allieva non sapeva nulla, una mano forte, al suo interno quella di Shizuka si sarebbe quasi persa, piccola, come sempre.

    Vieni.

    La invitò con uno sguardo che non tradiva la nuova marea che quelle parole avevano portato, se era vero che l’allieva voleva un’altra possibilità così come le sue parole chiedevano, appositamente per lei era sorta una nuova gravità per innalzarne una sufficientemente grande da sommergerla, si sarebbe opposta?
    Come sarebbe riuscita da quella placida tempesta?
    Se avesse accettato l’avrebbe tratta a se avvicinandosi al suo orecchio, in caso contrario sarebbe scattato in avanti con un mugugno poco dopo aver alzato gli occhi al cielo in segno di scherzosa noia.

    Senza Shizuka non ci sarà MAI Raizen.

    Se la sua allieva voleva dei compagni era vero che Raizen voleva qualcosa che credeva essere suo, qualcosa che a torto o ragione si prendeva i meriti di aver scoperto, dietro strati di piccole e grandi bugie, dietro muri di invalicabili divieti, dietro famiglie oppressive, dietro maschere di repressione: Shizuka, quella per lui vera, bianca e pura sotto la luna e non rossa di fiamme tra le tenebre.

    E spegni quelle ridicole rotelle.

     
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