Dove portano i passi che facciamo

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  1. -Hidan
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    Dove portano i passi che facciamo

    Spezzato


    La prima volta non si dimentica mai.
    La mia inquietudine era palpabile, ma niente a confronto di ciò che stava provando Jukyu. Il suo legame con la Confraternita doveva essere veramente profondo, un odio viscerale per quegli individui che sembrava durare da anni. Non che fossero propriamente degli amabili ragazzi, ma la storia era sicuramente molto più complessa di come mi aveva spiegato. Ad ogni modo, non potevo continuare a pensare a quello. Guardai Jukyu negli occhi, sperando di poterle infondere un pò di sicurezza, di tranquillità, qualsiasi cosa che potesse aiutarla in quegli istanti. O forse ero proprio io a cercare nei suoi occhi qualche certezza. Non ebbi abbastanza tempo per trovarle.

    Ed eccoli lì: un istante prima erano in piedi, un istante dopo caddero rovinosamente a terra. Dritti nella mia trappola. Mi gettai sul mio avversario con quanto più impeto possibile, passandogli il braccio destro intorno alla gola e facendo perno con quello sinistro incominciai a stringere la presa, mentre con le gambe andai a circondare le sue e con il petto e lo sterno a premere verso il basso, in modo da tenergli viso e corpo quanto più vicino possibile al pavimento. Ancora adesso non saprei dire precisamente quanto tempo durò la colluttazione: dovevano essere solo pochi secondi, ma a me sembrò come se il tempo collassasse su sé stesso. Le sue mani, disperatamente, andarono a cercare il mio volto, i miei occhi, e mi spinse in su lo sguardo. E allora lo vidi.

    Jukyu sbattuta contro il muro, dadao impugno, che saltava disperatamente contro l'uomo. Uno zampillo di sangue dal suo petto, le lacrime che cadevano dal volto di Jukyu, in ginocchio a terra, il rosso attorno.
    Solo dopo avrei connesso le parole che pronunciò all'importanza che loro stesse rappresentavano.
    Il mio corpo si mosse in automatico. Non c'era più tempo. Nessuna lotta, nessun confronto. Lei era lì ed io, seppur a pochi metri, ero troppo distante. Smisi di premere contro la sua gola, incominciai a spingere verso destra. Piano, sempre più piano. Poi, all'improvviso, tirai con tutta la mia forza verso la sinistra. Le sue mani si irrigidirono, la sua vita si spezzo tra le mie braccia.
    Lasciai andare di netto il suo capo, che cadde a terra con un suono tonfo, quindi mi alzai lentamente e mi andai ad inginocchiare accanto a Jukyu. Presi le sue mani e con la mia maglietta, dolcemente, cercai di togliere il rosso dalla pelle. « Ehi... » Appena un sussulto. « Guarda me, basta guardare lui. Non c'è più bisogno... » Con la manica del braccio cercavo adesso di asciugare le lacrime. « Sei stata brava, non potevi fare in altro modo... » Pacatamente girai il suo capo verso il mio. « Forza, abbiamo quasi finito... » Presi le chiavi dalle mani rigide dell'uomo e le misi in mano di Jukyu. « Incomincia a scendere le scale, aspettami giù, arrivo subito io... »

    Attesi che Jukyu scendesse le scale prima di spostare i corpi dal corridoio. Ma fu solo quando lei se ne andò che sentii le gambe tremare così violentemente da quasi cadere a terra. Mi inginocchiai e mi aiutai a con un braccio a terra, l'altro sulla gamba piegata. La testa girò vorticosamente per qualche istante, finché non riuscii a riprendere fiato. Chiusi gli occhi per un istante, quindi ripensai al momento in cui avevo spezzato il collo a quell'uomo. « Se lo meritavano... Entrambi... » Bisbigliai, quasi come una confessione a me stesso o a qualche essere superiore.

    Portai i cadaveri in un angolo della stanza in prossimità del corridoio, facendo cura a togliere gran parte del sangue a terra con la giacca dell'altro caduto. Non sarebbe passato troppo tempo prima che qualcuno si fosse domandato che fine avevano fatto quei tizi, ma speravo fosse comunque il tempo necessario che c'avrebbe permesso di fuggire con Hachi sani e salvi da quel posto. Quando ebbi finito, scesi le scale e raggiunsi Jukyu nel sotterraneo. Una lunga pila di torce si diramava davanti a noi. Sorrisi. « Andiamo a prendere Hachi e andiamocene da qui, una volta per tutte. » Quindi incominciammo a correre lungo il corridoio interrato, finché non raggiungemmo una grossa porta di legno e travi d'acciaio. « Deve essere qui dietro Hachi... Dammi le chiavi. » Presi queste dalle mani di Jukyu e le infilai nella serratura, facendogli fare tre scatti. « E, a proposito... »Misi la mano attorno al pomello della porta. « Quando avevi intenzione di dirmi che sei la figlia del Mizukage?! » Aprii quindi il portone.

    Dietro la porta vidi una stanza semi-vuota con all'interno solo un piccolo baldacchino e un po' di fieno e paglia in un angolo. A terra c'era un vassoio d'acciaio con una brocca d'acqua e un pezzo di pane marrone. Accartocciato sopra il materasso, Hachi. « A-A-Andatevene ho detto! » Mi avvicinai camminando fino al ragazzino, fino a mettermi in ginocchio davanti a lui. « Tra poco ce ne andiamo, tutti insieme però. »

     
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